Un compleanno ‘significativo’, nuove consapevolezze e camminata sportiva

Ci siamo: è arrivato il mio compleanno ed è la volta di un compleanno… significativo, definiamolo così, e – di conseguenza – mi trovo a riflettere sul passare degli anni.

Visto che non è la prima volta che lo faccio, inizio a pensare che gli anni siano una fissazione dell’età, ovvero iniziamo a pensarci (troppo) spesso quando li percepiamo come tanti (e in effetti i miei iniziano a esserlo); poi penso a Julia Fox che, in questi giorni, a (soli) 32 anni (!), si è messa a disquisire dell’invecchiare e allora mi dico che no, ogni cosa è forse davvero semplicemente relativa.

A ogni modo, tornando a noi…

Vedete, cari amici, ciò su cui mi sono ritrovata a riflettere è che, tutto sommato, Madre Natura è stata gentile con me quanto a corredo di partenza o ‘starter kit’, se preferite.

State tranquilli, non è mia intenzione vantarmi, per carità, nessuno mi ha mai chiesto di posare per un calendario 😀 e non me ne stupisco affatto visto che so benissimo quale è la realtà: non sono né alta né slanciata, non ho misure da pin up né lineamenti perfetti e dunque altro che vantarmi, anzi, mi sono sempre lamentata.

Di cosa?

Per esempio ho sempre detestato la mia fisicità tendenzialmente mediterranea (posso definirla a clessidra) e mi sono lagnata nonostante i fianchi non strettissimi (è vero, lo sono) siano in realtà proporzionati alla vita stretta (ed è stretta ancora oggi); non ho mai amato le mie gambe tornite e mi sono lagnata nonostante io sappia benissimo che sono state forgiate (anche) da una vita di sport e di attività fisica, quindi non potrebbero mai essere sottili; insomma, non ho certo avuto il fisico longilineo e un po’ androgino che invece mi sarebbe tanto piaciuto avere. Leggi tutto

The Franca Fund, in vendita – per la ricerca – il guardaroba della Sozzani

«Non so mentire: provavo una simpatia alquanto tiepida nei confronti di Franca Sozzani.»

Iniziava così, con queste parole, il pezzo che avevo dedicato a Franca Sozzani in occasione della sua scomparsa avvenuta nel 2016.

«A non farmi sentire a mio agio, io eternamente scomposta e con infinite imperfezioni, era in parte la sua aria eterea, – avevo continuato – il suo aspetto quasi serafico: sembrava sempre essere appena uscita da un quadro, i capelli (lunghissimi e ondulati) e lo sguardo mi ricordavano immancabilmente la perfezione della Venere di Botticelli.»

E avevo aggiunto di sapere di meritare eventuali insulti per essere stata «poco delicata a scrivere tali pensieri a pochi giorni dalla sua dipartita», preferendo però essere sincera.

E in nome di quella sincerità avevo poi elencato tutti i motivi per i quali, ben oltre la tiepida simpatia, rispettavo, stimavo e ringraziavo la signora Sozzani (se volete rileggere il tutto, trovate l’articolo qui).

Rispetto e stima sono invariati e sono dunque onorata di poter – nel mio piccolo – contribuire a dare voce alla Fondazione che porta il suo nome e che prosegue il cammino nell’ambito delle iniziative volte a unire moda circolare, sostenibilità e impegno sociale guardando verso il futuro. Leggi tutto

Dance Well – Ricerca e Movimento per il Parkinson alla Triennale Milano

Lo confesso subito: per me non è affatto facile scrivere queste righe che raccontano un’iniziativa a proposito del Parkinson.

Come tutti sanno, il Parkinson è una malattia neurodegenerativa a evoluzione progressiva che coinvolge, principalmente, alcune funzioni quali il controllo dei movimenti e dell’equilibrio.

