Second hand economy: i miei tre negozi preferiti a Milano

Oggi desidero parlare con voi di un argomento che mi sta molto a cuore: il second hand.

In un momento storico in cui circola meno denaro rispetto al passato (penso, per esempio, ai più goderecci Anni Ottanta), una delle soluzioni possibili è quella di allungare il ciclo di vita degli oggetti: così, dopo decenni di consumismo e di filosofia usa e getta, è il momento d’oro del riuso, dal vintage ai negozi second hand (o seconda mano), dai mercatini delle pulci alla pratica dello swap party.

Prima di tutto, però, occorre fare una doverosa distinzione tra vintage e second hand.

Il termine vintage indica espressamente oggetti prodotti almeno vent’anni prima del momento attuale e dunque si differenzia dal second hand che di solito è più recente. La caratteristica principale di un oggetto o di un capo vintage non è dunque soltanto quella di essere stato utilizzato in passato, bensì il valore che ha acquisito nel tempo per le sue doti di irripetibilità e irriproducibilità: rappresenta una testimonianza dello stile di un’epoca passata e magari ha anche segnato un particolare momento storico o un passaggio importante della moda o del design.

Tutto ciò è intrinseco già nel nome stesso: vintage deriva infatti dal francese antico vendenge, termine inizialmente coniato per i vini vendemmiati e prodotti nelle annate migliori e poi diventato sinonimo dell’espressione d’annata.

Io amo molto il vintage: qui nel blog, tale argomento gode di un tag dedicato e sono inoltre un’assidua frequentatrice di tutte le edizioni di Next Vintage, importantissima manifestazione di settore che si svolge due volte all’anno, in primavera e in autunno, al Castello di Belgioioso, in provincia di Pavia.

Oggi, però, desidero concentrarmi in particolare sul second hand.

In Paesi quali Inghilterra e Francia, la passione per l’usato è molto diffusa e lo è da tempo: per i nostri cugini d’oltralpe, per esempio, frequentare i cosiddetti mercatini delle pulci è spesso una piacevole occupazione del fine settimana.

La second hand economy non è dunque un fenomeno inedito: esiste da molto tempo, ma ciò che sta cambiando è il peso specifico che inizia a rivestire.

Oggigiorno, infatti, non è più unicamente un buon modo per risparmiare: basta guardare le cifre delle indagini di mercato per capire come stia piuttosto diventando un nuovo stile di vita e un nuovo modo di guardare alle cose.

Per intenderci: anche chi può o potrebbe comprare cose nuove (e magari costose) inizia ad apprezzare magia, divertimento, riscoperta, ovvero i valori insiti nel second hand.

E se qualcuno lo fa invece solo per ostentare… aspettate, cercherò di essere buona… se qualcuno lo fa solo per assumere un certo tipo di atteggiamento… beh, peggio per lui o per lei.

Un altro fenomeno riconducibile a questo rinnovato stile di vita è lo swap party, ovvero una sessione di scambio tra persone disposte a condividere dei beni altrimenti destinati ad ammuffire in qualche armadio.

Ho usato appositamente la parola scambio perché nello swap party non si usa il denaro bensì si baratta.

A proposito di swap party: questa foto è presa da uno degli eventi organizzati da Sandra Bacci, mia carissima amica nonché esperta di tale pratica tant’è che è stata tra le prime a organizzarne qui in Italia, fin dal 2012 (<a href="http://www.smilingischic.com/category/swap-party/" target="_blank" rel="noopener noreferrer">qui</a> potete trovare informazioni sugli eventi organizzati da Sandra)
A proposito di swap party: questa foto è presa da uno degli eventi organizzati da Sandra Bacci, mia carissima amica nonché esperta di tale pratica tant’è che è stata tra le prime a organizzarne qui in Italia, fin dal 2012 (qui potete trovare informazioni sugli eventi organizzati da Sandra)

Ma se oggi ho deciso di parlarvi di second hand è anche sulla scorta di due studi nei quali mi è capitato di imbattermi.

Il primo riguarda Marks & Spencer: la catena britannica di negozi d’abbigliamento ha infatti commissionato uno studio per calcolare quanto tempo le persone passino davanti all’armadio decidendo cosa mettersi.

