Perché dico sì alla mostra su Banksy al Mudec di Milano

Quando lo scorso 20 novembre sono stata al MUDEC per la conferenza stampa e l’anteprima della mostra dedicata a Banksy, mi sono bastati pochi istanti per innamorarmi del progetto messo in piedi dal Museo delle Culture di Milano.

Artista e writer britannico la cui identità rimane tuttora nascosta, Banksy è considerato uno dei maggiori esponenti della street art contemporanea: la sua protesta visiva riesce a coinvolgere un vastissimo ed eterogeneo pubblico e ne fa uno degli artisti più amati dalle giovani generazioni – e non solo.

Le sue opere sono infatti spesso connotate da uno sfondo satirico e trattano argomenti come la politica, la cultura e l’etica: l’alone di mistero che, per scelta e per necessità, si autoalimenta quando si parla della sua figura lo fa diventare un vero e proprio mito dei nostri tempi.

Su di lui sono già state organizzate diverse mostre presso gallerie d’arte e spazi espositivi, ma mai un museo pubblico italiano – o estero – ha finora ospitato una sua monografica, con la sola eccezione di quella organizzata dall’artista stesso al Bristol Museum nel 2009.

Con l’evento che resterà in cartellone fino al 14 aprile 2019, il MUDEC ospita un’importante retrospettiva: è corretto segnalare che si tratta di una mostra non autorizzata dall’artista, come tutte quelle a lui dedicate, in quanto Banksy continua a difendere non solo il proprio anonimato, ma anche la propria indipendenza dal cosiddetto sistema.

The Art of Banksy – A visual protest è un progetto curato da Gianni Mercurio: raccoglie circa 80 lavori nonché oggetti, fotografie e video che raccontano attraverso uno sguardo retrospettivo l’opera e il pensiero dell’artista, articolandosi in sezioni che portano a una riflessione critica su quale sia (e quale potrà essere) la collocazione di Banksy in un contesto più generale della storia dell’arte contemporanea

Perché dico che, in occasione della conferenza stampa, mi sono innamorata della mostra in pochi istanti?

In primis, mi sono innamorata del curatore Gianni Mercurio, dei suoi modi, della sua passione e della sua autorevolezza.

Senza necessità di essere spocchioso e senza bisogno di usare parolone altisonanti (atteggiamento che, mi spiace dirlo, a volte caratterizza certi curatori), Mercurio ha spiegato in maniera chiara, onesta, limpida come e perché ha pensato la mostra e quanto sia giusto che un’istituzione museale dedichi una retrospettiva a Banksy.

(Per inciso: Mercurio è una persona che gode di grande credibilità, in Italia e all’estero, è uno stimato curatore e critico d’arte specializzato in arte americana e si è occupato di importanti mostre dedicate, tra gli altri, ad Andy Warhol, Jean-Michel Basquiat e Roy Lichtenstein.)

Poi, mi sono innamorata di Butterfly e David Chaumet, coppia di collezionisti d’arte: presenti anche loro alla conferenza stampa, hanno reso possibile la mostra anche prestando alcune opere e oggetti nonché realizzando un documentario che racconta la figura di Banksy, tratteggiandone la storia e spiegandone l’approccio artistico in venti minuti di vita vissuta tra le periferie, gli spazi urbani e i riflettori – non voluti – delle più prestigiose case d’asta e degli spazi espositivi di mezzo mondo.

Insomma, i presupposti perché io mi innamorassi c’erano tutti e sono stati poi confermati dalla visita avvenuta subito dopo la conferenza stampa.

Proprio grazie al percorso critico accuratamente costruito da Gianni Mercurio, ho potuto compiere un autentico viaggio tra le opere di Banksy il quale, com’è stato ricordato anche in conferenza stampa, è importante anche perché sa dare la propria interpretazione (se non un completo stravolgimento) di alcuni punti di riferimento importanti come la Pop Art e le sue icone, il fumetto e i suoi supereroi, il foto-giornalismo.

