L’Oste della Bon’Ora, ode alla buona tavola e alla qualità del tempo

Se mi chiedessero di descrivermi con un solo aggettivo, credo che sceglierei curiosa.

Specifico che la mia è una curiosità da intendersi in senso del tutto positivo (nulla che abbia a che vedere con la morbosità verso i fatti personali altrui, per esempio): è un appetito che non sazio mai, è un istinto profondamente radicato e che non mi abbandona, è uno stimolo che mi spinge costantemente a esplorare le infinite sfaccettature della vita. Ciò che non conosco non mi spaventa, anzi, al contrario, mi solletica.

Tra i vari termini che ho usato figura appetito e sapete una cosa? Ci sta proprio bene, metaforicamente e letteralmente, perché il cibo è ai primi posti tra le mie curiosità: è uno dei miei tantissimi interessi e, se sono negata a cucinare (lo confesso con una certa vergogna), sono invece bravissima a mangiare. Mi ritengo una campionessa a livello olimpico o meglio una buongustaia.

Mi piace mangiare e bere bene (bere con moderazione, ben inteso) e mi piace fare tutto ciò in compagnia (buona compagnia): sono una forchetta di tutto rispetto e, nonostante la mia stazza non sia affatto imponente, tanti rimangono sorpresi per quanto il mio appetito risulti robusto.

Curiosità e gusto per la (buona) tavola vanno molto d’accordo, si sa, e sono proprio queste due caratteristiche – insieme al mio grande amore per Roma – ad avermi fatto accettare l’invito a provare la vera cucina della capitale giunta qui a Milano per una trasferta temporanea: abitualmente, trovate L’Oste della Bon’Ora nella sua storica location di Grottaferrata, nello splendido contesto dei Castelli Romani, ma fino al 28 febbraio potete incontrare Massimo Pulicati – l‘Oste – in uno spazio al secondo piano del celebre Eataly Smeraldo, tempio meneghino in cui si celebra l’eccellenza della cucina italiana.

L’Oste della Bon’Ora è un ristorante a conduzione familiare (primo aspetto che ho apprezzato): lo staff è composto da Massimo e dalla moglie Maria Luisa insieme ai figli Marco e Flavio. Tutti insieme dedicano attenzione non solo nei confronti di una cucina tradizionale rivisitata con un giusto tocco di creatività, ma anche verso le esigenze di ogni singolo avventore (e siamo già al mio secondo apprezzamento), inclusi vegetariani, vegani e celiaci.

L’accoglienza della quale si gode presso di loro è calorosa e al tempo stesso schietta, sincera e naturale: aspettatevi cortesia ma nessun atteggiamento affettato, artificioso o costruito. È proprio ciò che piace a me, tant’è che siamo arrivati rapidamente al terzo punto a favore di Massimo che, naturalmente, è il protagonista di tale accoglienza, mentre Maria Luisa – lo Chef – tiene perfettamente d’occhio tutto ciò che avviene in cucina.

A proposito di tenere d’occhio: da Eataly Smeraldo si può mangiare ai tavolini oppure seduti al banco posto davanti ai fornelli, osservando Maria Luisa che si dedica alla preparazione dei piatti e godendo della compagnia di Massimo che intrattiene con racconti e curiosità. Inutile dire che io e Serena, collega che stimo e con la quale ho condiviso questa esperienza, abbiamo scelto di stare al banco, visto che siamo animate dalla stessa curiosità e dalla stessa passione per il cibo: tra l’altro, anche lei è minuta e anche lei è un’ottima forchetta. Ve l’ho detto, mi piace condividere i momenti di gioia gustativa con la giusta compagnia.

Massimo e Maria Luisa hanno forse captato questa nostra curiosità e ci hanno fatto provare parecchi dei loro piatti che, proprio all’insegna della migliore convivialità, Serena e io ci siamo scambiate, commentando, annusando, assaporando ogni piccola sfumatura e facendo perfino la scarpetta, ve lo confesso.

Tra i miei piatti preferiti, vi segnalo gli antipasti (tartare battuta al coltello con cavolo rosso marinato all’arancia e crema di ceci con crostini al rosmarino, due piatti davvero fenomenali), gli immancabili saltimbocca (di nome e di fatto, ve l’assicuro… aspettate, devo deglutire, ho ancora l’acquolina) e infine la crema alla Maria Luisa con scorza di arancia, ovvero una reinterpretazione davvero sublime della tradizionale crema pasticcera.

