Se Instagram nasconde i like… è un’opportunità o una penalizzazione?

È stato un argomento che ha creato non poco scompiglio quest’anno nel web: dopo una fase sperimentale, Instagram ha deciso di nascondere definitivamente (?) il numero dei like.

Se metto il punto interrogativo è perché con Mark Zuckerberg, fondatore e proprietario di Facebook nonché proprietario di Instagram dal 2012, non si può mai sapere se e quanto una decisione sia definitiva.
A ogni modo: il test, iniziato il 17 luglio, aveva inaugurato una fase di prova allo scopo di sondare il parere degli utenti.
«Vogliamo aiutare le persone a porre l’attenzione su foto e video condivisi e non su quanti like ricevono. Stiamo avviando diversi test in più Paesi per apprendere dalla nostra comunità globale come questa iniziativa possa migliorare l’esperienza su Instagram.»
Così aveva dichiarato Tara Hopkins, Head of Public Policy EMEA di Instagram.

Attorno a fine settembre, la prova è diventata appunto ‘definitiva’ ed estesa a tutti gli utenti.
Il tasto like non è stato rimosso, tuttavia non è più visibile il numero dei ‘mi piace’; solo l’utente che ha condiviso il post su Instagram può avere accesso a tale informazione.
L’informazione è in realtà ancora visibile se, al posto di usare la app via smartphone, apriamo Instagram via pc – stranezze non facilmente comprensibili…

A ogni modo: prima in luglio e poi in settembre, ho letto molti post preoccupati e ho notato parecchia agitazione circa questa faccenda dei like.
Io, invece, non sono stata mai minimamente preoccupata, sebbene con i social ci lavori (anche).
Non ho finora scritto nulla riguardo questo cambiamento, credo forse di aver twittato condividendo il link di qualche articolo da una delle tante riviste che leggo: ho preferito aspettare e pormi in ascolto con tutti i sensi allertati, lasciando passare qualche mese allo scopo di poter osservare sviluppi e risultati e potermi fare un’opinione più chiara e, spero, fondata su basi più solide.
Adesso l’anno sta per chiudersi e, come sempre avviene in simili frangenti, è giunto il momento di un piccolo e personale bilancio: inizio allora dicendo perché non mi sono mai agitata.

Il primo motivo per il quale non mi agito è perché sono fermamente convinta del fatto che le evoluzioni siano del tutto naturali, in ogni ambito. E quindi è naturale che anche i social si evolvano.
Il secondo motivo è perché so bene che i social – quelli attuali – esistono da nemmeno 20 anni: parlando di alcuni tra i più celebri e diffusi, Facebook è nato nel 2004, Twitter nel 2006, Instagram nel 2010, Snapchat nel 2011, TikTok nel 2016.
Vivevamo (bene) prima di loro, continueremo a vivere (bene) anche se cambiano e si evolvono, detto da una che – ripeto – con i social ci lavora.
Il terzo motivo per cui non mi sono preoccupata (e non mi preoccupo) è che non ho mai puntato alla quantità anche perché, causa algoritmi (in parole molto spicce, le formule con le quali vengono determinati i criteri con i quali viene deciso quali contenuti mostrarci), è ormai quasi impossibile (ho scritto quasi) crescere organicamente e naturalmente e la quantità sui social si ottiene quasi esclusivamente in tre modi: se si è una vera celebrità, nel bene o nel male; se si investe in pubblicità; se si è disposti a usare sistemi che non sempre sono ‘naturali’ (diciamo così per restare soft).
Non rientro in nessuno dei tre casi e dunque ho semplicemente puntato a qualità e autenticità dei contenuti che produco.

E, per inciso, a me sembra (uno) che parlare a diverse migliaia di persone (numero che cresce se metto insieme tutti i miei canali social) sia cosa tutt’altro che trascurabile e (due) che sia importante, sempre nell’ottica della qualità, ciò che comunichiamo e condividiamo, sia che si parli a dieci persone sia che si parli a circa 5000.
Così, almeno, suggeriva il buonsenso prima che tante persone perdessero il senso della misura… Leggi tutto

Tanti auguri, Manu… ovvero tanti auguri (con riflessione) a me!

