Con un macigno sul cuore, pensando a Sara Di Pietrantonio

Il mio è un blog potenzialmente stupido, lo so.
A glittering woman parla spesso di moda e so perfettamente che per molti si tratta di un argomento altamente superficiale e frivolo.
In realtà, questo piccolo spazio vorrebbe (il condizionale è d’obbligo) essere leggero che è cosa ben diversa dalla superficialità o dalla stupidità; vorrebbe, semplicemente, parlare di tutto ciò – e non solo la moda – che rende più bella e più lieve la vita.
Sapete, invece, quando mi sento stupida sul serio e nel modo peggiore?
Mi sento stupida ogni volta in cui ho la dimostrazione che ogni tentativo di sottolineare il bello della vita rischia di essere del tutto inutile.
Mi sento stupida, impotente e illusa ogni volta in cui una ragazza come Sara Di Pietrantonio, 22 anni, viene barbaramente uccisa.
Com’è tristemente noto attraverso le cronache di questi giorni, a massacrare Sara è stato l’ex-fidanzato: dopo quello che è stato un agguato e un’esecuzione, dopo averla tramortita strangolandola per poi darla alle fiamme, Vincenzo Paduano, 27 anni, è tornato al lavoro. Come se nulla fosse.
Atrocità nell’atrocità: è una guardia giurata, una figura che dovrebbe rappresentare la legalità e difendere l’ordine.
Agli inquirenti non è servito molto tempo per arrivare a lui: ha confessato dopo un interrogatorio durato otto ore, ammettendo che il movente del delitto è la gelosia. Non sopportava il fatto che la storia con Sara fosse finita, non tollerava l’idea che lei potesse stare con un altro.
Cercherò di restare lucida perché, nonostante l’immenso dolore che provo pensando a Sara e nonostante il profondo disprezzo che covo verso Paduano, penso che l’unico modo di fare qualcosa di vagamente buono sia quello di mantenere un equilibrio, sebbene molto precario. Non voglio infatti che questo resti l’ennesimo fatto di cronaca che verrà dimenticato tra qualche giorno o tra qualche settimana: non sarò io a fare la differenza, non mi illudo, ma voglio fare qualcosa dando voce ad alcune riflessioni.
Vedete, magari noi – io che scrivo e voi che state leggendo – ci sentiamo fortunate, ci sentiamo diverse da Sara: penso invece che il confine sia labile e che la fortuna sia un concetto beffardo.
Cosa determina la fortuna di incontrare un uomo diciamo normale e cosa determina, invece, la sfortuna di incontrarne uno (corteggiatore, fidanzato, compagno, marito, ex) che ci consideri un oggetto?
Cosa può metterci al riparo dall’eventualità di trovare un uomo come Paduano sulla nostra strada? Cosa può garantirci che il ragazzo o l’uomo tanto carino e gentile che abbiamo appena conosciuto non si trasformi un giorno in un aguzzino?
La risposta, purtroppo, è niente, nulla può metterci al riparo con assoluta certezza e questo perché la normalità è il concetto più relativo che esista: non possiamo farvi affidamento così come non possiamo affidarci alla fortuna o al caso.
Sarebbe tutto troppo inconsistente: mostri e assassini sono spesso reputati persone normali fino al giorno prima ed è questa la cosa che mi terrorizza e che non mi fa affatto sentire diversa da Sara.
Paduano è questo, è un assassino: so che in Italia una persona è da ritenersi innocente o presunta colpevole fino all’ultimo grado di giudizio, ma voglio ricordare che è reo confesso. Ha ammesso di aver ucciso Sara e questo fa di lui un assassino nella sostanza, oltre la forma, oltre il bisogno di essere sempre politically correct, oltre i termini tecnici del linguaggio legale, oltre il necessario percorso giudiziario.
Resisterò alla tentazione di aggiungere qualsiasi aggettivo (nonostante mi tremi la mano sulla tastiera e nonostante la tentazione sia fortissima), ma rivendico il diritto di chiamarlo per ciò che è: è un assassino – e lo ripeto per l’ennesima volta, lo scrivo di nuovo ribadendolo e sottolineandolo. Perché penso che l’uso delle parole sia fondamentale per sancire la gravità nonché per catturare la sostanza e su questo concetto tornerò a breve.
