Libri e Natale: 9 titoli su moda & costume da mettere sotto l’albero

Amo leggere. E amo i libri. Appassionatamente e da sempre.

Li amo fin da piccina, dai primi anni delle elementari. Leggevo così tanto, letteralmente bevendo ogni libro acquistato, che i miei mi fecero l’abbonamento alla biblioteca di zona. Pochi anni dopo, feci io stessa quello alla Sormani, la bellissima biblioteca centrale sede del sistema bibliotecario comunale milanese.

Ora che si avvicina Natale e tutti noi pensiamo ai regali per coloro che amiamo, io ho pensato ai libri.

Libri e Natale: trovo sia un binomio meraviglioso in quanto credo che regalare conoscenza sia uno dei regali d’amore più belli che si possano fare. Perché conoscere aiuta a essere liberi. E a spiccare il volo.

Nel tempo, la mia passione per la lettura si è estesa a tutti i settori di mio interesse. Non fa eccezione la moda, per due motivi.

Il primo è perché la moda è diventata il mio lavoro e quindi ho bisogno di formazione continua. Il secondo è perché alla base di questo mondo – che a tanti sembra superficiale – c’è in realtà tanta cultura. La moda vive di conoscenza e di approfondimento. Se si desidera conoscerla davvero ed essere in grado di interpretarla correttamente, occorre indagarne codici e significati.

Ho dunque pensato di selezionare nove libri di recentissima pubblicazione da mettere sotto l’albero per nutrire la conoscenza in ambito moda e costume. E per indagare le molteplici e reciproche relazioni che la moda intrattiene con mondi come cinema, spettacolo e musica. Leggi tutto

Pensiero sul colore giallo e sul brutto vizio di dire «fa schifo»…

Foto di Gino Crescoli da Pixabay

«Questo giallo che va di moda fa proprio schifo e poi a me delle mode non frega niente.»
Sono le parole che ho sentito pronunciare giorni fa a una persona nello spogliatoio della mia palestra. Quasi con orgoglio, tra l’altro.
Mi hanno fatto sorridere (amaramente), scuotere la testa e mi sono tornate in mente quando qualche mattina fa ho indossato questo maglione.
«Non mi piace», «non lo apprezzo», «non è di mio gradimento», «non incontra il mio gusto», «non mi rappresenta», «non lo indosserei»: sono tutte opinioni e, in quanto tali, sono più che legittime.
«Fa schifo»: è un giudizio e per giunta espresso in maniera brusca e poco rispettosa. Altro che esserne orgogliosi…
Anche perché le opinioni creano confronto, mentre i giudizi bruschi sono invece sterili. E creano distanza.
Le parole hanno un peso o almeno lo hanno per me e ce ne sono alcune che sono solo gratuite, definiamole così, e io non le userei mai per definire qualcuno, i suoi gusti, le sue scelte o il suo lavoro: schifo è una di queste, come avevo già raccontato qui.
E, sempre come ho detto tante altre volte, credo nella comunicazione assertiva e nella capacità di sottolineare la positività, cosa che non vuol affatto dire snaturarsi o mentire.
Pensate che sono perfino d’accordo con la seconda parte del discorso di quella persona: ha perfettamente ragione nel fregarsene di mode e tendenze dando retta solo alla sua testa.
Ciò in cui il suo ragionamento fa acqua, a mio avviso, è il fatto che dicendo «fa schifo» non abbia rispettato sentimenti e opinioni altrui: il giallo non fa schifo, è un colore pieno di energia che può essere o apparire esagerato e che, sicuramente, molti non indosserebbero o non indosseranno; può piacere o non piacere, ma non fa schifo.
Non per nulla è il colore di tante cose belle e buone: del sole, delle margherite, del girasole, di alcune varietà di rose, tulipani e gerbere, delle api, del miele, dei campi di grano maturo e delle foglie in autunno, di tanti frutti, dal limone alla mela passando per la pesca e la banana, di verdure come la zucca e i peperoni, della pasta.
Mi hanno spiegato che il giallo è il simbolo della saggezza nel Buddhismo.
E poi, se vogliamo, è il colore delle emoticon, le faccine che riproducono le principali espressioni facciali umane e che, ormai, fanno parte del nostro modo di esprimerci.
Volete sapere una cosa? Neanche a me importa delle tendenze: pur occupandomi di moda, preferisco che le persone seguano le proprie opinioni, che abbiano il proprio stile.
L’unica cosa che apprezzo delle tendenze è il fatto che, quando vanno di moda colori non facili come il viola o il giallo (e che io amo indipendentemente, che indosso regolarmente e che, guarda caso, sono complementari l’uno dell’altro), quando vanno di moda, dicevo, posso fare incetta di capi in quei colori e che di solito trovo a fatica.
Dunque non ho comprato quel maglione di cui parlavo in principio perché il giallo è di moda; l’ho comprato perché quando ho visto questo capo color del sole e che è caldo e morbido proprio come il sole… me ne sono innamorata all’istante. E quando lo indosso mi sento baciata, coccolata e riscaldata.
Altro che schifo, mia cara signora.

