Manuale per i nati sotto il segno del cavolo

L’idea di identificare chi legge questo blog con l’espressione “i miei lettori” mi fa sentire una megalomane.

Sarà che non sono una giornalista professionista (sto lottando per diventare pubblicista) e tanto meno mi considero una scrittrice. Sarà che ancora non ci credo nemmeno io di aver trovato il coraggio di aprire il blog e dunque di dichiarare al mondo una passione bruciante che coltivo da sempre (scrivere). Sarà che mi sembra così bello e strano che ci sia chi è disposto a leggermi, nonostante le statistiche (che detesto) e gli strumenti di analisi (che spesso non comprendo) dicano che sì, in effetti adesso siamo in parecchi (e non smetterò mai di dire grazie).

Sarà che sono felice da impazzire e, come per tutte le cose belle, ho una dannata paura che un giorno il sogno si sgonfi, come un palloncino.

Per tutti questi motivi e per altri ancora mi sembra presuntuoso definirvi “i miei lettori”: preferisco pensare a una comunità di amici, anche se non conosco i vostri visi e anche se conosco di persona solo pochissimi di voi (spero che tutto ciò non suoni come la storia degli amici immaginari dei bambini).

Ed è per questo che con voi mi piace essere sincera e riesco a raccontarvi anche le mie debolezze o a farvi confessioni talvolta scomode, perché mi sento tra amici. E come avviene tra amici veri, credo che occorra essere sé stessi e dire la verità.

E dunque lo confesso, anche a costo di attirarmi qualche antipatia: quando mi si dice la frase “tu non puoi capire perché non hai figli” vado in orbita come un razzo lanciato da Cape Canaveral.

Perdonatemi ma la reputo una grossa cavolata e alle mie orecchie suona come una gigantesca scusa, un bisogno di giustificarsi, un arrampicarsi sui vetri. A volte, poi, detto da gente che è madre o padre da due mesi.

Ora, ditemi: forse rinunciamo ad andare al cinema perché non siamo registi? O forse non sappiamo dire se un piatto è buono perché non siamo cuochi?

Se un bambino sia educato o no o se sia simpatico o meno lo so vedere anch’io, sebbene non sia madre. Certo, cosa ben diversa è giudicare quanto sia difficile dare un’educazione e su questo preferisco non mettere naso: penso che fare il genitore sia il mestiere più duro che esista, ma, come in ogni ambito, non sopporto la supponenza e l’arroganza di coloro che pensano di essere genitori intoccabili, nemmeno fossero unti del Signore, perfetti – ovviamente – quanto i loro figli. Pura cecità, a mio avviso.

Non credo che esistano né genitori né figli perfetti in quanto non esistono esseri umani perfetti: preferisco i genitori che ce la mettono tutta e che si mettono in sana discussione. Quelli, per me, sono i genitori migliori.

Ho visto mamme fantastiche come la mia cara amica Cristiana dichiarare pubblicamente la difficoltà del suo ruolo. Al decimo compleanno della sua bimba, mi ha fatto emozionare quando ha scritto su Facebook “mi hai cambiato il concetto di vita e se spesso faccio fatica a fare la mamma, non finirò mai di dire che è la cosa più bella che mi sia accaduta”. Ecco, secondo me le madri come lei sono le migliori.

Per fortuna c’è la mia amica Irene Vella che, dopo aver sistemato le stronzamiche (vi ricordate il suo libro? ne ho parlato in un altro post), ora sistema anche i genitori intoccabili convinti di avere figli perfetti. E lei è mamma, per ben due volte, e di due figli molto diversi tra loro e non solo per età e sesso.

Un bel fermo immagine di Irene Vella ospite e “Uno Mattina” di Rai 1 per la presentazione del libro “Credevo fosse un’amica e invece era una stronza”
Un bel fermo immagine di Irene Vella ospite e “Uno Mattina” di Rai 1 per la presentazione del libro “Credevo fosse un’amica e invece era una stronza”

Irene mi è molto simpatica, anzi, la stimo proprio. Tanto.

In primis perché ha dato un rene (e non metaforicamente ma fisicamente) a suo marito – e scusate se è poco.

Poi perché è una donna in gambissima e, proprio per questo, è una che non crede nella competizione bensì nel fare squadra. Non ha bisogno di primeggiare perché le piace far bene ciò che fa.

Come se non bastasse, ora dimostra una notevole dose di autoironia anche verso il suo ruolo di madre e lo fa insieme a un’altra donna molto in gamba, Roberta Giovinazzo.

