Degustando in Bottega 2019, Cremona mette in scena il suo ‘saper fare’

La Welcome Card Special Edition per Degustando in Bottega 2019

Dovete sapere, miei cari amici, che non sono solo orgogliosamente milanese, come scrivo spesso, ma sono anche orgogliosamente lombarda; dunque, quando sento dire che la Lombardia è una regione ‘piatta’ anche nel senso di ‘noiosa’… beh, ho un sussulto di sdegno.

La Lombardia piatta e noiosa? Niente affatto!

Prima di tutto, geograficamente parlando (ed escludendo il mare, ahimè), la Lombardia offre una gran varietà tra campagna e città, pianura e montagne, laghi e fiumi.

Poi, parlando in senso metaforico, la Lombardia offre lavoro attraverso le sue numerose attività ma offre anche cultura, arte, svago, intrattenimento. Ed eccellenze enogastronomiche.

Insomma, la Lombardia è anche turismo e non solo business e affari: Milano ha avuto l’opportunità di dimostrarlo grazie all’Expo 2015 (di Expo parlai anch’io nel blog a più riprese, per esempio qui) e ora (finalmente!) è anche una meta turistica – mai visti così tanti turisti come negli ultimi anni! – e spero che lo stesso accada sempre più a tutte le città della mia regione in un’ottica di sistema che a me piace molto.

Perché, pur adorandola, non mi fermo certo a Milano: a una distanza breve, entro i confini regionali, ci sono tante meraviglie da scoprire.

Per esempio, oggi desidero parlare di una città che amo molto: Cremona, la città dei violini e dei liutai, del torrone e del salame, del bollito e della mostarda…

Io l’ho scelta lo scorso anno per festeggiare la Festa dei Lavoratori, condividendo un po’ di miei scatti tra eccellenze culinarie (qui), bellezze architettoniche (per esempio qui) ed eccellenza musicale (qui).

E oggi Cremona offre a tutti gli estimatori del bello e del buono una nuova opportunità: la manifestazione Degustando in Bottega che mette al centro il ‘saper fare’ della città.

Barbara Manfredini (Assessore al Turismo del Comune di Cremona), Virginia Villa (Direttore del Museo del Violino), Cesare Baldrighi (Presidente del Consorzio Fattorie Cremona) e Stefano Conia (maestro liutaio) hanno presentato Degustando in Bottega lo scorso 29 ottobre attraverso un evento si è tenuto al Ristorante Savini Milano 1867, locale storico e palcoscenico ideale per il lancio di questa importante iniziativa: ho avuto il piacere di essere tra gli invitati e oggi, con altrettanto piacere, condivido tutti i dettagli. Leggi tutto

Maio Restaurant, un restyling all’insegna della contemporaneità

Mi piace scoprire bellezza e talento, senza preclusioni e senza ‘compartimenti stagni’, spaziando in ogni direzione possibile; mi piace l’idea di condividere tali scoperte e di includere in un ideale circolo virtuoso quante più persone possibili, usando la straordinaria possibilità dataci oggi dal web e dai social network.

Ho espresso tante volte questo pensiero, ma ogni tanto mi piace ribadirlo, perché è qualcosa in cui credo profondamente e che per me è estremamente importante.

Condivido pertanto con piacere ed entusiasmo un’esperienza fatta poco prima della Fashion Week che mi ha poi travolta, come sempre, motivo per il quale trovo modo di scriverne solo oggi: l’esperienza mi ha dato l’opportunità di toccare con mano l’ospitalità di Maio Restaurant, una realtà ricca di sfaccettature tra tradizione e contemporaneità, Made in Italy e respiro internazionale.

Maio Restaurant è un punto di riferimento gourmet in una location che non ho paura a definire unica: si trova al settimo piano della Rinascente di Milano, di fronte alle guglie del Duomo che sembrano così vicine da poterle toccare.

Alla location mozzafiato si unisce una solida filosofia secondo il pensiero dei proprietari, i fratelli Alessandro e Massimo Maio, membri di una famiglia che è attiva nel settore della ristorazione d’eccellenza dal 1976.

Amore (anzi passione) per il mestiere, serietà, concretezza e rispetto del lavoro dei collaboratori: sono le basi sulle quali la famiglia ha costruito nel tempo un percorso solido e una altrettanto solida reputazione. Leggi tutto

Io penso positivo: concorso di idee per la Villa Reale di Monza

Villa Reale di Monza, foto Gianluca Di Ioia © Triennale Milano

Ho voluto dedicare il primo post dopo la pausa estiva alla condivisione di una bella scoperta fatta proprio durante le vacanze; oggi, nell’ottica di portare avanti un clima di fiducia e ottimismo, inauguro quello che spero diventi un ciclo e che voglio intitolare “Io penso positivo”.

«Io penso positivo / Ma non vuol dire che non ci vedo / Io penso positivo / In quanto credo!»

Così cantava Lorenzo Cherubini alias Jovanotti nel lontano 1994, sottolineando con semplicità come il pensiero positivo non sia sinonimo di cecità dinnanzi alla realtà ma, al contrario, segno di una precisa volontà, quella di credere che le cose possano migliorare e andare bene: la penso esattamente come lui, nonostante veda le tante difficoltà che ci troviamo quotidianamente ad affrontare.

