Charlie Hebdo, la speranza rinasce da una matita

Mercoledì 7 gennaio, il giorno della strage di Parigi, è stato un momento tragico per chiunque creda nella libertà di pensiero e di parola, nella libertà di espressione, nella libertà di stampa.

Un po’ mi ripugna ritrovarmi a scrivere strage di Parigi.
Penso che fatti così gravi non conoscano nazionalità né geografia: si abbattono sull’intera umanità, perfino su chi in questo momento esulta considerandola invece una vittoria.

In quel giorno buio, mi sono sentita smarrita e disorientata e credo che questo sia successo a moltissime persone.
Da allora provo una continua alternanza di dolore, disperazione e rabbia e soprattutto provo la sensazione che sia stato oltrepassato un punto di non ritorno.
Mi sento svuotata, come se ci avessero portato via qualcosa che so non riavremo più indietro.

Mercoledì, per tutto il giorno, mi sono chiesta cosa fare, che risposta dovessi dare, come essere umano e anche come persona che considera un sogno (forse il più grande che nutro in ambito professionale) potersi un giorno guadagnare il tesserino da giornalista pubblicista.
Tacere.
Parlare.
Interrompere o continuare il mio lavoro.

Alla fine ho deciso: ho continuato.

So benissimo di non salvare l’esistenza di nessuno con ciò che faccio, so che mai, probabilmente, un mio articolo farà la differenza su questioni di vita o di morte e so anche che molti considerano futili le cose delle quali mi occupo visto che ho scelto di unire la passione per il giornalismo a quella per la moda, scelta che oggi risulta un po’ futile perfino a me al paragone di chi è morto per aver invece scelto il giornalismo di satira, feroce, senza bavaglio e che non ha mai risparmiato nessuno, né l’Islam, né la Chiesa, né le istituzioni – ed è giusto ricordarlo.

Eppure, per contro, ho pensato che è altrettanto vero che ogni volta in cui rinunciamo a dire la nostra opinione, ogni volta in cui ci ritiriamo in silenzio, qualsiasi sia l’argomento, moriamo un po’ (e su questo argomento tornerò poi).
E ho anche pensato che, tempo fa, una persona speciale mi ha detto che esistono molti modi, alcuni più nobili e altri più semplici, per fare la nostra parte nel mondo e che ciò che conta è farlo al meglio e secondo quello che è il nostro talento, immenso o microscopico che sia.

Il mattino dopo, ho dunque completato l’articolo al quale stavo lavorando quel maledetto mercoledì, così come avevo deciso: mentre lo finalizzavo, continuavo a pensare alle parole che avevo già condiviso sul mio profilo Facebook.
“Non ho paura delle rappresaglie, preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio”: così aveva detto Stéphane Charbonnier, per tutti semplicemente Charb, direttore di Charlie Hebdo, barbaramente trucidato insieme a nove colleghi e a due poliziotti.
Tra le vittime, ci sono disegnatori molto famosi come Jean Cabut, conosciuto come Cabu, Bernard Verlhac, detto Tignous, e Georges Wolinski.

Mi inchino davanti a coloro ai quali ho deciso di dedicare il pezzo pubblicato quel giorno (e nel quale parlo di contaminazione culturale in ambito moda): è stato il mio umile omaggio a uomini che mai hanno rinunciato a dire la loro opinione spesso scomoda e impopolare, il mio omaggio alla libertà di pensiero e di parola, il mio rifiuto all’idea di vivere in ginocchio arrendendomi a un mondo senza libertà.

Ho fatto il tutto attraverso il mezzo che mi è più familiare: non ne conosco di migliori, purtroppo. Nella mia infinita piccolezza, con le dovute differenze e proporzioni, con immenso rispetto e con enorme tristezza.
E se qualcuno pensa che, davanti alla morte, il mio omaggio sia blasfemo, invito a riflettere sul fatto che Charb, Cabu, Tignous e Wolinski credevano nella libertà e nel potere di ridere, di noi stessi e del mondo.
Invito a riflettere sul fatto che si può arrivare alle grandi cose anche partendo dalle piccole, da quelle che sembrano futilità o facezie. Ed è proprio ridendo che, a volte, si dicono le cose più serie.

Ho un invito anche per chi pensa che gli irriverenti disegnatori se la siano cercata: il vostro pensiero è pericoloso quanto quello di coloro che pensano che una donna che è stata violentata se la sia cercata qualora indossasse la minigonna.

Questa settimana non sono poi riuscita a concentrami sull’elaborazione di nessun ulteriore post se non questo che state leggendo, imbastito in buona parte il pomeriggio di giovedì 8 gennaio.
Quella sera, finito di sistemare testo e foto, non ho però pubblicato: una parte di me sentiva forse che c’era un pezzo mancante ed è prevalso quel lasciare sedimentare i sentimenti per arrivare al nucleo, modo di fare che talvolta mi accompagna.