Manu 🙂

Ultra Violet, dice Pantone per il 2018: ecco la mia wishlist in 6 punti

Si chiama Ultra Violet e corrisponde al codice 18-3838: è il colore che il Pantone Color Institute ha scelto per il 2018 e che influenzerà ambiti tra i quali figurano moda e design.

Il mio articolo più recente per ADL Mag inizia con queste parole e così, ancora una volta, torno a parlare di un argomento che mi affascina molto: il colore con il suo ricco potenziale comunicativo e la sua articolata psicologia.

Lo scorso febbraio, direttamente qui nel blog, avevo raccontato come Pantone avesse scelto il Greenery per rappresentare il 2017, una sfumatura di verde a forte componente di giallo: quel colore mi piaceva parecchio ma, se posso esprimere la mia opinione, dichiaro la mia netta e decisa preferenza per il neo eletto Ultra Violet.

Sarà che il viola è sempre stato uno dei miei colori preferiti e che non sono minimamente superstiziosa, così come ho raccontato quando Hillary Clinton scelse un tailleur di tale tinta in un’occasione decisamente importante, episodio che riprendo anche nel pezzo per ADL Mag così come torno a raccontare il motivo per il quale il viola viene considerato un colore di cattivo auspicio.

Oppure sarà che la sfumatura scelta da Pantone è esattamente quella che preferisco io, ovvero un viola particolarmente intenso grazie alla forte predominanza di blu. Leggi tutto

Il rosso? Lo amo e lo porto perché supera le mode e dà energia!

Quando mi chiedono quale sia il mio colore preferito sono sempre un po’ in imbarazzo.

Perché? Perché la risposta è piuttosto articolata.

Prima cosa, vado a estro (o follia…) del momento: succede che, per intere settimane, io non riesca a liberarmi del nero, mentre capitano periodi in cui vesto in maniera piuttosto colorata. Passo da un estremo all’altro, insomma, come mi capita spesso e in diversi ambiti: mai mezze misure, io!

C’è da dire che, anche quando sono nel periodo total black, in genere riservo comunque al colore qualche piccolo spazio o almeno un accenno, per esempio attraverso qualche accessorio.

Sono dunque una persona che ama il colore in generale e che non può farne a meno, sia anche solo a piccole dosi.

E tra i colori non ne ho uno preferito in particolare: mi è capitato di scegliere capi e accessori azzurri, verdi, gialli, arancioni. Amo perfino il viola (tanto!), tinta disdegnata da molti: non sono minimamente superstiziosa.

Se devo invece indicare un colore che non mi è particolarmente gradito, devo ammettere che negli ultimi anni faccio molta fatica a portare il marrone: è strano, anni fa mi piaceva e lo indossavo, spesso e volentieri. Leggi tutto

E ora Pantone comanda colore… Greenery!

Mentre pensavo al titolo da dare a questo post, mi è venuto in mente un ricordo di infanzia: avete mai giocato a strega comanda colore?