Ve lo confesso subito: in realtà, questo post non avrebbe dovuto vedere la luce.
Mi riferisco al post con il quale, una sola volta all’anno, ‘celebro’ me stessa anziché celebrare gli altri e il loro talento, il post che mi concedo in occasione del mio compleanno fin dal 2013, ovvero da quando esiste questo spazio web.
Cosa è successo per farmi affermare ciò?
È successo che, circa dieci giorni fa, ho realizzato di dover fare una rinuncia per me pesante, ovvero un viaggio tanto ambito che mi avrebbe riportato in una città che amo molto e dalla quale manco da troppi anni (circa 17…); tale rinuncia è causata dalla situazione sempre incerta del mio lavoro da libera professionista.
E così ho detto a mio marito Enrico che ero immensamente amareggiata, delusa e arrabbiata con me stessa (l’ho ben specificato) e che pertanto, quest’anno, non avrei nemmeno pubblicato il solito post del compleanno; ho inoltre aggiunto di non aver voglia di festeggiare proprio in nessun modo in quanto sentivo di non avere nulla da festeggiare – e questa ultima parte non l’ho detta a voce alta, ma fra me e me.
Per fortuna, oltre a specificare che la delusione non era imputabile a terzi (incluso lui) e oltre a tacere circa il ‘nulla da festeggiare’ (sebbene lo stia confessando ora…), è bastato che passasse un solo giorno per rendermi conto di quanto ingiusta e ingrata fossi stata in quel frangente, non tanto verso Enrico o verso terzi, appunto, ma quanto verso me stessa e più ancora verso la vita e verso ciò che la vita mi ha sempre riservato.

A cosa mi riferisco?
Mi riferisco al fatto di avere un cervello funzionante (quasi sempre, almeno…) e di avere un corpo e una salute che sempre mi hanno permesso di essere libera e di fare tutto ciò che testa e cuore hanno dettato e voluto; al fatto di avere dei genitori e una sorella che mi hanno sempre amata, rispettata e accompagnata in ogni singola decisione che ho preso nella mia vita; al fatto di avere un marito, Enrico, che non solo è il mio grande amore, ma che MAI mi ha fatto mancare il suo sostegno e il suo appoggio incondizionati, rivelandosi il compagno di vita che io stessa non avrei saputo immaginare migliore; al fatto di aver potuto contare non solo sulla famiglia, ma anche su amici che mi hanno affiancata e hanno reso più bello il mio percorso.
Mi riferisco al fatto di aver sempre avuto un tetto sulla testa e la pancia piena e al fatto di avere avuto l’opportunità di studiare; al fatto di aver potuto viaggiare e permettermi non solo il necessario ma anche il superfluo, per quanto quel tipo di ‘superfluo’ che non reputo essere superficiale bensì il sale della vita.
Mi riferisco al fatto di aver sempre avuto un lavoro, da quando avevo 18 anni, e di poter dire orgogliosamente di aver da allora sempre provveduto a me stessa, scegliendo anno dopo anno il lavoro da fare e non subendolo, e al fatto – collegato – di aver deciso nel 2012 di diventare una lavoratrice autonoma, con coraggio ma anche forte di tutta l’esperienza professionale fino a quel momento maturata.
Dunque, nonostante io abbia SEMPRE pagato in prima persona le conseguenze di tutte le mie scelte nonché tutto ciò che ho avuto guadagnandomi ogni singola cosa (e di questa sono molto orgogliosa) e nonostante le difficoltà reali e oggettive che la scelta di diventare libera professionista hanno comportato, io resto sempre una persona che DEVE comunque ammettere di trovarsi nella parte PRIVILEGIATA dell’umanità, ovvero quella che ha opportunità, possibilità, libertà, scelta; e lo sono anche se a volte ‘mi tocca’ rinunciare a un viaggio oppure a un oggetto (l’ennesimo, in fondo…).
E tutto ciò… io ho osato definirlo ‘nulla da festeggiare’?! Povera sciocca Manu! Leggi tutto

Chiuso per ferie 2019, AGW ospita Gloria Vian e il suo «Esserci o esistere»

Tra le diverse attività che compongono il mio panorama professionale figura l’insegnamento.
È l’attività che richiede maggior impegno, energia e passione, perché insegnare è una gioia nonché una grande responsabilità.
Mi regala molte soddisfazioni ma anche qualche sconfitta: è una sfida continua ed è una sfida che non intendo abbandonare in quanto ci tengo (e ci credo) moltissimo.
E così, attraverso Accademia del Lusso che continua a credere in me (grazie ), tengo dei corsi di editoria e comunicazione della moda con focus specifico sulla loro evoluzione via web: si è da poco concluso l’anno accademico 2018-19 e io sto già pensando ad aggiornare i materiali per il nuovo anno che inizierà tra settembre e ottobre.