Si dice che, quando vogliamo apportare un reale cambiamento nella nostra vita, abbiamo due possibilità: fare qualcosa che non abbiamo mai fatto prima oppure fare qualcosa che facciamo di solito ma in un modo diverso.

Per questo post, ho optato per la seconda ipotesi: fare qualcosa per me abituale, ovvero preparare un articolo, ma farlo in un modo diverso.
Desidero infatti condividere con voi gli articoli che più di tutti mi hanno profondamente colpita in questi giorni di tante letture.

Perché?
Ve lo racconto.

Ho trascorso buona parte della scorsa estate in Francia e mi ci sono voluti ben quattro post per raccontare, attraverso foto e parole, l’amore, il rispetto e la curiosità che nutro fin da bambina verso questo Paese.
L’ultimo di quei post è recentissimo, datato 28 dicembre.
Ho amici francesi che vivono in Francia e in Italia, ho amici italiani che vivono in Francia.

Nonostante io tenga a ribadire ancora una volta come questi fatti non abbiano per me una nazionalità e riguardino tutti in qualsiasi luogo, sono comunque legata da un sentimento molto forte al suolo sul quale sono avvenuti.
Mi piacerebbe quindi farvi ascoltare le voci di Ezio Mauro, Lucia Del Pasqua, Élise Lefort e Giusy Cascio proprio per questo motivo: perché le loro sono le parole che mancano a me e perché in alcuni casi sono quelle che non ho saputo trovare proprio in quanto sono stata bloccata dalla paura di essere troppo influenzata dai sentimenti che provo.

L’articolo di Ezio Mauro su Repubblica, qui, dice tutto ciò che c’è da dire su fanatismo, totalitarismo religioso, libertà, democrazia, sull’operato degli Stati e sulla nostra condotta personale. Secondo me, è un grande, grandissimo pezzo di quello che dovrebbe essere il Giornalismo, quello con la g maiuscola.

L’articolo di Lucia Del Pasqua sul suo blog The Fashion Politan, qui, va dritto al cuore e parla della libertà di ridere e del difficile mestiere del vignettista satirico che – come scrive lei – “sceglie di fare politica, di schierarsi apertamente, sceglie di avere le palle e di non nascondersi dietro una matita, piuttosto di usarla per comunicare e combattere”.

L’articolo di Élise Lefort sul suo blog The Sparkling Mommy, qui, racconta lo stupore di Poussinou, una bimba di due anni, la figlia di Elise. Posso dire di aver provato un dolore inenarrabile pensando a lei, a mia nipote e a tutti i bambini ai quali lasceremo questo mondo? E non è facile demagogia, lo giuro sul quel tesserino da giornalista che per me è sacro (così non scomodiamo nessuna delle divinità oggi tutte impegnate in cose sicuramente più serie delle mie disquisizioni).

Anche l’articolo di Giusy Cascio su Donna Moderna, qui, parla dell’innocenza dell’infanzia: racconta anche il lutto portato al braccio da un fruttivendolo egiziano e musulmano.

Ecco, fin qui è più o meno quello che avevo scritto fino a giovedì, poi è successa una cosa.
Vi ho detto quali siano i sentimenti che provo da giorni, eppure ieri, improvvisamente e con mia stessa grande sorpresa, se n’è affacciato un altro: la speranza.

Avete letto bene, ho scritto speranza.
Chiamatemi pazza: forse lo sono e un po’ mi ci sento anch’io, ve lo confesso, a scrivere una parola tanto impegnativa in un frangente simile.

Sarà che l’essere umano ha bisogno di guardare avanti.
Sarà che ha bisogno di credere che tornerà a sorgere il sole.
Sarà che a volte siamo capaci di attaccarci a cose infinitesimali per continuare a sperare.

Cosa è successo ieri? Ho incontrato una persona cara che è stata capace di accendere in me una fiammella.
Non vedevo questa persona e non sentivo la fiamma della speranza da tanto, troppo tempo.
E volete sapere una cosa? Attorno a noi, Milano viveva una giornata primaverile in pieno inverno.

I dettagli non sono importanti, anche perché non so spiegarvi di preciso come e perché questa persona è riuscita a riaccendere la fiammella spenta da tempo.
Ciò che conta è che c’è riuscita.
Ciò che conta è che è successo: il Fato, il Destino, il Caso, l’Universo – come lo chiama una mia amica – usa spesso strani modi per mandarci messaggi e sceglie strani percorsi per portarci dove dobbiamo arrivare.
Ciò che conta è che, improvvisamente, mentre tornavo a casa, mi si sono aperti testa e cuore su tante cose e che quella speranza, pian piano, è passata dalle mie vicende personali ai fatti gravissimi che condivido con tutto il mondo.
Ho maturato la stessa evoluzione del pessimismo leopardiano, da individuale a storico a cosmico, solo che nel mio caso si tratta invece della speranza.