Allo stesso modo, rifiuto la sua spiegazione, quella di aver avuto un raptus non premeditato, perché in realtà perseguitava Sara da tempo, perché la seguiva e la spiava costantemente attraverso una app del cellulare, perché è sparito per una settimana prima del delitto per poi cercare nuovamente la giovane presentandosi con una tanica di liquido infiammabile. Tutto questo non può farmi pensare a un raptus improvviso.
Cosa possiamo fare, allora, per fermare gli assassini come Paduano visto che non possiamo affidarci all’inconsistenza di fortuna e normalità? Non si può certo nemmeno vivere nell’eterna paura, non si può guardare chiunque con sospetto, non si può vivere di riserve e col freno tirato.
Non sono una psicologa né un giudice, ma ho alcune idee in quanto donna e persona.
In primissima istanza, noi donne dobbiamo trovare la forza e il coraggio di denunciare persecutori e aguzzini. Purtroppo, da questo non si prescinde e scrivo purtroppo perché sono conscia del fatto che nemmeno la denuncia sia una garanzia assoluta, eppure senza denuncia si è irrimediabilmente in un vicolo cieco.
Secondo le amiche di Sara, ci sarebbe stato un brutto episodio precedente che la ragazza non aveva voluto denunciare, pare per non causare problemi all’ex sul lavoro: oggi tale scrupolo appare come un’atroce beffa e dunque insisto con decisione a proposito della necessità di denunciare.
Poi, penso che tutti quanti dovremmo iniziare a pensare meglio alle parole che usiamo, perché le parole possono essere più pesanti di un macigno e più taglienti di una lama, oppure possono togliere importanza a cose e fatti gravissimi.
Possiamo non dire né scrivere più espressioni come “delitto passionale” o “omicidio passionale” o ”crimine passionale”, perché non c’è passione nel togliere la vita a un altro essere umano. Mai, in nessun caso. E non mi piace nemmeno il termine “femminicidio”, semplicemente perché l’omicidio è omicidio.
Possiamo non dire né scrivere più espressioni come “amore malato”, perché è il più insensato, beffardo e atroce degli ossimori. Se è malato, non è amore; è un’altra cosa, non so cosa, ma non è amore. Forse è egoismo, possesso, prepotenza; è anche follia e malattia, a volte. Ma non è amore.
Spogliamo delitto e omicidio di qualsiasi valenza romantica, anche se in qualità di eco lontana; separiamo l’amore dal possesso, dall’egoismo, dalla violenza fisica e psicologica.
Possono sembrare banalità e futilità rispetto al problema, ma non lo sono, in realtà è il primo di molti passi necessari: l’educazione dei pensieri e dei sentimenti passa anche attraverso le parole. Sceglierle bene aiuta a riflettere, aiuta a soppesare meglio pensieri e azioni.
Naturalmente, questo non basta, nemmeno lontanamente.
Ho nominato educazione dei pensieri e dei sentimenti: urge a mio avviso dare spazio a un’autentica educazione sentimentale, nelle famiglie – prime cellule della società – e nelle scuole. Serve più cultura del rispetto, serve lottare contro quella mentalità molto pericolosa che tende a trovare alibi per i carnefici e che cerca di colpevolizzare in qualche modo le vittime. È pericolosa perché è come un serpente che striscia semi-nascosto nell’erba, mentre è necessario diffondere con chiarezza il concetto che chi usa la violenza non ha alibi e chi la subisce non ha colpe.
Occorre implementare e sostenere i servizi nei centri anti-violenza.
Occorrono pene giuste e severe. Occorre che lo stato agisca in modo tale da proteggerci: se esiste un vuoto legislativo, occorre colmarlo; se esiste già tutto ciò che serve, allora occorre applicazione.
Si chiama certezza della pena: non fermerà forse i folli o i malati, ma può fermare coloro che premeditano, gli assassini che agiscono con intento.
Della certezza della pena si discute da tempo immemore e ne trattarono giuristi come Cesare Beccaria già nel ‘700: ci sarebbe da chiedersi se oggi in Italia esista tra cavilli, eccezioni, interpretazioni, riti abbreviati nonché uscite per buona condotta, condoni, amnistie e indulti. Io, a volte, penso che la risposta sia no e questo è gravissimo, perché ciò rischia di vanificare il coraggio di chi denuncia e perché rischia di perpetrare la violenza due volte.
