Stella Jean SS 2016 batte Kanye West mille a zero

Mi ero ripromessa di stare zitta, di tenere la mia boccaccia chiusa, ma non ce la faccio: oggi mi sono seduta qui alla scrivania con l’intenzione di scrivere un post a proposito della bellissima collezione Stella Jean SS 2016 e, mentre rinfrescavo la memoria rileggendo il comunicato stampa e mentre annuivo convinta davanti alla dichiarazione d’intenti della brava stilista, mi è tornato in mente l’episodio incriminato e, d’un tratto, mi sono resa conto che i margini cedevano rendendomi impossibile tacere.

A quale episodio mi riferisco? All’assai infelice espessione “migrant chic” pronunciata da Anna Wintour (temibile e temuta direttrice di Vogue, ovvero quella che è considerata la più autorevole rivista di moda statunitense e mondiale) per definire la collezione Yeezy Season 3 presentata dal rapper Kanye West.

Vi riassumo brevemente i fatti: la regina di Vogue, intervistata per un programma della televisione americana, si è lasciata scappare (o forse sono io che spero che le siano scappate…) quelle parole mentre raccontava la sua esperienza risalente allo scorso febbraio in occasione della sfilata-spettacolo del rapper (marito di Kim Kardashian) al Madison Square Garden di New York.

Inutile sottolineare che il web si è riempito di commenti al vetriolo e richieste di scuse a profughi e migranti che, a stento, riescono ad avere un cappotto per difendersi dal freddo; inutile dire come in molti abbiano definito vuoto e superficiale il mondo della moda (ma grazie Mrs. Wintour, ottimo lavoro).

La cosa peggiore è il fatto che lo show che ha presentato la collezione (una collaborazione tra Mr. West e l’artista Vanessa Beecroft con centinaia di persone tra comparse e modelli) era in effetti volutamente (!) ispirato a un campo profughi: come ha commentato qualcuno su Twitter “perdonare la collezione di Kanye e descriverla ‘migrant chic’ è totalmente inappropriato”.

Sapete una cosa? Sono d’accordo, completamente.

Anna Wintour avrebbe potuto dare una dimostrazione di vero stile condannando uno show fuori luogo e invece ha perso l’occasione di dimostrare autonomia e indipendenza di pensiero, buon gusto e decoro. Occorre infatti avere il coraggio di dire un’altra verità: la collezione è del tutto degna di essere ignorata e quasi sicuramente la Wintour lo avrebbe fatto se a firmare la collezione fosse stato uno stilista qualsiasi e non il celeberrimo rapper.

E invece no, la direttrice ha coniato l’infausta frase unendo due parole che, insieme, suonano come una terribile, beffarda e atroce cacofonia. Non se n’è accorta?

“Migrant chic”: dovremmo dunque ambire a vestire così, con un abbigliamento volutamente ispirato a un campo profughi? A Mrs. Wintour – e a Mr. West – sembra che quello sia un luogo di delizia o che la condizione di migranti, profughi e rifugiati sia invidiabile? È decente considerare chic ciò che per altri è fuga, disperazione e a volte anche morte?

Kanye West, <em>Yeezy Season 3</em> fashion show (photo credit <em>The Wild Magazine,</em> in alto, e<em> Style Caster,</em> in basso)
Kanye West, Yeezy Season 3 fashion show (photo credit The Wild Magazine, in alto, e Style Caster, in basso)

Non voglio andare oltre, penso che ognuno di noi possa tirare le proprie conclusioni in merito alla faccenda.

Consentitemi di aggiungere un’ultima cosa: il fatto che nella moda circolino talvolta idee demenziali oppure di cattivo gusto non è una novità, ma che esse godano dell’appoggio, del benestare e dell’aiuto di una delle donne più famose nel suddetto ambiente… beh, questo mi sembra indecoroso e davvero poco chic – e mi riferisco all’eleganza autentica, a quella che dovremmo avere nel nostro animo.

Se perdiamo il diritto di critica cosa ci resta? Se perfino Anna Wintour si piega a certe vergognose leggi di mercato – lei che potrebbe permettersi il lusso della verità – cosa ne sarà della moda?

Non lamentiamoci, poi, se la moda viene vista come un mondo vuoto e superficiale – e lo dico con dispiacere in qualità di persona che ci lavora e che è innamorata di ciò che fa.

Mi addolora che ad avvalorare la tesi di vuoto e superficialità sia proprio colei che dovrebbe invece difendere la reputazione dell’ambiente e soprattutto il buon gusto, quello vero; colei che potrebbe usare la propria posizione e il proprio potere per fare qualcosa di veramente utile, anziché appoggiare una persona solo perché fa parte di un certo jet set (che poi… discuterei anche di questo, del concetto odierno di jet set).