Improvvisamente, ho messo insieme i punti isolati che in questi giorni mi facevano sentire smarrita, ho trovato il perché mi avessero colpito proprio quei quattro articoli, completamente diversi l’uno dall’altro.

Ho ripensato alle parole di Ezio Mauro, Lucia Del Pasqua, Élise Lefort e Giusy Cascio e d’un tratto è caduto il velo: sebbene lo facciano in quattro modi completamente diversi tra loro, questi pezzi parlano non solo di ciò che è stato, delle nostre paure e dei nostri errori, ma anche del domani, del futuro aperto, delle scelte, delle diverse possibilità e delle diverse strade.

Ho capito che la chiave che cercavo da giorni era quella, la speranza.

Quella che non potevo cogliere nel momento della prima disperazione, quella che dovevo attendere riuscisse a sedimentare, fino a sentirla forte e potente dentro la pancia.
Sentirla in una cosa mia e riuscire, improvvisamente, a espanderla.

Sapete, le parole con le quali ho iniziato questo post, “è stato un momento tragico per chiunque creda nella libertà di pensiero e di parola”, non sono casuali, anzi, al contrario, sono state scelte accuratamente, eppure non avevo capito nemmeno io fino a dove mi avrebbero portata.

Cito un pezzo dell’articolo di Ezio Mauro: “Occorre prendere atto che il Califfato e ciò che resta di Al Qaeda sono il cuore della minaccia per noi e per la libertà di tutti, anche dell’Islam moderato civile, naturalmente, che deve separarsi radicalmente dal totalitarismo fanatico che strumentalizza la religione a fini criminali di potenza.”

“Islam moderato civile”, scrive Ezio Mauro.
Questo Islam esiste: lo dimostra, per esempio, il lutto al braccio del fruttivendolo egiziano del racconto di Giusy Cascio.
Lo dimostra Ahmed Merabet, uno dei due poliziotti uccisi nell’attacco alla redazione di Charlie Hebdo: Ahmed era musulmano.
Lo dimostra la presa di posizione della regina Rania di Giordania: la dichiarazione pubblicata su Facebook è una chiara condanna di qualsiasi forma di violenza, di qualsiasi strumentalizzazione religiosa e di qualsiasi estremismo, esattamente come auspica Ezio Mauro nonché chiunque sia dotato di raziocinio.

E mi è tornata in mente un’altra cosa.
Mercoledì sera, mentre guardavo uno dei tanti telegiornali, sono stata colpita da una scena: nel filmato, un uomo in mezzo alla folla parigina tentava di dire “cacciamo i musulmani”, ma veniva messo a tacere da tutte le persone attorno a lui.
Pur in un momento di grande dolore, il popolo francese cerca di non dimenticare il motto Liberté, Égalité, Fraternité, ovvero i concetti di libertà, uguaglianza e fraternità (termine quest’ultimo che oggi molti reputano obsoleto e al quale si preferisce fratellanza); cerca di non dimenticare tre parole che, in quel Paese, non sono né simboliche né vuote.
Pur se colpita al cuore, la Francia non vuole cedere alla tentazione di puntare il dito contro l’Islam nella sua totalità.

Ve ne do un altro esempio.

Mentre ieri tornavo a casa, con la mia nuova fiammella da difendere, non vedevo l’ora di rimettere mano a questo post.
Quando sono arrivata, ho acceso il computer e, mentre aprivo il blog, ho dato un occhio alle mie due caselle di posta elettronica e alle notifiche Facebook.
Una di esse ha calamitato la mia attenzione: un amico mi aveva mandato un messaggio privato, uno di quegli amici francesi dei quali ho parlato qui sopra.
Mi è saltato il cuore in gola e ho cliccato sul suo messaggio: c’erano scritte le parole che vi copio qui sotto.

Nous sommes Charlie Hebdo. Les extrémistes de tous bords vont tenter d’utiliser ce drame pour nous diviser, en jouant sur les peurs et les préjugés. Mais cette tragédie peut aussi nous rassembler comme jamais – cela dépend de nous. Soyons des centaines de milliers à dire “Je n’ai pas peur, nous restons unis”.
(Siamo Charlie Hebdo. Gli estremisti di tutte le parti stanno cercando di utilizzare questa tragedia per dividerci, giocando sulle paure e sui pregiudizi. Ma questa tragedia può anche avvicinarci come mai prima – dipende da noi. Facciamo sì che centinaia di migliaia di persone dicano “Io non ho paura, restiamo uniti”.)