Bisogna infine prendere atto di una verità scomoda, ovvero il fatto che la violenza non è mai da sola a uccidere: molto spesso – se non sempre – è accompagnata dall’indifferenza.
E qui arriviamo all’ultimo punto.
La nostra vita, ormai, è in mostra. Social network e app di ogni tipo ci espongono, a volte troppo.
Questo ci mette in grado di sapere tutto di tutti, ha permesso a Vincenzo Paduano di spiare e perseguitare Sara Di Pietrantonio.
Eppure, nonostante tutti o quasi siamo esposti, nonostante tutti o quasi ci facciamo i fatti altrui, paradossalmente siamo tutti sempre più soli: non solo, è cresciuta esponenzialmente l’indifferenza, prova ne è – purtroppo – il fatto che nessuno abbia aiutato Sara.
Sì, perché com’è anche questo stato sottolineato, Paduano ha rincorso Sara che gli era in un primo momento sfuggita: lei ha chiesto aiuto ad alcuni automobilisti che però hanno tirato dritto.
Ve lo confesso, mi sono chiesta cosa avrei fatto al posto delle due persone che non si sono fermate e che sono poi state identificate.
Mi sono chiesta se, al loro posto, io mi sarei fermata a notte fonda, in una strada poco illuminata e con poche case: non voglio fare l’eroina, non lo sono, e quindi vi dico la verità. La verità è che non lo so, non so cosa avrebbe prevalso in me, se il coraggio o magari la paura, così com’è accaduto a quelle due persone che ora, probabilmente, dovranno fare i conti con tutto ciò per il resto delle loro vite.
So però che le parole pronunciate a seguito di questo orribile fatto da Luigi Silipo, comandante della Squadra Mobile di Roma, continuano a echeggiare nella mia testa: “Ci vuole coraggio da parte dei cittadini, da parte di chi passa e vede qualcuno in difficoltà, una telefonata al 113 è gratis e se si vedono cose strane è dovere chiamare le forze dell’ordine”.
Ecco, credo che in futuro penserò spesso a queste parole.
Perché è nella solitudine, nel silenzio, nell’ignoranza e nell’indifferenza che prosperano gli assassini e i mostri.
Perché le forze dell’ordine non possono fare molto se ogni cittadino non fa il proprio ruolo di essere umano. Ognuno di noi deve avere un ruolo attivo nella società.
Perché se qualcuno identifica una colpa nel fatto di non denunciare un compagno violento, allora lo è altrettanto il fatto di passare oltre ed essere indifferenti. Naturalmente, lo dico per prima a me stessa.
Mi gira la testa, ve lo giuro.
E oggi è uno di quei giorni in cui, più che mai, mi chiedo come posso ancora credere che la bellezza salverà il mondo.
Capita che io pensi di chiudere questo spazio. Lo penso a causa di cose che vivo nel mio ambiente e che mi piacciono sempre meno; mi rendo conto che, in realtà, lo chiuderò nel momento in cui sarò sopraffatta dalla certezza che la bellezza non possa vincere. Sarebbe quella l’unica cosa veramente grave e l’unica in grado di rendere inutile questo spazio uccidendolo.
Al momento lotto per crederci ancora, eppure oggi sono piena di dubbi. Sono davvero stupida? Sono forse illusa e sbagliata?
O forse è più sbagliato di me chi, come Vincenzo Paduano, vuole uccidere la bellezza della vita, vuole esserne padrone?
Forse occorre continuare a credere nella bellezza per non perpetrare l’ultimo oltraggio a Sara?
Forse gli assassini, oltre che nella solitudine, nel silenzio, nell’ignoranza e nell’indifferenza, prosperano anche nel buio e nel sonno della ragione generato dall’assenza di cultura, di educazione e di bellezza?
O è una favola che ci raccontiamo – che mi racconto – per continuare a vivere, per continuare a dare un senso alle cose?
Non lo so. Non conosco la risposta.
So solo che, dopo aver provato a condividere tutti questi pensieri, mi sento svuotata: il dolore, la rabbia e l’impotenza che ho cercato di tenere a bada fino a questo punto tornano ora a riempirmi e a invadermi con prepotenza.
E resta solo la morte di Sara Di Pietrantonio, 22 anni e tanti sogni che non si avvereranno mai.

