Cecilia Arpa SS 2016, la matematica diventa (letteralmente) moda

Inutile nascondersi, è meglio confessarlo subito: io e la matematica non siamo amiche per la pelle. Viviamo un rapporto difficile, una relazione complicata – come si dice oggi.

Eppure, non è sempre stato così: quand’ero alle elementari e alle medie, la matematica mi piaceva. Non quanto le materie letterarie che sono sempre state il mio grande amore, ma anche la matematica mi incuriosiva e mi affascinava con quelli che consideravo stimolanti misteri ed enigmi da risolvere.

L’idillio tra noi si è spezzato alle scuole superiori, esattamente in quarta, quando alla mia classe fu assegnato un professore terribile, un po’ nazista, uno di quelli a cui cambiavano sezione ogni anno per le proteste di genitori e studenti.

Il nazistoide aveva regole ferree quanto assurde: sul banco non dovevamo avere nulla se non una biro, il quaderno e il libro. Se vedeva, per esempio, un innocente portapenne, lo stesso volava giù dalla finestra.

A una riunione con genitori (preoccupati) e studenti (arrabbiati), enunciò la propria teoria che voleva che lui fosse un genio (incompreso, probabilmente) e noi dei poveri stupidi. Ci fu una sollevazione generale e io chiesi la parola: non ricordo di preciso cosa dissi, ma ricordo che espressi il mio pensiero a proposito di quella sua farneticante teoria e ricordo che alla fine erano tutti in piedi ad applaudirmi, i miei compagni, i genitori e anche diversi insegnanti. Ricordo anche gli occhi, gelidi, del professore che mi fissavano.

Indovinate un po’: io che, fino all’anno prima, avevo 8 in matematica… passai al 5. Il professore me la giurò, naturalmente, e pensò bene di darmi una lezione circa autorità e potere secondo la sua visione (distorta) che prevedeva più che altro il loro abuso.

Fui rimandata a settembre con una pagella piena di 8 e il suo 5, nonostante le proteste di altri professori: mi fece perdere la borsa di studio e passai l’estate a studiare.

I miei erano dalla mia parte, ovviamente, e infatti non fui punita perché ben sapevano quale fosse la verità ma, essendo genitori in gamba che volevano il mio bene nonché ottimi educatori, furono irremovibili: ero stata rimandata e dovevo comunque assumermi le mie responsabilità. Era il loro modo (a mio avviso giusto) di insegnarmi che, se si ha il coraggio di sostenere un’opinione agendo di testa propria e senza tanta diplomazia, lo si fa nel bene e nel male. Non volevano insegnarmi a stare zitta, però volevano che imparassi a sopportare le conseguenze delle mie scelte.

La loro fu una lezione utile e imparai che il coraggio ha sempre un prezzo: da allora, sono stata disposta a pagarlo e non solo quell’estate. Ecco perché dico che fu un insegnamento saggio ed ecco perché credo che, quell’anno, mamma e papà furono orgogliosi più di quando prendevo la borsa di studio, anche se davanti a me non sminuirono mai la scuola come istituzione, l’errore che invece fanno oggi molti genitori.

Dal professore, invece, imparai il senso delle parole sopruso e ingiustizia: una lezione altrettanto utile. Fu lui a insegnarmi cosa non avrei mai accettato.

Fonte: radioincorso.it
Fonte: radioincorso.it

A settembre, all’esame orale, il mostro mi guardò negli occhi e mi chiese “Sei contenta?”: io, sostenendo il suo sguardo, risposi “Io sì, professore, e lei?”. “Anch’io”, mi rispose, e aggiunse “Adesso puoi andare, abbiamo finito”. Ognuno dei due rimase della sua idea, naturalmente.

Lui aveva rimandato tutta la classe tranne due persone: a settembre, propose nuovamente la bocciatura per tutti, eccezion fatta per me e un paio di miei compagni.

A quel punto, il consiglio di istituto insorse e, tranne qualche caso carente su tutto il fronte, gli altri studenti vennero promossi.

Da allora, il mio rapporto con la matematica non è più stato lo stesso: ho sbagliato, lo so, non avrei dovuto permettere a quel professore di influenzare il mio giudizio verso la materia che – a mio avviso – insegnava indegnamente. Questa è la dimostrazione di quanti danni possa fare un professore incapace di trasmettere vera conoscenza.

In maniera diametralmente opposta, insegnanti in grado di donare sono capaci di fare amare ciò che insegnano: a me capitò con le insegnanti di italiano e letteratura, ne ricordo ancora con affetto e stima ben tre.