Assomiglia a ce l’hai o a rimpiattino: la strega in questione è il giocatore che conduce e che ha l’obiettivo di catturare gli avversari. Pronuncia la frase strega comanda colore seguita dal nome di un colore: gli altri giocatori devono cercare un oggetto della tinta indicata e mettersi in salvo toccandolo.

Ho ripensato a tale gioco in riferimento a una delle tante attività portate avanti da Pantone, l’azienda statunitense che è sinonimo di un sistema di classificazione colore tra i più conosciuti e diffusi al mondo: ogni anno, l’ente indica infatti la tinta più rappresentativa, quella che influenza lo sviluppo di prodotti in settori tra cui moda e design.

Insomma, trasformerei il nome del gioco in Pantone comanda colore in quanto la tinta eletta diventa un simbolo, diventa l’istantanea di quello che avviene nel nostro tempo e nella nostra società: per il 2017, è la volta del Greenery, una tonalità verde-gialla, fresca e frizzante, capace di evocare rinascita, rinnovamento e rigenerazione.

Secondo Pantone «rievoca i primi giorni di primavera, quando le infinite sfumature di verde della natura si risvegliano, si riaccendono e tornano a essere più belle che mai. Tipico delle chiome verdeggianti e delle distese lussureggianti dei paesaggi naturali, Greenery richiama il bisogno di respirare aria pura, ossigenarsi e attingere nuova linfa.»

Risveglio, ossigeno, nuova linfa: ecco perché decido di parlarvi proprio ora della scelta fatta da Pantone, perché a questo punto, fatto fuori l’interminabile gennaio e approcciato febbraio, abbiamo davanti a noi la prospettiva della primavera che – speriamo! – inizierà a darci qualche cenno con l’arrivo del mese di marzo. Insomma, siamo pronti ad accogliere tutto ciò che parla di rinnovamento. Leggi tutto

Hillary Clinton e i significati di un tailleur dai dettagli viola

Hillary Clinton e il marito Bill in occasione del Concession Speech del 9 novembre 2016 a New York (Photo Getty Images through Vogue)

