Qualche chiacchiera attorno alle cosiddette mascherine fashion…

Quella che vedete qui sopra NON è una foto attuale.

Risale al 18 settembre 2019 ed erano i giorni dell’edizione di Milano Moda Donna (ovvero la settimana della moda o fashion week) che rivelava le collezioni per la primavera / estate 2020.
Ero alla presentazione di Yosono, marchio di borse al quale sono affezionata e del quale ho parlato più volte, nel 2018 (qui) e poi più recentemente presentando (qui) la speciale iniziativa Fuckovid-19.
Era stato allestito un photocall speciale con dei foulard con i quali io e molti altri (editor, giornalisti, stylist, blogger) eravamo stati invitati a giocare reinterpretandoli, mentre il bravissimo fotografo Federico Patuzzi ci immortalava.

A me venne in mente di usare il mio foulard come una sorta di bavaglio, a mo’ di bandito stile Far West: non so bene perché ebbi questo istinto, credo per nascondere almeno parzialmente la faccia stanca che avevo in quei giorni e per mitigare l’imbarazzo che sempre provo quando mi trovo davanti all’obiettivo e non dietro – come invece preferisco.
E credo di averlo fatto anche perché mi divertiva l’idea di comunicare solo con gli occhi e con lo sguardo

Allora era solo un gioco e non potevo certo immaginare che quel gesto di nascondere bocca e naso sarebbe risultato quasi come una sorta di premonizione: oggi, con il cosiddetto senno di poi, ho deciso di scrivere proprio di mascherine, quelle che temo dovremo abituarci a indossare – ahimè – per molti mesi…
E se lo faccio, se ne parlo, è perché, da più parti, sono stata sollecitata a esprimere il mio parere in merito all’idea di fare diventare le mascherine quasi un trend, un oggetto di e alla moda; insomma, parleremo di mascherine fashion.

Ma per giungere a dirvi cosa penso delle mascherine fashion, permettetemi di fare prima alcune considerazioni perché qui c’è un concetto che diventa centrale, che è il nocciolo della questione: quello di mascherare e celare il nostro volto.

Questo nocciolo può essere affrontato sotto molteplici punti di vista, con considerazioni storiche, psicologiche, culturali, sociali e perfino economiche.

Prima di partire, però, faccio una doverosa precisazione.
È per me fondamentale sgombrare il campo da qualsiasi equivoco poiché fare confusione o cattiva informazione è pericolosissimo e non fa parte del mio modo di agire.

Quindi scrivo molto chiaramente che, per me non esiste alcuna discussione sulle mascherine: penso che vadano indossate e che vadano indossate secondo le regole che ci sono state chiaramente esposte e spiegate, suddivise per tipo (chirurgiche, FFP1, FFP2 e FFP3 con o senza valvola) a seconda di ciò di cui ci occupiamo e a seconda del tipo di vita che conduciamo.

A mio avviso non c’è alcuna opinione da esprimere in merito se non l’accettazione e la sottoscrizione dell’obbligo con l’invito a rispettarlo scrupolosamente.
Non ho alcuna posizione da esprimere se non questa né desidero prenderne in considerazione altre: perdonate l’estrema durezza (atteggiamento che di solito non mi caratterizza), ma credo che non vi sia da scherzare con o sulla salute.
Al momento, oltre a un’igiene personale ancora più attenta, le uniche difese che abbiamo sono il distanziamento e la mascherina, ricordando che la mascherina va indossata a maggior ragione quando viene a mancare la possibilità di distanziamento: poi usiamo il cervello, per carità, e se sono DA SOLA in mezzo a un prato anch’io abbasso la mascherina.

Detto questo e tornando al discorso del possibile trend, ciò di cui desidero parlare appunto oggi sono le cosiddette mascherine fashion o coprimascherine.