Tra le regole imprescindibili che mi do in qualità di docente, includo la necessità di essere imparziale, dando le stesse possibilità a tutti gli studenti e non assecondando in alcun modo simpatie (o antipatie) personali.
Ma ora che l’anno accademico è finito, ho deciso che, per una volta, posso concedermi uno strappo alla regola, anche perché la studentessa alla quale darò voce oggi, Gloria Vian, si è laureata lo scorso 1° luglio, concludendo tra l’altro il suo percorso con il massimo dei voti.

La tesi di laurea di Gloria ruota attorno a un argomento attuale e interessante: si intitola «Esserci o esistere» e si pone l’obiettivo di analizzare il rapporto tra mondo reale e mondo virtuale.
L’argomento è decisamente complesso e sfaccettato: ho molto apprezzato la serietà, l’impegno e la profondità con cui Gloria ha affrontato il tutto, ho molto apprezzato le ricerche che ha condotto anche attraverso interviste a vari professionisti ed esperti e, infine, ho molto apprezzato l’installazione che ha dato corpo alla sua tesi.

Alla luce di tutto ciò, quest’anno ho deciso di lasciare a Gloria Vian una responsabilità, ovvero quella di essere il post che ogni estate ‘chiude per ferie’ il blog: lo faccio per due motivi.

Leggi tutto

A proposito del mio compleanno e della reciprocità…

E siamo a quota sei.

Ebbene sì, con oggi, 26 novembre 2018, sono sei i miei compleanni festeggiati qui, attraverso A glittering woman, lo spazio web al quale tengo molto e che curo con grande passione.

Quindi, per prima cosa… me lo permettete? Ma sì, dai, tanti auguri a me 🙂 🙂 🙂

Di solito, A glittering woman non vede me come protagonista diretta o esclusiva: durante tutto l’anno, infatti, i protagonisti sono i talenti che sostengo, in ogni ambito, e fa eccezione solo il 26 novembre, giorno in cui il post che pubblico è dedicato a me stessa.

Da glittering woman a birthday woman… solo per un giorno… naturalmente 😉

È diventata una piccola tradizione, l’unica occasione in cui mi metto al centro: questi post sono un modo per raccontare qualcosa di me e della fase che sto vivendo e il tutto è accompagnato dalle foto di alcune delle esperienze che ho vissuto nel corso dell’anno. Leggi tutto

Se stavolta il mio compleanno porta con sé una maggiore consapevolezza

E siamo a quota cinque.

Di cosa parlo?

Con oggi, 26 novembre 2017, sono cinque i miei compleanni festeggiati qui, attraverso A glittering woman, lo spazio web al quale tengo molto e che curo con grande passione, come se fosse una tenera piantina da proteggere e fare crescere giorno dopo giorno.

Quindi, per prima cosa… me lo permettete? Ma sì, dai, tanti auguri a me 🙂 🙂 🙂

Di solito, A glittering woman non vede me come protagonista diretta o esclusiva.

Durante tutto l’anno, i protagonisti sono i talenti che sostengo, in ambito moda o negli altri ambiti che suscitano il mio interesse e solleticano la mia curiosità: fa eccezione solo il 26 novembre, giorno in cui il post che pubblico è dedicato a me stessa.

È diventata una piccola tradizione, l’unica occasione in cui mi metto al centro: cosa ne dite, una botta di egocentrismo all’anno può essere accettabile?

Questi post sono un modo per raccontare qualcosa di me e della fase che sto vivendo: il tutto è accompagnato dalle foto di alcune delle esperienze che ho vissuto nel corso dell’anno. Leggi tutto

Curiosità dal mondo: l’invasione (pacifica) degli Amigurumi

Uncinetto.
Lo so, basta leggere questa parola e tante persone pensano immediatamente a qualcosa di datato.
Ad alcuni tornano in mente le immagini della nonna impegnata a sfornare centrini di ogni tipo, colore e dimensione. Quelli che, negli anni, sono poi spesso finiti in cassetti dimenticati.
Nulla è però più lontano dallo scenario attuale: l’uncinetto vive infatti evoluzioni del tutto inaspettate.

Avete mai sentito parlare, per esempio, degli Amigurumi?
Il termine è composto dalle parole giapponesi ami, che significa lavorare a maglia o all’uncinetto, e nuigurumi, che significa peluche: è pertanto traducibile come giocattoli lavorati all’uncinetto.

Amigurumi descrive quindi l’arte giapponese di creare all’uncinetto o a maglia sia animali sia piccole creature dall’aspetto generalmente antropomorfo (ovvero con sembianze umane): fondamentalmente, le creazioni non hanno un uso pratico e vengono collezionate più che altro per ragioni estetiche.