Inauguro questo ciclo di post all’insegna della positività parlandovi di un’iniziativa che mi piace, un concorso internazionale di idee per la rigenerazione della Villa Reale di Monza.

La Villa Reale di Monza, chiamata anche Reggia di Monza, è un palazzo realizzato dagli Asburgo durante la dominazione austriaca del XVIII secolo: è stata costruita per volontà dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria tra il 1777 e il 1780 come residenza estiva per il figlio Ferdinando d’Asburgo, governatore generale della Lombardia austriaca.

Il sito, adagiato ai piedi dei colli brianzoli, fu scelto per la sua bellezza e per la sua posizione, strategicamente importante, lungo la direttrice Milano-Vienna: a progettarla fu l’architetto Giuseppe Piermarini (1734 – 1808) che configurò un edificio a “U”, in stile neoclassico, secondo la sobria tradizione tipologica della villa lombarda, ma ispirato al fasto e alla grandiosità della Reggia di Caserta alla cui realizzazione aveva partecipato come allievo del Vanvitelli.

Triennale Milano, con il contributo di Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi, promuove un concorso internazionale di idee rivolto a urbanisti, architetti, business manager e comunicatori, progettisti, ingegneri, makers, economisti, sociologi, antropologi e soggetti di varia formazione per la rigenerazione della Villa Reale di Monza.

Lo scopo principale del concorso è quello di individuare strategie, progetti e azioni volte alla valorizzazione sostenibile della Villa Reale, bene di eccezionale rilevanza storica, culturale e paesaggistica la cui storia è strettamente legata a quella di Triennale.

Come? Leggi tutto

Quattro imprenditori lucchesi rilanciano Tessieri, storica azienda italiana

Servono belle notizie.
Servono storie belle e vere che fungano da esempio e che siano d’incoraggiamento.
Serve positività.

Per questo, oggi, scelgo di condividere una storia che mi è stata sottoposta.
Non c’entra nulla con la moda, ma c’entra con il talento, la capacità, il saper fare, il Made in Italy, la tradizione e il coraggio dell’innovazione.

C’entra un prodotto unico nel suo genere, immutato da oltre cento anni, c’entrano quattro imprenditori lucchesi legati da una lunga e profonda amicizia, c’entra una storia artigiana che è parte integrante della storia manifatturiera italiana, c’entra il desiderio di investire in un prodotto storico e di grande prestigio.

Sono questi gli ingredienti alla base della nuova avventura d’impresa che vede come protagonisti la Premiata Fabbrica di mattonelle A. Tessieri & C., nata a Lucca nel lontano 1902, e un gruppo di amici oggi alla guida della società: Piergiorgio Tessieri (socio maggioritario, proprietario della Publiartex e pronipote di Alfredo, fondatore della fabbrica), Manuel Vellutini e Marco Pierallini (entrambi vicepresidenti esecutivi della Wolters Kluwer CCH Tagetik) e infine Alessandro Mennucci (amministratore delegato della Toscotec).

Dapprima, nell’aprile 2017, è stato Piergiorgio Tessieri a diventare socio unico dell’azienda, raccogliendo il testimone dal cugino Francesco che, nella Tessieri, è cresciuto tramandando il sapere artigiano per oltre sessant’anni. Ed è stato sempre lui, qualche mese fa, a voler coinvolgere nella compagine societaria gli altri tre imprenditori, suoi amici storici e a loro volta legati da un grande amore nei confronti delle mattonelle Tessieri: così, dopo oltre cento anni di attività, la Tessieri ha aperto per la prima volta il proprio capitale a persone non di famiglia.

«Ho una duplice missione: da una parte, garantire la continuità di una storia cominciata con il mio bisnonno Alfredo nel 1902 e arrivata fino a me che, di questa famiglia e di questa azienda, rappresento la quarta generazione; dall’altra, preservare la bellezza delle mattonelle, l’artigianalità di un manufatto che è rigorosamente fatto a mano in tutto il suo processo produttivo, con le stesse lavorazioni, gli stessi stampi, le medesime formulazioni di oltre cento anni fa.»

Così racconta Piergiorgio che spiega anche come un pavimento Tessieri sia sinonimo di prestigio, raffinatezza, qualità e come rappresenti una storia che contiene i tratti distintivi del Made in Italy e dell’alto artigianato manifatturiero che si distingue per tradizione, eccellenza e connotazione storica, tanto che l’azienda può dire di aver resistito anche al passaggio di due grandi guerre.

Partendo da acqua, terra e minerali, Tessieri produce esattamente da 116 anni mattonelle, in graniglia o pasta di cemento, decorate con disegni di ispirazione Art Nouveau.

Per realizzarle, sono stati creati più di trecento stampi e divisionali, ancora oggi utilizzati abitualmente e grazie ai quali è possibile ottenere centinaia di disegni e combinazioni diverse: mi piace sottolineare che gli stampi consentono non solo la produzione di nuovi pavimenti, ma anche il restauro di quelli più antichi.