Mi chiudo nel silenzio. C’è anche troppo su cui riflettere.

Manu

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

Glittering comments

Claudia
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Credo che continuare a scrivere come ben tu fai su questi argomenti aiuta tutti noi a pensare e riflettere…forse a far scattare quel pensiero su “agire” da essere umane e civile. La bellezza viene dal cuore, dalla capacità di guardare il mondo , interpretarlo, conoscerlo, capirlo…e a volte giudicarlo e condannarlo. Continua

Manu
Reply

Grazie, Claudia.
Cerco di respingere lo stereotipo della definizione di un unico genere per questo spazio in quanto scrivere è per me qualcosa di più ampio, è uno dei modi attraverso i quali interagisco.
Ecco perché ti sono grata per aver colto tale spirito e di avere a tua volta interagito con me: grazie, di cuore, il tuo intervento e la tua opinione sono i benvenuti e sono preziosi.
Ti abbraccio, da essere umano a essere umano, da donna a donna.
Manu

Bat1084
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Lui l’aveva vista che si baciava con un altro

Manu
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… Sai, caro o cara Bat1084, oltre a non capire se tu sia uomo o donna, non capisco dove voglia andare a parare il tuo commento poco chiaro.
L’aveva vista baciare un altro? E quindi?
Dimmi che è uno scherzo, dai. Anche se di pessimo gusto.
Ma siccome non sono certa che lo sia e non capirlo mi procura un certo disagio, ti dirò ciò che penso, perché le tue poche parole riescono a evocare scenari assai poco rassicuranti.
Se sei una donna, stai tristemente rischiando di confermare quel brutto luogo comune che vuole che noi donne, a volte, sappiamo essere le peggiori nemiche di noi stesse e delle altre; se sei un uomo, mi ricordi pericolosamente qualcuno e una certa mentalità dura a morire. Tale riflessione vale anche se sei una donna, naturalmente, poco importa.
Potrei arrivare a comprendere (molto vagamente) le tue parole solo nel caso in cui tu avessi 15 anni (è così?) e in tal caso le imputerei a immaturità e inesperienza, sebbene daresti ulteriore peso alla mia teoria a proposito della necessità e dell’urgenza di un’educazione sentimentale.
Eppure, non voglio chiuderti la porta in faccia e, nel caso in cui tu voglia esplicitare meglio il tuo pensiero, mi trovi qui, possibilmente con un commento e un confronto più costruttivo e più chiaro.
Nel caso in cui io abbia frainteso (certo, anche l’indirizzo e-mail fasullo che hai lasciato non aiuta a farmi una grande opinione a proposito delle tue parole…), ti chiedo scusa per la mia durezza e per la mia severità.
Sono stata anche un po’ aggressiva, lo ammetto, ma sai, su questioni tanto gravi non mi piace scherzare né mi piacciono le posizioni poco chiare.
Avrei anche potuto cancellare il tuo commento, ma ho preferito non farlo. Ho preferito non passare oltre.
Un saluto,
Manu

monica
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..ma non pensarci neanche e non smettere mai di scrivere.La bellezza salvera’il mondo. Non c’è nessun punto di domanda,è una certezza.

Manu
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Grazie, Monica.
Voglio lasciarmi scaldare dalla tua forza. Voglio seguirti: nessun punto di domanda.
Ti abbraccio,
Manu

Giulia
Reply

Ciao Manu, sono d’accordo con te su tutto.
L’unico dubbio è per la parola femminicidio… Forse serve a sottolineare un problema…
Un abbraccio,
Giulia