Lo ammetto: dopo l’esito delle elezioni negli Stati Uniti, sono rimasta sotto shock per qualche giorno, al punto tale da non riuscire a scrivere nemmeno due righe sui social, Facebook, Twitter oppure Instagram.
In particolare, sono scioccata dalla schiacciante vittoria di Donald Trump, ammetto anche questo; sono però ugualmente basita davanti a certi commenti e ad alcune reazioni sia pro sia contro il nuovo presidente.
Si sente e si legge di tutto: c’è perfino chi sostiene che non si possa parlare di una vera vittoria di Trump, quanto piuttosto di una sconfitta – pesantissima – della Clinton poiché il voto non sarebbe una scelta da leggere in positivo, bensì un rifiuto deciso e categorico diretto alla esponente del partito democratico. Mi spaventa il fatto che ciò possa essere la verità, mi sembra terribile votare non a favore di qualcuno in cui crediamo, ma contro un altro candidato.
Si parla anche di un ulteriore messaggio, ovvero della saturazione della gente rispetto alla politica, ai suoi giochi e ai suoi protagonisti più consumati, come Hillary, appunto: qualcuno si spinge fino ad affermare che tutto ciò influenzerà anche il referendum italiano del prossimo 4 dicembre.
Vedete, non so se invidiare chi nutre tutte queste certezze: io ho piuttosto una montagna di dubbi e interrogativi e nutrivo molte speranze sul fatto che, finalmente, un Paese come gli Stati Uniti fosse pronto a dare fiducia a una donna. Ora, morta la speranza, mi pongo un ennesimo quesito: gli americani hanno ragione? Hillary Clinton è una donna tanto pessima da non poterle dare fiducia e lo è al punto tale da preferirle un uomo considerato mediocre e non all’altezza da molti, perfino all’interno dello stesso partito repubblicano del quale fa parte?
In fondo, desiderio di una donna presidente a parte, ho nutrito io stessa diversi dubbi sulla candidatura e su certi atteggiamenti di Hillary (in parte ne avevo parlato anche qui nel blog a proposito di donne e politica): forse, la Clinton non era davvero la candidata giusta affinché il sogno, mio e di molti altri, si avverasse.
Oggi come oggi, dubbi personali a parte, faccio comunque fatica a comprendere fino in fondo la scelta degli americani, un popolo che stimo per molti motivi; eppure, pur non comprendendo e non riuscendo a condividere la loro scelta finale, non mi piace nemmeno chi dà loro degli idioti oppure degli ignoranti o ancora degli ottusi senza analizzare le ragioni profonde di questo voto.
No, non ci sto e non accetto tali generalizzazioni, così come non le accetto mai e in nessun caso.
Siccome mi piace colmare la mie lacune ascoltando gli altri, in tutti questi giorni sono stata zitta e mi sono posta in ascolto proprio per cercare di capire le ragioni dei cittadini degli Stati Uniti: per esempio, ho ascoltato spiegazioni a mio avviso interessanti grazie a Kay Rush, giornalista nonché conduttrice radiofonica e televisiva che stimo.
Kay è statunitense (è nata a Milwaukee nello Stato del Wisconsin) anche se è naturalizzata italiana: può ben dire di conoscere la mentalità americana ed è dunque in grado di tastare il polso dei suoi connazionali.
Ai microfoni di Radio Monte Carlo, Kay ha offerto punti di vista ai quali non avevo pensato o che non avevo considerato, proprio perché, non essendo americana e non vivendo negli Stati Uniti, sicuramente non posso conoscere a fondo l’animo di quel Paese (e mi permetto di dire che di questo dovremmo tenere conto tutti prima di esprimere giudizi basati su conoscenze sommarie e non dirette).
Il primo motivo per cui Hillary non è stata apprezzata da molti è il comportamento che tenne quando suo marito Bill, allora Presidente degli Stati Uniti, fu coinvolto nello scandalo con Monica Lewinsky: gli americani, ha spiegato Kay, amano le donne forti, orgogliose e indipendenti, quindi non hanno apprezzato che la Clinton sia rimasta sposata per ragioni giudicate di mero interesse politico. Inoltre, i cittadini statunitensi amano che alla Casa Bianca ci sia una vera coppia e una vera famiglia, condizioni non più riconosciute ai Clinton. Infine, un ulteriore motivo è una certa altezzosità della quale si accusa Hillary che si è un po’ messa su un piedistallo: prova ne è, secondo la giornalista, il fatto che la Clinton non si sia recata in diversi Stati durante la campagna, facendo sospettare di essere arrogante al punto tale da dare per scontata la vittoria in alcuni luoghi. L’ha fatto perfino in Illinois, il suo Stato di nascita, dove era (forse) ciecamente convinta di poter vincere proprio per un motivo di origini.
Ma gli americani non sono sciocchi (come afferma sbagliando qualcuno) e Hillary, insomma, pagherebbe oggi lo scotto del suo atteggiamento, le accuse di chi la taccia di essere una guerrafondaia (vedere il suo ruolo di Segretario di Stato in un periodo in cui il Paese è stato protagonista di molti interventi bellici) e le sue scelte all’epoca del Sexgate.
Anche il ritardo con il quale la Clinton ha fatto la telefonata di resa (quella con cui ogni candidato statunitense sconfitto ammette tale condizione) non è stato visto di buon occhio in un Paese in cui prendere atto della chiusura dei giochi è un gesto importante che apre la nuova fase che subentra a campagna elettorale e votazioni finite.
Anche in questo caso, si sono sprecate illazioni di ogni tipo, genere e grado, mentre già si iniziano a fare confronti (spesso impietosi e imbarazzanti) tra la First Lady uscente Michelle Obama e Melania Trump, la nuova padrona di casa alla White House.
Sinceramente, a me tutto ciò un po’ infastidisce, quasi quanto i risultati delle elezioni stesse ed esattamente come e quanto sono stata infastidita dalle polemiche (a mio avviso di bassissimo livello) che sono seguite all’ultima cena data da Barack Obama e che ha visto la partecipazione di Matteo Renzi, il nostro Presidente del Consiglio.
Per giorni, non si è parlato di altro che dei vestiti di Agnese Landini Renzi e di Michelle Obama, del loro peso, della loro taglia e della loro forma fisica, della loro bruttezza e / o bellezza (delle signore e dei vestiti), dei brand scelti e via discorrendo.
Voi direte: sarai contenta, ti occupi di moda. Eh no, cari amici, non mi piace che gli abiti vengano usati per discorsi banali, triti e superficiali né mi piace che vengano usati per giudicare le persone.
Visto che penso che sia un linguaggio, mi piace che la moda sia tirata in ballo per fare analisi stimolanti e interessanti in grado di aggiungere nuovi piani di lettura e inediti spunti di riflessione: la critica fine a sé stessa e che sfiora il pettegolezzo mi annoia e mi nausea, invece, e chi mi legge d’abitudine lo sa. Leggi tutto

