Il mio letto è un giardino – il Mudec di Milano riparte così

Non può esserci sviluppo economico, sociale e conseguentemente democratico senza cultura, senza una solida base di conoscenza, di sapere, di istruzione.

Ne sono profondamente convinta e chi mi conosce sarà forse stanco di sentirmelo ripetere da anni.
Eppure, non riesco a smettere di sottolinearlo, di fare la mia parte (piccola, microscopica) affinché questo concetto fondamentale diventi condiviso, affinché non si creino malintesi in un frangente complesso come questo: non vi è antitesi tra cultura e sviluppo economico, anzi, la prima è presupposto fondamentale affinché il secondo possa verificarsi.
L’ignoranza genera buio e superstizione, genera false credenze e pregiudizi, fa sì che non si cresca né si progredisca; al contrario, conoscenza, sapere e istruzione ci rendono liberi e ci permettono di crescere, di migliorarci, di emanciparci, di aspirare a condizioni di vita migliori.

Per tutti questi motivi sono felice di dare spazio ancora una volta a un’iniziativa del MUDEC, il Museo milanese che tanto fa per promuovere quella conoscenza che crea coesione, che ci permette di essere liberi, che ci permette di guardare agli altri non con paura bensì con curiosità e interesse per diventare più ricchi, spiritualmente e intellettualmente.

Il MUDEC – Museo delle Culture di Milano presenta il primo approfondimento dopo il lockdown dettato dall’emergenza COVID-19: si tratta della mostra intitolata ‘Il mio letto è un giardino – Mi cama es un jardín. I tessuti delle donne del monte quichua (Santiago del Estero, Argentina)’.

Promossa dal Comune di Milano e aperta al pubblico fino a domenica 8 novembre 2020, la mostra è curata da Carolina Orsini, conservatore del Museo delle Culture, e offre a noi visitatori una panoramica sulla produzione tessile del monte argentino attraverso una selezione di coperte da letto provenienti dalla collezione privata di Andreina Rocca Bassetti, donate al MUDEC nel 2016.

Accompagna l’esposizione un film/documentario dedicato alla memoria di Berna Paz (1931-2020), ultima grande tessitrice della vecchia generazione delle huarmis sachamanta (donne del monte): il film è frutto di un lavoro di campo etnografico svolto dai ricercatori del MUDEC e dal regista Federico Ferrario a Santiago del Estero (città dell’Argentina settentrionale, capitale dell’omonima provincia) nel luglio del 2019, realizzato grazie al generoso apporto di Sumampa/Adobe, associazione culturale che ha creato anche una scuola di tessitura.

Il MUDEC riconferma pertanto la sua anima di museo che promuove e realizza ricerche di campo e produzioni culturali frutto di indagini originali, sia sul piano nazionale – con studi antropologici e sociologici sulla Milano interculturale – sia sul piano internazionale, con ricerche di natura archeologica ed etnografica: il mio invito può dunque essere soltanto uno… andate a visitare Il mio letto è un giardino.

Vi segnalo che l’ingresso è gratuito e che il MUDEC al momento rimane aperto solo nelle giornate di venerdì, sabato e domenica dalle ore 11 alle 18.

Qui sotto trovate tutti i contatti del Museo per programmare la vostra visita; inoltre, nell’ottica della condivisione culturale che tanto amo, vi faccio dono di alcuni approfondimenti a proposito della mostra e del film / documentario nonché di alcune immagini tratte proprio da quest’ultimo.

Spero che tutto ciò accarezzi e solletichi la vostra curiosità intellettuale.

Manu

 

 

MUDEC – Museo delle Culture di Milano
Via Tortona 56
Qui trovate il sito del Mudec, qui la pagina Facebook, qui l’account Twitter e qui quello Instagram.

 

 

IL MIO LETTO È UN GIARDINO: COME NASCE QUESTO TITOLO?