Non so spiegare bene cosa ho provato davanti alle parole di Guy (sottolineo la frase “estremisti di tutte le parti”).
So dirvi che ho ripensato a quella scena vista al telegiornale e che tanto mi aveva colpita, alle parole di Ezio Mauro, al mio “chiunque creda”, al fruttivendolo egiziano, al poliziotto Ahmed Merabet.
So dirvi che ho sentito che la speranza, quella fiammella che provavo da qualche ora, forse non era folle del tutto.
So dirvi che ho pensato che se i francesi cercano di non cedere alla tentazione di puntare il dito, qualunque persona di qualunque nazionalità dovrebbe cercare di fare altrettanto.

È vero, il 7 gennaio 2015 abbiamo tutti perso qualcosa che non ci verrà mai più restituito.
Eppure sta a noi decidere con che cosa riempire quel vuoto.
La mia speranza risiede nel fatto di avere questa opportunità: come sarà il futuro dipenderà da noi.

È questo ciò che dobbiamo salvaguardare: la libertà di parola, di pensiero e di speranza.
Forse sono pazza, forse sto vaneggiando, ma non sarà facile togliermi questa idea che mi piacerebbe diventasse contagiosa.

Dico un’ultima cosa.

Un mio amico (che si chiama Alessio) ha scritto uno stato su Facebook, stato che mi riporta a ciò che scrivevo in principio e che ho promesso avrei ripreso, ovvero il fatto che ogni volta in cui rinunciamo a dire la nostra opinione moriamo un po’.

Alessio ha ragione quando afferma che non siamo Charlie perché tutti, almeno una volta nella nostra vita, abbiamo deciso di non dire la nostra opinione semplicemente per non sembrare meno fighi degli altri.
E che non siamo Charlie ogni volta in cui non abbiamo il coraggio di dire esattamente quello che pensiamo.
E che non siamo Charlie ogni volta che permettiamo alla gente di dirci chi e come amare.

Non siamo stati Charlie ieri, ma possiamo esserlo oggi, domani o dopodomani, perché ci è dato di scegliere cosa fare della fiammella del futuro e della speranza.
Oggi per tutti noi essere Charlie significa sentire e condividere il dolore; domani può essere vivere da Charlie, ovvero avere il coraggio di non tacere, anche quando appariamo meno fighi o un po’ pazzi.

E la facoltà di decidere cosa essere – Charlie o codardi – sta solo a noi.
Non trovate che questo sia un potere immenso, più forte di qualsiasi altro?

Charb, Cabu, Tignous e Wolinski hanno scelto di vivere e di morire in piedi: a noi tocca decidere altrettanto, decidere se vivere in piedi o in ginocchio, decidere se vivere nella luce del rispetto o nell’oscurità degli estremismi.

Le rivoluzioni non si fanno in un giorno; non è un singolo uomo né sono dieci a poter cambiare il mondo.
Un’idea diventa potente nel momento in cui è condivisa da molti: è a quel punto che dilaga ovunque e diventa inarrestabile.

È ciò che auguro a noi tutti. È la mia speranza.
È l’eredità che dobbiamo raccogliere affinché chi è morto non muoia per la seconda volta.

Oggi, per la prima volta, sento di poter scrivere le parole che finora non avevo osato scrivere:

#JeSuisCharlie #NousSommesCharlie.

E sono anche Ahmed Merabet, il poliziotto musulmano freddato dai killer.

Ecco, adesso ho davvero detto tutto ciò che avevo da dire.

Manu

 

 

 

Un grazie speciale a
Ezio M., Lucia D.P., Élise L., Giusy C., Guy T., Alessio C.
per i loro scritti preziosissimi

 

 

 

