Maneki neko, il gatto tra leggenda, cultura popolare e dieci curiosità

Non sono mai stata una persona superstiziosa, anzi, diciamo che le superstizioni mi infastidiscono.

Mi infastidisce che si dica che il viola porti male anche se conosco e capisco l’origine di tale superstizione (ne ho parlato qui) che oggi non ha comunque più alcun motivo di esistere; mi infastidisce ancor di più che si dica che una persona o un animale (poveri gatti neri!) portino male.

Forse, disprezzo le superstizioni (e non parlatemi di malocchio) perché credo che i fautori del nostro destino siamo esclusivamente noi stessi e perché credo che se e quando esistono casi, combinazioni, fortune e sfortune, siamo noi stessi a metterli in moto con le nostre azioni.

L’unica cosa in cui un poco credo è che i sentimenti positivi generino belle energie, mentre è il contrario con quelli negativi: è per questo che sto cercando di imparare, nel tempo, a tenere lontane persone e sentimenti negativi.

Come molti, invece, ho anch’io dei piccoli gesti scaramantici un po’ infantili.

Di solito, se riesco a connettere quando suona la sveglia, metto giù il piede destro dal letto e lo faccio da quando sono ragazzina.

E quando salgo le scale di casa, mi diverto talvolta a mettere i piedi al centro delle piastrelle senza calpestare i bordi. Sì, proprio come fanno i bambini.

Ma nulla che confini con la superstizione, per carità: non credo assolutamente che succeda qualcosa se metto giù dal letto il piede sinistro per primo né se calpesto il bordo della piastrella, sono solo giochetti con me stessa, modi per spronarmi da sola ma sui quali prevalgono sempre ironia e sense of humour.

Nonostante io non sia superstiziosa, da tempo amo però collezionare piccoli oggetti – soprattutto monili – che sono comunemente considerati dei portafortuna: la spiegazione è puramente imputabile alla mia passione per gli oggetti che hanno un senso, un significato, una storia da raccontare.

Questa estate, per esempio, in Grecia, ho fatto incetta di due simboli che amo da sempre: la Mano di Fatima (nota anche come Hamsa o Khamsa o Mano di Miriam a seconda della religione musulmana, dei cristiani d’oriente o ebrea) e l’Occhio di Allah spesso semplicemente chiamato Evil Eye.

Fermo restando il mio assoluto rispetto per tutte le religioni, il mio interesse verso questi due simboli è quello di una persona curiosa (di significato, origini e storia) e, conseguentemente, il mio resta un approccio da collezionista appassionata ma non credente. Qui, qui e qui potete vedere alcuni dei miei acquisti, braccialetti e anelli.

Aggiungete a tutto ciò una mia passione (mania…) per l’occhio di per sé stesso che colleziono in ogni forma (ne avevo già parlato qui) et voilà, il gioco è fatto. In fondo, non è un caso se molte civiltà hanno attribuito all’occhio moltissimi significati.

Ultimamente, mi sono appassionata a un nuovo amuleto: il maneki neko, letteralmente gatto che chiama, noto anche come gatto che dà il benvenuto, gatto della fortuna oppure gatto del denaro. O, se preferite l’inglese, lucky cat o fortune cat.

Sicuramente l’avrete visto, è una diffusa scultura giapponese, spesso fatta di porcellana o ceramica (ma ne esistono in plastica, legno, cartapesta, argilla, giada, oro), che rappresenta un gatto con una zampa alzata: si ritiene porti fortuna e per questo motivo si trova molto spesso negli esercizi commerciali e nei ristoranti orientali.

Avete letto bene, ho scritto giapponese: nonostante sia onnipresente nelle varie attività cinesi, l’usanza nasce in realtà in Giappone.

Dopo aver trovato un paio di monili durante un mio recente viaggio ad Amsterdam (quelli che vedete nella foto qui sopra, una collana con ciondolo e un pendente che ho prontamente appeso a un bracciale di perle che già possedevo), simpatici gingilli acquistati nei negozi della Chinatown della capitale olandese, ho deciso di fare qualche ricerca sul maneki neko, proprio perché mi piace dare un senso a ciò che possiedo e perché sono affascinata dalle tradizioni e dalle leggende.

E ho pensato di condividere un po’ di curiosità qui con voi.

Siete pronti?

Iniziamo dalle origini che sono incerte: probabilmente sono abbastanza antiche, ma il documento più datato risale al XIX secolo.

