Milan Fashion Week, con le collezioni SS 2018 va in scena molto di più…

Lunedì è stato l’ultimo giorno della Milan Fashion Week e dell’edizione dedicata alle collezioni primavera / estate 2018 o SS 2018, come dicono gli addetti ai lavori.
Volete sapere se sono triste per la fine della MFW, visto che la moda è un po’ il mio pane e un po’ la mia malattia?
Certo, un po’ mi dispiace che termini perché amo ciò che faccio.
Però penso anche che ci siano belle cose da fare in tanti ambiti interessanti, non solo nella moda, quindi no, non sono affatto triste.

Chi legge più o meno abitualmente A glittering woman (non guasta mai ripetere il mio sentito e sincero grazie ) sa che, al termine delle settimane dedicate alla moda, pubblico un mio reportage con le riflessioni scaturite da sfilate e presentazioni alle quali ho assistito nonché da tutto ciò che fa da contorno.

Ho scritto di certe cattive abitudini dell’ambito in cui mi muovo, ho parlato della questione accrediti alle sfilate (e in verità l’ho fatto più di una volta), ho raccontato di metatarsi malconci e di sciocchi luoghi comuni.
Al termine della scorsa edizione, quella di febbraio 2017, ho scritto di una messa (sì, una messa) che mi ha lasciato tanta tristezza nonché di un importante salone e della completa cecità nel gestire gli ingressi.

E questa volta?

Beh, tralasciando il fatto che né le cattive abitudini né i luoghi comuni sono morti (purtroppo…) e sorvolando sul fatto che la gestione spesso incomprensibile degli accrediti prosegue pressoché senza miglioramenti, a parte tutto ciò, in verità devo ammettere che questa edizione è andata piuttosto bene – se non altro a livello personale.
Non ho cioè vissuto particolari disagi o incidenti di percorso, forse perché in alcuni casi ho deciso di rinunciare proprio in partenza – e non è una cosa bella, lo so.

Eppure, cari amici, vi devo dire che a volte perfino gli spiriti più tenaci (e io lo sono) si stancano di combattere contro i mulini a vento e decidono di fare un passo indietro.
Non è una rinuncia o una resa definitiva, sia ben chiaro: è solo una tregua in attesa di capire come riorganizzare le forze, è una pausa che mi serve a riprendere fiato, è un mettermi alla finestra in attenta osservazione.

Mai rinuncerò a combattere contro i luoghi comuni e la maleducazione (perché è questa una delle cattive abitudini alle quali mi riferisco), ma al momento sono stanca di continuare a scriverne.
Mi limito a prendere in prestito le parole della brava giornalista Lucia Serlenga che, nel suo reportage post-MFW SS 2018, rivolgendosi agli addetti ai lavori, scrive le seguenti testuali parole: «andrebbe ricordato a tutti quelli che fanno parte di un mondo ritenuto raffinato che prima vengono le persone». Leggi tutto

Tra curiosità storiche e dritte preziose, siete pronti a fare le valigie?

Ricordo che, lo scorso anno, introducendo un brand di borse al quale tengo molto (Demanumea – qui), partii facendo un excursus sulla nascita dell’oggetto borsa che, in realtà, non nasce per le donne ma per gli uomini.

La borsa nasce infatti per un uso semplice ed estremamente pratico, ovvero come contenitore destinato a custodire il denaro: la sua origine è dunque legata alla nascita della moneta e, in un tipo di società in cui era l’uomo a svolgere attività legate al commercio e dunque all’uso del denaro, la borsa era soprattutto un accessorio maschile.

Buffo, vero?

La sua storia, però, si è poi evoluta con risvolti più vivaci e frivoli rispetto a quelli meramente economici, rendendo così la borsa un accessorio costantemente in bilico tra utilità e vezzo, tra funzione contenitiva ed esteriorità.

Un’evoluzione interessante e ricca di curiosità è quella dalle borse destinate al viaggio: in questo caso, la funzione contenitiva diventa chiaramente fondamentale e si declina in bauli, cappelliere, sacche, borsoni, zaini, valigie, trolley e altri involucri ancora, tutti destinati a ospitare ciò che vogliamo portare con noi in occasione di uno spostamento fisico e geografico.

Visto che siamo in piena estate e l’argomento valigie è particolarmente in auge, ho pensato di rispolverare uno studio che ho condotto lo scorso anno per SoMagazine.

Avete voglia di venire con me? Leggi tutto

Le mie scelte in pillole: Demanumea e l’Art-à-porter anche nelle tracolle

Affermo da sempre e con vigore che sono i dettagli a creare e a costruire un insieme vincente.
Perché esordisco così? Regalatemi cinque minuti del vostro tempo e ve lo racconto.

Da tempo e con grande convinzione, ho sposato il progetto Demanumea, un team capitanato dalla brava Silvia Scaramucci e composto da giovani talenti tra i quali designer, artisti, scultori, pittori, ricamatori, orafi, tutti pieni di passione e grinta.
Demanumea ha scelto di unire borse (uno dei grandi amori di noi donne) e arte, proponendo creazioni fatte con le mani e con il cuore. Tant’è che il nome Demanumea deriva dal latino e significa dalle mie mani.