Gli artigiani della Tessieri, infatti, possono sostituire qualsiasi mattonella della loro produzione, anche quelle centenarie, riuscendo a ottenere la stessa cromatura invecchiata, dosando i colori secondo uno stile inconfondibile, ogni volta diverso, speciale e unico. Leggi tutto

Villa Litta di Lainate, quando paradiso e stupore sono vicino casa

Ha proprio ragione chi sostiene che, per fare grandi viaggi, non sia affatto necessario affrontare grandi spostamenti.
Così come ha ragione chi sostiene che, talvolta, possa capitare di conoscere meglio luoghi lontanissimi rispetto a luoghi che abbiamo a pochi chilometri da casa.

Della prima teoria, sono io stessa una convinta sostenitrice – le belle scoperte non dipendono dalla distanza, lo credo fermamente – mentre, per quanto riguarda la seconda teoria, ho un pensiero che non pretendo essere verità assoluta ma che è vero per quanto mi riguarda: il fatto che a volte io non riesca a visitare luoghi vicini e facilmente raggiungibili non è questione di alterigia o superbia, bensì un po’ di semplice quanto banale stupidità.

Come tanti, tendo talvolta anch’io a rimandare visite a luoghi vicini nella sciocca illusione che tanto avrò sempre tempo o modo di farlo: sbaglio, invece, poiché il tempo passa impietoso e intanto perdo occasioni preziose.

È esattamente ciò che è accaduto con la splendida Villa Visconti Borromeo Litta di Lainate: da molto tempo ne sentivo parlare e da altrettanto ne rimandavo la visita.
Per fortuna, è arrivato un graditissimo invito (grazie M.T.) e così, grazie a una piccola e comoda trasferta organizzata per giornalisti e blogger da Milano, ho finalmente colmato questa mia imperdonabile mancanza, pentendomi abbondantemente per il ritardo, vista la meraviglia assoluta del luogo nonché la sua particolarità e unicità.

Non solo: giovedì 19 luglio, in occasione di tale visita, ho potuto assistere alla proiezione di un interessantissimo docu-film su Villa Litta, scritto e diretto da Francesco Vitali con la collaborazione di Claudia Botta. Leggi tutto

Con Leonardo da Vinci Parade iniziano a Milano le celebrazioni vinciane

Ricordo molto bene l’emozione provata quando, grazie al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano, ho incontrato un vero androide, illustre, unico e con le sembianze di uno degli uomini più famosi non solo del Rinascimento, ma di tutta la storia umana: il pittore, ingegnere e scienziato Leonardo da Vinci.

Nel 2015, il Museo – che tra l’altro è intitolato proprio al grande genio – ha infatti ospitato un androide che si avvale di tecnologie di mimica facciale di ultima generazione: il robot, a grandezza naturale e con una verosomiglianza davvero impressionante, veniva dal Giappone, progettato dal team di Minoru Asada, Direttore Robotica di Neuroscienze Cognitive dell’Università di Osaka.

Da eterna curiosa e affamata di conoscenza quale sono, Leonardo è per me una figura importantissima e avere l’occasione di vedere da vicino quel robot che parlava e interagiva grazie a software sofisticatissimi ha rappresentato un’esperienza particolarissima (che ho raccontato qui).

Il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia è un luogo che amo particolarmente poiché racconta storie di scienza, tecnologia e industria senza preconcetti: vide la luce il 15 febbraio 1953, sotto la spinta di un gruppo di industriali lombardi guidati dall’ingegner Guido Ucelli.

L’idea di Ucelli era quella di dotare l’Italia, al pari degli altri grandi Paesi europei, di un museo che raccontasse «il divenire del mondo» a partire da uno sguardo di unità della cultura: questa idea di dialogo senza barriere tra cultura umanistica e artistica e cultura tecnico-scientifica ispira ancora oggi le scelte e il piano strategico di sviluppo dell’istituzione meneghina e rappresenta uno dei motivi alla base del mio amore.

Il nome di Leonardo da Vinci accompagna il Museo fin dalla sua inaugurazione avvenuta con una grande mostra che celebrava il cinquecentenario della nascita del grande genio vissuto tra il 1452 e il 1519: Leonardo è infatti il miglior simbolo di quella continuità tra i due lati della cultura, espressioni differenti quanto complementari della creatività umana, fortemente presenti nella vita e nell’operato del genio di Vinci. Leggi tutto

Antica Sartoria, il sogno di Giacomo Cinque da Positano al mondo

Undici anni fa, in agosto 2007, trascorsi un periodo di vacanza nei pressi di Salerno.
Mi portarono a visitare le perle della splendida Costiera Amalfitana, da Atrani a Cetara, da Maiori a Ravello, da Praiano a Vietri, da Amalfi a Positano: proprio a Positano, ebbi occasione di conoscere il marchio Antica Sartoria innamorandomene perdutamente.
Raramente avevo visto in vita mia un luogo così colorato, fantasioso e allegro, in Italia e all’estero, e naturalmente feci degli acquisti.

Nonostante l’Antica Sartoria di Positano avesse lasciato in me una profonda impressione, nel tempo non ho più avuto occasione di visitare alcun punto vendita, almeno non fino a quest’anno quando mi sono trovata per qualche giorno a Sestri Levante (alloggiando per la seconda volta al b&b La Terrazza sui Fieschi): lungo la via dello shopping della bella cittadina ligure, ho visto alcune vetrine coloratissime e ho subito capito che si trattava di uno dei negozi del marchio che mi aveva rubato il cuore tanti anni prima.