Ora che vi ho raccontato tutto ciò, immaginate la mia reazione quando, partecipando alla presentazione di una collezione lo scorso 25 settembre 2015 durante Milano Moda Donna, ho scoperto che la stilista che si chiama Cecilia Arpa non solo ha una lunga carriera da ingegnere, ma è stata ispirata proprio dalla matematica.

Matematica e moda? Possibile?

Attenzione, non ho scritto geometria e moda, rapporto normale, ho detto proprio ma-te-ma-ti-ca.

E che matematica: per la sua collezione primavera / estate 2016, Cecilia cita due grandi geni, ovvero Leonardo Pisano detto il Fibonacci, matematico italiano, e il matematico tedesco August Ferdinand Möbius – e poi vi racconterò come.

Ecco, per un attimo mi è sembrato di tornare ai miei 17 anni e di rivedere quel professore che mi ha fatto detestare – in particolare – la statistica.

Per fortuna, la curiosità non mi è mai mancata e quindi, indicibilmente solleticata, non mi sono certo fermata davanti all’antico astio.

Il pezzo che per primo ha prepotentemente catturato la mia attenzione è una gonna a ruota in seta: tagliata in un unico pezzo, riporta la stampa di uno dei dialoghi più celebri di Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie, il famoso romanzo di Lewis Carroll. Per chi non lo sapesse, Charles Lutwidge Dodgson, vero nome dello scrittore inglese, era anche un matematico…

Il dialogo è quello tra Alice, il Giglio Tigrato e la Rosa: Alice esprime il desiderio che i fiori possano parlare e il Giglio le risponde “Certo che possiamo parlare quando c’è qualcuno con cui ne valga la pena”. Ecco, la gonna riporta il dialogo in una sequenza a spirale.

I fiori sono una tematica presente in tutta la collezione.

Le camicette trasparenti in organza sono dotate di tasche che servono a inserire sagome di margherite stilizzate; le giacche (che ricordano le varsity jacket dette anche letter jacket o baseball jacket, quelle giacche portate dagli studenti americani di scuole superiori e università per rappresentare la propria scuola) hanno tasche che sono nuvole, se chiuse, e si trasformano in fiori quando sono aperte.

Perfino le calzature, modello slip-on, hanno la tomaia che riprende la sagoma tipica del tulipano; le gonne multistrato a fiore sono invece realizzate rielaborando digitalmente veri petali.

Il tutto è un po’ sospeso tra Pop Art (i colori) e fumetto (lo stile): io ci vedo anche parecchie influenze della cosiddetta Space Couture, la moda caratteristica degli anni ’60 percorsa da suggestioni spaziali e rivoluzioni geometriche e rappresentata da stilisti del calibro di André Courrèges, Pierre Cardin e Paco Rabanne.

Cecilia Arpa: le tasche trasparenti e le margherite
Cecilia Arpa: le tasche trasparenti e le margherite
Cecilia Arpa: reinterpretazione della <em>varsity jacket</em> con tasche-fiore
Cecilia Arpa: reinterpretazione della varsity jacket con tasche-fiore
Cecilia Arpa: gonna multistrato a fiore. Si vedono anche le slip-on con tomaia a tulipano.
Cecilia Arpa: gonna multistrato a fiore. Si vedono anche le slip-on con tomaia a tulipano.
Cecilia Arpa: gonna multistrato a fiore
Cecilia Arpa: gonna multistrato a fiore
Cecilia Arpa: abitini che attraverso tagli, linee e oblò mi ricordano i capi anni ’60 creati dalla <em>Space Couture</em>
Cecilia Arpa: abitini che attraverso tagli, linee e oblò mi ricordano i capi anni ’60 creati dalla Space Couture

La matematica ispira direttamente alcuni capi tra i quali una stola e una gonna.

La stola è costruita come un nastro di Möbius, l’invenzione più celebre del matematico: Cecilia vi ha aggiunto la stampa di alcuni versi di “Ci vuole un fiore”, la canzone con le parole di Gianni Rodari e la musica di Sergio Endrigo.

La gonna a ruota con bordi tagliati a vivo ha una stampa che si ispira al lavoro di Maurits Cornelis Escher, celeberrimo incisore e grafico olandese: sicuramente avete visto le sue costruzioni impossibili con motivi a geometrie che cambiano gradualmente in forme via via differenti. Le opere di Escher sono molto amate dagli scienziati e dai matematici (e da Cecilia Arpa!) perché danno vita a distorsioni e interpretazioni originali di concetti appartenenti alla scienza, ottenendo effetti paradossali.