Con mascherine fashion si intendono mascherine in vari tessuti e colori, con finalità pressoché estetica.
Sono infatti prive di marcatura CE, la marcatura che identifica un insieme di pratiche obbligatorie e indica che un prodotto è conforme ai requisiti di sicurezza sanciti dall’Unione Europea: le mascherine fashion NON sono dunque né dispositivi medici né DPI (dispositivi di protezione individuale).
Il loro UNICO scopo è estetico, lo ribadisco, e possono essere usate – appunto – esclusivamente come coprimascherina, generalmente sopra la mascherina chirurgica: esistono anche mascherine fashion studiate per avere una tasca interna nella quale inserire un filtro.
Le mascherine fashion sono (in genere!) lavabili e dunque riutilizzabili e quelle che prevedono il filtro consentono la sua sostituzione.
In ogni caso… controllate sempre molto bene ciò che acquistate e non abbiate paura di fare tante domande: questo è uno dei pochi casi in cui essere insistenti non è affatto sbagliato, anzi.

Lo ripeto quindi nuovamente: oggi parlerò di qualche implicazione storica, sociale e culturale per affrontare la questione mascherine NON da un punto di vista medico (cosa che non mi compete) ma dal punto di vista di un nuovo oggetto che entra nel nostro quotidiano e che può – o potrebbe – diventare un trend.

Come ho promesso, partiamo per questo viaggio che ha come meta le mascherine fashion iniziando da qualche considerazione storica, psicologica e culturale e dal concetto stesso di maschera.

La maschera è un manufatto antico quasi quanto l’uomo.
Si indossa per ricoprire l’intero viso o una parte di esso ed è stata utilizzata fin dalla preistoria per rituali religiosi così come la si ritrova nelle rappresentazioni teatrali o nelle feste popolari come le varie forme di Carnevale.
Proprio da noi in Italia, per esempio, è presente una ricca tradizione di maschere regionali.

Durante il Paleolitico Superiore, come testimoniano le pitture rupestri ritrovate in vari luoghi, le maschere furono associate a pratiche propiziatorie nell’ambito di danze antecedenti la caccia.
In uno dei suoi poemi (le Georgiche, I secolo a.C.), Virgilio descrive le maschere indossate in onore del dio Bacco.
Frequente è anche l’accostamento della maschera a riti guerrieri e a pratiche funerarie: un esempio significativo dell’uso funerario della maschera è presente nell’Antico Egitto, come un po’ tutti abbiamo studiato a scuola.

Come accennavo, l’uso di maschere è adottato nelle forme di teatro tradizionale di tutto il mondo e le maschere possono essere molto diverse fra loro per materiale, forma, funzione, colore.
Il legame tra teatro e maschera è così radicato che, perfino oggi, nell’era della tecnologia, l’emoji collegato al teatro è costituito da due maschere (l’avevate mai notato?).

Sempre rimanendo in ambito storico, cito un altro esempio che mi pare particolarmente significativo se rapportato ai giorni che viviamo.
Nel Medioevo, durante le pestilenze, i medici erano soliti indossare una maschera il cui lungo naso veniva riempito di spezie e lo facevano per due motivi: per coprire i miasmi emanati dai corpi degli appestati e, secondo le conoscenze mediche dell’epoca, per offrire una difesa dal contagio per inalazione.
Temo che tutto ciò ci ricordi qualcosa, vero?

Mascherare il volto ha dunque tantissime declinazioni e implicazioni molte delle quali sono strettamente connesse con i significati psicologici insiti nel concetto di maschera.

Indossare una maschera è infatti una metafora usata per distinguere i tipi di atteggiamenti tenuti nelle diverse situazioni della vita: per essere chiari, sul lavoro non ci atteggiamo (magari con un nostro superiore) nello stesso modo in cui ci comportiamo in famiglia o con gli amici.
Quindi si possono indossare varie maschere e ognuna permette di mostrare un lato della propria personalità: non siamo solo amici, compagni, figli, genitori, lavoratori e via discorrendo ma siamo l’essenza che interpreta tutti questi ruoli.

Proprio in tal senso, la maschera è un tema affrontato da molti scrittori eccelsi: non posso non citare il nostro Luigi Pirandello, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934.