Il nome è legato a James Parkinson, medico, paleontologo e geologo britannico vissuto tra il 1755 e il 1824 e che nel 1817 pubblicò un lavoro sullo studio di sei casi di quella che lui descrisse come “paralisi agitante”.

Diverse importanti organizzazioni promuovono la ricerca nonché il miglioramento della qualità della vita delle persone affette dal Parkinson; alcuni pazienti celebri (tra i quali l’attore Michael J. Fox, il pugile Muhammad Ali, papa Giovanni Paolo II, il cantautore Bruno Lauzi, il giornalista Vincenzo Mollica, gli stilisti Sonia Rykiel e André Courrèges dei quali ho scritto rispettivamente qui e qui) hanno contribuito a far crescere la consapevolezza della malattia.

Perché per me non è facile parlarne?
Perché il Parkinson tocca da vicino la mia famiglia attraverso una persona che amo immensamente.
Perdonatemi ma non voglio e non posso aggiungere una sola parola a tal proposito in quanto prevale il bisogno di tutelare e proteggere la privacy della persona in questione.

Ma ciò che conta è che oggi desidero dare voce a una iniziativa di Triennale Milano che si chiama Dance Well – Ricerca e Movimento per il Parkinson ed è nata per promuovere la pratica della danza contemporanea in spazi museali e contesti artistici, rivolgendosi principalmente – ma non esclusivamente – a persone che convivono con il Parkinson.

Vi prego, cari amici di credermi: desidero parlare di Dance Well non solo perché il Parkinson tocca da vicino chi amo, ma anche perché credo fermamente che conoscenza e consapevolezza siano importanti, così come lo è tutto ciò che ci aiuta a prenderci cura di noi stessi.

Trovate allora tutti i dettagli qui sotto e io vi auguro buona lettura.

Manu Leggi tutto

LOOVERTITS l’omaggio a Sant’Agata nel mese della prevenzione

Ricevo e volentieri condivido – Lo scorso venerdì 17 settembre, in una splendida serata d’estate, ho avuto modo di visitare LOOVERTITS Omaggio a Sant’Agata, una mostra collettiva d’arte moderna ispirata al martirio di una delle figure tra le più venerate dell’antichità cristiana

La mostra è davvero molto interessante e sono pertanto felice di annunciare che, per offrire un contributo alla sensibilizzazione e alla prevenzione dei tumori al seno durante il mese dedicato a questo scopo, l’esposizione è stata prolungata fino a domenica 31 ottobre.

La mostra, ospitata all’interno dello spazio RIDE Milano in via Valenza 2, presenta le opere di oltre 40 artisti che hanno offerto il loro contributo alla causa con una personale reinterpretazione dell’iconografia classica dedicata a Sant’Agata, la giovane che nel 251 d.C. subì atroci torture tra cui l’amputazione dei seni e che quindi viene considerata protettrice delle donne affette da patologie al seno. Leggi tutto

Come (e perché) mi sono dimenticata degli otto anni di Agw

Otto anni di Agw ovvero questo mio blog A glittering woman.
Otto anni che ricorrevano il 1° maggio 2021 – e io me ne sono dimenticata.
Completamente.

Me ne sono accorta solo il 24 maggio, più di 20 giorni dopo.
D’un tratto mi sono accorta di aver dimenticato il compleanno di quella che ho sempre considerato la mia amatissima creatura, di quella creatura della quale ho sempre pensato «la terrò con me per sempre, è l’ultima cosa alla quale rinuncerò».

Il problema è riassunto e rappresentato dall’avverbio che ho scelto: completamente.
Non è che mi sono distratta per un giorno o due, che ne so, una lieve distrazione o dimenticanza, ma addirittura per più di tre settimane, senza che alcun pensiero in merito mi sfiorasse in nessun modo.
Completamente rimosso.
Come se non fosse più la mia amatissima creatura.
Come se non vi fosse nulla da festeggiare, come invece ho sempre fatto anno dopo anno dal 2013.