Amo questo loro progetto ambizioso (ambizioso nel senso buono e che avevo raccontato qui) e vedere come e quanto cresca sempre più è cosa che mi riempie di orgoglio.
Non mi stancherò mai di ripeterlo: vedere che le persone nelle quali ho creduto e che i progetti sui quali ho puntato riescono a riscuotere il meritato successo è per me motivo di gioia. E di orgoglio, appunto.

Quest’anno, in casa Demanumea hanno deciso di dare la loro interpretazione di uno degli oggetti del momento, ovvero le tracolle, un accessorio che completa in modo estremamente naturale quella che è la loro proposta di borse artistiche declinate in varie modelli e varie misure.

Inutile dire che le tracolle che propongono sono interpretate nel loro personalissimo modo, ovvero presentano soggetti dipinti su pelle con coloranti specifici. Ancora, una volta, insomma, viene proposta Art-à-porter, ovvero arte da indossare.

Io ho scelto la tracolla che vedete nella mia foto qui sopra e che posso collezionare come opera d’arte ma anche indossare come prezioso complemento da abbinare alle borse che già posseggo: realizzata e firmata da Sabrina di Tora, si intitola Handmore ed è rigorosamente numerata.

Sono felice di portarla con me e sono certa che a qualunque borsa vorrò mai abbinarla, borsa semplice o perfino insignificante, sarà lei, la tracolla, a fare la differenza.
Sarà lei a dare un nuovo valore a un insieme. Perché, proprio come ho scritto in principio, sono i dettagli – e soprattutto quelli speciali come queste tracolle – a determinare il risultato finale e a costruire un insieme vincente.

Per il momento, l’ho già abbinata a una borsa vintage di famiglia, acquistata in origine da mia mamma tra il 1968 e il 1969 per andare a un matrimonio (e con la tracolla ha avuto una nuova vita); l’ho abbinata a una borsa in cavallino e cuoio che ho comprato in un piccolo laboratorio artigianale (e con la tracolla ha guadagnato un ulteriore tocco di originalità); l’ho abbinata a un’autentica doctor bag (e che io indosso qui), borsa che avevo trovato qualche anno fa in un negozio second hand (e con la tracolla ha acquistato maggiore praticità).

Non c’è limite agli abbinamenti che potrò fare e questo stuzzica la mia fantasia: se volete seguire cosa inventerò, tenete d’occhio il mio account Instagram.

E se volete anche voi cimentarvi nel gioco degli abbinamenti dettati dal vostro estro personale grazie alle meravigliose tracolle Demanumea, qui trovate il loro sito, qui la pagina Facebook e qui l’account Instagram.

A me non resta che darvi appuntamento alla mia prossima scelta in pillola 🙂

Manu

Second hand economy: i miei tre negozi preferiti a Milano

Oggi desidero parlare con voi di un argomento che mi sta molto a cuore: il second hand.

In un momento storico in cui circola meno denaro rispetto al passato (penso, per esempio, ai più goderecci Anni Ottanta), una delle soluzioni possibili è quella di allungare il ciclo di vita degli oggetti: così, dopo decenni di consumismo e di filosofia usa e getta, è il momento d’oro del riuso, dal vintage ai negozi second hand (o seconda mano), dai mercatini delle pulci alla pratica dello swap party.

Prima di tutto, però, occorre fare una doverosa distinzione tra vintage e second hand.

Il termine vintage indica espressamente oggetti prodotti almeno vent’anni prima del momento attuale e dunque si differenzia dal second hand che di solito è più recente. La caratteristica principale di un oggetto o di un capo vintage non è dunque soltanto quella di essere stato utilizzato in passato, bensì il valore che ha acquisito nel tempo per le sue doti di irripetibilità e irriproducibilità: rappresenta una testimonianza dello stile di un’epoca passata e magari ha anche segnato un particolare momento storico o un passaggio importante della moda o del design.

Tutto ciò è intrinseco già nel nome stesso: vintage deriva infatti dal francese antico vendenge, termine inizialmente coniato per i vini vendemmiati e prodotti nelle annate migliori e poi diventato sinonimo dell’espressione d’annata. Leggi tutto

Il potere di immagine e loghi: dal caso Ikea vs Balenciaga fino a Reilly

Vi sarà forse capitato di leggere qualche articolo a proposito della vicenda che, nelle scorse settimane, ha avuto come protagonisti Ikea, noto colosso svedese dell’arredamento, e Balenciaga, storico brand di moda.

Riassumo brevemente: quest’ultimo ha lanciato una borsa, una Carry Shopper chiamata Arena (con un esoso prezzo a quattro cifre…) che assomiglia (per usare un eufemismo…) nel colore, nel design e nelle dimensioni a Frakta, la (mitica) borsa blu Ikea pensata per lo shopping e per tante altre applicazioni (e venduta a 0,60 centesimi…).

Basta mettere vicino le due borse – vedere qui sopra – per verificare quanto si assomiglino: stesso colore, anzi, addirittura stessa sfumatura di colore, stesso doppio manico, stesso formato maxi, stessa silhouette.

Certo, una è in (resistente) polipropilene (quella Ikea), mentre l’altra è in pelle (quella Balenciaga), spero quanto meno pelle pregiata; è altrettanto certo, però, che se la Frakta è sul mercato da tanti anni, la Carry Shopper Arena è invece una novità per la primavera / estate 2017, dunque non si possono nutrire dubbi su quale sia… l’originale e su quale azienda abbia avuto l’idea per prima.