Irene e Roberta sono le autrici del libro “Nati sotto il segno del cavolo” e se state pensando al simpatico ortaggio sotto al quale pare che le cicogne lascino i bambini, vi dico subito che qui ci si riferisce piuttosto ai cavoli amari, quelli che si beccano in omaggio tutti coloro ai quali capita in sorte uno di quei figli non proprio facili, quei pargoletti arguti, vivaci e un po’ pestiferi, piccole bocche della verità che dicono cose scomode in ogni occasione, mettendo in perenne imbarazzo i genitori i quali finiscono per sentirsi persone sbagliate con figli sbagliati.

Figli nati non sotto il segno del leone o dei pesci, insomma, ma proprio sotto un segno del cavolo!

Ma a questo punto occorre porsi una domanda: siamo così sicuri che questi bambini siano sbagliati? O piuttosto bisognerebbe accantonare l’utopia del figlio perfetto, inesistente tanto quanto quella del genitore perfetto?

Irene e Roberta hanno scritto questo “manuale di sopravvivenza per mamme che si sentono sbagliate” proprio per raccontare tutta una serie di avventure ed esperienze che la maternità comporta: rompono il tabù che vuole che questa esperienza sia un continuo idillio, uno stato di gioia perpetuo e ammettono che non è tutto rose e fiori, come si suol dire, specialmente se si hanno figli come Gnomo e Biscotto, i loro rispettivi pargoli.

Uniti sullo scaffale di una libreria: “Nati sotto il segno del cavolo” e “Credevo fosse un’amica e invece era una stronza”
Uniti sullo scaffale di una libreria: “Nati sotto il segno del cavolo” e “Credevo fosse un’amica e invece era una stronza”

Gnomo e Biscotto, ovvero Gabriele e Alessandro, sono due “bimbi-merda”, come vengono soprannominati dalle loro madri. No, non gridate allo scandalo e non chiamate il Telefono Azzurro, non è un dispregiativo né trattasi di maltrattamenti, è una constatazione alla quale lo Gnomo risponde semplicemente “mamma, ma lo sai che se io sono un bimbo-merda, tu sei una mamma-merda, visto che mi hai deposto?”, dimostrando quanto ciò che esce dalla boccuccia di un bambino possa essere tagliente quanto una lama affilata.

Irene lo dice senza mezze parole: il suo intento è quello di squarciare “il famoso velo che vuole che tutti i bambini siano buoni, bravi, educati e gentili”. E continua affermando che “la verità è che ci sono anche gli adorabili bimbi-merda (anche perché dopo un libro sulle stronzamiche mica potevo passare alla florovivaistica), partendo proprio dal mio”.

Ammettiamolo, oltre a essere sinceri fino al midollo, i bambini possono essere incredibilmente cinici, solo che, contrariamente agli adulti, non agiscono con calcolo o malizia.

L’intento dichiarato viene ampiamente raggiunto e il risultato di questo lavoro a quattro mani e due cuori è un libro divertente, ironico e autoironico: aiuta a imparare ad accettarsi come madri – se lo si è – e ad essere più comprensivi e indulgenti verso questo difficilissimo mestiere – anche se non lo si fa.

Raccontando la loro esperienza, Irene e Roberta vogliono trasmettere un messaggio: a un figlio non serve una madre perfetta, ma una madre che lo ami. E altrettanto a una madre non serve un figlio perfetto, ma un figlio sereno e libero di essere sé stesso.

“Nati sotto il segno del cavolo” raccontato in quarta di copertina
“Nati sotto il segno del cavolo” raccontato in quarta di copertina

Ho letto il libro lo scorso sabato, sdraiata sul letto, con qualche luce accesa a farmi compagnia: nel silenzio ovattato, ogni tanto risuonava la mia risata. È stato il miglior sabato pomeriggio degli ultimi tempi ed è una cosa straordinaria se pensate che mi sono immedesimata nonostante non sia mamma e che per giunta sono sprovvista di senso materno: penso che se un libro riesce a far immedesimare perfino chi non si trova nella condizione narrata… beh, allora significa che è stato fatto un lavoro davvero ottimo.

Leggete “Nati sotto il segno del cavolo” se vi accingete a essere genitori: secondo me è meglio di tanti manuali di puericultura o pedagogia, perché è autentico e sincero e non vi farà sentire inadeguati.

Leggetelo se siete già genitori.