Ho poi completato il mio viaggio guardando l’interessante documentario dei coniugi Chaumet e, infine, mi sono completamente immersa nello spazio multimediale che chiude il percorso (mi vedete e lo vedete qui sotto).

 

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Insomma, sono uscita dal MUDEC e dalla mostra su Banksy veramente entusiasta e soddisfatta, tanto da proporre e poi scrivere un pezzo per ADL Mag, la rivista online di Accademia del Lusso, scuola in cui insegno.

Immaginate dunque la mia sorpresa quando ho letto articoli (negativi) con i quali non concordo affatto.

Meno mi sono sorpresa quando ho trovato la mostra nel sito di Banksy, giustamente inserita tra quelle nelle quali lui non è direttamente coinvolto: d’altro canto, come hanno dichiarato gli stessi Gianni Mercurio e il MUDEC, la mostra non è autorizzata – e lo ripeto anch’io.

Certo, mi ha fatto un po’ impressione vedere bollate quella di Milano così come tante altre mostre come fake – false in quanto credo che tra non autorizzate e false passi una certa differenza e in quanto credo che forse il secondo termine sia un po’ forte: una mostra su un’artista è falsa se non autorizzata o piuttosto sarebbe falsa se non fosse stata svolta una rigorosa indagine e una altrettanto rigorosa analisi critica, come invece avviene per la mostra curata dal bravissimo Mercurio?

Diciamo però che, nel caso di un personaggio sui generis come Banksy, tutto questo ci sta e diciamo che da lui mi aspetto una simile presa di posizione.

Tuttavia, alla luce degli articoli di critica e sempre forte del mio entusiasmo e della mia soddisfazione, scrivo questo secondo pezzo soprattutto perché desidero ribadire i miei cinque sì alla mostra, ripescando proprio dal primo articolo, quello scritto per ADL Mag.

Numero uno
Banksy ha recentemente sorpreso il mondo dell’arte (e non solo) con l’autodistruzione programmata della sua Bambina con palloncino durante un’asta londinese (dato un occhio qui, dal suo account Instagram ufficiale, l’unico social da lui utilizzato): Milano – che da mesi aveva in calendario la mostra al MUDEC – dimostra di aver fatto ancora una volta centro nell’esplorazione della contemporaneità con un progetto espositivo che invita il pubblico a superare l’aspetto mediatico per conoscere le ragioni profonde del linguaggio dell’artista, le sue radici, la sua capacità di parlare a culture lontane e diverse tra loro.

Numero due
Il MUDEC accoglie quella che possiamo a tutti gli effetti chiamare retrospettiva perché – nonostante quella di Banksy sia un’arte quanto mai attuale e spesso ospitata anche nelle pagine di cronaca – la mostra ripercorre le diverse tappe della sua attività attraverso un inedito approccio critico (lo sottolineo nuovamente e anche di fatto, graficamente…) che parte dall’analisi delle fonti di ispirazione.

Numero tre
Il percorso risulta a suo modo accademico e insolito, è vero, ma coerente con la mission di un museo come il MUDEC, ovvero quella di fornire a ogni fascia di pubblico le chiavi di lettura per comprendere e apprezzare le culture del mondo e i grandi temi della contemporaneità attraverso tutte le arti, visive, performative e sonore.

Numero quattro
Il lavoro del MUDEC si basa costantemente su un concetto fondamentale, ovvero il rispetto nei confronti di ogni cultura e dell’arte che la rappresenta: per organizzare questa mostra è stata dunque prestata la massima attenzione a non sottrarre illegittimamente da spazi pubblici opere che Banksy ha creato per la comunità, rimanendo rigorosamente in linea con i principi di fruizione che l’artista vuole per le sue creazioni. Ecco perché in mostra sono presenti solo opere di provenienza certificata da collezionisti privati – e questo è appezzabile, secondo me.