Il dolore che non si spegne

Dal blog <em>Secondo Lucrezia</em> di Silvia Ziche su <em>DonnaModerna.com</em>
Dal blog Secondo Lucrezia di Silvia Ziche su DonnaModerna.com
Da Instagram: la figlia di Georges Wolinski ha pubblicato la foto della scrivania, vuota, del padre con le parole <em>“Se n’è andato papà, non Wolinki”</em>
Da Instagram: la figlia di Georges Wolinski ha pubblicato la foto della scrivania, vuota, del padre con le parole “Se n’è andato papà, non Wolinki”
Berlino, Germania <em>(fonte: New York Daily News, ph. Markus Schreiber AP)</em>
Berlino, Germania (fonte: New York Daily News, ph. Markus Schreiber AP)
Londra, Regno Unito <em>(fonte: New York Daily News, ph. Kirsty Wigglesworth AP)</em>
Londra, Regno Unito (fonte: New York Daily News, ph. Kirsty Wigglesworth AP)
Mosca, Russia <em>(fonte: New York Daily News, ph. Sergei Ilnitsky EPA)</em>
Mosca, Russia (fonte: New York Daily News, ph. Sergei Ilnitsky EPA)
New York, Stati Uniti <em>(fonte: New York Daily News, ph. John Minchillo AP)</em>
New York, Stati Uniti (fonte: New York Daily News, ph. John Minchillo AP)
Parigi, Francia <em>(fonte: New York Daily News, ph. Thibault Camus AP)</em>
Parigi, Francia (fonte: New York Daily News, ph. Thibault Camus AP)
Parigi, Francia <em>(fonte: New York Daily News, ph. Dan Kitwood Getty Images)</em>
Parigi, Francia (fonte: New York Daily News, ph. Dan Kitwood Getty Images)
Parigi, Francia <em>(fonte: New York Daily News, ph. Dominique Faget Getty Images)</em>
Parigi, Francia (fonte: New York Daily News, ph. Dominique Faget Getty Images)
San Francisco, Stati Uniti <em>(fonte: New York Daily News, ph. Marcio Jose Sanchez AP)</em>
San Francisco, Stati Uniti (fonte: New York Daily News, ph. Marcio Jose Sanchez AP)
Tunisi, Tunisia <em>(fonte: New York Daily News, ph. Mohamed Messara EPA)</em>
Tunisi, Tunisia (fonte: New York Daily News, ph. Mohamed Messara EPA)
La Tour Eiffel spenta in segno di lutto <em>(fonte: BBC)</em>
La Tour Eiffel spenta in segno di lutto (fonte: BBC)

 

La speranza che dobbiamo nutrire

Dal <em>New York Daily News</em>: la speranza in tante lingue
Dal New York Daily News: la speranza in tante lingue
Da Instagram: <em>“Sono un agente di polizia. Sono ebreo. Sono musulmano. Sono cristiano. Sono ateo. Sono francese. Sono cittadino del mondo. Je suis Charlie”</em> (tabellone davanti al municipio di Parigi)
Da Instagram: “Sono un agente di polizia. Sono ebreo. Sono musulmano. Sono cristiano. Sono ateo. Sono francese. Sono cittadino del mondo. Je suis Charlie” (tabellone davanti al municipio di Parigi)
Dalla pagina Facebook di <em>The Post Internazionale</em>: una delle tante foto con l’hashtag <em>#NotInMyName</em> attraverso il quale donne e uomini di fede musulmana hanno espresso la loro condanna dell’atto terroristico
Dalla pagina Facebook di The Post Internazionale: una delle tante foto con l’hashtag #NotInMyName attraverso il quale donne e uomini di fede musulmana hanno espresso la loro condanna dell’atto terroristico
Dalla pagina Facebook della regina Rania di Giordania
Dalla pagina Facebook della regina Rania di Giordania
Via Instagram
Via Instagram
Via Instagram con una frase dello scrittore e giornalista José Saramago: <em>“Uccidere in nome di Dio è fare di Dio un assassino”</em>
Via Instagram con una frase dello scrittore e giornalista José Saramago: “Uccidere in nome di Dio è fare di Dio un assassino”
Dalla pagina Facebook di Aurélie Prouff, <em>Les Filles de la Pluie</em>: dalla disperazione, rinasce la speranza di tornare a ridere
Dalla pagina Facebook di Aurélie Prouff, Les Filles de la Pluie: dalla disperazione, rinasce la speranza di tornare a ridere
Via Twitter: la vignetta firmata e pubblicata dall’illustratrice londinese Lucille Clerc con le parole <em>“Break one, thousand will rise”</em>
Via Twitter: la vignetta firmata e pubblicata dall’illustratrice londinese Lucille Clerc con le parole “Break one, thousand will rise”

 