Nascono così vari quesiti: si tratta di un omaggio da parte di Balenciaga a quello che è diventato un oggetto quasi cult (la Frakta)? Oppure voleva essere un gioco ironico e un po’ estremo?

È uno sfacciato plagio, come sostengono invece altri? Oppure in Balenciaga sono semplicemente a corto di idee e hanno cercato ispirazione?

Negli ultimi anni, è capitato che diversi marchi di fast fashion siano stati accusati di copiare capi e accessori dalle passerelle dei brand più blasonati: avreste mai immaginato che, un giorno, sarebbe invece successo che una borsa da 0,60 centesimi sarebbe stata oggetto di un fake a quattro cifre (lo ribadisco)? O – se preferite e se ci credete – di un omaggio (sempre comunque a quattro cifre)?

Sapete, oltre a farmi riflettere sull’assurdità di un mondo in cui il fake è l’oggetto più costoso nonché quello che vorrebbe elevarsi al ruolo di status symbol, questa vicenda mi ha fatto riflettere sulla potenza delle immagini e – conseguentemente – dei loghi: quanto forte può essere la comunicazione visiva se un marchio blasonato arriva a ispirarsi (diciamo così) a un oggetto assolutamente normale e quotidiano per creare quello che il marchio stesso spera possa invece trasformarsi in un oggetto esclusivo e da desiderare?

E sempre pensando al potere di immagini e comunicazione visiva, desidero ampliare ulteriormente il discorso.

Pensate infatti a un’altra cosa: i loghi di tanti marchi famosi (più o meno esclusivi) sono così universalmente riconosciuti e così saldamente impressi nei nostri occhi e conseguentemente nelle nostre teste che – spesso – non è nemmeno necessario che siano accompagnati dal nome stesso del brand. Basta la forma del logo a suggerirlo.

Un esempio su tutti? Mi viene subito in mente Apple con la sua mela.

Che sia o meno accompagnato dal nome per esteso, oggigiorno tutti riconosciamo comunque e immediatamente Apple anche solo dalla sagoma della mela.

La stessa cosa vale per Nike e per il suo logo. E potrei continuare.

Facciamo un ulteriore passo: questo tipo di associazione è talmente potente da aver generato una vera e propria mania verso i loghi.

Ecco, è proprio su questo potentissimo meccanismo di associazione visiva tra brand e loghi e sulla percezione che ne deriva che si fonda il lavoro di un artista, illustratore e graphic designer di nome Reilly. Leggi tutto

Lucio Costa, quando la moda racconta qualcosa di bello e speciale

Ci sono momenti in cui è necessario avere l’intelligenza e l’umiltà di fare un passo indietro.

Perché oggi esordisco con questa affermazione? Ora ve lo spiego.

Lo scorso 23 settembre, durante Milano Moda Donna, ho avuto il grande piacere di partecipare a un evento speciale dedicato a Lucio Costa.

Si è trattato di un momento suggestivo pensato per parlare di un capitolo interessante della moda italiana e di un protagonista che ha contribuito a scriverne la storia: da una parte, è stato presentato So Lucio!, ovvero il libro dedicato allo stilista prematuramente scomparso; dall’altra, è stato presentato il rilancio del marchio con la nuova capsule collection primavera / estate 2017 disegnata da Roberto Pelizzoni, socio e compagno storico di Lucio Costa.

Il libro presenta il percorso personale e professionale di Lucio Costa attraverso immagini iconiche tratte dalle più importanti riviste di moda, dalle sfilate e dagli scatti fotografici delle sue proposte stilistiche dal 1987, anno del suo debutto internazionale, al 2012, anno della sua scomparsa.

I testi sono di chi ha amato e stimato Lucio, le giornaliste Giusi Ferré, Renata Molho, Gisella Borioli, Cinzia Brandi, Dominique Muret; la presentazione dello spaccato storico e sociale di Milano negli Anni Ottanta è curata dal critico e giornalista Matteo Ceschi.

Alice Gentilucci ha invece coordinato il fashion editing del libro So Lucio! e l’immagine dello shooting con la guest model Soo Joo Park, fotografata da Federico Garibaldi.

Potrei andare avanti citando altri bravi professionisti che hanno collaborato a questo progetto straordinario: straordinario perché racconta un uomo e un professionista che merita di essere raccontato e ricordato; straordinario perché non è poi così consueto – nella moda così come in altri settori – che tante persone si riuniscano con un unico scopo che vada oltre qualsiasi singolo interesse personale.

E, in questo caso, il desiderio è quello di rendere unico protagonista Lucio Costa, desiderio che riconferma quanto lui sia stato una persona speciale in grado di lasciare una grande eredità in termini di affetto e di stima. Leggi tutto

A glittering woman… e siamo arrivati a quota quattro :-)

Talento, capacità, creatività, estro, passione: sono i termini più ricorrenti in questo blog.
Eppure, come per una sorta di beffarda legge del contrappasso, devo ammettere di non avere nessun talento né artistico né creativo.
Questa consapevolezza si trasforma in un grande rammarico, anche se non sono una persona che vive di rimpianti.
Il rimpianto è in effetti un sentimento che non mi appartiene: sono per l’azione, penso, decido e agisco, e quindi capita raramente che io mi rimproveri per non aver fatto quel che avrei dovuto fare.
Soffro invece ogni tanto di rimorsi, proprio per il fatto di essere spontanea, istintiva e talvolta impulsiva: agisco spesso di pancia e di cuore e ammetto, quindi, che ci sono cose che non rifarei.