A proposito dell’affermazione «come se non vi fosse nulla da festeggiare»: aggiungo un dettaglio, cari amici. Leggi tutto

Ora solare e freddo: conseguenze su corpo e mente e vitamina D

Siamo tornati all’ora solare che resterà in vigore (forse) fino a marzo, quando ci sarà nuovamente il passaggio all’ora legale.
Scrivo forse perché, dopo una consultazione pubblica avvenuta tra luglio e agosto 2018 e l’84% dei voti a favore, il Parlamento Europeo ha approvato l’abolizione dell’obbligo per i vari Paesi membri di cambiare ora due volte all’anno.
Ogni Stato della UE sarà chiamato a decidere entro aprile 2021 se adottare per sempre l’ora legale o quella solare e il pericolo di una frammentazione di fusi orari è più che probabile.

A ogni modo: spostare le lancette indietro di un’ora, insieme all’arrivo del freddo, comporta alcune conseguenze sul nostro corpo e anche sulla nostra psiche.

Problemi a prendere sonno e a dormire

Anche se le lancette dell’orologio tornano indietro solo di un’ora, il nostro fisico lo percepisce come se fosse un piccolo jet lag.
Infatti, per alcuni giorni dopo il cambio, si possono avvertire difficoltà di concentrazione, stanchezza fisica e mentale e si può fare molta fatica a prendere sonno con un riposo disturbato e frammentato.
Tutto ciò avviene perché il nostro corpo è fondamentalmente abitudinario.
Per risolvere o addirittura evitare questo problema, gli esperti dicono che sarebbe buona norma iniziare ad andare a dormire prima del solito qualche giorno prima del cambio dell’ora; in più sarebbero da evitare cene troppo pesanti e poco digeribili, ma anche sostanze eccitanti come la caffeina e gli alcolici.

Meno ore di luce e di sole

Fatemi dire qualcosa anche a proposito della vitamina D, ovvero la fondamentale alleata di molte nostre funzioni biologiche: per esempio è preziosissima per il benessere delle ossa e del sistema immunitario.
Non tutti sanno che la vitamina D viene assorbita dal fisico soprattutto grazie all’esposizione alla luce dei raggi solari: in estate, per esempio, basta esporsi per 20 minuti al sole, anche solo gambe e braccia scoperte, per permettere al nostro organismo di produrre la vitamina D, ma nel resto dei mesi dell’anno è molto difficile avere dei buoni livelli.
Soprattutto con il cambio dell’ora, il sole tramonta prima e si passano meno ore all’aperto e, di conseguenza, il nostro corpo può avvertire una certa carenza di vitamina D. Leggi tutto

Mario Dice e #weworkalltogether, l’unione è forza e fa la differenza

Sembra passato un secolo e invece sono passati solo tre mesi da quando – entusiasta – parlavo (qui) della collezione autunno / inverno 2020-21 presentata da Mario Dice in occasione di una suggestiva cena di gala.

Nessuno, in quei giorni, avrebbe potuto immaginare cosa sarebbe successo e quanto la pandemia COVID-19 avrebbe cambiato le nostre vite…

Abbiamo vissuto momenti complessi e quei momenti non sono ancora terminati: sebbene oggi sembra che ci si avvii verso una fase di rinascita, è necessario non abbassare la guardia e rimanere vigili.

È, allo stesso tempo, altrettanto necessario guardare avanti e coltivare ostinatamente la speranza, seminando i presupposti affinché si possa ripartire: in momenti simili, l’unione è forza e fa la differenza.

Ne è profondamente convinto proprio Mario Dice che lancia #weworkalltogether, un progetto che vede coinvolte le persone con cui ha condiviso momenti belli e che lo seguono dai suoi inizi.

Designer, stylist, giornalisti, attori, cantanti, artisti, personaggi dello spettacolo… tutte persone che conoscono e amano Mario e la sua filosofia; in poche parole, i suoi amici.