Caratteristica comune a tutti gli Amigurumi è infatti quella di essere kawaii: è un’altra espressione giapponese e indica un concetto assimilabile all’equivalente inglese cute. Significa letteralmente carino, amabile, adorabile.
Ciò che è kawaii è piccolo, buffo, dall’aspetto innocente, con fattezze minute e deliziose ed è ricco di dettagli e particolari.

Mi sono informata in rete e ho scoperto che gli Amigurumi sono solitamente realizzati all’uncinetto con la tecnica della lavorazione in tondo: possono essere lavorati ai ferri anche in questo caso lavorando circolarmente.
Gli uncinetti e i ferri utilizzati sono leggermente più piccoli della norma poiché è necessario costruire una struttura che tenga ben stretta al suo interno l’imbottitura (simile a quella dei cuscini).
Sono inoltre in genere lavorati suddivisi in parti che successivamente vengono unite: quelli che hanno soltanto testa e busto senza altri arti possono essere trattati come un unico pezzo.

Da qualche anno, la pratica degli Amigurumi sta ormai spopolando ben oltre i confini giapponesi.

Per avere la prova è sufficiente fare un piccolo esperimento con Google: provate a digitare Amigurumi e il motore di ricerca vi proporrà circa 36 milioni di risultati.

Stessa cosa su Etsy, il marketplace nel quale persone di tutto il mondo si incontrano per vendere e comprare articoli fatti a mano e oggetti vintage: qui siamo a quota 64 mila risultati (1200 circa restringendo la ricerca ai venditori italiani).

Instagram non fa eccezione, naturalmente: basta digitare #amigurumi perché il social della comunicazione visiva proponga risultati molto interessanti.
Quanti? Oltre un milione e 700 mila.

Volete qualche esempio pratico?

Io mi sono innamorata di Mei, una ragazza giapponese che non solo realizza Amigurumi deliziosi ma li fotografa anche in modo estremamente accattivante.
Dal suo account @amigurumei si può accedere anche al sito; Mei ha inoltre scritto un libro che si chiama Hello Kitty Crochet.

Visto che io ADORO letteralmente i Minions, per illustrare questo post ho scelto una creazione di Olka, un altro splendido talento proveniente dall’Ucraina: vi segnalo il suo account che si chiama @aradiyatoys e dal quale si vede la sua grande passione per il colore e per i personaggi di fantasia come appunto i miei piccoli amici gialli.
Da Instagram accedete anche al negozio Etsy di Olka che tra l’altro vende gli schemi per realizzare i suoi Amigurumi, schemi che costano davvero pochissimo.

Volete anche qualche nome italiano?

Tornando a Etsy, provate a dare un occhio a Mary’s Amiland (da Verona, Veneto), a Brama Crochet (da Firenze, Toscana), a Amy Mamy Creations (da Castelluccio Inferiore, Basilicata) e a Creo Ergo Sum Design (da Ragusa, Sicilia).
Come vedete, è rappresentata tutta l’Italia da nord a sud: ve l’ho detto che la passione è ormai sparsa ovunque a macchia d’olio.

Su Instagram, sto tenendo d’occhio anche @ohioja alias Ylenia Tagliafraschi (da Prato, Toscana).
Ho visto alcune sue creazioni trasformate in spille e la cosa mi stuzzica non poco.

La combinazione di due cose che mi incuriosiscono e mi piacciono (Amigurumi + monili) potrebbe essere mooolto pericolosa, in effetti.

Dunque, parafrasando una frase famosa, potrei dire «posate gli uncinetti e nessuno qui si farà male!» 😀 😀 😀

Mie stupide battute a parte: spero che queste creature vi siano piaciute e vi do appuntamento al prossimo post con qualche altra curiosità dal mondo scovata per arricchire sempre più la nostra wunderkammer virtuale.