Eppure, da piccola sembravo promettere bene quanto a talenti: avevo una certa buona predisposizione nel disegnare, dipingere, fare collage e bozzetti, un’inclinazione riconosciuta da maestri e professori fino alle medie.
Poi, però, per volontà dei miei genitori, seguii un’altra strada e il mio talento artistico subì una decisa battuta d’arresto.

Con la musica è andata anche peggio.
Riconosco che le lezioni di flauto alle medie erano una vera tortura, per me e per chiunque avesse la sfortuna di ascoltarmi: in tale ambito, non avevo alcun talento e massacravo il povero strumento tirando fuori notte a dire poco strazianti.
Non parliamo nemmeno del canto: credo di essere una delle persona più stonate che siano mai esistite. Dicono che l’intonazione sia questione di esercizio e di educazione vocale, ma non so se sia un modo gentile per rincuorare quelli senza speranza come me.
Comunque, visto che amo immensamente la musica, sfogo il mio amore cantando in macchina. Rigorosamente da sola.

Nulla di fatto nemmeno con la sartoria: rammendo qualche cosa o riattacco un bottone giusto per necessità.

Da bambina, oltre a disegnare e dipingere, infilavo perline: non so quanti bracciali e collane avrò fatto.
Oggi, però, mi limito a fare piccole riparazioni o modifiche sui pezzi della mia sterminata collezione di gioielli.

Per quanto riguarda la fotografia, qualcuno dice che io abbia buon occhio, ma non l’ho mai affinato con studi specifici né aiutato con strumenti idonei come una macchina professionale.

Comprenderete dunque il mio rammarico: mi sento come un insieme di occasioni mancate, ahimè, e, per anni, ho pensato con dispiacere di essere una persona… sterile.

Poi, è successa una cosa.
Ho capito che due delle cose che amavo e che amo follemente – moda e comunicazione – potevano convivere in grande armonia; non solo, insieme potevano dare addirittura vita a una (buona) forma di creatività.

È vero, non so dipingere, disegnare, suonare, cantare, cucire, creare un abito o un gioiello, eppure una capacità ce l’ho perfino io: mi piace inseguire il talento, riconoscerlo, sceglierlo accuratamente, cercare di diffonderlo dandogli voce nonché la chance di essere conosciuto.

Le parole sono diventate la materia prima con cui fare tutto ciò, le adopero come se fossero un pennello, uno strumento musicale, un ago.

E i creativi, i designer, gli stilisti, gli artisti dei quali mi occupo e dei quali racconto sono diventati membri di una famiglia che ho scelto e alla quale tengo molto.
Una famiglia che costruisco giorno dopo giorno, fatta di persone in gamba, volenterose, volitive, talentuose, capaci, coraggiose. Persone delle quali sono orgogliosa, come se fossero davvero sangue del mio sangue, anche perché il talento e la passione che esso genera sono in realtà legami forti capaci di unire le persone oltre le parentele di legge.

Nutro immensa stima e ammirazione per chi come loro ha il coraggio della fantasia.
Perché se avere fantasia e creatività è spesso un dono innato, decidere di assecondare tali doti e di non imbrigliarle, decidere di non omologarsi è invece una scelta. Precisa e molto, molto coraggiosa.
Ammiro le persone che non hanno paura di impegnarsi, di lavorare sodo, di inventare, di sperimentare, di rompere i confini dell’omologazione e della banalità.

Tutte queste persone sanano il rammarico di non saper creare nulla perché oggi credo che le mie parole possano aiutare la diffusione della bellezza che loro sanno creare.
Possiamo essere una squadra nella quale ognuno ha il proprio compito.

Ecco perché considero A glittering woman come la mia creatura.

Ecco perché amo questo blog: adoro scrivere per giornali e riviste, certo, ma qui… è diverso. Qui sono a casa.
Ed ecco perché amo voi, la comunità che è nata attorno a questo spazio e che è unita proprio dalla passione per bellezza, talento, capacità.
Ed ecco infine perché – come ho già raccontato lo scorso anno in occasione del suo terzo compleanno – A glittering woman è l’unica cosa della quale non mi sono mai, mai, mai pentita.

Oggi, A glittering woman compie quattro anni e sì, proprio così, è una delle cose delle quali non mi sono mai pentita, nemmeno per un istante: sono felice di aver aperto questo spazio e ne sono felice ogni giorno che passa, è stata ed è una scelta giusta.
Non mi sono mai pentita nemmeno di una singola riga che ho scritto qui e per una ragione molto semplice: sono sempre stata me stessa.
A glittering woman non potrebbe assomigliarmi di più né io potrei assomigliarle di più: tornerei a scrivere tutti i 527 post pubblicati (528 con questo) e non è poco, credo, soprattutto per una persona che ha il cruccio – lo ripeto – di non sapere creare nulla.
E amo Agw al punto che tutti i miei scritti – chiamateli post o articoli, per me non fa alcuna differenza – sono un po’ come figli, perdonatemi per il paragone.