Inutile dirvelo: sono entrata e, tra una chiacchiera e l’altra con il simpaticissimo personale che lavora in negozio, ho fatto acquisti tra cui la gonna e la borsa (adagiata sulla panchina) che potete vedere nella foto qui sopra che risale allo scorso 3 giugno a Verbania sul Lago Maggiore.
In verità, sono tornata anche il giorno dopo, ripensando ad altri articoli che avevo lasciato in negozio: il bottino finale, oltre a gonna e borsa, è stato di due collane (qui e qui), un paio di orecchini e una candida camicia in lino per mio marito (e della quale ci siamo innamorati entrambi).

L’entusiasmo riscosso dalla gonna attraverso il mio account Instagram (qui, qui, qui e qui) è stato davvero tanto e caloroso, dandomi conferma di quanto lo stile di Antica Sartoria piaccia a moltissime persone in modo assolutamente trasversale: piace perché è uno stile libero, caratterizzante ma anche da caratterizzare e vivere a modo proprio, un po’ hippie un po’ bohémien un po’ gipsy, sicuramente libero da frontiere e barriere di qualsiasi tipo, culturali oppure etniche.
Io lo identifico con i colori del nostro splendido sud ma, allo stesso tempo, mi ricorda quelli dell’America Latina e dell’Africa.

Tutto ciò mi ha fatto venire il desiderio di indagare meglio sul brand e su Giacomo Cinque, il fondatore, condividendo la storia con voi, amici che state leggendo, una storia che affonda le proprie origini negli Anni Sessanta quando, oltre al movimento hippie (o hippy), Positano sperimentava e lanciava l’interessante fenomeno dell’omonima Moda Positano.

In quegli anni, quando si partiva per una gita al mare, frequentemente non ci si sentiva a proprio agio a causa dell’abbigliamento da città, naturalmente formale ma inadatto alla Costiera: come per incanto, il clima in questa baia dorata è infatti sempre mite e quindi chi arrivava andava subito alla ricerca di parei, bermuda, pantaloncini, costumi e tutto quanto poteva essere utilizzato in spiaggia o in barca.
E così, i primi negozi di ceramiche e souvenir nati proprio in Costiera venivano assaliti da richieste del genere: essendo per tradizione e origini storiche degli ottimi commercianti, gli abitanti inventarono la cosiddetta Moda Positano improvvisandosi sarti e tagliuzzando foulard, asciugamani di lino e cotone, qualche volta saccheggiando i corredi delle spose e trasformando lenzuola finissime ricamate a mano e vecchi centrini da tavolo fatti a tombolo o a uncinetto in particolarissimi ed estrosissimi abiti da sera.
Questa moda sicuramente stravagante venne apprezzata fin dai primi momenti proprio perché diversa e impensabile dai celebrati e blasonati sarti e stilisti di Milano, Torino, Firenze, Roma.
In seguito, aiutati dalla naturale bellezza del luogo e avendo un carnet di ospiti stravaganti e facoltosi che (forse avendo già tutto) nutrivano grande voglia di diversità, i pezzari (così furono definiti) andarono a rifornirsi nei mercatini dell’usato poiché i corredi familiari erano finiti.
E furono proprio gli improvvisati sarti commercianti che, aiutati da imprenditori del calibro di Benetton e Fiorucci, inventarono il tinto in capo: la tintura in capo è una tecnica che consiste nel tingere un capo di abbigliamento già confezionato e questo richiamò l’attenzione di molti stilisti che producevano capi in bianco che venivano poi tinti successivamente a seconda delle esigenze proprio a Positano.
Negli anni, iniziarono a fiorire tante piccole botteghe e a questo punto posso introdurre Giacomo Cinque.

Nato a Positano, Cinque vive la sua infanzia nel momento clou, ovvero i fantastici Anni Settanta, e assorbe come una spugna tutta l’energia positiva e colorata di quell’epoca: giorno dopo giorno, cresce la sua passione per l’abbigliamento e lui passa con curiosità da un laboratorio all’altro nel momento dei pezzari e delle loro pezze.
Frequenta l’accademia di moda e, tra lezioni di storia dell’arte e del costume e lezioni di stilismo e modellismo, decide che tessuti, colori e filati sarebbero stati il suo mondo.
Giacomo Cinque riversa così tutto l’amore per i ricami e l’arte proprio nell’abbigliamento, iniziando a realizzare (come fa ancora oggi) capi stravaganti e qualche volta irripetibili.
Decide di vestire le vacanziere in giro per tutto il mondo, le immagina come allegre sirene in grado di ammaliare i più restii Ulisse tra tessuti colorati, pizzi bianchi e talismani portafortuna.
Nel frattempo, siamo arrivati ai primi Anni Ottanta e le sue creazioni diventano un fenomeno moda ambito da tutte le aziende locali e dai compratori che arrivano da tutto il mondo, tanto da essere corteggiato come una star.

