Rinascere, una mostra per ripartire alla Galleria Rossini di Milano

Era il 10 gennaio quando ho pubblicato il post precedente qui nel blog.
Ebbene sì, è passato un mese e mezzo e, nei miei tanti anni di blogging, è la prima volta che accade.
Mai avrei creduto a un’ipotesi simile se me l’avessero detto tempo fa perché il blog è il mio piccolo spazio sacro, la mia creatura, la finestra sul mondo più cara che ho e l’ultima alla quale rinuncerei.

Ma la (triste) verità è che da mesi faccio sempre più fatica a scrivere perché mi sento sospesa, un po’ svuotata e… inaridita.
Per creare (e scrivere è creazione), per riuscire a dare forma ai pensieri, è necessario che la vita possa scorrere liberamente.

E, in questo momento, non è così, le nostre vite non scorrono liberamente.
Siamo in attesa, siamo un po’ sospesi – appunto.
Per questo, a parte i pensieri che esprimo o provo a esprimere in Instagram, mi viene invece difficile creare nuovo materiale per il blog.

Sono stanca, stanca di questa nostra vita diventata tanto (troppo…) virtuale e digitale.
Io che ho sempre creduto nel digitale, che l’ho sempre amato in quanto convinta che sia un’immensa possibilità aggiuntiva, continuo a credere altrettanto fermamente che non possa però sostituire in toto la nostra vita reale.
Certo, in questo anno segnato dalla pandemia il digitale è stato il modo (l’unico) per continuare a fare cose senza fermarci, ma – francamente – inizio a essere stufa di eventi in Zoom, riunioni in Zoom, incontri in Zoom, didattica in Zoom…
Oggi più che mai ho sete di vita reale e ho desiderio di concretezza e di cose da vivere, toccare, annusare…

In questi ultimi giorni, però, è successa una cosa che desidero raccontarvi.

Dovete sapere che, per il mio lavoro, ricevo a ciclo continuo newsletter e materiali di ogni tipo.
A volte le newsletter catturano la mia attenzione e altre volte no: domenica ne ho ricevuta una che è riuscita a catalizzare completamente la mia attenzione.

Questa newsletter raccontava di come, nel 1918, il critico d’arte François Thiébault-Sisson fosse andato a trovare il grande pittore impressionista Claude Monet nella sua casa casa di Giverny.
Erano per Monet gli anni successivi alla crisi nata dalla malattia agli occhi, malattia che lo costrinse a una pausa perché «i colori non avevano più la stessa intensità per me; non dipingevo più gli effetti della luce con la stessa precisione».

In occasione di quella visita, il pittore raccontò al critico come «un giorno benedetto» avesse avuto la sensazione che la malattia stesse regredendo: cominciò così a fare degli esperimenti per rendersi conto dei limiti e delle possibilità della sua vista e, con grande gioia, realizzò che, nonostante da vicino avesse ancora difficoltà, da lontano i suoi occhi invece non lo tradivano.
Forte di quello che definì «un punto di partenza molto modesto», Monet tornò a dipingere.

In uno studio rinnovato e ampliato, dotato di una grande finestra, lavorando soltanto quando i suoi occhi erano meno stanchi e più precisi, Monet riuscì a realizzare in due anni otto dei dodici pannelli delle Ninfee donandole poi alla Francia.
Nel 1927, pochi mesi dopo la morte dell’artista e come da lui stabilito, questa serie unica trovò collocazione definitiva presso il Musée de l’Orangerie situato nel cuore di Parigi, diventando la testimonianza imperitura del lavoro straordinario di un uomo che aveva temuto di non poter più dipingere.

Le dimensioni e la superficie dipinta circondano e inglobano lo spettatore per quasi cento metri lineari su cui si dispiega un paesaggio d’acqua delimitato da ninfee, rami di salici, riflessi di alberi e di nuvole, uno spettacolo che dà «l’illusione di un tutto senza fine, di un’onda senza orizzonte e senza rive», secondo le parole dello stesso pittore.