Volete sapere un’ultima cosa?
Tempo fa, mi sono ricordata di un gioco che io e mia sorella facevamo da bambine.
Tra le innumerevoli cose che ci piaceva fare, tra bambole, Barbie, palloni, biciclette, pennarelli, costruzioni, giocavamo anche a creare dei giornalini. Lo ricordo perfettamente, passavamo ore a preparare copertine e sommari, imitando ciò che osservavamo entrare in casa nostra grazie a mamma e papà.
Insomma, un gioco e quasi un destino, oserei dire: oggi, questo blog… è il mio giornalino.

Tanti auguria te, A glittering woman.

Non ci sono rimpianti o rimorsi legati a te, né per situazioni né per decisioni.
Se tornassi indietro, aprirei di nuovo questo spazio. Anzi, lo farei prima.
Tutto ciò che hai portato e comportato è stato positivo, in mille modi diversi, perché la mia voglia di condivisione è sempre stata autentica e sincera e – di conseguenza –  A glittering woman non è mai stato uno specchio delle (mie) vanità.

È stato, è e sarà un luogo libero nel quale celebrare la positività perché – nonostante tutto, nonostante tempi certo non facili – io continuo a vedere tanta bellezza ovunque.

E farò del mio meglio affinché tu possa continuare a crescere in modo sano, così come ho fatto in questi quattro anni.

Manu

 

(Nella foto di apertura: collage di momenti da glittering woman alle prese con le mille forme del talento 🙂 Dall’alto, da sinistra: le meravigliose calzature di Andrea Mondin | Sul set della rivista Fashink per il mio styling con la modella Amy Beth | Le splendide borse di Annalisa Caricato | Io con il grande maestro Manolo Blahník all’inaugurazione della sua mostra a Milano | Perle di saggezza fotografate a un press day e che ben rappresentano la mia filosofia | Io all’evento della geniale app Urban Finder | Le spille di Paola Brunello tra fantasia e cuore | Io e la storica del gioiello Bianca Cappello all’inaugurazione della mostra dedicata al grande bigiottiere Carlo Zini | Due creazioni di Serena Ciliberti, una designer che non ha paura di osare )

 

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Enrico Mazza FW 17-18, ode a uno sfarzo lontano dalla visione tradizionale

Chi si somiglia si piglia, dice la saggezza popolare.

Voi ci credete?

Io sì e non solo per quanto riguarda amore e amicizia: mi piace pensare che questa attrazione tra simili funzioni in tutti gli ambiti.

In qualità di libera professionista posso (quasi sempre) scegliere di seguire proprio questo principio decidendo di lavorare con chi ha la mia stessa visione. Ho messo quel quasi sempre tra parentesi perché non sono un’illusa né un’ingenua e dunque so perfettamente che nessuno di noi è libero al 100%, nemmeno quando siamo capi di noi stessi, e io non faccio eccezione – purtroppo.

Ma questo, per fortuna, è uno di quei giorni in cui posso raccontare di uno splendido incontro nato dalla grande libertà di poter scegliere: desidero parlarvi di un uomo che mi è piaciuto immediatamente perché ho ritrovato in lui tanti dei miei stessi ideali uniti a grinta, energia, entusiasmo.

Quest’uomo si chiama Enrico Mazza e posso definirlo un creativo a tutti gli effetti e a tutto tondo, un visionario (nel senso migliore del termine) delle forme e del lifestyle a 360 gradi.

Esprime la propria creatività in molteplici e variegati ambiti: è curioso (come lo sono io), è affamato di stimoli quanto prolifero di idee e trae ispirazione da tutto ciò che lo circonda, come racconta lui stesso. Leggi tutto

E ora Pantone comanda colore… Greenery!

Mentre pensavo al titolo da dare a questo post, mi è venuto in mente un ricordo di infanzia: avete mai giocato a strega comanda colore?

Assomiglia a ce l’hai o a rimpiattino: la strega in questione è il giocatore che conduce e che ha l’obiettivo di catturare gli avversari. Pronuncia la frase strega comanda colore seguita dal nome di un colore: gli altri giocatori devono cercare un oggetto della tinta indicata e mettersi in salvo toccandolo.

Ho ripensato a tale gioco in riferimento a una delle tante attività portate avanti da Pantone, l’azienda statunitense che è sinonimo di un sistema di classificazione colore tra i più conosciuti e diffusi al mondo: ogni anno, l’ente indica infatti la tinta più rappresentativa, quella che influenza lo sviluppo di prodotti in settori tra cui moda e design.

Insomma, trasformerei il nome del gioco in Pantone comanda colore in quanto la tinta eletta diventa un simbolo, diventa l’istantanea di quello che avviene nel nostro tempo e nella nostra società: per il 2017, è la volta del Greenery, una tonalità verde-gialla, fresca e frizzante, capace di evocare rinascita, rinnovamento e rigenerazione.

Secondo Pantone «rievoca i primi giorni di primavera, quando le infinite sfumature di verde della natura si risvegliano, si riaccendono e tornano a essere più belle che mai. Tipico delle chiome verdeggianti e delle distese lussureggianti dei paesaggi naturali, Greenery richiama il bisogno di respirare aria pura, ossigenarsi e attingere nuova linfa.»