Pirandello ha affrontato il tema della maschera in alcune sue opere, come ne Il fu Mattia Pascal (1904) e in Uno, nessuno e centomila (1926), facendone un fulcro assolutamente centrale, anzi, fondamentale, e presentandola proprio come una sorta di metafora dell’atteggiamento umano: chiunque crede di essere ‘uno’, per sé e per le persone che lo circondano, ma la verità è che ci sono più individui diversi in ognuno di noi a seconda di chi ci guarda e ciascuna di queste forme è una maschera che assumiamo in diverse situazioni e circostanze.
Secondo Pirandello, l’uomo è quasi costretto a indossare diverse maschere nella vita di tutti i giorni fino a quando, a volte, cerca di liberarsene affrontando il rischio di essere visto come diverso, di essere rifiutato e, talvolta, di essere definito pazzo.

D’altro canto, il termine persona proviene dal latino persōna che, a sua volta, pare provenire dall’etrusco phersu ovvero ‘maschera dell’attore’, ‘personaggio’…

Possiamo allora dire che la maschera può avere accezione positiva o negativa?
Possiamo affermare che può rappresentare i vari aspetti di un’unica essenza o che, al contrario, può rappresentare la tentazione di rigettare essenza e verità per consentirci di nasconderci nella finzione?
Possiamo affermare che, in alcuni casi, la maschera viene prima dell’uomo o che, addirittura, arriva a sostituire la persona?

Lascio che sia ognuno di voi, cari amici, a giudicare e a decidere (uhm… mi vengono tra l’altro in mente anche i supereroi e le loro maschere…) mentre io mi sposto verso qualche considerazione sociale che ci spinge sempre più verso il concetto di possibile trend e – quindi – di mascherine fashion.

Sì, perché l’uso della mascherina ha fatto tirare in ballo tutta una serie di possibili nessi e legami con varie questioni sociali ed etniche, da chi vede richiami o rimandi al velo islamico a chi rivede e rilegge l’uso che – da sempre – i popoli orientali fanno della mascherina.

Il velo islamico, o più semplicemente velo, è l’indumento in uso tra le donne di fede musulmana: ne esistono diversi tipi e pertanto non desidero addentrarmi in tale ambito che – ancora una volta – richiede conoscenze molto approfondite.
Mi limito a dire che il velo può coprire il capo e in particolare capelli e collo, lasciando scoperto il volto; può coprire anche parte del volto; può coprire tutto il volto lasciando scoperti solo gli occhi; può essere integrale coprendo interamente tutta la persona.
Ecco, qualcuno vede nelle mascherine (e anche nelle mascherine fashion) dei paralleli con il velo, ipotizzando anche per le donne occidentali fantomatici pericoli di perdita di libertà (e associando il velo esclusivamente a un’imposizione anche se in realtà non è sempre così) nonché pericoli di una possibile assuefazione e/o rassegnazione davanti a tale ipotetica perdita: vi dirò a breve perché – secondo me – questi discorsi sono infondati ed esagerati.

Per quanto riguarda gli orientali, mi piace in effetti ricordare che cinesi e giapponesi sono popoli che indossano la mascherina da tantissimo tempo e, contrariamente a quanto crediamo noi occidentali, non lo fanno per proteggere loro stessi da germi e smog – o non solo.
Per esempio, un giapponese indossa la mascherina quand’è raffreddato e non può stare a casa e lo fa per proteggere gli altri dal suo essere potenzialmente infettivo, con un senso civico sviluppatissimo che riscuote tutta la mia stima e la mia ammirazione.
Insomma, il loro è un atteggiamento diametralmente opposto al nostro, è un punto di partenza completamente diverso, guarda alla comunità prima che al singolo: la pandemia ci sta costringendo a cambiare punto di vista e, ora, anche noi stiamo imparando a prendere misure per proteggere la comunità e, di riflesso, noi stessi…

La mascherina diventa anche il ponte con alcune questioni economiche, per esempio mettendo in crisi una teoria che si chiama lipstick index; è un concetto centrale e un cardine anche in una situazione estremamente complessa come quella dell’intero sistema moda.

Andiamo con ordine.

