Il meraviglioso mondo della natura in una mostra (particolare) a Milano

«Il mondo non languirà mai per mancanza di meraviglie, ma soltanto quando l’uomo cesserà di meravigliarsi.»

Sono parole di Gilbert Keith Chesterton (1874-1936), celebre scrittore, giornalista e aforista britannico: mi ritrovo tantissimo in questo suo pensiero poiché è ciò che sento esattamente anch’io.

Il mondo è colmo di meraviglie tutte da scoprire: c’è e ci sarà sempre qualcosa da imparare e di cui sorprendersi eppure a volte temo che possa invece esaurirsi il desiderio di scoperta di noi esseri umani, distratti, fuorviati, assuefatti, illusi e perfino viziati da cose che, in realtà, poco o nulla hanno a che vedere con la vera meraviglia.

Il ritmo della vita moderna, la facilità di accesso a un enorme flusso di informazioni, l’incapacità di soffermarci, il continuo bombardamento di stimoli che, spesso, ottengono solo di farci fruire di ogni cosa in modo troppo veloce e superficiale: ecco, è tutto ciò a spaventarmi.

Così, quando questo aforisma di Chesterton è stato ricordato alla conferenza stampa di presentazione della mostra della quale desidero parlarvi oggi, ho pensato che sì, è esattamente così e che quella fosse proprio l’occasione giusta per menzionarlo: non sono né il mondo né la natura a tradirci, ma piuttosto potrebbe essere una nostra mancanza di curiosità a farlo e allora ben vengano mostre che raccontano la meraviglia del mondo e che lo fanno con un taglio innovativo e attuale, tanto da sperare di mantenere viva quella nostra curiosità che, talvolta, appare oggi un po’ in pericolo o a rischio, esattamente come il pianeta stesso e come le specie in via di estinzione.

A quale mostra mi riferisco?

Mi riferisco a “Il meraviglioso mondo della natura. Una favola tra arte, mito e scienza”, mostra allestita a Palazzo Reale di Milano fino al 14 luglio 2019 e curata dagli storici dell’arte Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa con le scenografie di Margherita Palli: come suggerisce il titolo stesso, a costituire il cuore della mostra è la natura nella sua complessa varietà.

La mostra è uno degli appuntamenti pensati in occasione delle celebrazioni per i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci (1519-2019, qui e qui parlo di altre due mostre connesse alla ricorrenza) e consente a noi visitatori di dare uno sguardo particolare alla rappresentazione artistica della natura lungo un arco cronologico che va dal Quattrocento al Seicento, con un focus sullo scenario lombardo. Leggi tutto

Il nuovo Mudec Photo ospita Steve McCurry e la (emozionante) mostra Animals

Sabato 15 dicembre è stato un giorno speciale: non capita tutti i giorni di avere la fortuna – e l’onore immenso – di conoscere uno dei miti della propria adolescenza e giovinezza.

Nei miei anni da giovane donna idealista e fiduciosa, le foto incredibili di Steve McCurry (che io ammiravo sulle copertine e tra le pagine patinate di riviste del calibro di National Geographic) riuscivano a farmi sognare di viaggi, scoperte e geografie soprattutto umane, perché – come è stato giustamente definito – lui è uno straordinario esploratore del genere umano.
Gli scatti mozzafiato e i ritratti fenomenali fanno di McCurry un maestro del colore e dell’umanità: nessuno come lui sa raccontare le sfumature umane e tutto ciò lo rende uno dei più grandi fotografi di tutti i tempi.

È un onore immenso aver potuto tenere e stringere per un istante la mano che ha scattato infiniti capolavori e – per inciso – desidero dire che, come tutti i veri grandi che ho avuto la fortuna di incontrare, anche Steve McCurry è una persona squisita.

Com’è stato possibile tutto ciò, dove e come ho conosciuto il celeberrimo fotografo?
Ora ve lo racconto.