Manu
Reply

Ciao Giulia,
Grazie per il tuo prezioso contributo e grazie, in modo specifico, per essere tornata sulla questione dell’uso della parola femminicidio.
Te ne sono davvero grata, perché mi offri la possibilità di approfondire a tal riguardo.
In effetti, dici una cosa molto giusta: forse è un modo per sottolineare il problema, per porre l’accento.
Mentre rinnego categoricamente e con energia le espressioni “delitto passionale”, “omicidio passionale” e “crimine passionale” così come ho scritto qui sopra, ho invece una posizione incerta riguardo alla parola femminicidio.
Mi piace poco per il fatto che in realtà non mi piace nessuna delle derivazioni della parola omicidio (cito fratricidio, sororicidio, matricidio, parricidio, uxoricidio, infanticidio) e questo avviene per una mia precisa convinzione: l’omicidio è omicidio. Inoltre, mal sopporto le “categorie” (passami il termine) e a maggior ragione in un ambito tanto grave.
Diamine, togliere la vita è togliere la vita ed è grave in qualsiasi caso, quale che sia il rapporto tra assassino e vittima.
Eppure, pensandoci ulteriormente (e di questo torno a ringraziare anche te), non posso non avere dei dubbi: la necessità di parole come femminicidio nasce molto probabilmente dalla necessità di sottolineare un problema che sta assumendo le proporzioni di un’autentica emergenza sociale dalle proporzioni preoccupanti.
Io stessa, nonostante quell’avversione che nutro verso le categorie, ho in altri casi e in altri ambiti difeso e appoggiato l’esistenza di definizioni che servivano o servono a evidenziare un problema. La motivazioni delle declinazioni della parola omicidio vanno cercate sia nella necessità di stabilire la natura del rapporto tra l’uccisore e la vittima (fratricidio, sororicidio, matricidio, parricidio, uxoricidio) sia nelle caratteristiche particolari della vittima (infanticidio e femminicidio): se è così, se l’intento è quello, se serve a evidenziare e dunque a creare la necessità di occuparsi di un problema gravissimo, va bene, allora sono d’accordo anch’io.
Mi metto in discussione volentieri e cambio volentieri idea pur di fare qualcosa di utile.
Mi permetto di condividere due link interessanti e nei quali mi sono imbattuta cercando approfondimenti proprio a proposito del termine femminicidio: il primo è una discussione trovata sul sito di Accademia della Crusca, discussione nella quale Rosario Coluccia spiega i perché del termine (è un articolo datato 2013 ma è estremamente attuale); il secondo è un articolo di Laura Zambelli Del Rocino su L’Intraprendente.
Sono due punti di vista differenti tra loro e ugualmente molto interessanti: sono certa che tu, Giulia, li troverai utili. La Del Rocino non ama come me il termine femminicidio ma esprime idee differenti dalle mie per quanto riguarda l’educazione e l’indifferenza: visto che mi piace il confronto e che la diversità mi dà modo di pensare, pubblico il link più che volentieri.
Io, intanto, ringrazio infinitamente te proprio per l’occasione di confronto.
A presto, spero.
Manu

Stefy
Reply

Qualcuno cantava “gli altri siamo noi”.
Intanto continua a succedere…
Un abbraccio, Stefy