Dallo studio è emerso che le signore britanniche trascorrono circa 17 minuti al giorno tra le grucce, ovvero 119 minuti la settimana ovvero sei mesi nel corso di un’intera vita. Il tutto è causato dall’imbarazzo della scelta: l’armadio di una persona media contiene infatti circa 152 capi (ma una persona su 8 ne ha invece addirittura 300) e solo il 44% di questi viene indossato regolarmente. Ben 57 capi non vengono mai usati, 16 vengono scelti solo una volta e 11 hanno ancora l’etichetta.

La sensazione di non avere nulla da indossare (paura che affligge un adulto su 20 almeno una volta alla settimana) parrebbe quindi avere un bizzarro rapporto direttamente proporzionale alla quantità dei capi a nostra disposizione. E non si perde solo tempo, ma anche un po’ di salute: dallo studio è infatti anche emerso che il 62% delle donne soffre di cosiddetta rabbia da guardaroba.

Se siete uomini e state ridacchiando, aggiungo un dettaglio: voi maschietti non andate tanto meglio e per lo stesso motivo perdete ogni giorno 13 minuti.

Come dicevo, lo studio è stato commissionato dalla catena Marks & Spencer la quale ha stretto una collaborazione con Oxfam, importante organizzazione internazionale specializzata in aiuto umanitario e progetti di sviluppo: lo scopo è quello di incoraggiare le persone a donare i loro capi inutilizzati ed ecco perché mi è tornata in mente questa ricerca della quale avevo parlato mesi fa in un mio articolo per un magazine ed ecco perché ho voluto parlarvene in relazione al second hand.

Il secondo studio è stato invece commissionato da Greenpeace in alcuni Paesi (Cina, Hong Kong, Taiwan, Italia e Germania) tra dicembre 2016 e marzo 2017 in occasione del Copenaghen Fashion Summit, forum mondiale per la moda sostenibile.

Le conclusioni di tale studio sono che l’acquisto compulsivo di abiti, pratica appartenente alla fascia di consumatori più benestanti, oltre a essere una vera e propria dipendenza con risvolti più o meno gravi, ha altri due effetti negativi: genera un impatto ambientale non indifferente e, terminata l’euforia momentanea dell’acquisto, non rende affatto felici.

Il numero di vestiti prodotti ogni anno ha raggiunto ormai cifre da capogiro e le aziende del fast fashion hanno contribuito a tale aumento sempre più esponenziale: le collezioni presenti nei negozi di questo tipo si rinnovano continuamente, anche ogni settimana, e così, spinti dalla novità, acquistiamo molti più vestiti ma li buttiamo via anche molto più velocemente, andando ad aumentare le tonnellate di rifiuti già presenti nelle discariche.

Non solo: accumulando vestiti su vestiti, andiamo incontro a insoddisfazione per ben due motivi.

Il giorno dopo l’acquisto, l’eccitazione si trasforma spesso in senso di colpa e la sbornia emotiva da shopping finisce con il trasformarsi in vuoto; inoltre, comprendendo di non essere in grado di utilizzare i capi tanti già ne abbiamo (vedere quelli conservati con etichetta dei quali parlavo qui sopra), subentra in noi anche una certa frustrazione.

Tra i principali sponsor del <em><strong>Copenhagen Fashion Summit</strong></em> figura anche il colosso del fast fashion H&M: ecco la crew dei volontari con capi della linea HM Conscious. Perché – nonostante le responsabilità che si imputano al fast fashion – H&M è da anni in prima linea nella lotta per la sostenibilità (<a href="http://about.hm.com/en/sustainability.html" target="_blank" rel="noopener noreferrer">qui</a> maggiori info)
Tra i principali sponsor del Copenhagen Fashion Summit figura anche il colosso del fast fashion H&M: ecco la crew dei volontari con capi della linea HM Conscious. Perché – nonostante le responsabilità che si imputano al fast fashion – H&M è da anni in prima linea nella lotta per la sostenibilità (qui maggiori info)

Ma perché si compra troppo?

Di certo non perché si abbia un reale bisogno di qualcosa, ma soprattutto per motivi sociali ed emotivi (purtroppo) che comprendono il sollievo dello stress, l’illusione di aumentare la fiducia in noi stessi, il riconoscimento e l’approvazione dagli altri del nostro essere alla moda.