Il capolavoro di Monet, senza equivalenti al mondo, ci racconta così una verità fortissima: resistere alle avversità porta a reagire e reagire dà risultati meravigliosi.

La newsletter e questo racconto mi hanno fulminata, scuotendomi dal mio stato di sospensione e inaridimento.
Così, partendo proprio dall’idea che resistere porta a reagire e dà vita a nuove meraviglie, ho deciso di tornare a scrivere e a scrivere un post (questo) per il blog, dedicandolo a una mostra sulla quale riflettevo da qualche giorno e che ha una tematica e un titolo significativi e assolutamente in linea.

Il titolo della mostra è Rinascere.

Siamo in febbraio, il mese tradizionalmente dedicato alle fashion week che presentano le collezioni per la successiva stagione autunno/inverno: le sfilate di New York e Londra sono già andate in scena in versione digitale e tocca ora a Milano.
Anche qui da noi il calendario subirà la stessa sorte e lo stesso avverrà infine per Parigi.

Oltre a essere triste dal punto di vista morale per tutti quegli addetti ai lavori come me, tutto ciò ha naturalmente un risvolto economico pesantissimo: leggevo in questi giorni un articolo di Pambianco che spiegava come New York, Londra, Milano e Parigi potrebbero perdere oltre 600 milioni di dollari in attività economiche per il mancato svolgimento delle fashion week in modalità fisica.

In un simile panorama, desidero dare spazio al coraggio di chi ha pensato a una mostra da andare a vedere (anche) dal vivo in una location fisica e che (salvo nuovi lockdown e nuove zone arancioni o rosse…) sarà visitabile fino al 18 marzo.

Resistere. Reagire. Rinascere.
Voilà, il percorso è tracciato.

E il mio silenzio – per ora – viene interrotto.

Vi lascio quindi alla presentazione della mostra Rinascere attraverso le parole di Galleria Rossini che la organizza e la ospita – e che da anni gode della mia fiducia e della mia stima grazie al grande lavoro portato avanti da Marco Rossini con Marina Chiocchetta e Sonia Catena.

Manu

Rinascere, una mostra per ripartire

In questi tempi in cui tutto sembra essersi fermato e in cui il timore del futuro provoca smarrimento e sfiducia, la Galleria Rossini ha risposto promuovendo un nuovo bando di concorso denominato “rinascere”.
Un verbo all’infinito che custodisce mille potenzialità, perché capace di aprire a una vastità di significati ed emozioni.
Una parola a cui associare innumerevoli immagini e sensazioni.
La rinascita non è solo Rinascimento e non appartiene solo alla primavera di botticelliana memoria, ma può raccontare anche uno stato d’animo resiliente e una mente pronta a far germogliare idee sempre nuove.

Il concorso ha interrogato artisti, orafi, scultori, pittori e poeti su quale fosse la loro idea di rinascita e, al contempo, ha chiesto di riflettere sull’arte del kintsugi, ovvero della resilienza, in cui le fratture e il dolore possono diventare trame preziose.
Dal buio, dal dolore, da quel senso di immobilità può scaturire invece un punto di forza che è proprio quello che rende ogni persona e ogni produzione artistica unica, ricercata.

Gli artisti presenti in mostra e in catalogo hanno raccontato cos’è per loro una rinascita attraverso le loro creazioni.
Gioielli d’autore e opere d’arte che comunicano segni e simboli dei nostri tempi e della nostra cultura, nati per suscitare riflessioni ed emozioni.
Molti di questi creatori sono partiti dalla condizione di “vuoto”, stato necessario per rinascere quotidianamente attraverso rinnovate forme, idee e desideri.
Distacchi e fratture che lasciano posto alla rigenerazione continua, una possibilità di trasformazione che avviene da un punto preciso di interruzione, da un elemento di discontinuità che ci fa intuire una “trasgressione”, una violazione di un ordine precostituito.