Numero cinque
Banksy è senz’altro lo street artist che meglio analizza e interpreta le grandi problematiche sociali e politiche della nostra epoca: il suo messaggio e la sua arte si manifestano come un’esplicita e mordace provocazione nei confronti dell’arroganza dell’establishment, del potere, del conformismo, della guerra, del consumismo.

 

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Sono innamorata dell’arte di qualsiasi tipo e – anche esulando da Banksy – mi sono sempre interessata di street art e di come questa possa essere uno strumento poliedrico: qui nel blog, ho parlato del progetto Esco a Isola, del progetto Sopra il Sotto – Tombini Art e infine di Outing Project che prende l’arte nei musei e la porta nelle strade.

L’arte può e deve avere molti scopi, secondo me, può riqualificare un quartiere, può raccogliere fondi, può essere cassa di risonanza; deve far discutere, deve fare uscire teste e cuori dal torpore e dunque non condanno affatto l’operazione del MUDEC, anzi, l’appoggio perché a mio avviso l’unico intento è quello di far conoscere.

Non posso che approvare la voglia di ampliare il pubblico, così come approvo le nuove cosiddette esperienze immersive (come ho raccontato in un post a proposito della mostra su Magritte).

Dico un’ultima cosa.

Shepard Fairey, famoso street artist americano, ha detto qualcosa di molto interessante, illuminante e particolarmente calzante a proposito del lavoro di Banksy.

«Le sue opere sono piene di immagini metaforiche che trascendono le barriere linguistiche. Le immagini sono divertenti e brillanti, eppure talmente semplici e accessibili: anche se i bambini di sei anni non hanno la minima idea di che cosa sia un conflitto culturale, non avranno alcun problema a riconoscere che c’è qualcosa che non quadra quando vedono la Monna Lisa che impugna un lanciafiamme.»

E proprio questo è l’immenso potere dell’immagine, proprio questa è la sua capacità di farsi veicolo di protesta, qualcosa che Banksy è capace di padroneggiare e di applicare in modo estremamente efficace.

E allora sì alla sua arte e sì al fatto di diffonderla, per strada, sui muri delle città o tra le pareti del MUDEC.

Manu

 

 

 

The Art of Banksy – A visual protest

MUDEC – Museo delle Culture di Milano
Via Tortona, 56

21/11/2018 – 14/04/2019

BIGLIETTI: Intero € 14,00 | Ridotto € 12,00

Qui trovate il sito del Mudec, qui la pagina Facebook, qui l’account Twitter e qui quello Instagram.

Com’è strutturata la mostra su Banksy?

Si parte con una sezione introduttiva che illustra i movimenti che hanno utilizzato una forma di protesta visiva attraverso la fusione di parole e immagini e con un’attitudine all’azione, movimenti ai quali Banksy fa riferimento esplicitamente per modalità espressive: dal movimento situazionista degli Anni ’50 e ’60 (con il quale Banksy condivide l’attitudine sperimentale e l’attenzione alle realtà urbane) alle forme di comunicazione ideate e praticate dall’Atelier Populaire (il collettivo di studenti che nel maggio del 1968 diffuse attraverso centinaia di manifesti i temi della protesta sui muri di Parigi), fino ad arrivare ai lavori dei writer e dei graffitisti di New York degli Anni ’70 e ’80, multiculturali e illegali per vocazione e dal forte senso di appartenenza comunitaria.

Inoltre, come gli street artist della sua generazione, anche Banksy accentua il contenuto dei messaggi politici e sociali in maniera esplicita, spostando il messaggio dalla forma al contenuto.

Tutte queste caratteristiche emergono come fondanti della sua arte e ben risaltano nel corpus di opere presentate in mostra e suddivise per temi.

