Irene Lucia Vanelli e Gli Ossimori del Vivere

Sono una grande appassionata di arte. Non mi reputo assolutamente una conoscitrice, sono solo un’eterna studentessa in un ambito che mi affascina indicibilmente. Come nella moda, sono onnivora e i miei gusti sono molto vari: amo tutto ciò che mi dà emozione.

Non ho un pittore preferito, ne amo molti per tanti motivi.

Amo da sempre Salvador Dalí, passione che condivido con Enrico: una delle nostre prime uscite insieme fu una gita a Venezia per vedere una mostra del grande pittore spagnolo, affrontando una coda disumana (vi assicuro che non farei nulla di simile nemmeno per i saldi di un brand moda). Amo la forza di Picasso e il surrealismo di Magritte. Amo Van Gogh, infinitamente, così come Monet e Mirò. Alle medie, un professore d’arte mi fece conoscere Kandinsky e non ho mai smesso di amarlo da allora (e vi giuro che anche lui piace ad Enrico!), mentre a New York, molti anni fa, mi innamorai di Keith Haring: ho perfino una sua stampa appesa in bagno (non ho più molte pareti libere in casa, ahimè). Da bambina ero incuriosita da Arcimboldo e, con mia somma gioia, nel 2011 Palazzo Reale a Milano gli dedicò una bellissima mostra.

Molti degli stilisti e dei designer che conosco attingono dall’arte a piene mani. Mi viene subito in mente, per esempio, Sergio Daricello che per alcune stampe della sua collezione per la primavera / estate 2014 ha reso omaggio a un affresco che si intitola “Apoteosi di Palermo”, opera del pittore siciliano Vito D’Anna, considerato un capolavoro della pittura barocca siciliana (ne ho parlato qui).

Il confine tra arte e moda è talvolta sottile e capita che ci siano scambi vicendevoli e mutui passaggi tra l’una e l’altra: non posso che esserne lieta. E così come la moda, l’arte non mi intimidisce: la guardo con rispetto, certo, con ammirazione, ma mai con timore e ho voglia di conoscerla sempre meglio. E, sia nella moda sia nell’arte, una parte importante della mia curiosità va agli emergenti.

Recentemente ho avuto l’opportunità di avvicinarmi alle opere di un’artista che voglio presentarvi, in quanto credo sia molto interessante, per il suo percorso e per le sue opere. Si chiama Irene Lucia Vanelli, in arte ILV.

Irene, classe 1982, decide a soli 12 anni cosa vuol fare da grande: la psichiatra. Intraprende studi classici e, successivamente, si iscrive a medicina e chirurgia: frequenta i primi tre anni di università a Novara, poi prende il volo verso Lisbona, dove resta per 4 anni. Tornata in Italia, inizia il suo cammino di specializzazione in psichiatria.

Da sempre interessata all’arte, dapprima come semplice spettatrice, inizia a sperimentare da autodidatta. La sua ricerca è volta a trovare la propria via per raccontare ciò che per anni ha portato dentro di sé e con sé nelle sue peregrinazioni.

Irene Lucia Vanelli
Irene Lucia Vanelli
Irene Lucia Vanelli
Irene Lucia Vanelli

A partire dallo scorso anno, ILV inizia a proporre al pubblico le proprie opere, prendendo parte ad alcune esposizioni collettive sul territorio nazionale.

A maggio di quest’anno, vince il premio Web Artist in occasione di “MostraMi 6”.

La sua dichiarazione è forte e chiara: “il mio progetto artistico si sviluppa mediante il ricorso a forme espressive articolate e a materiali opposti, forzatamente uniti e volutamente stridenti”.

Irene usa forme espressive molto varie (pittura, installazione, scultura) e usa materiali differenti e distanti tra loro. Accosta legno e metalli, cemento e tessuti, riadattandoli e inserendoli in messaggi visivi forti e crudi coi quali cerca di comunicare emozioni, stati d’animo, riflessioni. O assenza di emozioni.

Irene Lucia Vanelli, Circoloquadro, Milano, maggio 2013
Irene Lucia Vanelli, Circoloquadro, Milano, maggio 2013
Irene Lucia Vanelli, maggio 2013, intervista per il TG3
Irene Lucia Vanelli, maggio 2013, intervista per il TG3

Nel ciclo di opere “Gli Ossimori del Vivere”, la ricerca artistica di ILV si è ulteriormente rivolta al mondo dell’emotività attraverso il ricorso a manichini che diventano rappresentazioni emblematiche della “non identità”.

“Corpi alienanti, in cui la soggettività e l’individualità si dissolvono, in antitesi concettuale con l’Umanesimo e la centralità dell’uomo – racconta Irene che aggiunge – l’uomo perde dunque il proprio ruolo: da soggetto diventa oggetto, parte dell’allestimento di un’opera, strumento di comunicazione di stati d’animo. Volti inespressivi e corpi sagomati ma anonimi lasciano il centro della scena ad emozioni primarie ed ancestrali.”

In “Liebe” (traduzione di “caro” in tedesco) sussiste la contrapposizione tra un corpo fragile e il cuore rosso ingabbiato nel costato: lo scheletro, gracile, riesce a contenerlo a stento.

“L’amore brucia l’anima e il corpo come fuoco, consuma e divora le carni nel profondo. Come ogni incendio, spente le fiamme, non restano che le macerie”: parola di Irene.