Gioielli-scultura ispirati a equilibri geometrici precari pronti a frammentarsi in pochi istanti, in cui forme e strutture dialogano con la materia e rincorrono nuove prospettive spaziali.
E poi vi sono opere e monili ispirati al mondo naturale e animale, base per la progettazione di anelli, collane e orecchini dai profili sinuosi.
Suggestioni che ritroviamo a volte riprodotte con la tecnica della fusione a cera persa e l’impiego di metalli, altre volte inserendo veri elementi naturali o riproducendone le dimensioni e le fattezze con materiali poveri e di recupero.
Smalti, colori, pigmenti e pietre colorate invece si ravvisano in quei lavori artistici vicini alla pittura, lavori in cui ritroviamo tele ma anche ciondoli in dialettica con la superficie pittorica, confine labile che conduce il nostro sguardo verso nuovi punti di vista.

Rinascere
Mostra a cura di Marina Chiocchetta e Sonia Catena
Fino al 18 marzo 2021 alla Galleria Rossini
Viale Monte Nero 58, Milano
Tel: +39 02 39980146
Seguite Rinascere anche attraverso l’account Instagram di Galleria Rossini

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

Glittering comments

Laura
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Ciao cara Manu, avevo notato anch’io che scrivi molto meno ma non osavo chiederti…hai proprio ragione, siamo tutti così stanchi di questa vita virtuale e abbiamo bisogno di uscire dai gabbiotti dei PC, dei tablet e degli smartphone. Sono felice e curiosa di vedere questa mostra.
Come sempre, grazie di cuore per i tuoi articoli che aprono nuove possibilità di crescita e di bellezza. E oggi più che mai, ne abbiamo tanto bisogno. 🖐😘😘😘

Manu
Reply

Grazie, Laura cara.
Per le tue parole, per la tua attenzione, per la tua vicinanza.
Crescita e bellezza: hai proprio ragione, ne abbiamo tanto bisogno!

Un abbraccio (virtuale ma forte),
Manu

Daniela C.
Reply

Che bello leggerti di nuovo, cara Manu!
Inutile dirti che comprendo perfettamente la sensazione di “sospensione” che provi e la stanchezza che inizia a pesare terribilmente sulla “nuova quotidianità” che non riusciamo e non vogliamo accettare perché svuotata delle relazioni, degli incontri, della ricchezza che “l’altro” rappresenta…
Mi ha davvero colpita l’aneddoto su Monet (che adoro) e calza perfettamente in analogia a questa situazione. Ne farò quindi tesoro e cercherò di tenerlo ben presente nei momenti in cui mi sento più smarrita in questa pandemia che ha spostato tutti i punti fermi del nostro vivere. Cercherò di cogliere quegli spiragli di luce che i miei occhi possono ancora captare, magari da lontano, ma che colorano ancora in modo vero la nostra vita… E tu sei preziosissima perché capace di indicare ai miei occhi stanchi dove si può trovare vera luce… Luce di speranza, di rinascita, di bellezza!
Grazie Manu. Ti abbraccio con tutto il mio affetto.

Manu
Reply

Daniela carissima 🙂

Sai che, quando ho letto l’aneddoto su Monet, il mio cuore ha fatto le capriole, proprio per il motivo che tu hai sottolineato molto bene?
Il parallelo con questa nostra attuale situazione è davvero perfetto ed è stato dunque come trovare l’assist giusto nel momento giusto, nel momento in cui ne avevo tanto bisogno… è stato istintivo condividerlo con chi mi fa il dono di leggermi e ora tu mi dai conferma, sì, è stata la scelta giusta.

Siamo sospesi, smarriti, stanchi eppure no, non ci arrendiamo e ci ostiniamo a cercare ciò che perfettamente descrivi: luce di speranza, di rinascita, di bellezza.
Vera luce.
Non so se io sia davvero in grado di indicarla, ma sono onorata circa il fatto che tu lo pensi. Onorata, grata e spronata ad andare avanti.

Grazie dunque con tutto il cuore e ricambio l’abbraccio con una forza, un affetto e un’energia che nemmeno il digitale può smorzare o spegnere.
Manu

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