Manu
Reply

Hai scritto una cosa molto, molto importante, Stefy: gli altri siamo noi.
Ecco, è esattamente quello che volevo dire quando ho parlato del mio non sentirmi diversa da Sara.
Occorre immedesimarsi negli altri, soprattutto in questioni tanto gravi e dolorose; pensare “tanto a me non succede” non porta da nessuna parte, anche perché in realtà nessuno di noi è in possesso della sfera di cristallo per sapere cosa accadrà in futuro.
Io, sinceramente, me lo sono chiesta: non ho mai accettato né accetterei mai un compagno violento, non starei zitta, ma questo non mi rende migliore né fa di me un’eroina. Mi protegge da alcune cose, forse, ma non da tutto.
E se un giorno un uomo si invaghisse di me e si sentisse respinto? Magari perché gli ho sorriso e io sorrido praticamente a tutti (donne e uomini, bambini e anziani), perché mi piace, perché fa parte di me, perché mi fa stare bene, perché spero faccia stare bene gli altri. E se questo ipotetico uomo fosse un violento soggetto a fissazioni? Come potrei difendermi?
Ecco perché continuo a sostenere che dobbiamo pensare al bene di tutte e fare sì che violenti e assassini non possano nuocere, oltre il carattere di ognuna di noi e oltre le singole situazioni.
Hai citato una canzone molto bella scritta da Umberto Tozzi e Giancarlo Bigazzi; ne cito un’altra di Fabio Concato.
Dice: “Ma quanti sono quei faccini / e quanto sono disperati / li senti piangere ogni notte / e non c’è mai nessuno che li aiuti / e tutti a dire: “che vergogna!” / Ma tutti a chiudere la porta / “in fondo a noi cos’è che importa, / il nostro bimbo è qui che sogna” / ma per dio di là c’è un altro bimbo uguale / che ha bisogno di sognare”.
Concato dedicava questi versi a un’altra atroce piaga, la violenza sui bambini perpetrata dai genitori violenti.
Ecco, io credo che sia la stessa cosa: non possiamo chiudere la porta pensando che non ci riguarda e pensando che noi siamo qui, a dormire tranquille con un uomo che ci ama. Se è così, abbiamo ancora di più il dovere di aiutare chi non è altrettanto fortunata.
Sai, oggi sono triste e anche arrabiata, perché da giorni non sento altro che nuove notizie di nuovi delitti perpetrati da uomini a carico delle compagne, attuali o ex. La strage continua e sembra non conoscere fine. Come se Sara non fosse morta. Come se non fossero morte tutte le donne finora cadute.
Mercoledì ho anche sentito una notizia su Sara: l’autopsia ha infine accertato che era già morta quando il suo ex ha appiccato il fuoco. Era già morta per strangolamento.
Sai una cosa? La notizia non è stata affatto una consolazione.
Non riesco a scrivere altro se non grazie, Stefy, di cuore.
Non smettiamo di tenere alta l’attenzione.
Un abbraccio,
Manu

Elena
Reply

Condivido i tuoi pensieri, Manu.
E mi chiedo perché tante donne si fanno massacrare senza denunciare.
Un saluto da Elena

Manu
Reply

Ciao Elena e grazie per il tuo commento: sei la benvenuta.
Ti confesso che anch’io mi sono chiesta cosa porti una donna a soffrire senza denunciare. E continuo a chiedermelo, costantemente.
Anche in questo caso come nel fatto del tipo di uomini che incontriamo, mi sono domandata che cosa determini la differenza tra una vita e l’altra, tra una donna che viene maltrattata e una che non lo è.
Per non offendere nessuno e per non fare illazioni su nessuno, farò un esempio sulla mia pelle.
Ho la fortuna di essere cresciuta in una famiglia piena d’amore.
Tra i miei genitori c’è sempre stato rispetto e mai ho visto una parola fuori posto tra mia madre e mio padre.
Sono stati genitori severi, ma affettuosi e sempre presenti: mi hanno riempita di sicurezze e affetto.
Mi hanno dato certezze: se mia madre diceva no, era perfettamente inutile correre da mio padre perché loro facevano fronte comune. Poi, magari, ne parlavano in privato tra loro, ma mai davanti a me e a mia sorella. E tutto ciò è molto importante, è rassicurante, dà dei punti di riferimento (anche se, magari, in quel momento non ero felice del no).
Mi hanno insegnato che sono un essere umano degno di rispetto, che merito rispetto e che nessuno ha il diritto di calpestarmi: mi hanno insegnato l’amore per me stessa e l’hanno fatto con il loro esempio prima di tutto.
Mi hanno insegnato a non elemosinare l’amore perché l’amore è scambio e reciprocità. E che non può essere sopruso o prevaricazione. Mai.
Penso che una persona nasca con un proprio carattere e proprie inclinazioni, ma credo che l’educazione e la famiglia siano importantissimi per forgiare definitivamente la nostra personalità: credo ciecamente nel valore educativo e morale dell’esempio.
Dunque credo che ciò che sono o che penso di essere – una persona forte che non accetta né violenze né compromessi – sia in parte merito mio e in parte merito dei miei genitori e di come mi hanno cresciuta.
E qui torno al quesito: è questo ciò che fa la differenza tra chi sopporta e chi non sopporta o non sopporterebbe? Non ho una risposta certa.
Non solo, se la mia storia è un esempio di fortuna, non essere stati fortunati non è certo un demerito o una colpa. Anzi…
Forse bisognerebbe partire proprio da lì? Bisognerebbe sincerarsi che nessuna donna pensi di meritare un uomo violento?
Anche perché ho ancora i brividi dopo aver letto che la madre di Vincenzo Paduano ha dichiarato che ciò che ha fatto suo figlio “sono cose che possono capitare”. Davvero? Davvero crede ciò?
Questa dichiarazione assurda riporta all’importanza dell’esempio e di esempi sani. Posso comprendere il dolore di una madre, ma non posso accettare parole simili: è vergognoso. Non capita di massacrare una persona.
Mi permetto di condividere con te e con chi vorrà leggerlo un articolo scritto magistralmente: è l’intervista realizzata da Alessandra Crinzi a una ragazza che si è salvata per un pelo da un uomo violento.
Questa intervista fa riflettere, moltissimo, e fa capire una volta di più quante sfumature esistano e quanto sia difficile giudicare dall’esterno…
Solo una cosa si può sempre condannare, senza “se” e senza “ma” e senza andare per il sottile: la violenza, perché – francamente – non c’è spiegazione che la giustifichi o la motivi o possa minimizzarla.
Ti abbraccio e ti ringrazio ancora,
Manu