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

Glittering comments

Florisa
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Carissima amica mia ..carissima Manu
ho letto d’un fiato il tuo bellissimo e coinvolgente articolo.Ho ritrovato fra le tue parole le mie stesse paure,esitazioni,riflessioni e domande….Anche io non ho scritto nulla sulla “strage di parigi”,mi sono limitata a raccogliere qua e là ciò che leggevo e che mi sembrava di condividere, per poi trovare un altro articolo in antitesi apparente con quello appena letto e percepire una verità pure fra quelle parole .Ho aspettato anche io che l’emozione mista a rabbia e sgomento lasciasse il posto ad una più lucida riflessione .Ciò di cui ancora una volta mi sono resa conto infine è che sicuramente la religione ..le religioni.. nulla hanno a che vedere con ciò che succede ..Siamo in mano purtroppo ad un unico dio:il denaro.E’ in nome di esso che si compiono eccidi,violenze,stragi…gli stessi personaggi importanti che oggi erano presenti alla grande manifestazione di parigi sono fra i manipolatori protagonisti delle guerre ,degli attentati che in gran parte del mondo stanno distruggendo ciò che di più nobile dovrebbe appartenere alle creature di questa terra:l’armonia,l’amore verso gli altri,il rispetto verso i più deboli ed indifesi,la gioia di vivere ,la bellezza.Queste persone potenti che si fregiano di essere coloro che ci salveranno sono in realtà quelli che armano la mano di esaltati,che inducono esseri sanguinari a trasformare una bambina innocente in una portatrice di morte,sono quelli che ordinano di uccidere senza pietà contrabbandando per ragioni religiose meschini desideri di denaro.E forse essere consapevoli di questo può essere l’unico motivo che mi fa pensare alla “speranza”.Se la gente cominciasse a comprendere i VERI motivi di tutte queste stragi forse potremmo metterci in salvo..Non c’è nulla di mistico o trascendentale nel denaro,nel petrolio,nel potere..non dobbiamo combattere ed offendere nessun dio ,ma solo semplicemente l’avidità e l’ipocrisia degli uomini.Ognuno nel suo piccolo deve imparare a sottrarsi alle lusinghe del potere ..anche quello che apparentemente sembra innocuo..perché dobbiamo educarci ai valori veri e non alla mercificazione persino della vita stessa.La Vita è sacra..è un dono che ci viene fatto e onestamente a me non interessa da chi e perché…voglio godere di questo meraviglioso mistero senza pormi domande ,ma con un solo obiettivo :essere felice per tutto il tempo che l’Oscura cacciatrice mi permetterà di vivere. Un grande abbraccio amica siriana,africana,thailandese,afgana,francese,australiana,nera ,bianca,gialla,buddista,cristiana cattolica,ortodossa,animista,mussulmana,bassa,alta ,bionda,mora,rossa…..qualunque tu sia

Manu
Reply

Carissima Florisa,
il tuo commento è per me preziosissimo, sia per la tua voglia di confrontarti e non tacere, sia per gli importanti spunti che aggiungi.
Ho enorme rispetto di ciò che scrivi e condivido profondamente la conclusione alla quale giungi: dobbiamo essere consapevoli, aprire gli occhi, comprendere le vere ragioni di ciò che accade.
Hai ragione quando dici che l’unico demone da combattere è l’avidità e l’ipocrisia degli uomini, cose con le quali la religione non ha e non dovrebbe avere attinenza.
Hai ragione quando dici che ognuno deve imparare nel suo piccolo a sottrarsi alle lusinghe del potere: questo è un altro dei motivi per i quali ho amato l’articolo di Ezio Mauro che parla sia dell’operato degli Stati sia della nostra condotta personale.
Hai ragione quando dici che la vita è un dono sacro e sai cosa ti dico? Anche a me non importa dare per forza un nome a chi ce l’ha data.
Se non riusciamo a fare tutto ciò, se non riusciamo a separare denaro, potere e mercificazione, se non riusciamo a tornare a educarci ai valori veri… allora la speranza – la mia, la tua e quella di chiunque – diventa solo illusione e lì sì che mi sentirei stupida, tanto.
Qualche volta mi sento folle e visionaria a sperare ancora, questo sì, eppure ti dico una cosa: non voglio arrivare a quel punto, a sentirmi stupida, e credo e spero che nessuno lo voglia.
Pertanto, allo scopo di continuare a tenere accesa quella fiammella che a volte è un po’ debole, faccio proprio ciò che dici tu e che io condivido, ovvero cerco di tenere gli occhi aperti e di caricarmi della mia parte di fardello: non è facile, è faticoso, ma l’alternativa di arrendermi non mi piace perché la vita diventerebbe davvero qualcosa di insensato.
Non so come ringraziarti, cara Florisa.
Ti abbraccio,
Manu

P.S.: il tuo saluto a 360° mi piace moltissimo.

florisa
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Manu carissima amica mia mi piace moltissimo questa nostra corrispondenza cosi’ ricca di tante cose,riflessioni,emozioni ,ricordi…le parole assumono il loro vero significato ..sono pensate,misurate,scelte con cura anche perché non le possiamo accompagnare con l’espressione dei nostri visi o con l’agitarsi delle nostre mani e/o il linguaggio del nostro corpo.Sono nude ,esposte,rotonde e questo mi piace molto .Non danno adito a nessun equivoco e questo mi fa pensare a come fosse bella la corrispondenza di un tempo quando si aspettavano le lettere di un amico o di un parente lontano.Si correva ogni giorno incontro al portalettere con la speranza di vedergli fra le mani una busta indirizzata a noi.Ecco..io faccio la stessa cosa quando ti scrivo e aspetto la tua risposta.Può sembrare una cosa sciocca e puerile ma è il nocciolo della questione:avere voglia di relazionarsi con gli altri,legarci a coloro che sappiamo,percepiamo possano aiutarci a essere migliori e a crescere in tutti i sensi.Se tutti riuscissero a rendersi conto che è questa la necessità primaria di tutte le creature dell’universo forse si potrebbero sconfiggere le crudeltà di cui l’uomo è protagonista sia come carnefice che come vittima.STARE INSIEME senza secondi fini,CONDIVIDERE senza sfruttare…Lo so..sembra utopia ,per molti lo è senz’altro..ma io come te e come tantissime persone già lo facciamo.Sicuramente non riusciremo a vedere realizzate presto le nostre speranze io lo so già,ma questo non mi fa desistere dal continuare a credere che non possa un giorno essere realtà….e la mia speranza sei tu,sono le persone delle quali mi circondo ..sono i miei nipotini ai quali insegno ad avere rispetto e amore verso tutti….E’ una fiammella come scrivi tu..ma fa pur sempre luce. Un grande abbraccio e grazie a te per esserci e per essere come sei…