L’occasione mi è stata offerta grazie all’inaugurazione di MUDEC Photo, il nuovo spazio espositivo dell’omonimo Museo delle Culture dedicato alla fotografia d’autore, uno spazio che ne completa l’offerta. Leggi tutto

Christiaan van Heijst, il mondo è un po’ più bello da un aereo

Il mio amore per gli aerei è nato già nella più tenera infanzia.
Mia mamma racconta infatti un episodio che risale al mio primo viaggio con questo mezzo: avevo circa due anni e, mentre lei era bloccata al suo posto a causa della nausea, io passeggiavo tranquilla e come se nulla fosse lungo il corridoio, intrattenendo le hostess e i passeggeri, tutti divertiti da un soldino di cacio sorridente e chiacchierino, per nulla intimorito dalla situazione nuova.
Da allora, il mio rapporto con gli aerei è sempre stato appassionato: tanto detesto viaggiare in macchina (e peraltro soffro il mal d’auto) quanto adoro prendere l’aereo. Scherzando, dico sempre che lo prenderei per andare perfino da Milano a Casalpusterlengo.
E infatti i viaggi in aereo non sono certo mancati nella mia esistenza: da quelli su e giù per l’Europa fino ai voli intercontinentali tra i quali l’Australia, la Cina, il Brasile, il Vietnam, la Polinesia.

Volare non mi spaventa, anzi, mi affascina e la vita di bordo non mi mette ansia, anzi, mi diverte passare tempi anche lunghi a zonzo per il cielo.
Non ho però mai pensato di fare un lavoro connesso a tale passione (chissà come mai) e comunque, se ci avessi pensato, mi sarebbe piaciuto fare il pilota e non la hostess.

Ecco perché oggi vi racconto la storia di Christiaan van Heijst, un pilota di aerei olandese.

La sua passione è stata molto precoce: a 14 anni si dedicava già ai voli in aliante mentre a 18 anni ha preso la sua prima licenza da pilota di voli privati, perfino prima della patente automobilistica.
Ha partecipato come pilota acrobatico al Campionato Nazionale Olandese portando a casa un primo posto nella classe principianti nel 2003, all’età di 20 anni.
Oggi è 33enne e pilota Boeing 747-8 per Cargolux, una compagnia aerea cargo lussemburghese.

Ma qual è il motivo esatto per cui vi parlo di lui?

Il punto è che, tra un decollo e un atterraggio, Christiaan van Heijst non perde occasione per fotografare il mondo dalla sua cabina.

Quello dei piloti di aerei è senza alcun dubbio un punto di vista privilegiato: nuvole, fenomeni atmosferici, montagne, mari e città creano panorami inediti per chi invece vive letteralmente con i piedi per terra, spettacoli dei quali solo chi si trova all’interno di una cabina di pilotaggio può godere.
E così, dalla sua poltrona circondata di tasti luminosi e strumenti incomprensibili ai più, Christiaan non si limita a far decollare, pilotare e fare atterrare i Boeing 747: tra una pausa e l’altra, approfitta per scattare fotografie. Precisamente, splendide fotografie.
Le luci e gli interruttori che riempiono la plancia di comando nonché i panorami mozzafiato (soprattutto quelli notturni) fuori dai finestrini sono soggetti affascinanti e Van Heijst ha deciso così di condividere con il mondo intero il suo punto di vista privilegiato.

«Sin da quando ero molto giovane provavo una grande gioia nel catturare la bellezza della luce naturale in tutte le sue forme», racconta sul suo sito.
«Più tardi, ho unito questo interesse con il volo ed è emersa una nuova passione. Potendo guardare il mondo intero attraverso il mio lavoro, mi sento privilegiato per essere in grado di catturare molte parti del pianeta attraverso la mia macchina fotografica e immortalare la bellezza dei luoghi che visito».

Le sue foto sono diventate virali grazie al web e non solo: le sue immagini sono state pubblicate da riviste e media del calibro di National Geographic e BBC.
E nel 2016, Christiaan van Heijst ha pubblicato il suo primo photobook intitolato Cargopilot che attualmente è alla seconda ristampa.

