Au revoir, monsieur Oscar de la Renta

La notizia è ormai tristemente nota: lo stilista Oscar de la Renta è scomparso dopo aver lottato a lungo contro il cancro.

È un’altra di quelle grandi perdite che lasciano l’umanità un po’ orfana, privata di un uomo dal grande talento e dalla grande personalità.

Mi prendo lo spazio di un breve post per un paio di riflessioni.

A febbraio 2013 fui fortemente colpita da un suo gesto: Oscar de la Renta diede una seconda chance a John Galliano, messo giustamente alla gogna dopo un infelicissimo exploit a sfondo razzista.
Giustamente, ho scritto io stessa, da una parte; dall’altra, c’è da dire che buona parte del mondo (non solo della moda) dimenticò il genio indiscusso di John Galliano, negandogli qualsiasi possibilità di riscatto, almeno a livello professionale.
Oscar de la Renta, gentleman prima ancora che grande stilista, non si uniformò alla gogna pubblica e mediatica: chiamò John Galliano e lo volle al suo fianco per disegnare la collezione autunno / inverno 2013 – 2014, creando un’incredibile conversazione tra due geni molto diversi (e vi invito, se volete, a leggere qui uno degli articoli migliori che lessi in tale occasione, scritto da Francesca Zaccagnini per Marie Claire).

La seconda riflessione riguarda un video che è diventato virale, video che termina con la frase «fashionism is the new ignorance».
Non ho amato né il video né il preconcetto alla base e ho preso malissimo la frase: in questi giorni, ho ripensato varie volte a quelle parole.

Lunedì, giorno della scomparsa di Oscar De La Renta, facendo alcune ricerche, mi sono imbattuta in un approfondimento attorno al termine fashionism, considerato un sinonimo di visione acritica della moda.
Fashionism non viene dunque inteso come sinonimo diretto di fashion, bensì indica il consumismo modaiolo, quello diventato quasi una dittatura, un triste consumo usa&getta spesso assai dispendioso di oggetti che diventano status symbol e che riducono le persone a macchine da acquisto prive di un proprio gusto, di una propria estetica e di una qualsiasi consapevolezza.
Tutto ciò fa diventare la moda stessa mero prodotto e talvolta anche gli stilisti sono costretti a inchinarsi alla logica commerciale diventando ingranaggi del fashionism/consumism; la moda, al contrario, come io stessa sostengo da sempre, dovrebbe essere espressione del modo di essere di un’epoca e quindi essere linguaggio e cultura.

Ho pensato che Oscar de la Renta vedeva la moda così, come cultura e linguaggio.
Era un grande stilista che amava le donne e che le rispettava, tanto che in lunghissimi anni di attività ha vestito non solo quelle più belle ma anche e soprattutto quelle più influenti. E non si è mai omologato.

Aver riflettuto sul vero significato di fashionism proprio dopo aver letto la notizia della sua morte mi ha fatto pensare a un messaggio preciso.
Se il termine fashionism vuole indicare quel tipo di visione, quella consumistica e non consapevole, allora sì, sono d’accordo anch’io, è una forma di ignoranza esattamente come la moda – quella portata avanti da persone come Oscar de la Renta – rappresenta invece una forma di cultura.

D’altro canto, fu proprio lo stesso Oscar de la Renta a coniare la locuzione fashion victim, utilizzata per descrivere persone spesso prive di senso critico nell’ambito delle mode in generale e, più specificatamente, nell’abbigliamento; persone insicure che acquistano capi d’abbigliamento e accessori di moda solo per sentirsi accettate e integrate nella società.

Tale fenomeno esiste naturalmente da molto tempo prima che nascesse la locuzione coniata negli Anni Ottanta da Oscar de La Renta.
In passato vari studiosi di costume hanno compreso che l’uomo seguiva (e segue) le mode per essere considerato parte di un gruppo: già Georg Simmel (1858-1918), filosofo e sociologo di origine tedesca, nel suo scritto intitolato La moda, sosteneva che le tendenze nascessero sotto la spinta del processo di imitazione.

E allora… au revoir, monsieur de la Renta.

Come già scrissi per Ottavio Missoni, mi piace pensare che, oltre questa vita, vi sia un posto, da qualche parte, dove uomini e donne con grandi sogni discutono amabilmente di visioni e idee.

Manu

 

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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