A questo punto, forse, voi direte: e proprio tu che ti occupi di moda vieni a parlarci di queste cose?

Sì, perché, senza voler fare la morale a nessuno (sono la prima ad avere un armadio troppo pieno), sono tra coloro che pensano che dobbiamo cambiare il modo in cui consumiamo, abiti compresi.

Perché sono tra coloro che non credono nella filosofia dell’usa e getta: credo bensì nel dare valore e nel prolungare la vita delle cose in quanto – come mi è capitato di scrivere in altre occasioni – sono convinta che ciò che non serve più a noi possa servire ad altri così come ciò che non serve più agli altri possa magari trovare in noi nuovi proprietari felici.

Incoraggiare la pratica di donare i capi inutilizzati – divertirci a fare scoperte e a dare nuova vita – allungare i cicli di vita diminuendo gli scarti: sono i tre motivi per cui amo il second hand e per i quali desidero indicarvi i miei tre posti preferiti a Milano per questo tipo di shopping.

Siete pronti?

1 – BIVIO

Da Bivio si incontrano perfino stylist famosi che si aggirano tra i banchi in cerca del pezzo speciale.
E se ciò accade, ci sono vari motivi e tra questi ce n’è uno importante: è un negozio che applica la formula compra-vendi-scambia.
Già affermati negli Stati Uniti, i negozi buy-sell-trade sono specializzati nella vendita e nell’acquisto di abbigliamento e accessori pre-posseduti e pre-amati.
E la maggior parte della merce in vendita da Bivio viene dai clienti stessi i quali possono scegliere di ricevere in cambio contanti o un buono acquisto.
Questo significa che Bivio dà ben tre possibilità: comprare abiti e accessori; vendere abiti e accessori; scambiare abiti e accessori per un buono acquisto da usare in negozio.
Bivio funziona pertanto in modo simile a un tradizionale negozio di conto vendita, ma con un grande vantaggio: offre contanti o un buono acquisto immediatamente, non soltanto quando (e se) gli articoli vengono venduti.
Perché mi piace? Perché propone capi dal sapore contemporaneo, sempre e solo in ottime condizioni e adatti alla stagione in corso.
Dove si trova? Ottimamente frequentato (ve l’ho detto, a partire dagli insider del settore), Bivio ha due sedi: via Gian Giacomo Mora 4 (zona Ticinese) e Via Lambro 12 (zona Porta Venezia).
Volete seguirlo in rete? Qui trovate il sito, qui la pagina Facebook e qui l’account Instagram.
Tra i miei acquisti più recenti: L’anello che vedete qui e il turbante (…Sine Modus!) che vedete qui.

Sopra e sotto: dalla pagina Facebook di <em>Bivio,</em> alcuni articoli in vendita nei due negozi di via Mora e via Lambro
Sopra e sotto: dalla pagina Facebook di Bivio, alcuni articoli in vendita nei due negozi di via Mora e via Lambro

2 – HUMANA VINTAGE & SECOND HAND

Dopo Berlino, Vienna, Barcellona, Oslo, Stoccolma e Lisbona, i negozi Humana sono approdati a Milano, a Roma e a Torino.
Come si evince dal nome stesso, Humana Vintage propone un assortimento di capi a partire dagli Anni Sessanta (nei negozi di Milano e Roma), mentre Humana Second Hand propone capi di seconda mano anche recenti (nei negozi di Torino e Roma).
Tutti i punti vendita sono accomunati dal fatto di essere ottimi indirizzi per chi cerca qualcosa di diverso e talvolta unico ma a buon prezzo: per il punto vendita di Milano, per esempio, consiglio di farci un salto di tanto in tanto e tenere d’occhio i nuovi arrivi.
Perché mi piace? Perché gli utili delle vendite sostengono i progetti di cooperazione di Humana People to People Italia Onlus, organizzazione umanitaria politicamente indipendente e laica, nata nel 1998 per sostenere progetti di sviluppo nel Sud del mondo e azioni sociali e di sensibilizzazione in Italia (qui ho parlato di un’altra loro recentissima iniziativa con il marchio di abbigliamento Kiabi).
Dove si trova? A Milano è in via Cappellari 3, dietro piazza Duomo!
Volete seguirlo in rete? Qui trovate il sito, qui la pagina Facebook e qui l’account Instagram.