Manu
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Sai, Florisa cara, mi hai scritto cose talmente emozionanti che non so cosa dire: “che bello – penserà qualcuno – finalmente se ne sta un po’ zitta” 😉
E invece no, non sto zitta!
Ti voglio dire che tutto ciò che hai scritto corrisponde anche ai miei sentimenti e lo trovo straordinario: la reciprocità, oggi, non è cosa scontata, anzi.
Sai che anch’io aspetto le tue risposte? Dunque non posso certo trovare tutto ciò puerile, a meno che non lo sia anch’io: in tal caso… non mi importa, è bello sentirsi infantili, anzi, bambini!
E anche a me piacciono le nostre parole rotonde e senza equivoci.
Non solo: trovo che questa reciprocità, questa corrispondenza di sentimenti sia davvero, come dici tu, il nocciolo della questione. La tua è una teoria assolutamente saggia, a mio avviso: ciò che oggi, spesso, ci manca è la voglia di relazionarci, confrontarci, stare insieme, stare uniti, essere solidali. E questo produce danni che diventano enormi, quasi irreversibili.
Prendiamo Facebook: c’è sempre più gente pronta ad azzannarsi, a odiare, a criticare, ad attaccare mentre ci sono pochi confronti e scambi civili, costruttivi, rispettosi.
Per fortuna, però, si può scegliere e sperare che il pensiero positivo dilaghi pian piano, fino a spargersi a macchia d’olio.
Ogni tanto vedo qualche segno, per esempio qui sul blog attraverso il quale ho stabilito tante relazioni belle con persone davvero preziose e che sono diventate amiche: sappi dunque che continuerò, per te e per tutte le persone come te.
Già, forse non vedremo le nostre speranze realizzate, ma mi conforta l’idea che i semi possano restare e germogliare poi, dopo di noi.
Hai colto perfettamente (naturalmente) ciò che penso: questa speranza sarà anche una fiammella e non una vera fiamma, ma fa pur sempre luce. Magari piccola, debole, ma è luce.
Ti abbraccio fortissimo,
Manu

P.S.: col tuo esempio del portalettere mi hai riportato alla mente un ricordo dei miei 16 anni, tempo in cui avevo il ragazzo lontano, in un’altra città. Quanto speravo, tornando a casa da scuola, di trovare una sua lettera nella buca delle lettere…

smilingischic
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Questo articolo riassume perfettamente l’iter altalenante degli stati d’animo di fronte a un fatto così devastante, che molti di noi hanno provato. Manu tu sai quanto abbia apprezzato lo status di Alessio in cui ho ritrovato il mio stesso senso di inadeguatezza, di incapacità come essere umano. Oggi leggendo il tuo articolo, assorbendo le tue riflessioni, ritrovo la speranza. E mi ricordo della nostra possibilità di scelta.
Mi sento di aggiungere che in tutto questo dobbiamo stare vicini, vicini. Grazie<3

Manu
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Sandra, amica mia adorata, sai cosa piace a me di questo articolo?
Il fatto che non è mio, ma che è corale: è fatto di pezzi, ovvero dalle mie parole ma anche da quelle di Ezio Mauro, di Lucia, di Elise, di Giusy, di Alessio, di Guy e ora continua a costruirsi con commenti come il tuo e quelli di Florisa qui sopra.
Lo stato pubblicato da Alessio su Facebook è stato per me importantissimo, tanto importante e fondamentale da permettermi di fare un pezzo di strada: ecco perché l’ho inserito in link e spero che altri, come noi, lo leggeranno.
Non dirò mai grazie a sufficienza a lui e a tutti voi.
Alessio ha profondamente ragione in tutto ciò che scrive e sicuramente l’altalena continuerà, continueremo ad avere giorni in cui ci sentiremo inadeguati e incapaci. Eppure, questo ci porta a ciò che scrivi saggiamente tu: dobbiamo stare vicini, non dobbiamo separarci né farci separare.
Questa è la scelta che abbiamo e questa è la speranza.
Sono io, dunque, che ringrazio te, amica speciale.
Ti abbraccio forte,
Manu