Risveglio, ossigeno, nuova linfa: ecco perché decido di parlarvi proprio ora della scelta fatta da Pantone, perché a questo punto, fatto fuori l’interminabile gennaio e approcciato febbraio, abbiamo davanti a noi la prospettiva della primavera che – speriamo! – inizierà a darci qualche cenno con l’arrivo del mese di marzo. Insomma, siamo pronti ad accogliere tutto ciò che parla di rinnovamento. Leggi tutto

Annalisa Caricato, quanta fantasia può stare dentro una minibag?

Sì, lo so: dovrei pensare all’autunno già in corso e all’inverno ormai imminente.

Dovrei pensare a castagne da arrostire e albero di Natale da allestire, presto, molto presto.

Non dovrei pensare alla primavera, ai tessuti leggeri, a colori e stampe vivaci, alle forme sinuose e accattivanti.

Non dovrei avere la testa piena di farfalle svolazzanti e fiori pronti a sbocciare.

Ma come si fa? Come si fa a non pensare a tutto ciò – farfalle, fiori, colori – dopo aver partecipato ai press day e dopo aver visto tante deliziose anticipazioni per la prossima primavera / estate 2017?

Come si fa a far finta di non aver visto nulla e a non condividere subito con voi almeno una piccola anticipazione?

Facciamo un patto: parlo di un brand sul quale non posso proprio tacere, poi metto la testa a posto (più o meno) e torno buona buona a occuparmi di collezioni autunno / inverno 2016 – 17. Affare fatto?

Ho sentito dei timidi sì, mi pare, e dunque parto: signore e signori, vi presento la poliedrica Annalisa Caricato della quale mi sono innamorata la scorsa settimana, dopo aver ammirato e toccato (anzi, accarezzato) le sue borse.

Annalisa Caricato nasce e frequenta i primi studi artistici nella città di Bari: compiuta la maggiore età, si trasferisce a Roma per formarsi come designer. Leggi tutto

Grinko FW 16-17, quando dubbio fa rima con buonsenso

Qualche giorno fa, conversando con una persona attraverso Facebook, mi sono ritrovata a esprimerle un mio pensiero ricorrente.

“Sono i dubbi a mantenerci vigili, curiosi, interessati.”

Non importa di cosa stessimo parlando, ciò che conta è che è un principio nel quale credo profondamente e fortemente: ho mie idee e opinioni che generalmente sono ben salde, eppure sono sempre disponibile a metterle in discussione, soprattutto quando incontro persone che, con buone argomentazioni, riescono a farmi cambiare punto di vista.

Penso insomma di essere una persona aperta al cambiamento e al confronto in un’ottica di crescita umana e professionale.

Se vi state (giustamente) chiedendo il perché di un simile esordio, ve lo spiego subito: stamattina, ben decisa a scrivere un post dedicato alla collezione autunno / inverno 2016-17 di Sergei Grinko, ho aperto il comunicato stampa e ho riscoperto il nome attribuito dallo stilista a detta collezione.

“Belief + Doubt = Sanity”, ovvero “Opinione + dubbio = Salute mentale”. Oppure buonsenso, se preferite.

Ho scritto riscoperto perché in realtà non è stata una sorpresa assoluta: avevo già notato il titolo (che è un vero e proprio manifesto programmatico) in occasione della sfilata alla quale avevo assistito lo scorso 24 febbraio. Confesso però che, nel frattempo, mi era passato di mente e devo dire che sono stata colpita dalla congruenza tra il pensiero di Sergei e il mio espresso attraverso parole affidate a Facebook. Leggi tutto

MFW: empatia (poca), metatarsi malconci e tanta bellezza, per fortuna!

Adoro girare la mia città – Milano – a piedi, anche quando si tratta di fare molti chilometri.
Trovo che, se il clima lo consente, muoversi a piedi sia il miglior modo per conoscere il luogo in cui si vive, senza contare i notevoli benefici per salute e spirito.
Datemi un paio di scarpe comode e per me camminare non solo non è un problema, ma è invece una gioia: in questi giorni, poi, Milano gode di un clima perfetto, né caldo né freddo, quel tempo che vorrei durasse tutto l’anno.

Dovete però sapere che mercoledì scorso, primo giorno di MFW (alias Milano Fashion Week alias Milano Moda Donna alias Settimana della Moda di Milano), ho sbagliato la fondamentale scelta delle scarpe.
Ho indossato un modello che di solito è piuttosto comodo, con una leggera zeppa interna: non avevo però immaginato di percorrere quasi 15 chilometri a piedi. Posso quantificarli con tanta precisione perché ho condiviso la giornata con un caro amico (che si chiama Andrea Tisci) il quale aveva un contapassi.
Ecco, diciamo che 15 chilometri a piedi rendono scomoda qualsiasi zeppa non dotata di plateau anteriore, come è il caso di quelle mie scarpe. E, tra l’altro, la cosa peggiore non è nemmeno il fatto di camminare, bensì quello di fare lunghe soste in piedi, fermi sul posto, esattamente come accade durante la MFW per sfilate, presentazioni, incontri ed eventi, con tutto il peso del corpo che grava pericolosamente su metatarso e tallone.
Risultato: mercoledì sera quasi piangevo per il dolore. E per la rabbia, perché ho una certa esperienza e, in realtà, non avrei dovuto farmi fregare come una principiante alle prime armi.