Allo stesso modo, Cecilia ha creato dei quadretti che evolvono in pied de poule che evolve a sua volta in tulipani: che la nostra ingegnere-stilista abbia un debole per i tulipani?

A parte gli scherzi, per far funzionare questi capi – e soprattutto la gonna – è stata adottata e applicata la “successione di Fibonacci”.

Fibonacci è noto soprattutto per la sequenza di numeri da lui individuata e conosciuta, appunto, come “successione di Fibonacci”: non chiedetemi di spiegarla, non sono in grado, so solo dirvi che si tratta di una successione di numeri in cui ognuno è la somma dei due che lo precedono (se qualche matematico sta leggendo… non odiarmi per questa mia semplificazione).

Il fatto interessante è che sembra che questa sequenza sia presente in diverse forme naturali, per esempio negli sviluppi delle spirali delle conchiglie: Cecilia l’ha applicata alla sartoria.

Cecila Arpa: la stola costruita come un nastro di Möbius
Cecila Arpa: la stola costruita come un nastro di Möbius
Cecilia Arpa: gonne ispirate ai lavori di Escher col passaggio dai quadretti ai tulipani passando per il pied de poule
Cecilia Arpa: gonne ispirate ai lavori di Escher col passaggio dai quadretti ai tulipani passando per il pied de poule

Möbius, Fibonacci ed Escher sono dunque tutti legati dal fatto di aver indagato autentici enigmi sospesi tra matematica, scienza, evoluzioni geometriche e paradossi: Cecilia li porta nel nostro guardaroba.

Ammetto di essermi un po’ persa nelle sue appassionate e dettagliate spiegazioni (a parziale dimostrazione del fatto che forse il mio orrendo professore non ebbe poi tutti i torti a rimandarmi a settembre): devo però dire che il suo particolarissimo e curiosissimo lavoro mi ha ricondotta col ricordo alle medie, quando pensavo che la matematica è uno stimolante mistero e che contiene una buona dose di fantasia.

Guardando i capi di Cecilia ne ho avuto la dimostrazione. E direi che, contrariamente a me, lei ha dimostrato ottima padronanza della materia (perdonami, se leggerai queste righe, se non sono stata perfetta nel riportare il tutto…. spero di aver almeno reso il concetto!).

E direi anche che, dopo tanti anni, mi ha definitivamente riconciliata con la matematica, alla faccia di un professore nazistoide che, alla fine, non l’ha avuta vinta nemmeno in questo.

Merito di una donna con una laurea in ingegneria e un grande sogno nascosto nel cassetto più segreto: per fortuna, un giorno, Cecilia ha aperto quel cassetto, con coraggio, e ha deciso di iniziare una nuova avventura.

Il suo brand è dedicato a tutte le ragazze e a tutte le donne “che non si sono mai arrese e che hanno il cuore sempre rosa e l’animo leggero come il suo”.

Aggiungo un’anima colorata, pop, fresca e giocosa eppure appoggiata su un fondo serissimo. Anzi, matematico.

Manu

 

 

 

 

Per maggiori informazioni e per approfondire:

Qui trovate il sito di Cecilia Arpa, qui la pagina Facebook, qui Twitter e qui Instagram.

Per tutte le informazioni, potete anche scrivere a info@cecilia-arpa.it

I miei scatti alla presentazione del 25/09/2015: qui, qui, qui e qui.

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

Glittering comments

cristina
Reply

Caspita Manu,
Che brutta esperienza hai vissuto con questo professore forse lontano parente di Kappler!
Diciamo che io non avuto un rapporto così travagliato ma sicuramente è una materia che non ho amato anche se i risultati scolastici sono sempre stati buoni.
Con grande piacere ho letto questo articolo che spiega, molto chiaramente, i concetti che sono alla base di questa bella collezione. Mi ritrovo pienamente quando la definisci pop, fresca e anch’io ho ritrovato qualche rimando alla moda space degli anni ’60.
Bellissime le gonne e deliziosi i fiori che traspaiono o che vanno a definire le tasche!
Questa collezione mi è piaciuta davvero tanto.
Un abbraccio
Cristina