Tenacia, gusto, tecnica, passione, intuito, umiltà e amore per il proprio lavoro sono gli ingredienti che decretano il suo successo e, dopo aver lavorato per quasi tutte le aziende positanesi come stilista, Giacomo Cinque decide di produrre una propria linea, spostando la produzione da Positano all’India, creando insieme al socio Riccardo Ruggiti il marchio Antica Sartoria con cui oggi vende il suo prodotto in tutti i negozi (qui trovate l’elenco) posizionati vicini ai mari del mondo o dove, per la bellezza dei luoghi e per cultura (Roma, per esempio), si fanno le vacanze o regna lo spirito festaiolo.
Sì, perché Giacomo Cinque ama definirsi come il sarto per le feste: «chiamatelo – si dice sul sitoe ve ne organizzerà una».

Perché ho deciso di parlarvi di Giacomo Cinque e della sua Antica Sartoria?

Il primo motivo ve l’ho detto: amo le sue creazioni e so di non essere l’unica.

Il secondo motivo è lo spirito imprenditoriale ed etico: vista l’esigenza – e la mancanza – di sarte e corredi, Cinque si è aperto alla continua scoperta di nuovi posti dove produrre con il nostro gusto e la nostra cultura, tenendo i prezzi accessibili a un turista attento ai dettagli.
Quindi Antica Sartoria produce oggi in tutto il mondo e vende in tutto il mondo, ma con il cuore e lo spirito positanesi e italiani. Ecco perché parlo di imprenditorialità ma anche di etica.

Antica Sartoria non è una moda di passaggio e supera i trend – e qui abbiamo il terzo motivo del mio apprezzamento: è un sodalizio magico tra la creatività del fondatore e l’abilità di artigiani (soprattutto indiani) produttori da secoli di cotoni e sete, artisti nel colore e coadiuvati da abili ricamatrici.

E a dimostrare che questa formula funziona c’è anche il numero di fan su Facebook, oltre 23mila, e su Instagram, quasi 52mila, merito – a mio avviso – di una filosofia che definirei ancora una volta hippie e bohémienne, in contrasto con un’epoca un po’ tesa e spesso difficile quale è la nostra e in cui ai figli dei fiori si sono (purtroppo) sostituiti hater, troll e leoni da tastiera…

E detta filosofia piacevolmente libera e leggera in senso buono è perfettamente riassunta dallo slogan «moda mare per amare».

Ecco, magari proviamo (almeno ogni tanto) a tornare a mettere fiori nei nostri cannoni.

Manu

Brandina The Original, il mare è felicità e si può mettere in una borsa

Questa settimana, precisamente lunedì, sono stata alla presentazione della nuova campagna pubblicitaria di Brandina The Original, un marchio di borse e accessori tutti realizzati con il tessuto dei lettini da mare.

L’idea alla base di questo marchio nasce durante la realizzazione da parte di Marco Morosini di un libro fotografico dedicato alla Riviera Adriatica, pubblicato nel 2004 da Electa Mondadori.

Visto che si parla di Riviera Adriatica, il designer e fotografo Morosini decide di fare qualcosa che evochi immediatamente uno dei tratti più caratteristici del luogo: pensa dunque di utilizzare il materiale di cui sono composti i tradizionali lettini (o brandine) da mare per realizzare delle originali sovraccoperte per il libro e, nel fare ciò, scopre le potenzialità del tessuto, tanto da decidere di utilizzarlo per creare borse e accessori attraverso una produzione rigorosamente artigianale.

Così, dal 2005, il marchio Brandina unisce il fascino dell’omonima seduta da spiaggia della solare Riviera Italiana con la creatività di Marco Morosini e della sua compagna, l’architetto Barbara Marcolini che cura e disegna tutti i modelli.

E questo è il primo motivo per il quale ho scelto di parlarvi del marchio: mi piacciono le idee fuori dagli schemi e mi piace che un materiale venga estrapolato dal contesto abituale (fare lettini da spiaggia) per essere portato in un altro mondo (quello delle borse).
Mi piace chi sa vedere oltre e, se di tanto in tanto leggete A glittering woman, avrete ormai capito che nutro questo tipo di passione. Leggi tutto

40anni di tesori MF1 svelati da un archivio ora digitale, una mostra, un libro

Lo racconto sempre agli studenti dei miei corsi in Accademia del Lusso: siamo così abituati a pensare alla moda italiana come a un elemento costitutivo dell’identità del nostro Paese da dimenticarci spesso che essa è, al contrario, una realtà abbastanza recente.

La verità è che, fino all’Ottocento, a dettare legge in ambito moda è stata la Francia e gli stessi creatori di casa nostra hanno guardato i cugini d’Oltralpe cercando esempi e ispirazione.
Pensate alla celebrità della quale ha goduto Maria Antonietta d’Asburgo Lorena, moglie di Luigi XVI e nota semplicemente come Maria Antonietta (1755-1793): tutto ciò che la sovrana fece creare o scelse e poi indossò divenne moda non solo in Francia, bensì presso tutte le corti europee dell’epoca.
E pensate che, proprio per quanto riguarda il nostro Paese, ho scoperto che la stessa parola «moda» apparve per la prima volta solo nell’edizione del 1691 del dizionario italiano: la definizione era quella che fotografa tuttora la caratteristica fondamentale della moda, ovvero «ciò che riguarda le abitudini mutevoli».
Già, perché la moda indica comportamenti collettivi con criteri mutevoli: non solo, anche se usiamo spesso questo termine in relazione al modo di abbigliarci, dobbiamo ricordare che in realtà la moda non è solo nei vestiti.
Così come è utile ricordare che la moda nasce solo in parte dalla nostra necessità di sopravvivere, coprendoci prima con pelli e poi con materiali e tessuti lavorati per essere indossati; gli abiti assunsero infatti ben presto anche precise funzioni sociali, atte per esempio a distinguere le varie classi e le mansioni – e questo occorrerebbe ricordarlo soprattutto a chi continua a considerare la moda come cosa futile e sciocca.