Di conseguenza, giovedì mattina, ho optato per un paio di comodi anfibi: avevo ancora i piedi doloranti, lo giuro, ma il metatarso, almeno, ha ringraziato.
E, comunque, non ho affatto rinunciato a camminare, anzi.
A un certo punto della giornata, però, ho avuto la malaugurata idea di prendere il filobus per recarmi da una sfilata a una presentazione: ero di corsa e tra i due luoghi c’era una certa distanza.
Direte voi: perché, allora, scrivo di aver avuto un’idea malaugurata?
Perché il filobus procedeva un po’ a fatica per via del traffico nonché di alcuni cantieri dovuti a diversi lavori in corso: le fermate erano piene di gente in attesa, la vettura era colma e molti erano spazientiti.
Tant’è che una donna ha chiesto al conducente il motivo di tanta confusione e lui le ha risposto “C’è la Fashion Week, signora”.
E lei, di rimando: “Ah, ecco! Vede, se avessero invece qualcosa di serio da fare”.

Chi legge il blog abitualmente sa quanto io detesti i cliché di ogni tipo, ordine e grado e questa illuminata sentenza è proprio questo, un ottimo (anzi, pessimo) esempio di cliché.
E mi è davvero insopportabile, forse anche perché mi tocca in prima persona, lo ammetto.
Dunque, vorrei dire alcune cosette. Leggi tutto

Bakarà, dalla Sicilia al mio armadio passando per Instagram

Per curiosità personale (caratteristica che mi accompagna da sempre) e per esigenze lavorative, uso il web per informarmi, per studiare e per fare ricerca.

Passo in rassegna centinaia se non migliaia di immagini, vaglio nomi, persone, volti, marchi, prodotti alla ricerca del dettaglio che mi colpisca, che attiri la mia attenzione distinguendosi e catturando il mio cuore.

Sono talmente abituata a fare questo vaglio ed è cosa talmente naturale che a volte non smetto nemmeno nei momenti di relax, magari alla sera, sul divano, iPad alla mano.

Una delle risorse che preferisco utilizzare per condurre tali ricerche è Instagram e lo è per due motivi: se vedo qualcosa che mi piace ho l’opportunità di entrare in contatto veloce e diretto col marchio che mi interessa; è uno strumento sufficientemente democratico, nel senso che si trovano account con milioni di follower così come piccoli account con pochi seguaci e, magari, cose splendide. Tutti possono aprire un account su Instagram, tutti possono farne la propria vetrina: è facile e immediato e si può incontrare chi, come me, usa questo social come un mare nel quale fare una buona pesca (e questo è un suggerimento affettuoso che mi permetto di dare a tutti i creativi che stanno leggendo).

A volte, dunque, finisco con il contattare chi suscita il mio interesse e lo faccio – diciamo così – in via ufficiale, presentandomi e raccontando del mio lavoro da editor; a volte, invece, procedo in incognito, segretamente e silenziosamente.

Perché? Non esiste un criterio preciso e sempre valido, diciamo che entrambi i casi possono dipendere da un mix di motivi: questione di naso, sensazioni, gusto personale, umore del momento, tempo a disposizione e via discorrendo.

A volte faccio dei test o degli esperimenti, lo confesso, e, visto che non sono certa al 100% circa il buon esito, preferisco agire con molta discrezione. Oppure, molto semplicemente, vedo una cosa, me ne innamoro e decido di tenerla per me. Egoista? Forse, ma neanche una editor pur molto appassionata, in fondo, può sempre privilegiare l’aspetto lavorativo. Giusto? Leggi tutto

Feeling like a princess, la quotidianità del lusso secondo MAD Zone

Un paio di settimane fa, ho pubblicato un articolo dedicato a MAD Zone, la creatura di Tania Mazzoleni.

Creatura è il termine giusto, credetemi: MAD Zone è uno spazio vivo, un po’ negozio, un po’ salotto (nel senso più autentico del termine), un po’ laboratorio di moda, arte e design.

L’avevo descritto come “in continua evoluzione”: sono tornata mercoledì scorso per un vernissage e ho avuto la prova che è davvero così, lo store cambia e si evolve continuamente proprio come una creatura vivente.

Ho trovato un allestimento completamente diverso rispetto alla mia precedente visita, sorprendente e – ancora una volta – favoloso: Tania ha infatti pensato che MAD Zone dovesse celebrare l’estate con un evento molto speciale intitolato Feeling like a princess, la quotidianità del lusso.

La volontà dell’iniziativa è quella di rappresentare il mondo del lusso contemporaneo come la possibilità di riconoscere e portare con sé la bellezza ogni giorno, con eleganza, naturalezza e un tocco di ironia: Tania ha voluto mettere in scena l’idea di una moderna principessa, anticonvenzionale e dalla personalità dirompente, e l’ha fatto attraverso le creazioni oniriche e visionarie della stilista inglese Mihaela Teleaga, attraverso lo storico marchio di borse e accessori Leu Locati e attraverso le opere del ritrattista e illustratore Roberto Di Costanzo.