Manu
Reply

Grazie Cristina carissima!
Sì, in effetti è stata una brutta esperienza e devo ringraziare i miei genitori se non è diventata traumatica.
Ero una ragazzina vivace e di carattere, abbastanza decisa già allora, ma loro furono tanto intelligenti da gestire la situazione che si creò in modo tale che diventasse un prezioso insegnamento. Credo che la bravura di un genitore stia in questo, sfruttare ciò che accade per trasmettere lezioni utili: questo, secondo me, è il vero significato di educazione e penso non sia facile.
Con gli anni, ho capito una cosa importante: la loro grande impresa fu quella di non farmi sentire una vittima, cosa inutile, bensì una persona che aveva fatto una libera scelta, se vogliamo coraggiosa, ma che doveva sopportarne le conseguenze.
Tornando alla nostra Cecilia: brava, vero?
Sono felice delle tue parole e del tuo attentissimo apprezzamento, credo molto in questa stilista e mi piace l’operazione piuttosto ardita che ha fatto.
Sì, le gonne sono un incanto e, personalmente, adoro anche la varsity jacket.
Ti abbraccio anch’io e ancora grazie,
Manu

Irene Navarra
Reply

Avessi avuto ai tempi delle medie questi vestiti! Avrei indossato la Stola / Nastro di Möbius con le parole di Gianni Rodari e mi sarei pavoneggiata davanti alla mia personale “aguzzina matematica”, ricordandole che, se ero brava in latino, non potevo essere una “ciofeca” nelle materie scientifiche. Mi odiava perché avevo difeso una compagna ingiustamente tartassata. Ecco un punto in comune tra di noi. Un punto-destino. Grazie, quindi, Manu, per l’articolo e per la tua confessione così coraggiosa. Mi piaci sempre di più.
Un abbraccio stretto,
Irene

Manu
Reply

Irene carissima,
grazie a te per la tua altrettanto coraggiosa confessione.
Ecco, purtroppo abbiamo un altro caso di una pessima insegnante: mi piace tanto, invece, il fatto che tu abbia difeso una compagna tartassata, per giunta ingiustamente. Ti fa molto onore (l’altruismo è cosa rara, troppi pensano solo al proprio orticello) e sì, ci rende affini: evidentemente, stare zitte davanti alle ingiustizie non è il nostro forte. Per fortuna, aggiungerei.
Che peccato, peccato che esistano professori che credono che insegnare voglia dire usare e abusare del proprio potere. Peccato perché insegnare è uno dei mestieri più belli e difficili che esistano: questi individui, dunque, sminuiscono un mestiere nobilissimo nonché il lavoro di tantissimi loro colleghi meravigliosi. Senza contare i danni che possono fare.
Sai, ricordo che, in occasione della riunione della quale ho parlato qui sopra, una professoressa si infuriò particolarmente per l’atteggiamento del professore-aguzzino. Insegnava inglese e me la ricordo ancora perfettamente, coi capelli bianchi a caschetto, gli occhi azzurri, le mani lunghe e sottili: ricordo che tremava per quanto era indignata, perché lei – contrariamente a quel professore – amava i ragazzi.
Ricordo perfettamente che disse: “voglio che sia messo a verbale che non sono d’accordo col professore”. Ecco, per me quella era una donna – e una insegnante – libera e coraggiosa.
E ricordo anche, come se fosse ieri e come se non fossero invece passati molti anni, i sentimenti che mi si agitavano dentro quando andai a vedere i giudizi in bacheca, a fine anno: ricordo che, davanti a quel 5, rosso e solitario, provai un misto di imbarazzo, rabbia e impotenza. Quella fu la prima e unica volta in cui fui rimandata a settembre e mi bruciò moltissimo: già allora, avevo un senso del dovere molto sviluppato e la scuola, per me, era importante.
Ricordo che studiai tutta l’estate in uno stato di apprensione.
Ricordo che, la mattina dell’orale, ero terribilmente in ansia, perché non sapevo cosa aspettarmi: lui, invece, il professore, voleva solo vendetta, non era nemmeno interessato a ciò che avevo studiato, anche perché in realtà non era il mio rendimento / apprendimento a essere in discussione.
Ricordo che tremavo dentro mentre gli risposi, ma sostenni il suo sguardo.
Sai una cosa? Credo che, in fondo, lui mi stimò: l’anno successivo, prima di sparire andando a far danni altrove, mi lasciò in pace, come se mi avesse preso le misure – non so se mi spiego chiaramente.
E, come vedi, io non l’ho mai dimenticato, nel male ma anche in quel poco di bene che, indirettamente, mi fece, perché a volte il “bene” ha disegni ben strani…
Sai, adoro la tua idea di opporre la stola / nastro di Möbius contro l’aguzzina e, tra l’altro, mi hai dato un ulteriore spunto di riflessione con una tua sacrosanta osservazione: “se ero brava in latino, non potevo essere una “ciofeca” nelle materie scientifiche”. Caspita, è vero!
Ti abbraccio anch’io stretto e grazie di cuore,
Manu

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