Il primo tema è quello della ribellione: Banksy ci dice che, se il potere esercita la propria egemonia culturale in televisione, cinema, pubblicità, chiese, scuole e musei, lo street artist trova nella strada il luogo ideale nel quale mettere in atto una contro-egemonia. E lo fa con una serie di tecniche artistiche create ad hoc per essere veloci, seriali e riproducibili, come per esempio l’idea e la pratica della serialità o del détournement: Banksy interviene su copie di opere, esistenti e spesso universalmente conosciute, inserendo alcuni elementi stranianti che ne modificano il significato.

Il secondo tema è quello dei giochi di guerra: una gran parte dei soggetti di Banksy è infatti contro la guerra. La sua è una posizione a 360 gradi e, più che un impegno politico, è una resistenza culturale contro la guerra e contro le logiche che la producono. Tra queste, Banksy inquadra nei propri lavori la religione, l’industria bellica, lo sfruttamento del territorio. I suoi messaggi sono dunque spesso un invito alla resistenza, cioè a opporsi alle cause quale unico modo per scongiurare gli effetti e rappresenta gli inganni del potere con la consueta cupa ironia.

Il terzo tema è quello del consumismo: i lavori di Banksy sul tema del consumismo prendono di mira il capitalismo e, in particolare, il mercato dell’arte, i cui consumatori sono spesso privi della capacità critica necessaria per comprendere l’arte. Il consumo è principio e fine di una dinamica sociale che rende l’individuo sempre più incline all’acquisizione di beni materiali e all’ossessione del possesso: una dinamica basata su un’aspettativa di felicità che viene puntualmente disattesa e che crea dipendenza, come mostrano le figure ammantate che si inginocchiano davanti a un cartello che recita “Oggi fine dei saldi”, in venerante attesa di una nuova stagione di sconti.

A seguire, si trova una sala in cui viene proiettato un documentario: a cura di Butterfly Art News, appositamente realizzato per la mostra, il documentario racconta al pubblico la figura di Banksy, ne tratteggia la sua storia, ne spiega l’approccio artistico attraverso i lavori. Venti minuti di vita vissuta tra le periferie e gli spazi urbani.

Banksy si è cimentato anche nella produzione di cover di vinili e cd per importanti gruppi artistici musicali contemporanei: in mostra al Mudec possiamo trovare circa 60 copertine di dischi che spaziano dalla musica elettronica sperimentale all’hip hop, dai grandi gruppi musicali che sono sulla scena internazionale dell’elettronica (come i Durty Funker) al British hip-hop di Blak Twang, fino ai dischi dei Blur e di Paris Hilton. Un corner dedicato a questa produzione poco conosciuta di Banksy offre la possibilità al visitatore di fermarsi ad ascoltare alcune selezioni di brani da questi dischi.

Le opere sono inoltre integrate da una quarantina di memorabilia di e sull’artista: litografie, flyer promozionali, cartoline, fanzine, magazine, giornali vari, cartoline e biglietti raccontano in maniera insolita e poco vista la storia dell’artista e il suo mondo.

Uno spazio multimediale a cura dello studio Storyville chiude infine il percorso raccontando i luoghi del mondo in cui Banksy ha operato: alcuni lavori sono tuttora esistenti, molti altri sono scomparsi per incuria o sono stati rimossi.