Lipstick index è una definizione coniata da Leonard Lauder, presidente di Estée Lauder, celeberrimo marchio specializzato in cosmetici: stabilisce una relazione inversamente proporzionale tra momenti di crisi economica (e sociale) e vendite dei rossetti.
Mr. Lauder ha infatti osservato come, durante i periodi di crisi, vi sia un aumento delle vendite di rossetti
, prendendo come esempio il 1929 e il 1942. Questa teoria è stata ulteriormente verificata nel 2001 quando, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, vi fu un periodo di recessione: le vendite dei rossetti ebbero un boom sebbene l’economia globale e gli equilibri mondiali fossero sofferenti.
La relazione si basa su un principio ben preciso (il rossetto conferisce maggior sicurezza, ergo se ne vende di più quando le certezze generali vacillano) e dovrebbe essere ri-confermato dalla contingenza di crisi attuale e invece, per la prima volta, la teoria del lipstick index viene smentita: l’elemento di rottura è proprio la mascherina che rende scomodo nonché inutile colorare le labbra.
Questo elemento nuovo e diverso fa sì che, per parecchi mesi, i lipstick avranno vita dura e non ‘beneficeranno’ stavolta della crisi scatenata dalla pandemia mentre, considerato il ruolo di primo piano degli occhi, cosmetici quali il mascara avranno molto probabilmente maggiore fortuna e successo.

E il parallelo è molto forte anche tra maschera, mascherine e l’intero sistema moda.

Faccio un rapidissimo riassunto di quanto ho approfondito in un altro articolo, ovvero il riassunto di un sistema moda che non funziona più.

Produciamo troppi vestiti, realizzati da troppi marchi spesso in maniera non sostenibile né socialmente né ambientalmente, venduti nella stagione sbagliata, infine scontati per fare spazio alla collezione successiva: questo è il sistema che non funziona più e che – per dirla alla Pirandello – ha rappresentato una sorta di maschera attraverso la quale è stata portata avanti una gigantesca finzione.
Tale finzione sta ora crollando e ci mostra drammaticamente i suoi limiti, purtroppo con una crisi senza precedenti e che attraversa tutti i comparti della moda, dalla haute couture alla fast fashion, dalla produzione alla distribuzione passando per il sistema comunicativo.

Se – ripeto – tutto ciò non avesse risvolti economici e sociali (e non solo) molto pesanti e gravi, sarebbe quasi buffo sottolineare un aspetto: siamo costretti a indossare mascherine mentre la pandemia fa cadere quella in versione macro che nascondeva un sistema assurdo e insostenibile…

(Inciso: sono d’accordo con ciò che ha scritto la bravissima giornalista Anna Franco in un suo recente e come sempre brillante articolo.
«La pandemia e la relativa quarantena era certo che non ci avrebbero resi più buoni, come qualcuno auspicava. Nella moda ha fatto indossare le mascherine, ma almeno cadere alcune maschere. Il resto è tutto da aspettare e gustare.»
Lo penso anch’io, l’ho già scritto in un’altra occasione e lo ribadisco: la pandemia non è né un incantesimo né un miracolo e dunque non renderà tutto magicamente e improvvisamente migliore. Tuttavia, i tempi di faraoniche finzioni sembrano volgere al termine e io credo che nella moda gli show fatti di solo clamore, apoteosi del teatro e della maschera, siano finalmente giunti al capolinea…)

A questo punto, dopo tutte queste complesse considerazioni, direi che posso dirvi cosa penso delle cosiddette mascherine fashion: non le demonizzo affatto e non vedo in loro nessuno spauracchio o pericolo.

La maschera ha costantemente fatto parte della storia dell’uomo; ha assunto infiniti significati e ha assolto le funzioni più disparate; ha protetto, raccontato, nascosto e perfino svelato; ora, in una nuova fase della nostra storia, perché non dividersi – ancora una volta – tra protezione ed estetica?