Irene Lucia Vanelli, Liebe
Irene Lucia Vanelli, Liebe
Irene Lucia Vanelli, Liebe
Irene Lucia Vanelli, Liebe

In “Libertà” il corpo diventa il veicolo espressivo di una profonda e dilaniante angoscia. È paralizzato in una posa sofferta che assomiglia a uno spasmo, impossibilitato nel compiere qualsiasi movimento.

La paralisi fisica (resa simbolicamente da bende gessate, spilli da sarto e dal piede fissato nel cemento) rimanda metaforicamente a una paralisi morale e spirituale.

“Il corpo rimane in balia del dolore fisico, metafora espressiva di un dolore più profondo e straziante – spiega Irene – e l’opportunità, sfiorata, di un eccesso di libertà porta l’uomo / manichino a ricadere nel paradossale stato di incapacità di scelta e alla paralisi, fisica, mentale, sentimentale. La paura, o terrore, dell’errore.”

Irene Lucia Vanelli, Libertà
Irene Lucia Vanelli, Libertà
Irene Lucia Vanelli, Libertà
Irene Lucia Vanelli, Libertà
Irene Lucia Vanelli, Libertà – dettaglio
Irene Lucia Vanelli, Libertà – dettaglio
Irene Lucia Vanelli, Libertà – dettaglio<span style="font-size: 13px; line-height: 19px;"> </span>
Irene Lucia Vanelli, Libertà – dettaglio 

In “Fragilità” c’è invece la rappresentazione di un inconscio vulnerabile, fintamente arroccato e barricato dietro a barriere difensive, solide e algide, che mettono distanza.

Nonostante l’apparente solidità e l’ostentata mancanza di emozioni, traspare la natura di un’anima in balia della sofferenza, sofferenza trasportata nella propria gabbia interiore.

“Il ricorso alla sagoma di donna è scelta emblematica – dice Irene –  e l’intento è quello di richiamare, con la sua forma, realtà contrapposte (fragilità e forza), innate nello spirito femminile. La fragilità di corpo gracile e sottile che sorregge il peso di costrizioni, obblighi, impegni; il peso del vivere. Prosegue fiera, come un soldato dall’elmo rilucente, nonostante il dolore di ferite inferte, nonostante le barriere costruite. La forza del vivere, la dignità del soffrire. La determinazione nel continuare.”

Irene Lucia Vanelli, Fragilità
Irene Lucia Vanelli, Fragilità
Irene Lucia Vanelli, Fragilità
Irene Lucia Vanelli, Fragilità
Irene Lucia Vanelli, Fragilità: bozzetto dell’opera<span style="font-size: 13px; line-height: 19px;"> </span>
Irene Lucia Vanelli, Fragilità: bozzetto dell’opera 

Attualmente, Irene sta lavorando a una nuova opera del ciclo degli Ossimori.

Si intitola “Gedankenfreiheit”, ovvero libertà di pensiero in tedesco.

Irene Lucia Vanelli, Gedankenfreiheit: work in progress
Irene Lucia Vanelli, Gedankenfreiheit: work in progress
Irene Lucia Vanelli, Gedankenfreiheit: work in progress
Irene Lucia Vanelli, Gedankenfreiheit: work in progress
Irene Lucia Vanelli, Gedankenfreiheit: il bozzetto dell’opera
Irene Lucia Vanelli, Gedankenfreiheit: il bozzetto dell’opera

ILV è fra gli artisti di “Aliens – le forme alienanti del contemporaneo”, progetto ideato da Sergio Curtacci, direttore del magazine milanese di arte contemporanea “Frattura Scomposta”.

Aliens è una collettiva itinerante di pittori e scultori che si concentrano sullo studio attento delle forme alienanti del contemporaneo. Il progetto è nato nel 2007 e sta toccando diverse città sparse sul territorio nazionale: ha come scopo quello di promuovere artisti emergenti e di farli dialogare con artisti già affermati.

Ho detto in principio che l’arte, per attirarmi, deve darmi emozione e non ho attaccato appositamente a questa parola aggettivi quali negativa o positiva. Non ho paura di coloro che lavorano sul lato oscuro dell’essere umano, sui suoi sentimenti reconditi, né mi intimorisce il lavoro di Irene su concetti come l’alienazione, la perdita di centralità dell’uomo, l’eccesso di libertà che finisce per imprigionarci: mi incuriosisce, invece, mi affascina, e credo che il suo lavoro serva proprio a sgretolare i fantasmi, ad accettare certe emozioni senza averne paura.

Gli artisti, secondo me, possono affrontare un lato buio, sviscerarlo, analizzarlo e perfino togliergli quella connotazione morbosa e nascosta. Penso che una delle funzioni dell’arte sia quella di risvegliare coscienze e cervelli.

Se poi devo fare un’ulteriore riflessione, vi dico che a mio avviso il lavoro di Irene può avere molte analogie con tante polemiche che si sviluppano anche attorno al mondo della moda.

Non mi stupisce affatto che Irene già a 12 anni sapesse che sarebbe diventata psichiatra. La sua arte indaga la nostra psiche, scegliendo strumenti diversi.

Manu

 

Non si può creare un’arte che parli all’uomo se non si ha niente da dire.

André Malraux, “La speranza”, 1937

 (dal profilo Google+ di Irene Lucia Vanelli)

 

Per approfondire:

Qui il sito di ILV Irene Lucia Vanelli

Qui la sua pagina Facebook

Qui il suo profilo Google+

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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