«Il medico di famiglia è una persona che fin da piccoli segue passo dopo passo ognuno di noi: ci insegnano a fidarci di lui, lo chiamiamo quando non ci sentiamo bene e abbiamo bisogno delle sue cure. Ora è il nostro turno: siamo noi che dobbiamo stare vicino a medici e infermieri, ma anche ai loro cari, diventando la loro grande famiglia. Aiutiamo chi ci aiuta!»

Sono queste le parole con le quali Mario presenta la sua idea. In cosa consiste?

Gli amici di Mario hanno ricevuto una t-shirt bianca a testa con la richiesta di personalizzarla con una frase, un disegno o semplicemente una firma, dando vita a una capsule collection di pezzi unici nati grazie alla loro creatività e al loro estro: lo stilista stesso partecipa con una maglietta da lui realizzata e che è quella che indossa nella foto qui sopra.

Nel rispetto della tradizione e della sartorialità italiana che da sempre contraddistingue il suo brand, Mario ha affidato la produzione delle t-shirt a un piccolo laboratorio in Lombardia, dimostrando ancora una volta grande coerenza visto che – mai come ora – è importante il reciproco sostegno.

Sono circa un centinaio le personalità che hanno accolto con entusiasmo l’invito dello stilista: le t-shirt (che potete già iniziare a visionare attraverso il profilo Instagram di Dice) saranno battute all’asta grazie alla piattaforma CharityStars; tutto il ricavato verrà devoluto al fondo della Protezione Civile per sostenere le famiglie degli operatori sanitari che hanno perso la vita nella lotta al Coronavirus.

Mi unisco allora anch’io all’invito di Mario: lavoriamo uniti per rinascere ovvero… #weworkalltogether!

Manu

 

AGGIORNAMENTO DEL 13 LUGLIO 2020: L’ASTA SU CHARITYSTARS È INIZIATA! POTETE ANDARE SUL SITO E DIGITARE WEWORKALLTOGETHER NEL CAMPO RICERCA OPPURE PROVATE A CLICCARE QUI 🙂 

 

01/05/2020, 7 anni di Agw in tempi di COVID-19 tra salute, felicità e libertà

Ieri sera, attraverso uno degli ormai innumerevoli programmi televisivi che parlano di COVID-19, sono stata colpita da alcune affermazioni.

Qualcuno, per esempio, paragonava l’economia di un Paese (l’Italia come qualunque altro) alla circolazione sanguigna in un essere vivente: se non funziona, il corpo non può sopravvivere.
La stessa persona, mi pare, affermava che l’equilibrio economico è soggetto all’effetto domino: se cade la prima tessera, possiamo essere sicuri che pian piano crollerà l’intero sistema, tessera dopo tessera, per quanto lunga possa essere la catena. È solo questione di tempo.
Un’altra persona sosteneva invece che questa situazione potrebbe o dovrebbe forse insegnarci qualcosa, ovvero che a essere importanti per ogni Paese sono la salute e la felicità prima ancora del PIL.

Salute e felicità…

Parliamoci chiaro: sono un’ottimista ma non sono un’illusa.
Viviamo – purtroppo – in quella che è una pandemia e non un incantesimo o un miracolo: l’ho letto da qualche parte e ne sono convinta anch’io.
Non possiamo credere che il mondo ne uscirà miracolosamente trasformato, diventando un luogo perfetto e incantato.
Certo, auspico che questa sia l’occasione per riflettere su tante cose, a livello personale e universale, ma non credo che ne usciremo improvvisamente virtuosi, esattamente come non è successo in seguito a nessuno degli avvenimenti tragici – guerre, carestie, crisi, pandemie, catastrofi – che hanno costellato il percorso dell’umanità. E pertanto non sono così certa che impareremo ad anteporre certi valori al PIL.

Però desidero fare una piccola riflessione proprio su quei due valori che anch’io considero assoluti e prioritari, salute e felicità, aggiungendo, tra l’altro, il terzo valore per me imprescindibile, ovvero la libertà.