Da questo lavoro meticoloso di mappatura emerge come il luogo fisico sia un aspetto fondamentale nel lavoro dell’artista: molti murales nascono infatti anche semplicemente in funzione dei e per i luoghi in cui sono realizzati.
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Sono perplessa, lo confesso.
Pest Control Office (la società incaricata in via esclusiva dell’amministrazione, gestione e tutela dei diritti di Banksy) ha promosso un giudizio d’urgenza presso il Tribunale di Milano contro 24 Ore Cultura, la società che ha organizzato la mostra in corso al MUDEC, lamentando l’uso non autorizzato del nome Banksy e di alcune opere.
In particolare, PCO ha dichiarato di essere titolare di diverse registrazioni, anche per prodotti di merchandising, tra cui il marchio denominativo Banksy e i marchi figurativi raffiguranti la nota Bambina con il palloncino rosso e il Lanciatore di fiori, due delle opere più conosciute dell’artista; ha lamentato che il titolo della mostra e il materiale promozionale riproducessero i marchi con un rilievo preminente rispetto agli altri elementi, costituendo quindi una violazione dei diritti sui propri marchi registrati (oltre che ipotesi di concorrenza sleale).
Con ordinanza del 15 gennaio 2019, il Tribunale di Milano ha ritenuto tuttavia lecito l’utilizzo da parte di 24 Ore Cultura del nome Banksy in quanto la mostra è dedicata a questo artista e «l’evidenziazione del nome dell’artista cui la mostra è dedicata è pratica del tutto normale nel settore e connaturata a evidenziare lo stesso contenuto dell’esposizione e quindi ad orientare il pubblico rispetto all’oggetto della stessa».
In particolare, il Giudice ha rigettato le domande di PCO concernenti l’inibitoria e il sequestro del materiale di comunicazione recante il marchio Banksy e i marchi raffiguranti le opere Bambina con il palloncino e Lanciatore di fiori (quindi anche il titolo stesso della mostra); rigettato le domande di sequestro e inibitoria concernenti il catalogo della mostra; rigettato le ulteriori domande di sequestro dei prodotti e della documentazione contabile e commerciale relativa a questi ultimi; accolto la domanda di inibitoria di 5 articoli di merchandising (agendina, segnalibro, due cartoline e gomma da cancellare).
Fin qui, per dovere di cronaca, ho riportato i fatti; ora vi dico perché sono perplessa.
1) Io per prima sostengo che cultura e arte debbano essere quanto più possibile accessibili a tutti; tuttavia, non essendo stupida, mi rendo perfettamente conto che un Museo come il MUDEC non possa organizzare mostre a titolo gratuito, in parte proprio per poter portare avanti il proprio compito di diffondere cultura e bellezza.
2) La mostra è di grande qualità ed eccellente è il lavoro fatto da Gianni Mercurio, il curatore, persona che gode di grande credibilità, in Italia e all’estero, stimato curatore e critico d’arte specializzato in arte americana e che si è occupato di importanti mostre dedicate, tra gli altri, ad Andy Warhol, Jean-Michel Basquiat e Roy Lichtenstein. Mercurio ha fatto un lavoro scrupoloso quanto rispettoso verso Banksy, ricostruendo il suo percorso e mettendo esclusivamente in luce il suo lavoro e i messaggi che vuole trasmettere: trovo che tutto ciò non meriti una denuncia.
3) Ribadisco infine ancora una volta che, in linea con i principi di fruizione delle opere di Banksy, non sono presenti in mostra suoi lavori sottratti illegittimamente da spazi pubblici, ma solo opere di collezionisti privati di provenienza certificata. Dunque, a mio avviso, il MUDEC ha lavorato con coscienza e correttezza e qui si torna al punto 1.
4) Sono invece d’accordo sul ritiro del merchandising.
Mi pare pertanto di essere a mia volta rispettosa verso Banksy e obiettiva verso la questione – ed ecco perché sono perplessa (e anche dispiaciuta) riguardo la denuncia.
Continuo ad appoggiare la mostra e, nella mia costante ottica di condivisione della cultura nonché di rispetto e ascolto delle opinioni di tutti nonché di fiducia assoluta verso l’importanza della pluralità e differenziazione delle fonti, vi lascio i link di tre articoli molto interessanti qualora vogliate approfondire ulteriormente la questione del copyright nonché il punto di vista di Banksy che rispetto ma che condivido solo parzialmente: qui trovate l’articolo di Ninja Marketing, qui quello di ArtsLife e qui quello di Artribune.

Manu,
Nota postuma di lunedì 11 marzo 2019
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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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