E qui mi rivolgo a chi vede nelle mascherine una perdita di libertà nonché una possibile assuefazione e/o rassegnazione davanti a tale perdita.
Ecco, perfino io che sono sempre tanto attenta alle implicazioni sociali e ai significati più reconditi non la metterei giù così pesante: sdrammatizziamo, per carità, alleggeriamo, non andiamo a pensare a significati troppo reconditi e/o subliminali.
Non creiamo e non evochiamo (inutili) fantasmi: l’unico rischio serio che io vedo è quello di una riconoscibilità più faticosa, per esempio da parte delle forze dell’ordine in caso di controlli.

Perdita di libertà?
Assuefazione?
Nuova schiavitù mascherata da moda?
Non credo proprio: saremo ben felici di liberarcene perché è un’abitudine legata a un’emergenza.

E il fatto di tirarne fuori qualcosa di bello – le mascherine fashion – è a mio avviso semplicemente legato all’umana necessità e attitudine a cercare bellezza, alla capacità di associare funzione e forma.

C’è forse qualcosa di male nel voler rendere bello qualcosa che deve entrare a far parte della nostra quotidianità?
Non è forse ciò che abbiamo sempre fatto nella storia del costume e della moda?
Fare di necessità virtù – dicevano i nostri antenati: l’abbiamo sempre fatto a partire da accessori nati per pura utilità – penso per esempio a borse e calzature – e diventate poi nel tempo espressione di fantasia, creatività, bellezza e anche vanità.

Se la mascherina diventerà in parte un trend moda e se, grazie a una nota estetica (e se volete civettuola), le persone saranno incoraggiate a essere scrupolose… che male c’è?
Questa è una delle poche volte in cui perfino io – che abitualmente non amo i diktat – trovo che un trend possa diventare positivo!

Ecco perché non ho nulla contro le cosiddette mascherine fashion ed ecco perché non ravviso oscuri pericoli.

Anzi, come vedete dalla foto qui sotto, io le sto già usando: sì, stavolta questa è una foto attuale.

 

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Un post condiviso da Emanuela (Manu) Pirré (@aglitteringwoman) in data:

Naturalmente, nell’ottica del mio ininterrotto e appassionato sostegno al talento, personalmente invito a guardare non alle grandi griffe, ma piuttosto ai piccoli produttori: Instagram e tutti i social sono pieni di piccoli produttori che si stanno mettendo in gioco anche con le mascherine fashion.

Acquistare da loro è un ottimo modo per supportarli e per evitare che chiudano in un momento estremamente difficile: ben venga che si reinventino così, non ci vedo proprio nulla di male, anzi, al contrario vedo in tutto ciò un’espressione concreta di quella meravigliosa capacità di guardare oltre.

E che non mi si venga a dire che anche questo diventerà un modo per dividere ‘chi può’ da ‘chi non può’.
Francamente, a me non interessa che una mascherina sia griffata, anzi, al contrario.
Non mi interessa portare il marchio di qualcuno in pieno viso, anzi, vi confesso che l’idea non mi piace proprio, visto che credo che la moda sia un linguaggio.
Privilegio dunque qualcosa che mi rappresenti: non un logo altrui proprio sotto gli occhi, al posto della bocca, bensì una manifestazione di fantasia in cui possa riconoscermi.
Non me ne importa nulla di potermi o meno permettere la mascherina da centinaia di euro, non mi sento sminuita: ce ne sono per tutte le tasche, senza complessi.
Anzi, vi dirò di più: chi può e sa farlo, si faccia una bella mascherina personalizzata e unica!

E se qualcuno ha ancora dubbi, vi do un ultimo dato economico.
Conoscete Lyst? È una grande piattaforma globale di ricerca moda: elabora naturalmente varie ricerche e il report relativo al primo trimestre del 2020 dice che le ricerche di mascherine fatte dagli utenti in rete sono cresciute del 496%.
Non ho sbagliato, 4-9-6, 496%, sì: questo racconta la portata del fenomeno che ho cercato di raccontare, ovvero quanto stiamo cercando di fare buon viso a cattivo gioco, anche sul fronte mascherine.

Permettetemi un’ultima umanissima riflessione oltre la storia e l’economia.