Manu

P.S.: Mi sono ricordata di una cosa. Quand’ero bambina, osservavo mia nonna intenta a lavorare non solo i centrini citati in principio, ma anche delle bamboline: testa e corpo erano fatti con fili di lana intrecciati tra loro, mentre abiti e cappelli venivano pazientemente tricottati a uncinetto. Cosa dite, posso considerare mia nonna come una pioniera degli Amigurumi? 😀

 

Curiosità dal mondo: Instagram e il caso dei coordinatissimi Bonpon511

Uno dei tanti outfit coordinati condivisi sull’account Instagram Bonpon511

Lo ammetto, in alcune cose sono un po’ maniaco-compulsiva e rasento una precisione che sfiora – appunto – il maniacale.
Faccio un esempio: i miei armadi sono rigorosamente suddivisi per tipo di indumento e colore.
In altre cose, invece, sono sciatta al limite dell’inverosimile e anche in questo caso faccio un esempio: la mia auto non è invasa da cartacce o carabattole varie sparse per l’abitacolo, ma viene lavata più o meno una volta all’anno e, in genere, è mio marito, mosso a pietà, a occuparsene.
Dunque, si potrebbe dire che sono anche un po’ bipolare, con estremi che convivono al limite del paradosso (vi prego, ditemi che non sono l’unica).

A ogni modo, tornando al mio ordine maniacale: un altro esempio è che conservo tutti gli spunti che reputo interessanti – sia nel lavoro sia nel privato – organizzandoli in raccolte ragionate di appunti.
Anni fa, dette raccolte erano cartacee, mentre oggi sono elettroniche e, naturalmente, ho diversi (ehm… parecchi) file pieni zeppi di note e idee.
E, altrettanto naturalmente, da brava maniaca dell’ordine e del controllo, capita che questo accumulo mi provochi ansia, sia perché temo di perdere qualcosa sia perché mi domando quando avrò mai tempo di dare seguito alle tonnellate di appunti che si stratificano sempre più.

Ma, in fondo, voglio pensare che non sia poi così grave avere quelle tonnellate di appunti; per una come me che fa un lavoro fondamentalmente basato sulla curiosità e sulla costante voglia di crescere, sarebbe probabilmente più grave non avere interessi e non avere desideri e spunti da seguire e inseguire.
Il vero guaio sarebbe forse arrivare al giorno in cui i file things to do oppure work in progress dovessero risultare vuoti: in fondo, è la mancanza di progetti nonché di prospettive future a farci invecchiare e a sancire l’inizio della fine. No?

Ho scelto di condividere con voi certe mie curiose abitudini e le riflessioni di cui sopra per due motivi.

Il primo è perché oggi ho deciso di trarre ispirazione da uno di quei miei famosi (o famigerati…) file sviluppando un appunto preso tempo fa.
Oggi è un ennesimo giorno difficile, 48 ore dopo l’orrenda strage di giovanissimi a Manchester, al termine del concerto di Ariana Grande: io scelgo, ancora una volta, di non fermare il mio lavoro e di fare esattamente il contrario di ciò che vorrebbe ottenere chi semina il terrore.

Scelgo di non assecondare la paura, di non fermare la libertà di pensiero e di parola; anche se a volte è davvero difficile, mi ostino invece ad assecondare la bellezza, cercando di rimanere salda negli ideali di civiltà e cultura nei quali credo da sempre.
Lo faccio in quanto sono fermamente convinta che difendere tali valori sia oggi l’unica risposta possibile dinnanzi a odio e follia (come ho letto ieri anche in un post di AnOther Magazine, una delle testate che seguo).

Eppure, anche se desidero fare tutto ciò, anche se credo fermamente che la paura vada combattuta e non assecondata né alimentata, mi riesce impossibile pensare di descrivere una borsa o un abito: ho scelto allora di parlarvi di umanità e unità, attraverso la storia originale (e spero simpatica) di due signori giapponesi.

Il secondo motivo è che penso che questi due signori giapponesi sarebbero d’accordo con ciò che ho scritto qui sopra, ovvero che è la mancanza di prospettive future a farci invecchiare.
E credo che loro non abbiano affatto alcuna intenzione di invecchiare, non nell’accezione negativa che spesso conferiamo a questo verbo, bensì credo intendano continuare ad avere il loro spazio nel mondo in un modo decisamente originale.

Tempo fa, durante le mie consuete navigazioni via Instagram e grazie alla segnalazione di una persona che conosco e stimo, sono approdata a un account che si chiama Bonpon511.

Appartiene a una coppia di signori giapponesi i quali coordinano quotidianamente il proprio abbigliamento, scrupolosamente, indossando gli stessi colori (in genere le tonalità del blu, del rosso, del grigio, del beige, del nero e del bianco), le stesse fantasie (spesso righe e quadretti) oppure le stesse linee, forme e proporzioni (tutto molto essenziale), cercando dunque di far risaltare il loro legame affettivo già al primo sguardo.