Visto che l’idea di lusso contemporaneo di MAD corrisponde anche alla mia, sono felice di condividere con voi racconto e foto del vernissage di mercoledì 8 giugno. Leggi tutto

MAD Zone, benvenuti in una follia che è tutta salute

Chi mi conosce bene e chi legge abitualmente A glittering woman sa che esistono cose in grado di farmi perdere l’aplomb che, di solito, mi accompagna.

Una di queste cose è l’uso improprio di determinate parole o espressioni: credo di avere già scritto quanto mi infastidisca, per esempio, l’abuso di termini quali icona e mito. Iconico o mitico sono aggettivi oggi attribuiti con grande generosità: peccato che, invece, poche cose e poche persone lo siano realmente e dunque simili definizioni andrebbero dosate con grande parsimonia.

Purtroppo, oggigiorno esiste questa tendenza: se si prende di mira una parola si tende a metterla ovunque.

Vi faccio un altro esempio: è di moda definire come concept store diversi tipi di spazi commerciali, soprattutto quelli specializzati in merci di vario genere. E così, d’un tratto, molti negozi sono – o sono diventati – concept store.

Io non ci sto: concept store ha un significato molto preciso, è un’espressione bellissima che presuppone e prevede un’idea e una progettualità, dunque non può essere usata a casaccio per qualsiasi negozio che semplicemente venda diversi tipi di merce. Non basta questo per essere un concept store: se non ci sono un filo conduttore preciso e un progetto di respiro più ampio occorrerebbe piuttosto parlare di negozi multimarca e lo dico con tutto il rispetto possibile, sia ben chiaro. In caso di spazi di dimensioni maggiori o con ancora maggiore varietà di prodotto, si può parlare di grandi magazzini o department store per chi preferisce l’inglese.

Qualcuno penserà che sono una pesantissima brontolona, ma a mia discolpa posso dire che amo a tal punto le parole che mi piace che vengano rispettate: al contrario, non amo la confusione né apprezzo il qualunquismo e il pressapochismo che spesso vanno di moda al pari delle parole mito e icona. Leggi tutto

Abbinare scarpe e borsa? Sorpassato. Provate Your Opticar Illusion!

Uno dei tanti dilemmi femminili è l’abbinamento tra scarpe e borsa.

Fino a non molto tempo fa, la regola che andava per la maggiore era quella che voleva che questi due accessori fossero perfettamente coordinati e integrati, ovvero che fossero dello stesso colore e dello stesso materiale, pelle o tessuto. Addirittura, qualora ci fosse la cintura, doveva anch’essa seguire gli stessi criteri.

Per fortuna, non esistono più regole così ferree nella moda e oggi si dà precedenza alla personalità: certo, continua a esistere – o dovrebbe continuare a esistere – una cosa che si chiama buongusto e che è la regola base per creare uno stile personale degno di nota. Un tocco di stravaganza è sempre il benvenuto e aggiunge sale, ma ricordiamo che equilibrio e misura non passano mai di moda né sono soggetti a trend.

Abbinare rigorosamente scarpe e borsa corrisponde dunque a una visione datata e anche un tantino noiosa, ammettiamolo, anche perché ci sono abbinamento molto più sorprendenti e inaspettati tanto da diventare divertenti: avete mai pensato, per esempio, ad abbinare borsa e auto?

È l’idea che è venuta in mente a Braintropy, brand che seguo fin dai suoi esordi e che ammiro particolarmente in quanto ha fatto di trasformismo e versatilità le proprie cifre distintive. E per realizzare questa idea, nuovo step del proprio percorso, Braintropy ha deciso di fare coppia con Motor Village Italia.

Se mi seguite, avete magari letto altri miei post dedicati al marchio toscano che unisce know how dalle radici antiche e una continua ricerca di nuove soluzioni quanto a forme e materiali.

Il modello più rappresentativo si chiama Patty Toy ed è una borsa componibile: brevettata e 100% made in Italy, è dotata di una zip posteriore che permette di cambiare rapidamente e facilmente la pattina mantenendo il corpo borsa. Le pattine possono essere acquistate separatamente e consentono di rinnovare la borsa.

Non solo, anche la tracolla è trasformabile e cambia misura: attraverso alcuni piccoli perni e grazie alla maniglia removibile, Patty Toy può essere portata a mano, a tracolla e in alcuni casi diventa perfino zaino.

In occasione del recente press day, i rappresentanti Braintropy mi hanno inoltre presentato il nuovo progetto che prevede, come accennavo, la collaborazione con Motor Village Italia.

Motor Village Italia è una realtà che fa parte di FCA, acronimo di Fiat Chrysler Automobiles: riunisce gli store creati per offrire un’esperienza di acquisto personalizzata a chi cerca un modello Fiat, Lancia, Alfa Romeo, Fiat Professional, Jeep e Abarth. Nel concreto, si presenta con una serie di spazi contemporanei e multimediali dove le proposte e i servizi sono disegnati su misura per rispondere al meglio alle esigenze di ogni cliente.

Braintropy e Motor Village Italia hanno deciso di lanciare una capsule collection che si chiama Your Opticar Illusion, un progetto dedicato alle donne e che gioca – naturalmente! – con la personalizzazione. Leggi tutto

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