Donne e politica: Hillary Clinton & Co… la moda è una cosa seria?

Donne.

Donne, politica.

Donne, politica, potere.

Donne, politica, potere, moda.

È così che, molto spesso, mi metto in testa certe idee. Parto da una parola, ne aggiungo un’altra e poi un’altra ancora. Nasce una fila (quasi) ordinata e, infine, metto a fuoco un pensiero.

In genere, c’è qualcosa che, in principio, cattura la mia attenzione, magari un fatto che sembra piccolo e isolato. Poi ne metto vicino un altro. Un altro ancora. Ed ecco che nasce un post per il blog, uno di quelli che di solito chiamo pensieri in ordine (quasi) sparso.

Credo che la suggestione alla base della sequenza donne, politica, potere, moda sia iniziata quando ho scritto il post sulla Brexit e sul referendum dello scorso 23 giugno, quello che sta conducendo all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

Tra i tanti personaggi presenti in quel post, ho citato Margaret Thatcher e il primo referendum che ci fu nel 1975 nel Regno Unito per decidere se continuare a far parte dell’UE: il 67,2% per cento dei partecipanti votò per restare. Quell’anno, la Lady di Ferro, che divenne poi primo ministro nel 1979, sostenne la campagna per la permanenza della Comunità Europea: per correttezza e completezza d’informazione, occorre precisare che le sue posizioni europeiste cambiarono nel corso dei suoi mandati.

L’episodio che mi ha fatto pensare al suo rapporto con la moda accadde proprio in quel periodo.

A una manifestazione a favore del sì, la Thatcher indossò infatti un maglione diventato famoso come la maglia “9 bandiere”: di lana e a maniche lunghe, nero sulle maniche e sulla schiena, recava sul davanti le bandiere dei Paesi che facevano parte della Comunità Europea nel ’75, ovvero Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Italia, Germania Ovest, Lussemburgo, Paesi Bassi e Regno Unito. Leggi tutto

Ispirazioni: color power al press day Domingo

Le sfilate regalano momenti di grande emozione: la musica, le luci, le modelle che, capo dopo capo, interpretano una collezione e raccontano una storia. Eppure c’è un altro momento che amo molto: i press day, ovvero quando posso guardare da vicino e toccare. Amo poter accarezzare tessuti e pellami, osservare dettagli e cuciture, scoprire i segreti che portano al risultato finale. Oggi voglio condividere con voi alcune idee e ispirazioni: la fonte è il press day Domingo Communication al quale ho partecipato la scorsa settimana.

Domingo è un ufficio stampa e rappresenta molti clienti: l’agenzia è stata fondata nel 1999 da Enzo Domingo ed è fortemente specializzata nel settore moda. Mi piace molto collaborare con loro e il perché è presto detto: Enzo e il suo staff dimostrano di avere fiuto in quanto, accanto a marchi celebri, schierano nuovi nomi dotati di grande talento, autentiche promesse che – per parafrasare un titolo celebre – saranno famose. Leggi tutto

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