Vagando per le zone rurali della sua terra d’origine, il celebre poeta e saggista santiagueño Bernardo Canal Feijoo (1897 – 1982) immortala così l’arte della tessitura del monte, la foresta di quebrachos dell’arida pianura di Santiago.

«Era una regione arida, molto più arida di altre della Provincia. Di un’aridità desolante. Di un’arida desolazione (…) Io stesso, lo confesso, mi sentivo fiacco e annichilito. E solo il mio automatico vagare mi portò al ranchito (…) D’un tratto inciampai in “quella”. Era una coperta di Santiago stesa al sole tra due pali. Era tessuta in rosso, giallo e verde, con fasci, lame e zigzag e macchie che brillavano, splendevano e scoppiettavano, in esplosioni, proiezioni e fiammate (…) Accanto ad alcuni pali c’era una donna in nero (…) indicando la coperta con la mano le ho detto: “Carina!”
Un potente bagliore scintillò nei suoi occhi (…) poi le sfuggirono dalla bocca queste parole: “E se vedesse il mio letto… Il mio letto è un giardino.” (Mi cama es un jardín)
Fauna mai vista, flora fantastica, triangoli, segni a gradoni, misteriosi rettili, soli, lune e stelle di cieli ignorati. È proprio vero che la mano che trama tra i quattro pali del telaio, “il giardino” dell’anima, conosce la magia della creazione divina.»

STORIA DEI TESSUTI DI SANTIAGO

Attività femminile e domestica per eccellenza, la tessitura nell’area di Santiago del Estero – nella provincia omonima, 900 chilometri a nord di Buenos Aires – è un lavoro molto antico. Qui gli spagnoli durante il periodo della conquista (XVI secolo) introdussero le pecore che, sin dall’inizio della colonia, hanno fornito la lana per la lavorazione dei tessuti sfruttati come attività ad alto rendimento.
Con la fine del potere coloniale e con la concorrenza dei manufatti industriali introdotti a Santiago grazie all’arrivo della ferrovia nella seconda metà del XIX secolo, la tessitura tradizionale perse progressivamente di importanza e, da attività economica, prese definitivamente una connotazione domestica.
Fino alla prima metà del XX secolo, nelle case del monte di Santiago si continuò a tessere ancora con una certa frequenza: dieci “tessuti di tradizione” risalenti a questo periodo e donati al Mudec nel 2016 sono ora visibili nella mostra Il mio letto è un giardino.
Con la metà del XX secolo, anche la produzione domestica sembrò calare drasticamente, forse a causa dei processi migratori che interessano l’area, poverissima, a favore di altre regioni dell’Argentina o della capitale. A questo processo parteciparono, tardivamente, anche le donne.
L’effettiva mancanza di figure femminili cui trasmettere l’arte della tessitura può essere stata una concausa della progressiva perdita di questa tradizione nella regione.
Oggi, l’attività della tessitura è ancora frequente e comune solo in pochissime case.

A partire dagli Anni ‘90, con l’istituzione di una scuola di tessitura nella zona rurale di Quimili Paso, nel cuore del monte a sud della capitale Santiago, l’Associazione Sumampa/Adobe si è fatta carico di reintrodurre questa antica attività, recuperando la memoria e le tecniche dalle poche persone che ancora la praticavano.

LE MANI TRA I 4 PALI: TECNICHE E SEGRETI

La tessitura è solo l’ultimo passo di un lungo processo che inizia con la preparazione delle fibre e la loro tintura.
Dopo aver pulito, preparato e filato la lana, la tessitrice tinge le matasse usando sia piante locali che tinture industriali (introdotte nella zona a partire dalla prima metà del XX secolo).
La colorazione dei tessuti con tinture naturali è un’operazione complessa, quasi magica, i cui segreti costituiscono un patrimonio di saperi che unisce la tessitrice in maniera indissolubile alla natura della zona e che presuppone una grande conoscenza delle piante del monte santiagueño.
Una volta tinto, il filato viene armato su un telaio la cui struttura, rudimentalmente auto-prodotta, è composta da quattro pali infissi nel terreno.