Ma torniamo alla moda italiana. Leggi tutto

Palazzo Reale a Milano ospita gli Incantesimi del Teatro alla Scala

Tra i tanti ricordi della mia infanzia, ci sono quelli legati alla musica.

Ai miei genitori è sempre piaciuta e rammento bene quando, la domenica mattina, durante la bella stagione, mia mamma amava aprire tutte le finestre di casa lasciando entrare l’aria fresca: in quelle mattinate gioiose, non mancava mai la musica diffusa attraverso un giradischi e a riecheggiare di stanza in stanza erano spesso le opere liriche e le note delle arie di Giuseppe Verdi, di Gioacchino Rossini e di molti altri ancora.

È da allora che Madama Butterfly di Giacomo Puccini è una delle mie opere preferite e non dimenticherò mai il libretto che sfogliavo con avidità in cerca di immagini e dettagli né la profonda impressione che la storia di quella e di molte altre opere esercitavano sulla mia fervida fantasia di bambina. Un’impressione, un fascino e un incantesimo tanto forti che, quando qualche anno fa fui invitata dalla contessa Pinina Graravaglia alla festa intitolata Teatro dell’Opera, passai un intero mese a prepararmi per il personaggio che scelsi di interpretare, ovvero Medora, la protagonista femminile de Il Corsaro di Giuseppe Verdi.

Vi racconto tutto ciò per darvi la misura dell’emozione che ho provato settimana scorsa, quando mi sono ritrovata a visitare la mostra Incantesimi – I costumi del Teatro alla Scala dagli Anni Trenta a oggi.

Ve lo confesso, non è stata una visita programmata: in realtà, ero a Palazzo Reale, la sede, per la meravigliosa mostra dedicata a Caravaggio e ho scoperto che, al termine del percorso, si passa attraverso le Sale degli Arazzi che attualmente ospitano l’esposizione Incantesimi.

In cosa consiste tale mostra?

In ventiquattro straordinari costumi che sono stati selezionati e restaurati tra i numerosi abiti di scena custoditi nei magazzini della Scala, ventiquattro costumi che si devono ad alcune delle firme più celebri nella storia del teatro. Leggi tutto

Armani e il suo Silos che contiene sogni, successi, storia, futuro della moda

Armani è uno dei motivi per cui mi occupo di moda.

Questo post inizia così, con un’affermazione forte che non lascia spazio a dubbi.

Giorgio Armani, classe 1934, e la sua prestigiosa maison fondata nel 1975 figurano tra i miei ricordi di bambina, ricordi che profumano di tenerezza, calore e divertimento nonché dei primissimi approcci con la moda.

Ricordo molto bene quando mia sorella e io trascorrevamo interi pomeriggi a disegnare figurini, immaginando anche di frequentare gli stilisti che erano famosi in quegli anni, Maestri del calibro di Giorgio Armani, Valentino, Gianni Versace, Ottavio Missoni, Franco Moschino, Gianfranco Ferré.

Ebbene sì, eravamo due bambine dotate di grande fantasia ed ecco perché, quando mi chiedono di parlare di me, affermo che la moda è una malattia con la quale sono nata – una malattia meravigliosa.

Armani è lo stilista che ha forgiato i miei primi sogni di moda: vi è entrato quando ero solo una bambina con gli occhi pieni di meraviglia e curiosità e lì è rimasto per sempre, stagione dopo stagione, anno dopo anno.

Sono cresciuta, ho studiato, ho coltivato tante passioni: il bello, la moda, la comunicazione sono diventati sempre di più poli di irresistibile attrazione e si sono infine fusi nel mestiere che faccio oggi, con amore, passione, devozione e quella stessa curiosità che – per fortuna – non si è mai affievolita ma che al contrario è cresciuta, diventando più matura e profonda. Nonché più consapevole, mi piace pensare, anche se ciò che avevo colto da bambina, in modo istintivo come spesso accade ai giovanissimi, continua a essere il nucleo di tutto. Leggi tutto

Mario Giansone, se l’arte si trasforma in gioielli da indossare

Mercoledì 11 ottobre sono stata a Torino per un viaggio stampa che mi ha dato l’opportunità di assistere all’anteprima della mostra dedicata al Maestro Gianfranco Ferré e ai suoi gioielli presso Palazzo Madama (qui trovate il mio racconto e tutti i dettagli).

Oltre a tale mostra (meravigliosa!), il viaggio mi ha dato la possibilità di visitare una seconda esposizione ospitata nella stessa sede e dedicata ancora una volta al gioiello: ho potuto così rimediare a una mia precedente assenza (nonostante avessi ricevuto il gentile invito anche per quell’anteprima non ero infatti riuscita ad andare) e ne sono stata felice poiché tale mostra mi incuriosiva molto, visto che presenta il lavoro di un artista e designer che – lo confesso – non conoscevo.