Per quanto riguarda la salute, ho già ammesso quanto la sua salvaguardia non sia il mio forte.
Nonostante sia conscia della sua importanza e nonostante sia abbastanza attenta a ciò che faccio in tal senso, la salute non è sempre al centro dei miei pensieri e delle mie preoccupazioni.
Lavoro troppo, mi spendo troppo, riposo troppo poco.
Approfitto, insomma, della mia buona stella e del mio fisico che – finora – si è sempre rivelato forte e resistente.
Qualche anno fa, precisamente nel 2016, avevo ricevuto un piccolo avviso, diciamo un richiamo a correggere almeno un po’ la rotta: sarò sincera come sempre sono e ammetto che, passata la paura, sono più o meno tornata sulla strada di sempre…
Pertanto su questo fronte sento ora di aver ricevuto un ulteriore richiamo anche perché mi rendo conto che, senza salute, vengono minati i presupposti per il secondo valore fondamentale, quello della felicità.

Quando mi chiedono se sono una persona felice, non ho dubbi sulla risposta: sì, lo sono.
Questo non significa che rido, ballo o faccio baldoria ogni singolo giorno della mia vita: per me essere felice non significa questo e vi dico invece qual è la mia definizione.
Essere felice significa che sono soddisfatta delle persone che mi circondano, di ciò che vivo, di ciò che faccio, di ciò che ho costruito, di ciò che mi sono guadagnata.
Essere felice significa che riesco a gioire di ciò che già esiste attorno a me e di ciò che progetto di costruire e realizzare.
Essere felice significa assaporare, sentire, vivere, godere il momento e il presente; significa avere allo stesso tempo una proiezione verso il futuro, con obiettivi piccoli o grandi da raggiungere e da realizzare.

Leggo spesso i pensieri di persone che esprimono la speranza che tutto ciò che stiamo vivendo ci insegni finalmente a dare valore alle piccole cose e ai piccoli momenti.
Nella mia vita ho collezionato così tanti errori, stupidaggini, peccati, follie, abitudini sbagliate, atteggiamenti poco sensati (incluso quello appena confessato verso la tutela della mia salute) da non poter nemmeno tenerne il conto.
È insomma lunga la lista di ciò di cui dovrei pentirmi, ma se c’è una cosa (almeno una!) della quale non devo fare ammenda è proprio il fatto di aver invece sempre attribuito una immensa importanza e un significato forte alle piccole cose: ho costantemente e puntualmente dato valore ai piccoli gesti e piccoli momenti.
Li ho sempre assaporati, respirati, vissuti; mi sono puntualmente soffermata a godermeli con la consapevolezza della loro preziosità.
In questi giorni, nella mia testa, ho milioni di diapositive di istanti speciali vissuti non importa quando o come, a chilometri di distanza o sotto casa, in compagnia di coloro che amo oppure da sola.
E perfino ora, in questo momento così difficile e doloroso, riesco a ritagliare qualche piccolo momento prezioso e qualche piccola gioia.

Ciò che sento mancarmi ora è l’altra componente – secondo me essenziale – della felicità: la proiezione verso il futuro che passa attraverso la libertà, il terzo valore assoluto che – necessariamente – è in questo momento fortemente limitato.

Per carità, sto bene a casa mia, molto bene, semplicemente perché ci sono sempre stata bene.
Eppure stare sempre e solo chiusa in casa è cosa che inizia a mettermi a dura prova.
È inutile fingere che non mi manchino tutte le cose che ho fatto e amato per tutta la vita: sono a mio agio in una vita sfaccettata e ora sento che mi manca qualcosa, che sono orfana di una parte.
Non voglio essere ingrata, ma non mi va neanche di mentire o di nascondermi né voglio sentirmi in colpa per questo sentimento che credo sia estremamente umano e comune a tante persone.
Il futuro non può essere compreso tra le quattro mura di casa.