In giapponese, bon significa marito e pon moglie: no, non conosco questa lingua meravigliosa, l’ho scoperto grazie ai servizi di traduzione web.
Sempre grazie ai servizi di traduzione, ho scoperto che la data citata nella bio – 11/5/1980 – è quella del loro matrimonio: sono dunque sposati da 37 anni.
Ecco spiegata la scelta del nome Bonpon511 (li trovate qui).

È invece dichiarata in inglese quella che è la loro volontà: couple | over60 | grayhair | fashion | coordinate.

Ovvero mostrare una coppia oltre i 60 anni, con i capelli grigi, che propone una moda coordinata: una sintesi perfetta, insomma, una sorta di stringato manifesto di intenti.

Io li trovo fantastici: adoro la loro capacità di fare richiami che si incrociano e che legano l’una all’altro e adoro la loro sobrietà in puro stile giapponese eppure al tempo stesso mediata da un tocco assolutamente personale.
E, evidentemente, non sono l’unica a pensarla così: il loro account è infatti seguito a oggi da 463mila persone e i commenti sotto ciascun post sono pieni di parole di apprezzamento e simpatia.

Tutto ciò, miei cari amici, porta a dimostrare una teoria nella quale credo profondamente: la bellezza attira l’occhio, è vero, ma è la personalità (accompagnata da un tocco di sano divertimento, guardate bene i loro volti e le loro espressioni) a colpirci e a catturare il cuore.
E a farsi poi ricordare (anche in mezzo a tonnellate di appunti).

Manu

 

P.S.: Mi piace pensare che i deliziosi Bonpon511 sarebbero piaciuti a un grande della moda, Bill Cunningham. Secondo me, si sarebbe tanto divertito a fotografarli.

 

Bakarà, dalla Sicilia al mio armadio passando per Instagram

Per curiosità personale (caratteristica che mi accompagna da sempre) e per esigenze lavorative, uso il web per informarmi, per studiare e per fare ricerca.

Passo in rassegna centinaia se non migliaia di immagini, vaglio nomi, persone, volti, marchi, prodotti alla ricerca del dettaglio che mi colpisca, che attiri la mia attenzione distinguendosi e catturando il mio cuore.

Sono talmente abituata a fare questo vaglio ed è cosa talmente naturale che a volte non smetto nemmeno nei momenti di relax, magari alla sera, sul divano, iPad alla mano.

Una delle risorse che preferisco utilizzare per condurre tali ricerche è Instagram e lo è per due motivi: se vedo qualcosa che mi piace ho l’opportunità di entrare in contatto veloce e diretto col marchio che mi interessa; è uno strumento sufficientemente democratico, nel senso che si trovano account con milioni di follower così come piccoli account con pochi seguaci e, magari, cose splendide. Tutti possono aprire un account su Instagram, tutti possono farne la propria vetrina: è facile e immediato e si può incontrare chi, come me, usa questo social come un mare nel quale fare una buona pesca (e questo è un suggerimento affettuoso che mi permetto di dare a tutti i creativi che stanno leggendo).

A volte, dunque, finisco con il contattare chi suscita il mio interesse e lo faccio – diciamo così – in via ufficiale, presentandomi e raccontando del mio lavoro da editor; a volte, invece, procedo in incognito, segretamente e silenziosamente.

Perché? Non esiste un criterio preciso e sempre valido, diciamo che entrambi i casi possono dipendere da un mix di motivi: questione di naso, sensazioni, gusto personale, umore del momento, tempo a disposizione e via discorrendo.

A volte faccio dei test o degli esperimenti, lo confesso, e, visto che non sono certa al 100% circa il buon esito, preferisco agire con molta discrezione. Oppure, molto semplicemente, vedo una cosa, me ne innamoro e decido di tenerla per me. Egoista? Forse, ma neanche una editor pur molto appassionata, in fondo, può sempre privilegiare l’aspetto lavorativo. Giusto? Leggi tutto

Cartoline virtuali da Milano al tempo di Instagram / PARTE 4

A volte ritornano: capita con le persone, coi ricordi e perfino coi post. Come in questo caso.

Per la prima, la seconda e la terza puntata di questo post, occorre tornare rispettivamente al 30 luglio 2014, al 24 dicembre 2013 e al 30 dicembre 2014. È passato un po’ di tempo, dunque.

L’idea è nata da una riflessione: da ragazzina, soprattutto quando andavo alle medie, partivo per le vacanze estive con una lunga lista di indirizzi, lista che serviva a ricordarmi a chi dovessi mandare le cartoline. Guai a non mandarle e guai a non riceverle, era una sorta di rito.