Una miriade di temi decorativi ornano i tessuti di Santiago del Estero.
Nella mostra Il mio letto è un giardino è possibile vederne un piccolo repertorio che spazia dai disegni geometrici a quelli naturalistici.
I decori sono resi con una straordinaria varietà di tecniche, molte delle quali sono il risultato di una lunga ibridazione culturale avvenuta localmente e che mostra influenze pre-ispaniche più remote, inca, spagnolo-moresche e di derivazione industriale contemporanea.
A esclusione dei disegni floreali di ispirazione europea (probabilmente diffusi nelle Americhe grazie all’arrivo delle riviste femminili di punto-croce) che devono seguire schemi decorativi fissi e preordinati, le tessitrici disegnano e compongono letteralmente il motivo durante la tessitura grazie alle loro straordinarie capacità di calcolo e di memoria.
I tessuti di Santiago sono la testimonianza di come le donne abbiano saputo sviluppare una grande resilienza culturale coniugandola con straordinarie capacità di adattamento, creando nei tessuti una sottotraccia che assimila gli apporti culturali esterni e li plasma a misura del proprio mondo.

IL DOCUMENTARIO HUARMIS SACHAMANTA (LE DONNE DEL MONTE)

Nella lingua parlata durante l’epoca inca, il quechua, Huarmis sachamanta vuol dire letteralmente donne (Huarmis) del monte (sacha).
Le donne del monte, come loro stesse si definiscono, sono le tessitrici del progetto dell’Associazione Sumampa/Adobe a Quimili Paso che hanno recuperato le tecniche tradizionali di filatura, tintura e tessitura praticate per millenni nella zona, ma che si erano perse a seguito dei cambiamenti economici e della massiccia migrazione avvenuta negli ultimi 60 anni.

Nel mese di luglio del 2019, dalle interviste con le Huarmis di Quimili Paso, è partito un lavoro di campo sostenuto dall’Associazione Sumampa/Adobe e condotto da Carolina Orsini del MUDEC e dal regista Federico Ferrario in collaborazione con l’artista e antropologa argentina Claudia Marchi.
Il lavoro di campo ha avuto come scopo quello di documentare la vita, i pensieri e i gesti delle tessitrici di Santiago, molte delle quali ultra novantenni, nel tentativo di fermarne la memoria e trasmetterla ai posteri.

Sopra e sotto: Berna Paz (1931-2020), ultima grande tessitrice della vecchia generazione delle <em>Huarmis sachamanta</em> (donne del monte). Nella terza foto: il telaio.
Sopra e sotto: Berna Paz (1931-2020), ultima grande tessitrice della vecchia generazione delle Huarmis sachamanta (donne del monte). Nella terza foto: il telaio.

Grazie alle 23 interviste a Quimili Paso (dipartimento di Avellaneda) e in altri 3 dipartimenti della provincia di Santiago (Atamisqui, Añatuya e Loreto) e grazie alle conversazioni con la studiosa Ruth Concuera, possiamo apprendere non solo le tecniche della tessitura, ma anche la sua funzione sociale ed economica nel passato recente e nella modernità.

Divenuti di moda alla fine degli Anni ‘80, i tessuti storici (XIX – XX secolo) di Santiago del Estero sono ormai per lo più raccolti in collezioni private, senza che ci sia stata una documentazione di come, da chi e in che contesti siano stati prodotti e usati.

In linea con la politica di conservazione dei saperi tradizionali svolta dal MUDEC, il lavoro di campo e il documentario che ne è seguito sono sembrati una urgente necessità per cogliere, dalla voce delle protagoniste, i segreti dei tessuti di Santiago del Estero.

 

 

 

Tutte le foto sono di proprietà di MUDEC
e ringrazio l’ufficio stampa per averne concesso l’uso.

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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