Chissà se – oltre a far vendere più mascara e in generale più cosmetici per gli occhi – le mascherine serviranno anche a diffondere una buona abitudine, quella di sorridere non solo con la bocca ma anche con gli occhi.

Il sorriso sincero nasce dentro di noi, nel cuore, e sale fino ad arrivare alla bocca: se trova una mascherina a sbarrargli la strada, dobbiamo imparare a farlo arrivare più su, fino agli occhi.

Io spero che continueremo a sorridere, anche dietro le mascherine fashion o meno, e spero che impareremo a far arrivare quel sorriso fino agli occhi, in modo da poterlo condividere ancora con chi incontreremo.

Come scrivevo all’inizio di questo post e di questo viaggio?
«Mi divertiva l’idea di comunicare solo con gli occhi e con lo sguardo.»
Occhi e sguardo sono sempre stati importanti per me (ecco qui cosa scrivevo nel 2016 e poi ancora lo scorso anno, qui…) e così, infine, siamo tornati proprio a quel mio pensiero…

Mi piacerebbe che, in definitiva, tutti noi riflettessimo bene su una cosa.

Dobbiamo indossare una maschera, stavolta concreta e quotidianamente; possiamo cercare di renderla un po’ più attraente e se lo facciamo è per cercare di esorcizzare il pericolo; possiamo ricercare il pendant con l’outfit del giorno – e non vi è nulla di male in tutto ciò.
A bocca e sorriso coperti, saranno gli occhi a raccontare chi siamo e se è vero che gli occhi sono lo specchio dell’anima… saremo un po’ più nudi.
Curiamola, allora, quell’anima, per badare a ciò che gli occhi riveleranno di noi.
Non ci saranno miracoli, no, ma forse è arrivato il momento in cui una maschera rappresenterà e ricomporrà semplicemente i vari aspetti di un’unica essenza. Non so, mi piace almeno sperarlo.

Manu

 

Postilla del 4 giugno 2020: chi mi conosce bene lo sa, a me piace il dialogo, il confronto. Quando ho condiviso questo post attraverso i social, una persona che stimo, un’amica che si chiama Laura, ha commentato che le mascherine fashion «non servono tanto a chi la indossa ma aiutano a non rattristare chi ti circonda» (qui il suo commento originale). Ho trovato che sia un commento molto giusto, un punto di vista estremamente interessante e che non avevo sottolineato a sufficienza nel mio testo. Ho parlato di quanto gli orientali abbiano una diversa visione della mascherina, ho parlato di quanto anche noi occidentali stiamo progressivamente cambiando punto di vista, ma non avevo sottolineato quanto le mascherine fashion possano essere anch’esse veicolo di questo cambiamento perché – cercando di abbellire – regalano un po’ di leggerezza e rattristano di meno. Quindi non sono solo una scelta per noi stessi, ma anche per e verso gli altri. Mi piace, sì, questo è il genere di atteggiamento che apprezzo. Ecco, quando parlo di amare il dialogo e il confronto penso a scambi di questo tipo. Grazie Laura

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

Glittering comments

Laura Frati
Reply

Che emozione, vedere che la mia frasetta entrare nel tuo blog. L’ho apprezzato davvero tanto e spero che aiuti le donne a capire che anche con la mascherina colorata e lo sguardo sorridente, possono diffondere serenità agli altri. In un momento così difficile, così violento, così incerto, la serenità è davvero importante e diffondere serenità è il nostro compito.
Ancora grazie, cara Manu. ❤

Manu
Reply

Laura cara,
Sono io che ti ringrazio per aver impreziosito il mio piccolo e amato salotto web con la tua osservazione così intelligente e sensibile e per aver ulteriormente aggiunto queste nuove riflessioni che mi sento di sottoscrivere al 100%.
Sono tempi difficili, è vero, violenti e incerti, e diffondere serenità è importante; sì, mi piacerebbe che noi donne per prime comprendessimo quanto importante sia placare gli animi anziché inasprirli.
Un abbraccio e ancora grazie,
Tua Manu

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