E leggetelo anche se, come me, non lo siete: insegna qualcosa a tutti, lo ripeto. Ho riflettuto su un sacco di cose, inclusa la frase “tu non puoi capire perché non hai figli” e in parte mi sono ricreduta: spesso è usata a sproposito, è vero, ma a volte ci sta.

Non chiedetemi dove fossi quando hanno distribuito l’istinto materno: la risposta è non lo so, so solo che ero assente e che ne sono completamente priva. E posso anche dirvi quanti milioni di volte le persone hanno cercato di farmi sentire una donna inadeguata o sbagliata per questo motivo, da coloro che predicano sul mio orologio biologico che si è fermato (e che ripartirà, ipotizzano, quando sarà troppo tardi) a coloro che prevedono miei pentimenti futuri fino a coloro che mi dicono che un giorno mi ritroverò sola (come se i figli fossero una polizza contro la solitudine nonché una proprietà).

Io & “Nati sotto il segno del cavolo”
Io & “Nati sotto il segno del cavolo”

Penso che, se lo si desidera, fare la mamma sia l’esperienza più bella del mondo: se lo si desidera, lo sottolineo, perché è “anche sfiancante, stremante e assoluta”, un “personale dispenser di ossimori, gioie-dolori, fatica-riposo, partenze-arrivi, frustrazioni-soddisfazioni, silenzi-parole, vicinanza-allontanamento”, come scrivono Irene e Roberta. Dunque occorre desiderarlo davvero, altrimenti è meglio fare dell’altro e qui sono anch’io onesta ai limiti del cinismo, esattamente come un bambino: io non lo desidero e non mi sento affatto sbagliata per questo.

(Colgo l’occasione per ringraziare con estrema gratitudine mia madre che, per mia fortuna, non l’ha pensata come me che sono una bestiaccia grama. Lei si è sempre fatta in quattro se non in otto per me e mia sorella ed è stata meravigliosa senza credersi perfetta.)

Credo che – per paradosso e per un altro ossimoro – io possa capire molto bene Irene e Roberta: posso capire come si sentono ogni volta in cui, essendo madri imperfette di figli imperfetti, gli altri tentano di farle sentire sbagliate, esattamente come molti hanno cercato di fare sentire sbagliata me perché non desidero un figlio.

Giusto alcuni giorni fa ho trovato una foto su Instagram, una vignetta che recitava “libro dal latino “liber”, essere liberi”. In realtà, libro viene sì dal latino liber ma non dall’aggettivo che indica la libera condizione bensì dal sostantivo che originariamente indicava la parte interna della corteccia che in certe piante assume aspetto di lamina e che, disseccata, era usata in età antichissima come materia scrittoria; di qui il significato divenuto poi più comune.

Tuttavia, devo dire che la svista sull’origine della parola non mi dispiace in quanto, in fondo, è evocativa e porta all’essenza, alla verità: leggere ci rende liberi. Il libro di Irene e Roberta, per esempio, rende liberi dalla sindrome di essere genitori perfetti a tutti costi, grave quanto quella di essere genitori distratti.

E questo è a mio avviso il pregio più grosso di “Nati sotto il segno del cavolo”, un pregio che si può estendere non solo ai genitori: il libro è infatti un ottimo rimedio contro il costante senso di imperfezione e inadeguatezza che attanaglia quasi tutti.

Anche perché l’imperfezione può essere pregio e ricchezza se solo riusciamo ad accettarla. Ma chissà perché c’è sempre qualcuno che vuole invece farci sentire sbagliati.

Sono esplosa in una standing ovation quando ho letto una frase di Roberta, direttore commerciale di un’azienda oltre che madre e autrice: “se sei uomo e giri il mondo, sei un uomo d’affari che mantiene la famiglia a casa; se sei donna e giri il mondo, sei solo una che mette la propria carriera davanti a tutto”. Triste verità che riesce insopportabile anche a me e non si può certo dire che sia di parte visto il mio mancato spirito materno.

Concludo dicendovi che Irene mi ha fatto un regalo meraviglioso, come potete vedere dalla foto qui sopra.

La prossima settimana, precisamente sabato 22 novembre, Irene e Roberta presenteranno “Nati sotto il segno del cavolo” allo Spazio Asti 17 a Milano nell’ambito della manifestazione Natura Donna Impresa: a confrontarsi con loro ci saranno le giornaliste Viviana Musumeci e Sabrina Antenucci più la sottoscritta.