Il gatto che chiama viene infatti menzionato in un articolo di giornale del 1876 e ci sono prove che, in quel periodo, maneki neko vestiti con dei kimono venissero distribuiti presso un tempio di Ōsaka. Una pubblicità del 1902 che pubblicizzava i maneki neko dimostra inoltre che all’inizio del XX secolo essi erano già piuttosto popolari.

Ma perché il gatto?

A tal proposito si intersecano tra loro storie e leggende diverse: uno degli aneddoti più quotati (attribuito di volta in volta a vari nobili protagonisti, imperatori giapponesi e samurai) vuole che il protagonista fosse passato vicino a un gatto che sembrava salutarlo.
Interpretando il movimento dell’animale come un segno, l’uomo si fermò e andò verso di lui; dopo essersi allontanato dalla strada che stava seguendo, si accorse di aver evitato una trappola che era stata tesa per lui proprio poco più avanti.

Da allora, i gatti furono considerati spiriti saggi e portatori di fortuna e, in molti luoghi di culto e case giapponesi, si trova ancora oggi la raffigurazione di un gatto con una zampa alzata nell’atto di salutare.

Ma come dicevo, il maneki neko è protagonista di varie leggende.

Tra le più famose, c’è quella legata a un un ricco feudatario che, durante un temporale, si stava riparando sotto un albero vicino a un tempio.
Il feudatario vide il gatto del monaco del tempio che lo chiamava e andò verso di lui; un attimo dopo l’albero fu colpito da un fulmine: il ricco signore, che era così scampato al pericolo, fece amicizia con il monaco e ciò portò prosperità al tempio.
Quando il gatto morì, fu costruito in suo onore il primo maneki neko.

Un’altra leggenda narra di una cortigiana che aveva un gatto al quale voleva molto bene: una notte il gatto iniziò a tirare forte il suo kimono e, qualunque cosa lei facesse, l’animale continuava.
Il proprietario del bordello vide la scena e, pensando che il gatto fosse stregato, gli tagliò la testa: la testa del povero gatto volò fino al soffitto dove uccise un serpente che avrebbe potuto colpire da un momento all’altro.
Per consolare la donna disperata per la morte del suo animale, uno dei suoi clienti le costruì una statuetta che raffigurava il gatto: in seguito, questa statuetta divenne popolare come maneki neko.

Una terza leggenda riguarda un’anziana signora costretta a vendere il suo gatto a causa dell’estrema povertà: poco dopo, il gatto le apparve in sogno e le disse di fare con l’argilla un’immagine che lo ritraeva.
La donna lo fece, vendette subito la statuetta e così ne fece delle altre: la gente continuava a comprarle e diventarono tanto ricercate che la donna diventò ricca e benestante.

Tutte le leggende sono dunque accomunate dal significato positivo attribuito al gatto che salva da sventure o porta prosperità economica.

D’altro canto, tale credenza non è solo giapponese: il gatto è un animale che è stato venerato, adorato o temuto in moltissime culture del mondo, dall’Occidente all’Oriente, e parte dell’attenzione è dovuta al fatto che i gatti sono stati considerati preziosi alleati in grado di controllare tutti quei roditori che distruggevano i campi e i raccolti.

Nell’Antico Egitto il gatto era considerato sacro, mentre per la sua natura misteriosa, il suo atteggiamento e le sue abitudini notturne, l’animale venne purtroppo associato, nel Medioevo, alla stregoneria.

Ma lasciate che vi racconti dieci curiosità legate al maneki neko.