Giusto per darvi un assaggio delle sue foto meravigliose, ho selezionato per voi l’immagine qui sopra presa dal suo sito e in particolare dal suo blog: è recentissima e, come scrive lo stesso Christiaan, è stata scattata «da qualche parte sopra l’Atlantico tra il Sud America e l’Africa». Ritrae il fenomeno che prende il nome di fuoco di Sant’Elmo, ovvero una scarica elettro-luminescente provocata dalla ionizzazione dell’aria durante un temporale.

Oltre che sul sito, potete trovare le foto di Christiaan van Heijst sul suo account Instagram e su Twitter.

Io lo seguirò sognando il mio prossimo volo: quest’estate tocca alla Grecia, ma per l’autunno ho in previsione nuove avventure aeree.
Certo, non avrò la stessa visuale di un pilota né possiedo il talento fotografico di Christiaan, ma il mondo dall’alto è sempre uno spettacolo impareggiabile e speciale perché, da lassù, resta solo la bellezza e spariscono tutte le cose brutte.

Manu

 

A me gli occhi, dal National Geographic agli anelli di Alysha Laurene

Dovete sapere che, tra le mie tante e diverse passioni, nutro da sempre interesse e curiosità nei confronti della scienza e della divulgazione scientifica. Quando nel 1998 nacque la versione italiana di National Geographic, fui una dei primissimi abbonati.
Tra le numerose declinazioni della scienza, mi attrae fortemente la biologia e, in particolare, sono affascinata dal funzionamento del corpo, umano e animale: recentemente, proprio il National Geographic ha catturato il mio interesse grazie a uno splendido articolo firmato da Ed Yong a proposito di occhi e vista.
I cinque sensi sono gli strumenti attraverso i quali esploriamo il mondo e, tra di essi, la vista è per me fondamentale, è il senso su cui faccio più affidamento: sono letteralmente ossessionata dagli occhi e da qualsiasi cosa li riguardi, così ho divorato l’articolo scoprendo moltissime cose, per esempio che, d’istinto, siamo portati a pensare che gli animali vedano come noi.
In realtà, se si va a studiare la loro visione, si scopre che non è così. E d’altra parte, pur avendo tutti quanti lo stesso sistema visivo, noi esseri umani vediamo in modi diversi a causa di fattori che vanno dalla densità di coni e bastoncelli nella retina fino all’integrazione sensoriale del nostro cervello.
Si può insomma affermare che gli occhi siano tra gli organi più diversificati esistenti in natura: il perché di tanta diversità è da ricercare nell’evoluzione nonché nelle più disparate esigenze di ogni singola specie.
Vi faccio qualche esempio tratto dall’articolo.
La sfinge della vite (Deilephila elpenor) ha occhi eccellenti per raccogliere le minime tracce di luce e fanno sì che l’animale possa distinguere i colori dei fiori carichi di nettare anche solo al tenue bagliore delle stelle.
Gli occhi dell’aquila di mare testabianca (Haliaeetus leucocephalus) hanno un potere di risoluzione eccezionale: due volte e mezzo quello degli occhi umani. Hanno retine con due regioni ad alta densità di fotorecettori (noi ne abbiamo una sola) e vedono davanti e di lato contemporaneamente.
La cubomedusa (Tripedalia cystophora) è larga solo 10 millimetri ma ha ben 24 occhi, alcuni semplici sensori di luce, altri dotati di lenti in grado di mettere a fuoco: un contrappeso mantiene l’occhio superiore puntato sempre in alto per individuare cibo e rifugio.
L’occhio sinistro del calamaro Histioteuthis heteropsis è grande il doppio del destro, guarda verso l’alto ed è ideale per individuare prede con la luce che viene da quella direzione: l’occhio più piccolo punta invece in basso, verso l’oscurità, per individuare prede e predatori bioluminescenti.
Il mantello della capasanta Argopecten irradians è cosparso di un centinaio di occhi di uno straordinario azzurro brillante, mentre il record quanto a dimensioni appartiene al calamaro gigante: gli occhi di un Architeuthis dux possono essere grandi fino a 30 centimetri. Leggi tutto

error: Sii glittering... non copiare :-)