A mio avviso, oggi è Instagram a svolgere in modo virtuale parte della funzione che avevano le cartoline: Instagram non serve forse a condividere, attraverso immagini e fotografie, ciò che ci piace, ciò che facciamo e i posti in cui andiamo? Le stesse cose che facevamo mandando una cartolina.

E così, visto che le cartoline – poverette – sembrano non andar più di moda, ho pensato di fare dei post raccogliendo le foto che scatto e poi pubblico su Instagram, soprattutto quelle che riguardano la città nella quale vivo: cartoline virtuali da Milano via Instagram. Leggi tutto

Cartoline da Milano al tempo di Instagram / PARTE 3

A volte ritornano: capita con le persone, coi ricordi… e anche coi post. Come in questo caso.

Per la prima e la seconda puntata di questo post, occorre tornare rispettivamente al 30 luglio e al 24 dicembre 2013. È passato tanto tempo, dunque.

Tutto era scaturito da una riflessione: da ragazzina, soprattutto quando andavo alle medie, partivo per le vacanze estive con una lunga lista di indirizzi, lista che serviva a ricordarmi a chi dovessi mandare le cartoline. Guai a non mandarle e guai a non riceverle, era una sorta di rito.

A mio avviso, oggi è Instagram a svolgere in modo virtuale parte della funzione che le cartoline svolgevano allora fisicamente. Pensateci: Instagram non serve forse a condividere, attraverso immagini e fotografie, ciò che ci piace, ciò che facciamo e i posti in cui andiamo? Le stesse cose che facevamo con le cartoline.

È identica perfino la gara: allora vinceva chi raccoglieva più cartoline, attestandosi un po’ come il leader del gruppo, proprio come oggi accade coi like. Leggi tutto

100 happy days: parte 3, ho vinto la sfida con me stessa

Ultimamente ho spesso in mente un vecchio adagio che dice “un dolore condiviso è dimezzato, mentre la felicità condivisa è raddoppiata”.

Più passa il tempo e più mi accorgo che è proprio così, come in una sorta di osmosi. Anche per questo mi è piaciuto partecipare al gioco 100 happy days, perché mi sono resa conto che aver condiviso i miei momenti felici ha fatto bene a me e talvolta perfino anche ad altre persone.

Alla fine ce l’ho fatta, sono arrivata al mio centesimo giorno felice: in cosa consiste il gioco-sfida? Nel trovare in ogni giorno un momento che ci abbia resi felici, rappresentandolo attraverso una foto da condividere sui social network.

Sapete, 100 happy days non mi ha affatto delusa in quanto l’ho affrontato – credo – con le aspettative giuste: non credevo, infatti, che mi avrebbe cambiato la vita, mi aspettavo solo un buon esercizio. Così è stato: come ho già scritto in precedenza, se facciamo attività fisica per rendere il nostro corpo più tonico e scattante, perché non fare altrettanto col buonumore e l’ottimismo, perché non allenare anche loro?

Oggi sono ancora più convinta che sia cosa utile e credo che il giochetto mi abbia insegnato alcune cose utili: essere più comprensiva con me stessa, darmi tregua, perdonarmi un po’ di più, tormentarmi di meno, non imputarmi sempre tutte le colpe, tirare il fiato. Leggi tutto

100 happy days: sfida con me stessa / parte 2

Prima delle vacanze, vi avevo raccontato di un piccolo progetto che ho intrapreso. È una sfida con me stessa ed è quella di 100 happy days: consiste nel trovare in ogni giorno un momento che ci abbia resi felici, rappresentandolo attraverso una foto.
Beh, oggi, giovedì 4 settembre, sono arrivata al 68° giorno, incredibilmente. Perché dico “incredibilmente”? Perché, come avevo spiegato nel primo post, non ero affatto sicura di riuscire a tenere fronte all’impegno preso e sono sincera nel dirlo. Non è facile trovare un motivo per cui essere felice, ogni singolo giorno e tutti i giorni, ma finora ci sono riuscita.
E ho realizzato che, in fondo, questo è soprattutto un ottimo esercizio: abitua a soffermarsi su ciò che di buono ci accade, a sottolinearlo.
Sono un’ottimista da sempre, ma ultimamente ero in un momento che definirei un po’ buio: la mia positività si era appannata, mettiamola così, esattamente come accade a un vetro quando qualcuno ci alita sopra. Leggi tutto