Forse sto facendo affermazioni impopolari, probabilmente sto andando ancora una volta contro corrente. Sicuramente mi sto attirando delle antipatie, ma questo è il mio pensiero: la moda deve farsi espressione del proprio tempo, è vero, ma non per questo deve cavalcare le tragedie. E torno a sottolineare che se non l’avesse firmata Kanye West, nessuno o quasi avrebbe considerato quella collezione: sarebbe semplicemente stata bollata e liquidata come brutta e di cattivo gusto.

Detto tutto ciò, forse vi state chiedendo perché il collegamento con Stella Jean.

Ma perché da anni la stilista cerca invece di costruire qualcosa di diametralmente opposto, agli antipodi: fin dalle sue primissime collezioni, Stella ha lavorato all’idea di métissage, ovvero un incontro tra culture diverse che si rispettano, che cercano di comprendersi e che non si prendono atroce beffa l’una dell’altra.

Non solo: la sua continua ricerca stilistica l’ha portata a creare numerose collaborazioni che hanno permesso l’emancipazione di persone singole e di interi villaggi in diversi paesi in via di sviluppo. Il suo lavoro testimonia come la moda, oltre l’estetica e l’apparenza, possa essere anche sostanza e contenuto, divenendo veicolo ed espressione per una crescita e un affrancamento economico e sociale.

Da Stella Jean non c’è mera esibizione fine a sé stessa, c’è volontà di approfondire e comprendere i fenomeni del nostro tempo e di darne un’interpretazione che va ben oltre lo show.

La moda può essere etica se stimola il dibattito nel senso giusto, evitando il clamore mediatico fine a sé stesso ed evitando di mettere in scena una finzione che ha il gusto di un’atroce pantomima: le due collezioni, quella di Kanye West da un lato e quella di Stella Jean dall’altro, dimostrano come, pur partendo da un argomento comune, si possa trattarlo in maniera tanto differente da ottenere risultati completamente opposti.

La collezione Stella Jean SS 2016 lancia un monito: la stilista ci ricorda che oggi, qui in Italia, ci ritroviamo – come molti altri Paesi europei – ad accogliere i migranti, ma lo siamo stati a nostra volta. Anzi, lo siamo ancora.

Alcuni degli outfit della sfilata Stella Jeans SS 2016
Alcuni degli outfit della sfilata Stella Jeans SS 2016

La stilista chiama la collezione “Moto a luogo” e disegna una mappa geografica ed emotiva sulla quale sono tracciate le principali tappe dell’esodo dell’emigrazione italiana (e volendo non solo la nostra): attraverso i suoi styling-mosaico, ripercorre i principali scali storici e anche odierni che hanno segnato e segnano gli approdi e le ambizioni di riscatto.

Il punto di partenza è ovviamente l’Italia, rappresentata dalla sua sartorialità, il cardine strutturale della collezione; si prosegue poi verso gli attracchi dell’esodo.

C’è il Sud America, rappresentato soprattutto da Argentina e Brasile: ecco balze carioca multicolore, volant di rafia, ampi gonnelloni che evocano le monumentali donne di Bahia, stampe che raffigurano le marce migratorie di famiglie con relativi fardelli. L’itinerario di viaggio continua attraversando le Ande, rappresentate per esempio dal caratteristico porte-enfant artigianale che diventa mantella o dalla peculiare bombetta dipinta sugli abiti così come varie scene di vita.

Ci sono poi gli Stati Uniti: le varsity jacket e i bomber dal sapore college vengono rivisitati e strizzano l’occhio al sogno americano nonché alle eroine adorne di ruche alla conquista del selvaggio West. Non mancano alcune t-shirt stampate.

A simboleggiare invece l’emigrazione italiana attuale – della quale spesso ci si dimentica troppo intenti a polemizzare attorno ai migranti che accogliamo – ci pensano le camicie da uomo prese in prestito dai sarti londinesi di Savile Row, culla della sartoria maschile su misura. Londra diventa l’emblema dell’attuale immaginario di opportunità per la nuova generazione di expat in fuga da un sistema respingente e povero di opportunità (il nostro) per andare alla ricerca di una sorte migliore.

“Expat è una maniera gentile per dire migranti bianchi”: così recita il comunicato che ricorda anche che se ieri la speranza equivaleva a varcare il vaglio della temibile Ellis Island, oggi equivale al check-in online per l’aeroporto di Gatwick.

Come dare torto a Stella? Come dimenticare il nostro doppio ruolo che ci identifica da una parte in coloro che accolgono e dall’altra in coloro che vengono accolti?

Alcuni degli outfit della sfilata Stella Jeans SS 2016
Alcuni degli outfit della sfilata Stella Jeans SS 2016

Altro che stile “migrant chic”!

Il rispetto è dare valore al métissage in positivo, non far apparire il disagio come desiderabile mentre, tra l’altro, si conduce una vita da nababbi: ecco cosa intendo quando chiedo che la moda sia spunto di riflessione e non una pagliacciata che sfrutta il dolore per creare clamore.

Stella Jean continua come sempre a offrire il suo appoggio ad attività come la pittura tessile realizzata a mano e il ricamo artigianale con rafia o pietre: usa inoltre cotone tessuto coi telai operati a mano in Burkina Faso.