E così, Palazzo Madama conferma ancora una volta la sua vocazione: essere un Museo di Arte Antica interessato a documentare il nesso stringente esistente tra scultura e pittura da una parte e le cosiddette Arti Decorative o Applicate dall’altra (tra le quali il gioiello), mai considerando queste ultime quali arti minori, come ha ben spiegato lo stesso direttore Guido Curto proprio in occasione della presentazione della mostra dedicata a Ferré.

Detta vocazione viene confermata presentando fino al 29 gennaio 2018, al secondo piano in Sala Atelier, un’esposizione dedicata ai gioielli in oro forgiati dall’artista torinese Mario Giansone (1915-1997), uno dei più valenti scultori italiani del Novecento: i suoi erano capolavori concepiti per essere indossati dalle tante signore che Giansone frequentava e ammirava, ricambiato grazie al suo fascino un po’ misterioso. Leggi tutto

Gioielli e Ornamenti di Gianfranco Ferré visti Sotto un’altra Luce

È grazie ai miei genitori che ho avuto una bella infanzia, felice al punto tale che le esperienze di quegli anni si sono poi trasformate in splendidi ricordi e sono diventate le basi delle mie odierne sicurezze di persona adulta.

Tra i tanti ricordi pieni di tenerezza, calore e divertimento, figurano anche i primissimi approcci con la moda: per esempio, ricordo la mia prima borsetta (ero davvero piccina e a testimoniarlo ci sono alcune foto negli album di famiglia) e ricordo altrettanto bene quando mia sorella e io trascorrevamo interi pomeriggi a disegnare figurini, immaginando anche di frequentare gli stilisti che erano famosi in quegli anni, Maestri del calibro di Giorgio Armani, Valentino, Gianni Versace, Ottavio Missoni, Franco Moschino, Gianfranco Ferré.

Ebbene sì, eravamo due bambine dotate di grande fantasia e di idee già chiare ed ecco perché affermo che la moda è una malattia con la quale sono nata.

Immaginate dunque la gioia che provo oggi ogni volta in cui ho la possibilità, il piacere e l’onore di essere testimone di eventi che celebrano la vita e il lavoro di coloro che – da sempre – sono per me modelli e icone.

Immaginate l’emozione che ho provato mercoledì mentre, seduta in una delle meravigliose sale di Palazzo Madama a Torino, ascoltavo con estrema attenzione grandi professionisti impegnati a presentare una mostra importantissima che si intitola Gianfranco Ferré – Sotto un’altra Luce: Gioielli e Ornamenti. Leggi tutto

Mente Captus di Marcella Milani, spazi e silenzi all’ex manicomio

Mi piace pensare che quello che stiamo vivendo possa essere un settembre all’insegna della cultura, di come e quanto essa possa avere un impatto positivo sulle nostre vite arricchendole di bellezza e magari abbattendo qualche nostro pregiudizio – come ho raccontato nel post precedente.

Mi piace anche pensare che sia un settembre ricco di attesi ritorni e piacevoli riconferme: è il caso di Marcella Milani.

Pavese DOC, classe 1974, fotografa professionista freelance: grazie alla sua bravura tecnica, alla spiccata sensibilità e alla capacità di cogliere dettagli che sfuggono a molti, Marcella collabora con le più importanti testate nazionali.

Ho il privilegio di godere della sua amicizia e, tra i moltissimi ritratti che mi sono stati fatti nel corso degli anni, i suoi sono puntualmente tra quelli in cui maggiormente mi riconosco, tant’è che la mia foto profilo di Facebook è un suo scatto che lì resiste da più di quattro anni.

Perché parlo di cultura, di ritorni e di riconferme collegando il tutto a Marcella?

Perché avevo già raccontato di lei in un precedente post qui nel blog, presentando un suo importante progetto culturale con forti valenze sociali e storiche, ovvero la mostra intitolata URBEX PAVIA – Viaggio fotografico nelle aree dismesse. Leggi tutto

Riparto da Prato dove arte, tradizione e culto sono “Legati da una Cintola”

Ci siamo, A glittering woman riparte: alla fine, sono tornata sebbene la tentazione di restare in Grecia e precisamente a Samos sia stata forte (ma ne parleremo in un prossimo post).

Sono felice di inaugurare una nuova stagione con un evento che ha tutto il sapore e il profumo di conoscenza e cultura, ambiti che tanto mi stanno a cuore; tuttavia, devo in realtà iniziare con un’ammissione di (mia) forte ignoranza e non per confondervi le idee, giuro.

Ora vi racconto tutto con ordine.

Dovete sapere che, già prima della pausa e delle vacanze, avevo ricevuto un invito tanto gradito da inserirlo subito in agenda con grande piacere e curiosità: mercoledì 6 settembre, insieme a un nutrito gruppo di giornalisti, ho pertanto preso un treno Frecciarossa da Milano per raggiungere Firenze e poi Prato, destinazione finale del nostro viaggio stampa.

Siamo stati infatti ospiti del Comune di Prato per la conferenza stampa e la visita in anteprima di una mostra intitolata Legati da una Cintola – L’Assunta di Bernardo Daddi e l’identità di una città che si svolge al Museo di Palazzo Pretorio da oggi, venerdì 8 settembre, fino a domenica 14 gennaio 2018 (aggiornamento – estesa fino al 25 febbraio 2018 per il grande successo di pubblico).
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Pillole di mondo: a Vicolungo The Style Outlets leggere è di moda (evviva!)