Marzia
Reply

Approvo tutto ma ti faccio una domanda: vedo che anche tu hai usato la foto dell’auto bruciata, come mai questa scelta?
Grazie, Marzia

Manu
Reply

Benvenuta, Marzia, e sono io che ringrazio te.
Grazie per la domanda garbata e grazie perché crei un’ulteriore occasione di confronto: rispondo dunque molto volentieri al tuo quesito.
Ti confesso che, per scrivere il presente post dedicato a Sara e a tutte le donne violate, mi sono letteralmente massacrata di domande: attribuisco un grande potere alle parole e, soprattutto in casi come questo, penso che occorra sceglierle con estrema cura e con grande senso di responsabilità, sapendo che una volta pronunciate resteranno.
Ciò che penso è chiaro e non ho dubbi in merito, eppure ho voluto scegliere bene le parole con le quali esprimere il mio pensiero proprio perché non volevo aggiungere pesantezza a una situazione già molto dura e pesante.
Oltre che per i testi, mi sono posta molti interrogativi anche sull’immagine che avrebbe accompagnato il tutto.
Ho ponderato a lungo.
Ho visto che alcuni blog e magazine avevano tirato fuori foto di Sara sorridente, credo di averne vista una perfino di lei con Paduano.
Ho preso in considerazione anche di mettere un’immagine astratta, che ne so, un cielo o un mare o un prato, in segno di speranza.
Ma tutto ciò non mi è sembrato giusto. Le foto di Sara mi facevano troppo male, mi sembravano un’ulteriore violazione; le immagini astratte mi sembravano invece sciocche, una visione edulcorata laddove non c’è nulla che lo sia, laddove non c’è alcuna favola o lieto fine.
E così, come molte altre testate, ho scelto anch’io la foto dell’auto bruciata di Sara.
Lo so, è un’immagine forte. E fa stare male anche me.
Ma il mio pensiero è stato che, oltre alle mie parole che sono decise, anche l’immagine dovesse esserlo, per non lasciare alcuno spazio al minimo fraintendimento e perché credo che non si può e non si deve fare finta di nulla né raccontare favole inesistenti. Anche questo è un modo – forte, lo ripeto, e me ne rendo conto – di prendere coscienza.
Sono tornata a ripensare alla mia scelta in questi giorni terribili di stragi, attentati, colpi di stato. Sono contraria alla diffusione delle atroci immagini relative a tali tragedie (a mio avviso generano solo esaltazione in certe menti malate o deviate) e mi sono chiesta se non fosse la stessa cosa per Sara, per quell’immagine che anch’io ho scelto.
Ecco, non so, ma a me continua a sembrare la scelta giusta. E non dico che sia giusta in assoluto: lo è solo secondo il mio punto di vista.
Perché penso che non sia giusto mostrare corpi senza vita, che sia un inutile eccesso di informazione, ma credo che quell’auto bruciata sia invece un monito. Preciso. Per tutti.
A volte, purtroppo, abbiamo bisogno di medicine assai amare – anche se mai irrispettose, come invece lo sono le foto delle vittime di qualsiasi barbarie, sempre secondo la mia opinione.
Ti abbraccio, Marzia. E per qualsiasi cosa… sono qui.
Manu

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