  1. Molti dicono che se la zampa alzata è la destra, il maneki neko dovrebbe propiziare la salute e la famiglia, mentre la sinistra dovrebbe propiziare gli affari e attirare i clienti. Si possono trovare esemplari con entrambe le zampe alzate. Alcuni sostengono che la zampa sinistra alzata sia la cosa migliore per i locali in cui si beve, la destra per le altre attività commerciali: in effetti, chi sopporta bene l’alcool, in Giappone è chiamato hidari-kiki ossia mancino.
  2. Per americani ed europei può sembrare che il maneki neko stia salutando piuttosto che chiamando a sé e ciò è dovuto alla differenza nei gesti usati da occidentali e giapponesi. I giapponesi usano chiamare con un cenno tenendo la mano alzata con il palmo verso l’esterno, piegando e riaprendo le dita, e da questo deriva la posa del gatto: il gesto, però, per gli occidentali equivale a quello del saluto. Capita dunque che alcuni maneki neko fatti appositamente per i mercati occidentali abbiano la zampa rivolta all’indietro, ovvero una posa che riproduce un cenno di richiamo più familiare agli occidentali.
  3. È opinione comune che più in alto sia la zampa e maggiore sia la fortuna che porta, di conseguenza la zampa dei maneki neko ha avuto la tendenza a essere, negli anni, sempre più alta. L’altezza della zampa è pertanto utilizzata da alcuni come metodo approssimativo per stimare l’età di una statuetta. Un’altra credenza diffusa è che più alta è la zampa e da più lontano verrà la fortuna.
  4. I maneki neko si trovano di ogni colore e, benché all’inizio i colori fossero soltanto decorativi, adesso le differenti tinte sono associate a differenti proprietà: il bianco è il colore più classico e diffuso e porta con sé fortuna e prosperità, il nero porta buona salute e tiene lontano gli influssi negativi (e per le donne aiuta a tenere lontano i molestatori), il rosso tiene lontani gli spiriti maligni e la malattia, l’oro è associato alla ricchezza e al benessere economico, il rosa (che non è un colore della tradizione ma che oggi esiste) è associato all’amore, il verde porta riconoscimenti accademici e protegge dagli incidenti stradali.
  5. I maneki neko hanno di solito un accessorio attorno al collo: i più comuni sono un collare, un campanello e un bavaglino decorativo. Questi oggetti sono molto probabilmente a imitazione di quelli che erano veramente gli accessori ornamentali per gatti in voga tra le famiglie benestanti durante il periodo in cui nacque l’usanza della statuetta.
  6. I maneki neko sono a volte raffigurati mentre trattengono una moneta con la zampa e la moneta è, ovviamente, legata al ruolo del gatto nell’attrarre la buona fortuna e le ricchezze. Non sorprende, quindi, che spesso il maneki neko sia usato come salvadanaio mentre a volte, nei templi, vengono lasciate monete di piccolo taglio a mo’ di offerte al maneki neko: tale usanza è in qualche modo simile a quella occidentale di lanciare una moneta in una fontana o in un pozzo dei desideri.
  7. La razza di gatto rappresentata dalla statuetta è generalmente un bobtail giapponese, razza molto apprezzata e famosa nel paese. Il bobtail è infatti originario proprio del Giappone ed è noto per la coda estremamente corta.
  8. Alcuni maneki neko hanno una zampa che si muove, azionata da una batteria o dall’energia solare, che ripete all’infinito il gesto del chiamare.
  9. Se siete incuriositi dalla figura del gatto che chiama e se avete la fortuna di visitare il Giappone, vi consiglio due luoghi collegati. Il primo è il Santuario di Ise, uno dei più importanti del Giappone: dalle mie ricerche, risulta che vi si tenga una festa chiamata Kuru Kuru Maneki Neko Matsuri, la festa del gatto gesticolante che porta fortuna, che si svolge a fine settembre. Il secondo luogo è il Tempio di Gotokuji, nel quartiere residenziale di Setagaya a Tokyo, un luogo suggestivo dall’atmosfera serena: noto anche come il tempio dei gatti, questo luogo rende omaggio al maneki neko. Qui e qui potete vedere un paio di video che riguardano proprio questo luogo.
  10. Naturalmente, non mancano i collezionisti ed esiste anche un’associazione che pare conti 800 membri sparsi in tutto il mondo: i membri ricevono un bollettino con il quale vengono fornite informazioni specifiche, per esempio dove acquistare i pezzi più preziosi. Pare vengano perfino organizzate gite per visitare i laboratori di artisti rinomati.

Insomma, quello che ai nostri occhi (occidentali) potrebbe sembrare una (furba) trovata commerciale, risulta invece avere le proprie radici in una lunga tradizione fatta di superstizione, leggende e soprattutto cultura popolare.

Vi faccio notare che uno dei miei due maneki neko è rosa e l’ho scelto prima di approfondire e scoprire che è il colore collegato all’amore, come vi ho raccontato qui sopra: ecco, è l’ennesima conferma che le scelte istintive spesso non sono casuali, visto che per me l’amore è la cosa più importante.

E, nel frattempo, mi è venuta voglia di approfondire quel che so a proposito della Mano di Fatima e dell’Occhio di Allah: cosa ne dite, la prossima volta parliamo di loro?

Manu

P.S.: nella foto qui sopra, oltre ai miei maneki neko, vedete anche i cactus e il fico d’India in miniatura di Movea Design dei quali ho parlato qui 🙂

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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