Le sue pochette in pelle sono conciate in Etiopia; le clutch in papier-mâché – ovvero cartapesta – sono realizzate eticamente e artigianalmente. Sono composte da un mix ottenuto grazie a sacchi (usati per il cemento e riciclati) e amidi di origine vegetale come la manioca: ogni pezzo è dipinto a mano con cura a Haiti.

Collane e bracciali sono realizzati in plexiglass impreziosito da applicazioni in fer forgé realizzate dai fabbri di Croix-des-Bouquets, nei sobborghi di Port-au-Prince (sempre a Haiti): questi artigiani hanno forgiato fusti di petrolio riciclato usando esclusivamente un martello e la loro forza fisica per la creazione di ciascun pezzo. Altri bracciali e orecchini sono invece in corno di bue dipinto a mano.

Ci sono anche degli ear cuff in fer forgé realizzati artigianalmente e manualmente a Jacmel, altro comune haitiano; delle mezzelune in puro stile anni ’50 utilizzate come fermagli per capelli, realizzate in paglia o tessuto e ricamate a mano; delle visiere in cartapesta riciclata, realizzate sempre a Haiti da Moro Baruk, artista e artigiano egiziano che vive nella repubblica caraibica dove ha fondato un’impresa artigianale.

Dalla collezione Stella Jean SS 2016 – una clutch in cartapesta, un collier e un bracciale in plexiglass e <em>fer forgé,</em> un <em>ear cuff</em> in <em>fer forgé</em>, un fermaglio per capelli a mezzaluna in paglia ricamata e una visiera in cartapesta (tutti gli still life sono di Ludovica Arcero)
Dalla collezione Stella Jean SS 2016 – una clutch in cartapesta, un collier e un bracciale in plexiglass e fer forgé, un ear cuff in fer forgé, un fermaglio per capelli a mezzaluna in paglia ricamata e una visiera in cartapesta (tutti gli still life sono di Ludovica Arcero)

E giusto per sottolineare il tutto, Stella ha scelto come colonna sonora della sua sfilata la canzone “Ave Cesaria” di Stromae, cantautore e rapper belga originario del Ruanda.

La bellissima canzone è un tributo a Cesária Évora, la cantante capoverdiana soprannominata la “diva a piedi nudi” per la sua abitudine di esibirsi scalza e simbolo per eccellenza dei migranti.

La ricetta Stella Jean SS 2016 è così completa: astenersi perditempo e superficiali.

Se potessi, raccomanderei a Mr. West di prendere appunti: è possibile fare una rielaborazione analitica e positiva senza pantomime faraoniche quanto svilenti, avvilenti, imbarazzanti e francamente un po’ vergognose.

E spero che Madame Wintour abbia bandito l’espressione “migrant chic” dal suo vocabolario: tremo al solo pensiero che possa rispolverarla per definire la collezione di Stella.

Manu

 

 

 

 

Per maggiori informazioni e per approfondire:

Qui trovate il sito di Stella Jean, qui la pagina Facebook, qui Twitter e qui Instagram

Ed ecco il video della collezione Stella Jean SS 2016

 

I miei articoli su Stella Jean:

Qui trovate il mio racconto della collezione donna primavera / estate 2015; qui quello della collezione donna autunno / inverno 2015 – 2016; qui quello della collezione uomo primavera / estate 2016.

Qui trovate invece il mio racconto della prima edizione dei Barbie Awards che ha visto Stella Jean tra i premiati.

Per SoMagazine, ho già pubblicato la mia recensione della sfilata donna autunno / inverno 2016 – 2017.

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

Glittering comments

Cristina
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Ciao Manu!
Sono proprio d’accordo con te! Se il Sig. West fosse stato un emerito sconosciuto questa brutta esibizione sarebbe stata liquidata con ben poche parole..! Tu sai quanto io adori Stella che riesce a farmi innamorare del suo lavoro collezione dopo collezione! Il melting pot diviene risorsa per attingere idee, energia e positività. Da questo incontro di culture diverse nasce una vera poesia vibrante e carica di significati e simbolismi. Siamo tutti migranti, oggi come ieri, ma forse l’altezzosa signora Wintour non aveva ben chiaro questo concetto….Gran brutta caduta stile per una donna che ricopre un ruolo del genere!

Manu
Reply

Cristina cara,
Come sempre i tuoi commenti colgono nel segno con precisione e chiarezza.
Già, gran brutta caduta di stile per colei che è universalmente ritenuta la depositaria del buon gusto… Questo dimostra – una volta di più – quanto nessuno sia infallibile, nemmeno i migliori: spero inoltre che la faccenda offra un’occasione di riflessione, altrimenti il fantastico mondo della moda dimostrerà la teoria, ovvero di essere vuoto e superficiale.
Io non lo credo e continuerò a non crederci fin quando esisteranno persone come Stella.
Grazie di cuore,
Manu

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