Maria Luisa sostituisce la farina (e quindi il glutine) affinché la crema possa essere gustata anche da chi è celiaco e io la ringrazio personalmente per tale raffinatezza: mia mamma soffre di questa malattia e dunque sono particolarmente sensibile alla questione e sono felice quando rilevo attenzione, cosa che – tra l’altro – ci riporta al primissimo punto a favore de L’Oste della Bon’Ora, ovvero la capacità di accogliere e includere tutti in modo sincero e autentico.

Vi assicuro che questa crema pasticcera è un’esperienza da provare, parola di una persona che è più incline al salato: datemi retta, se andate a trovare Massimo e Maria Luisa lasciatevi uno spazio per il dolce!

Dunque, ricapitolando, a che punto sono arrivata? Ho parlato di conduzione familiare, di attenzione e rispetto verso tutti, di accoglienza, di cucina tipica interpretata con mano sapiente: siamo arrivati alla promozione a pieni voti, insomma, quattro punti su quattro.

Oltre a mangiare, ascoltare, chiacchierare con Massimo e Serena, osservare Maria Luisa, sono stata tanto brava da ricordarmi di fare qualche foto!
Oltre a mangiare, ascoltare, chiacchierare con Massimo e Serena, osservare Maria Luisa, sono stata tanto brava da ricordarmi di fare qualche foto!

Posso concludere affermando che L’Oste della Bon’Ora mi ha offerto un’esperienza a tutto tondo, come piace a me, dal punto di vista umano e dal punto di vista dei contenuti, della capacità, della competenza e della passione, elemento che è presente in abbondanza, si vede e si sente.

D’altro canto, non sono l’unica a pensarla così: il ristorante è presente nella Guida Michelin (con due forchette) e su Gambero Rosso (con due gamberi), giusto per fare un paio di nomi illustri e di chiara fama nonché competenza. E, nel corso degli anni, L’Oste della Bon’Ora ha stretto collaborazioni illustri e significative, tra cui quella con Eataly e quella con Alleanza dei Cuochi Slow Food.

Tra i primi a riconoscere il talento di Massimo c’è stato Luigi Veronelli, celeberrimo enologo, cuoco e gastronomo ricordato come una delle figure centrali nella valorizzazione e nella diffusione del patrimonio enogastronomico italiano. Autentico antesignano di punti di vista oggi condivisi da molti (se non da tutti) e protagonista di battaglie appassionate per la preservazione delle diversità nell’ambito della produzione agricola e alimentare, fu proprio Veronelli a consigliare a Massimo di «farsi oste».

Al suo fianco da diversi decenni, Maria Luisa Zaia è assolutamente perfetta: figlia d’arte della cuoca di un ristorante di consolidata tradizione, ha appreso dalla madre, tipica sora romana, ricette e segreti culinari che lei, con dedizione e ingegno, ha in parte reinterpretato con squisito gusto personale, senza però mai dimenticare autenticità e genuinità.

Il matrimonio – in tutti i sensi! – tra Massimo e Maria Luisa è così ben riuscito da meritare una storica recensione di Veronelli: «L’Oste della Bon’Ora, segnalo bene, è uno dei vertici della cucina reale», scrisse.

Mi sento di testimoniarlo a mia volta in prima persona e sentitamente ringrazio il grande gastronomo per quel prezioso consiglio dato a Massimo: un applauso va naturalmente anche alla capacità da parte della simpatica coppia di saper mettere perfettamente in atto il suggerimento, arrivando al grande risultato di riuscire a far trascorrere del buon tempo a chiunque varchi la loro soglia, sia qui a Milano, temporaneamente, o stabilmente a Grottaferrata, sentendosi sempre come a casa.

Ora lo so, Bon’Ora non è affatto un appellativo casuale e tutti sappiamo quanto e in quale misura, oggi più che mai, la qualità del tempo sia diventata una questione fondamentale.

E poi, il buon cibo non riempie solo bocca e stomaco: appaga occhi e naso, sazia cuore e mente.

Manu

 

 

 

 

Fino al 28 febbraio 2017, trovate L’Oste della Bon’Ora a Milano, al secondo piano di Eataly Smeraldo, in Piazza XXV Aprile al civico 10.

Trovate il ristorante in pianta stabile a Grottaferrata (Castelli Romani) in Viale Vittorio Veneto 133 – Tel. 06 9413778.

Qui trovate il sito, qui la pagina Facebook e qui l’account Instagram.

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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