Le piccole casette per il book sharing a Vicolungo The Style Outlets

Leggere è un piacere che ha caratterizzato costantemente tutta la mia vita, in ogni età e in ogni fase.
Non posso né potrei mai pensare di rinunciare al piacere di leggere riviste, giornali e libri: è come se fossero cari, preziosissimi, insostituibili amici. Compagni di vita, appunto.
Devo anche confessare di amare la carta, infinitamente, amo il suo profumo e il suo fruscìo: non potrei soppiantarla a favore di tablet e lettori vari che mi affascinano, è vero, e dei quali oggi faccio uso come tutti, anche se sporadicamente e per specifiche esigenze.

Quando mi chiedono di elencare i libri che preferisco, sono in difficoltà: ogni libro che ho letto è stato unico e speciale.
Ricordo con estremo affetto quelle che furono le mie prime letture di fanciulla: Cuore di Edmondo de Amicis, Piccole donne di Louisa May Alcott, i romanzi di Jules Verne che mi fecero innamorare della fantascienza.
Ricordo con altrettanto affetto la sfida che mi pose la mia insegnante di letteratura in prima superiore: vedendo quanto fossi vorace e curiosa quanto a letture, mi propose Cent’anni di solitudine, il capolavoro del Premio Nobel colombiano Gabriel García Márquez. Mi innamorai perdutamente di lui e da allora ho letto moltissime sue opere, buona parte delle quali proprio durante gli anni delle scuole superiori.

Non mi dilungo oltre su autori e titoli e aggiungo soltanto che, quand’ero in prima media, i miei genitori decisero di farmi l’abbonamento in biblioteca: costavo più in libri che non in qualsiasi altra cosa (inclusi abiti e cibo, altri due ambiti per me di forte attrazione) e il problema è che ogni nuovo volume mi bastava per pochi giorni soltanto.
Non so dare voce all’emozione che provai quando un paio di anni dopo, non più paga della sola struttura di zona, conquistai la tessera della Sormani, la meravigliosa biblioteca centrale di Milano.
Ogni volta in cui entravo in quel luogo, avevo l’impressione di mettere piede in un tempio sacro, in un edificio di culto: in fondo, in biblioteche e librerie non si celebra un culto, quello della curiosità e della conoscenza?

Ecco, ora c’è un altro luogo nel quale celebrare l’amore per i libri ed è un luogo al quale molti non avrebbero forse pensato: un outlet.

A lanciare tale scommessa è il gruppo The Style Outlets che ha deciso di introdurre la pratica del book sharing nella propria struttura di Vicolungo, in provincia di Novara.

La pratica del book sharing, letteralmente condivisione di libri, incontra la mia più grande approvazione in quanto è un ottimo modo per far circolare liberamente e disinteressatamente la cultura: ognuno può recarsi in angoli appositamente creati a tale scopo – in genere cabine o casette – per donare o prelevare un libro senza alcun vincolo, nemmeno quello di restituire il volume.

Dopo aver sperimentato con ottimi riscontri il bike sharing per i più piccoli, il gruppo The Style Outlets punta ancora una volta al coinvolgimento e all’intrattenimento delle persone andando oltre lo shopping e allestendo un servizio per la raccolta e la distribuzione gratuita di libri: per scoprire (o riscoprire) il piacere della lettura basta portare con sé un libro, depositarlo in una delle piccole casette installate accanto all’Info Point e sceglierne un altro.

L’outlet di Vicolungo (a settembre sarà la volta di quello di Castel Guelfo, in provincia di Bologna) presenta inoltre un calendario di interviste e reading session con autori e personaggi accomunati dal talento letterario nonché da pubblicazioni di successo.

A inaugurare l’iniziativa sabato 27 maggio è stata Sofia Viscardi intervistata da Luca Bianchini e Franco Bolelli: 18enne, autrice del successo editoriale Succede, Sofia ha parlato di amori, amicizia e relazioni.

Domani, sabato 3 giugno 2017, a partire dalle 17, toccherà a Cristina Chiperi: giovanissima eppure già fenomeno editoriale, Cristina è l’autrice della trilogia My dilemma is you.

Sabato 17 giugno 2017, sempre dalle 17, sarà invece la volta di Benedetta Parodi che leggerà alcuni brani tratti dai suoi libri Le fate a metà, ciclo di tre romanzi per bambini… di tutte le età.

Ho raccontato tante volte che le suddivisioni rigide come compartimenti a tenuta stagna non mi piacciono: mi piacciono invece le commistioni e le contaminazioni e credo fermamente che la cultura abbia molte forme e che dovrebbe essere accessibile a tutti.

Conseguentemente, il mix tra shopping e libri mi piace molto e apprezzo che il gruppo The Style Outlets pensi che lo shopping possa essere affiancato da forme gratuite di intrattenimento diversificato.

Ecco perché ho voluto sostenere questa iniziativa parlandovene e, visto che Vicolungo è un outlet che ho visitato più volte, la prossima volta avrò un ulteriore buon motivo per tornarci.

Manu

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