100 happy days: sfida con me stessa / parte 1

Probabilmente, se siete dei vagabondi del grande web quanto lo sono io, vi siete già imbattuti in 100 happy days, o magari vi è capitato di notare che qualche vostro amico tagga le sue foto in questo modo. Io mi sono accorta di tale progetto o sfida – definitelo come preferite – un paio di mesi fa: vedevo gli hashtag su Instagram, mi sono incuriosita e ho cercato su Google, trovando un sito semplice, chiaro e diretto.
“Viviamo in un’epoca in cui avere un’agenda piena è diventato qualcosa di cui vantarsi”, spiega il sito, “e mentre la vita diventa sempre più frenetica, abbiamo sempre meno tempo per approfittare del momento presente. Per ogni essere umano, la capacità di apprezzare sé stessi nel momento e nell’ambiente circostante in cui ci si trova è il primo passo per raggiungere uno stato di felicità duratura.”
Le persone (geniali, secondo me, perché hanno creato un fenomeno virale) dietro questo progetto lanciano dunque una sfida: provare a essere felici per 100 giorni di fila, o meglio, trovare in ogni giorno un momento che ci abbia resi felici e rappresentare il tutto attraverso delle foto. “Può essere qualsiasi cosa: da un appuntamento con un tuo amico a un buonissimo tiramisù al ristorante; dalla piacevole sensazione di rientrare a casa dopo una giornata di duro lavoro a un favore fatto a uno sconosciuto.” Leggi tutto

Cartoline da Milano al tempo di Instagram / PARTE 2

Per la prima parte di questo post, occorre tornare indietro a quest’estate, precisamente al 30 luglio 2013.

Tutto era scaturito da una riflessione: da ragazzina, soprattutto quando andavo alle medie, partivo per le vacanze con una lunga lista di indirizzi, lista che serviva a ricordarmi a chi dovessi mandare le cartoline. Guai a non mandarle e guai a non riceverle, era una sorta di rito, quasi una gara. Tra parentesi: mi ero ripromessa che sarei andata a vedere se la mia collezione di cartoline sia ancora riposta in qualche cassetto, ma ammetto di non averlo ancora fatto…

Ad ogni modo: a mio avviso, oggi è Instagram a svolgere in modo virtuale parte della funzione che le cartoline svolgevano allora in modo tangibile e cartaceo. Pensateci: Instagram non serve forse a condividere, attraverso le immagini, ciò che ci piace, ciò che facciamo e i posti in cui andiamo? Ovvero la stessa cosa che facevano le cartoline! Identica anche la gara: allora “vinceva” chi raccoglieva più cartoline, proprio come ora accade coi likeLeggi tutto

Mi sento un po’ come Heidi… cartoline Instagram da Carona

Se leggendo il titolo avete pensato alla bella Heidi Klum, vuol dire che siete proprio dei fashionisti incalliti.

No, non mi riferivo a lei, ma alla Heidi dei cartoni animati: avete presente, quella a cui i monti sorridono e le caprette fanno “ciao”? Ecco, in montagna io mi sento come lei, solo un po’ più goffa.

Sarò sincera a costo di attirarmi qualche antipatia: a me la montagna non piace. Anzi, la detesto proprio. Mi annoia d’estate e mi mette a disagio d’inverno, quando non sopporto il freddo e la neve. Nelle mie vene scorre sangue misto all’acqua salata del mare, non c’è dubbio.

Direte voi: e allora che ci facevi in montagna?

Risposta: sono andata a trovare i miei che quest’estate hanno soggiornato a Carona, in Alta Val Brembana.

Nota per chi vive coi suoi genitori e non capisce la scelta di trascorrere con loro qualche giorno di vacanza: vedrete che, quando come me avrete lasciato il nido da diverse primavere, a casa ci si torna sempre volentieri… Leggi tutto

Mare sapore di mare… cartoline Instagram dalla Liguria!

Lo confesso: tendo a diffidare di coloro che dichiarano di non amare il mare, perché il mare è la culla e l’origine della vita. Anzi, sapete una cosa che mi ha sempre colpito? Mentre in italiano il sostantivo è maschile, in francese è femminile: per i nostri cugini d’oltralpe, il mare è donna… Curioso, vero?

Il mare per me non è solo sinonimo di spiaggia così come la moda non è solo sinonimo di vestiti. È un grande maestro di vita e se lo si sa guardare, vedere, osservare, ascoltare, in lui si possono cogliere un’infinità di sfumature, una miriade di sfaccettature, un microcosmo di insegnamenti. È diverso in ogni momento del giorno.

Fatto importante: è l’unico posto che mi fa sentire leggera.

Quindi, appena posso, scappo al mare: è l’unica cosa che mi manca davvero a Milano. Leggi tutto

error: Sii glittering... non copiare :-)