Irene e Sabrina sono mie amiche e finalmente conoscerò di persona Viviana dopo un’amicizia su Facebook (tra l’altro Viviana è anche contributor del libro con un pezzo sulla figlia Zoe, pezzo che sfata in maniera eccellente un altro sciocco luogo comune, quello che vuole che i figli unici soffrano necessariamente di solitudine): non vedo l’ora di incontrare Roberta, sono molto curiosa dopo aver letto il libro. E io? Io spero di essere all’altezza di questo gruppetto di donne straordinarie.

Vi aspettiamo sabato 22 novembre!

Una cosa è certa: d’ora in poi, se qualcuno osa dirmi la solita frase “tu non puoi capire perché non hai figli”… giuro che gli sguinzaglio dietro Gnomo e Biscotto.

Senza fornire manuale di sopravvivenza, ovvio.

Manu

 

 

 

 

“Nati sotto il segno del cavolo” ovvero “Manuale di sopravvivenza per mamme che si sentono sbagliate”

Un libro di Irene Vella e Roberta Giovinazzo

Prefazione di Cristina Parodi e Rita Dalla Chiesa

Novecento Editore

Pagine 189, euro 9,90 (un affare, ve lo garantisco, per avere in cambio questa fantastica chiave di sopravvivenza!) – collana Italia/Italie – eXtra

ISBN 978-88-95411-80-4

In rete, trovate “Nati sotto il segno del cavolo” su Novecento ShopIbs, Feltrinelli e Amazon.

Trovate Irene anche sulla pagina Facebook del libro.

Il blog di Irene: qui

Se volete rileggere il mio articolo sul libro di Irene “Credevo fosse un’amica e invece era una stronza” lo trovate qui e qui, invece, trovate la mia avventura con lei alla Scuola Comica di Cucina.

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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Irene Navarra
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Devo leggerlo questo libro. Mi hai davvero incuriosita con il tuo simpaticissimo articolo. E poi ho un’altra ragione: credo di avere un nipote molto simile a Gnomo e Biscotto. Ergo: voglio scoprire se ho una figlia come Irene e Roberta. Quanto al senso materno, ti comunico senza vergogna che NON NE AVEVO UN BRICIOLO né prima né dopo la nascita della mia unica creatura. Si è sviluppato progressivamente, invece, nei suoi riguardi un sentimento di complicità e amicizia (amore puro, quindi) tanto forte da fugare ogni dubbio di infame inadeguatezza. Così, un po’ alla volta, ho smesso di sentirmi in colpa e ho mandato alla malora tutte le comunelle di parenti malvagi che cospiravano sussurrando stupide profezie apocalittiche sul futuro della mia progenie. Avrebbero dovuto preoccuparsi di più dei loro pargoli. Il presente lo illustra con chiarezza. Alé!
Ti abbraccio affettuosamente,
Irene

Manu
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Oh sì, cara Irene: dopo avermi fatto queste confidenze, devi leggere il libro, devi scoprire la “verità” su tuo nipote e su tua figlia 😉
A parte gli scherzi, ti ringrazio e non solo per le parole gentili verso articolo e libro, ma soprattutto per aver condiviso la tua esperienza che mette in luce alcuni aspetti molto importanti.
Prima di tutto, mi confermi che non sono l’unica a non essere dotata di senso materno, è una cosa che può capitare; poi, perché dimostri come una donna che non sia dotata di tale senso possa comunque decidere di essere madre, giungendo a una conclusione diversa dalla mia (e io adoro le infinite possibilità alle quali ognuno di noi giunge attraverso il proprio personale percorso); infine, perché avvalori ciò che accennavo in parte nel post, ovvero che possono esistere molti modi di essere madre e che nessuno è migliore dell’altro.
Sono pronta a scommettere che, nonostante l’assenza di quel benedetto senso materno, tu sia un’ottima madre: da cosa lo desumo? Dalle parole magiche che hai scritto, ovvero complicità, amicizia, amore puro.
Cos’è, in fondo, la maternità se non questo, comprensione, accoglienza e amore puro? Tutto il resto si impara.
D’altro canto, mi sembra di capire che il tempo ti abbia dato ragione: non è detto che genitori perfetti sulla carta crescano figli perfetti nella realtà.
Hai detto bene, quei parenti che cospiravano con profezie apocalittiche avrebbero fatto bene a occuparsi dei loro affari e pargoli: la storia è piena di ottimi genitori con pessimi figli, di pessimi genitori con ottimi figli e di genitori normali con figli normali. Evviva e per fortuna!
Ti abbraccio anch’io e ti ringrazio, tanto.
Manu
P.S.: Irene tu e Irene l’autrice del libro. Un nome… un destino? 😉

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