Roberta FI Visone
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Approfitto di questo intervento blog per citare anche un altro caricaturista di cui ho avuto l’onore di occuparmi durante la stesura della tesi di laurea magistrale e di cui ho visitato anche la città natale, come racconto anche in https://cosaresta.wordpress.com/2015/02/10/4-e-ultima-settimana-a-jena/.
Erich Ohser (pseudonimo e.o.plauen) è noto perlopiù come caricaturista dei “fumetti silenti” dal titolo “Vater und Sohn” (“Padre e figlio”), tuttavia costui ha fatto parte della resistenza contro lo status quo dei suoi tempi, cioè il regime nazionalsocialista a opera di Hitler, Goebbels, Speer, ecc. (non dimentichiamoci che Hitler non ha fatto tutto da solo). Ha caricaturato personalità come il Führer, Stalin, Lenin, Churchill, zio Sam e altri. Fu censurato; per continuare a pubblicare assunse lo pseudonimo e.o.plauen, dopodiché fu origliato da un vicino di casa mentre parlava con un suo amico, Erich Knauf. Entrambi furono imprigionati, ma mentre Knauf fu fucilato, Ohser preferì suicidarsi nella sua cella anziché morire per mano nemica.

Manu
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Cara Roberta,
non sai quanto io sia felice di accoglierti: sei la benvenuta, è una gioia fare la tua conoscenza.
Ho aperto il blog per condividere ciò che amo nonché pensieri e riflessioni: mi rende felice chi coglie tale volontà e, a sua volta, condivide qualcosa con me anche perché un altro importante motore che muove questo spazio è il desiderio di imparare qualcosa di nuovo.
Quindi ti sono estremamente grata per aver condiviso queste interessanti informazioni: ho già aperto il link per saperne di più.
Ciò che racconti qui sopra è estremamente pertinente perché è affine all’argomento stesso del mio post, ovvero la libertà d’espressione e di parola e la resistenza di chi ha saputo opporsi a forze e regimi oppressivi, come quello nazista (e mi trovi d’accordo sul fatto che non fu solo Hitler a macchiarsi di certe nefandezze, è giusto ricordarlo).
Consentimi di dire che, anche se stiamo parlando di argomenti mesti, sono felice che le nostre strade si siano incrociate.
A presto, spero (e io vado a terminare la lettura del tuo post)
Manu

Elise
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Grazie Emanuela per la tua intellgenza e sensibilità. Difficile non avere paura. Io la paura faccio finta di non averla perché è così che si fa quando si hanno bambini. Una mamma deve far vedere le proprie emozioni ma si deve anche di rassicurare i proprio figli. Però è sempre più difficile.
Eppure nonostante tutto, parole come le tue, riflessioni come le tue e come quelle di tanti altri aiutano ad avere fiducia in ciò che resta della nostra umanità! Crediamoci e andiamo avanti <3

Manu
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Élise carissima,
Per prima cosa tengo a dirti che mi fa tanto piacere averti qui nel mio piccolo spazio. Grazie 🙂

Sai, hai scritto una cosa che ho compreso solo da adulta, qualche anno fa: ho compreso come tante volte, quand’ero piccola, mia mamma mi abbia rassicurata quando in cuor suo aveva in realtà anche lei paura.
Io credo che non esista potere e amore più grande di questa dote che voi mamme avete.
E immagino quanto sia difficile osservare tante cose e continuare a dire ai tuoi bimbi che andrà tutto bene.

Ma – come scrivi molto bene tu – possiamo fare solo una cosa: continuare ad avere fiducia in ciò che resta della nostra umanità.
Attaccarci caparbiamente a ogni più piccolo barlume e coltivarlo con ostinato amore.

Quanto tempo è passato da quando ho scritto questo post. Ricordo ancora perfettamente quanto dolore, gelo e incredulità avevo nel cuore.
Non potevo immaginare quante altre tragedie sarebbero poi accadute… E ancora stento a crederci, in verità.

Eppure, come allora, oggi non mi sono ancora rassegnata. Anche se a volte mi sento fragile e spaventata, rifiuto di cedere alla disperazione e di rinunciare ai valori nei quali credo, anzi, nei quali crediamo.
Perché fino a quando ci saranno persone che – come noi due – vedono oltre la razza, oltre la religione, oltre il Paese di origine, ci sarà ancora una speranza per questo piccolo folle mondo.

Ti abbraccio, forte, e rinnovo il mio emozionato grazie per le tue bellissime parole.
Manu

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