Sopra e sotto: dalla pagina Facebook, articoli in vendita da <em>Humana Vintage</em>
Sopra e sotto: dalla pagina Facebook, articoli in vendita da Humana Vintage

3 – MERCATINO PENELOPE

Non ci sono solo abbigliamento e accessori second hand al Mercatino Penelope: qui sono infatti specializzati anche in ricerca di oggettistica vintage e di modernariato e propongono una vasta scelta che parte dagli Anni Cinquanta.
Si può trovare davvero di tutto: lampade, specchi, cornici, servizi da tavola e da caffè, tavoli da biliardo, valigie, manichini (perfino quelli anatomici in stile vecchio studio del dottore) e molto altro ancora.
Ci si può andare con un’idea precisa oppure armati di pazienza e di tanta voglia di esplorare: ciò che è certo è che non si esce mai delusi. E – difficilmente – si esce a mani vuote.
Il Mercatino Penelope funziona con la formula del conto vendita: si porta ciò che non si usa, l’esposizione è gratuita e, alla vendita, si riceve un rimborso in contanti.
Perché mi piace? Perché assomiglia a un vero e proprio cabinet de curiosités, tant’è che non mancano perfino oggetti che strizzano l’occhio alla passione per la tassidermia. E se non vi basta la mia parola… sappiate che Chiara Ferragni, uno dei personaggi del momento, è una cliente di Mercatino Penelope.
Dove si trova? In via M. Melloni 6 (angolo via Guicciardini).
Volete seguirlo in rete? Qui trovate il sito, qui la pagina Facebook e qui l’account Instagram.
Tra i miei acquisti più recenti: La doctor bag che potete vedere qui.

Sopra e sotto: dalla pagina Facebook, il <em>cabinet de curiosités</em> di <em>Mercatino Penelope</em>
Sopra e sotto: dalla pagina Facebook, il cabinet de curiosités di Mercatino Penelope

Naturalmente, a Milano esistono molti altri posti specializzati in second hand di abbigliamento, accessori, arredamento e design.

Tuttavia, dato che la filosofia che applico a questo blog è la testimonianza diretta e dato che la regola alla quale non derogo mai è quella di verificare personalmente tutto ciò di cui vi parlo, ho voluto parlarvi di posti che ho testato e per i quali posso tranquillamente mettere la faccia.

Appena avrò occasione di testarne altri, sarà un’ottima occasione per preparare un nuovo post.

E per tornare a parlare di un argomento che, come vi ho detto in principio, mi sta a cuore 🙂

Manu

 

 

 

Andando oltre A glittering woman, altri miei articoli su vintage e second hand:

Dal vintage al second hand, la nuova vita degli oggetti, articolo pubblicato l’11 novembre 2015, e A primavera fiorisce anche la passione per il vintage, articolo pubblicato il 2 aprile 2016, entrambi usciti per SoMagazine

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

Glittering comments

Cristina
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Un altro articolo super interessante! In maniera molto chiara spiega il rapporto che noi donne abbiamo con il guardaroba ed gli effetti (psicologici e non solo) che derivano dai nostri acquisti “out of control” ! Alzi la mano chi non ha provato una volta nella vita la rabbia da guardaroba!
Bravissima!

Manu
Reply

Eccomi: io confesso.
Ebbene sì, nonostante le mie idee, non faccio eccezione e confesso tranquillamente di cadere anch’io nella trappola degli acquisti fuori controllo così come ammetto di aver provato la rabbia da guardaroba.
Se ci penso a mente fredda, trovo tutto ciò davvero ironico: avere armadi stracolmi e non sapere cosa indossare, anzi, peggio ancora, avere la sensazione di non avere nulla da indossare…
Ecco perché ho voluto scrivere questo post, perché cadere in certe trappole è facile, anche quando siamo consapevoli di determinati meccanismi.
Ti ringrazio moltissimo, Cristina cara, e mi scuso per la mia risposta tardiva.
Buon lungo week-end del 2 giugno,
Manu

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