«Non si può scrivere in mezzo a questo orrore. Ci provo tutti i giorni e non ci riesco, perché per scrivere la vita deve essere intera. Spero che la gente si renda conto che la libertà è parte integrante della salute. Perché un corpo sia sano deve potersi muovere sotto la luce del sole, deve parlare con altri corpi, deve poter baciare e poter dire ‘ti amo’».
Sono le parole che il poeta e narratore Manuel Vilas ha scritto per Vanity Fair.
Sono così belle e perfette per descrivere ciò che provo anch’io che non voglio né posso aggiungere altro.

Anzi, no, scusate, fatemi aggiungere un’ultima cosa.
Il 1° maggio 2013, esattamente sette anni fa, trovavo finalmente il coraggio di pubblicare il primo post in questo spazio.
Parlo di coraggio perché il blog è un progetto che avevo accarezzato molto a lungo e che avevo più volte rimandato, per tanti motivi.
È diventato uno dei miei compagni di viaggio più fedeli, un progetto longevo e mai interrotto, uno specchio della realtà che vivo.

Sette anni fa, non avrei potuto immaginare come avrei trascorso questo anniversario.
Non avrei potuto immaginarlo io né avrebbe potuto immaginarlo nessuno.
E invece eccomi qui a festeggiare un anniversario in quarantena così come molte altre persone hanno dovuto festeggiare compleanni e anniversari in isolamento.
In questi anni ho scritto tantissimo, ho scritto di persone che stimo, di progetti in cui credo, di cose che amo o che mi fanno indignare: in questo spazio web ci sono a oggi 769 pezzi di me, 769 tessere di un puzzle che raffigura il mondo in cui credo e in cui voglio fortemente continuare a credere.

Perché non so cosa accadrà anche solo domani, ma so che continuerò a combattere per la salute, per la libertà e per la felicità. Fino all’ultimo respiro.

Tanti auguri a glittering woman, tanti auguri a noi due e grazie – come sempre – a chi è con noi.

Manu

L’immagine è una mia elaborazione via PhotoFunia

Creativi e innovatori a rapporto: sono aperte le iscrizioni al contest Road to Green

Imperterrita, determinata e quanto mai convinta, proseguo oggi il mio cammino verso la positività dando spazio a un’iniziativa che sposo per due motivi.

Il primo motivo è che si tratta di un’iniziativa di scouting, ovvero che mira a scoprire e a sostenere persone di talento: dare sostegno al talento è un’attività per me importante e alla quale mi dedico con passione ed entusiasmo.

Il secondo motivo è che a fare scouting è Accademia del Lusso, ovvero la scuola di formazione moda con la quale collaboro stabilmente, in qualità di docente (come racconto qui e attualmente in modalità di didattica a distanza) e in qualità di redattrice di ADL Mag, la nostra rivista online (qui i miei articoli).

Ciò che desidero raccontare è che sono ufficialmente aperte le iscrizioni per #roadtogreen, il contest annuale promosso da Road to Green 2020 in collaborazione con Accademia del Lusso.

Road to Green 2020 è un’associazione no-profit fondata nel 2016 da Dionisio Graziosi e Barbara Molinario con lo scopo preciso di promuovere l’educazione ambientale: ogni anno, con questa iniziativa, l’associazione si pone l’obiettivo di stimolare la creatività e il confronto di idee, alimentando il dibattito sulle tematiche green tra istituzioni, imprese, associazioni e privati cittadini, per arrivare a produrre innovazione e progresso.

«Quest’anno lanciamo il nostro contest in un momento molto particolare, in piena emergenza sanitaria da coronavirus. Abbiamo deciso di non lasciarci fermare da questi eventi, continuando a portare avanti i nostri progetti, con l’augurio che tutto questo possa finire il prima possibile. La chiamata è rivolta a tutti coloro che abbiano un’idea che possa rendere le nostre vite più sostenibili e il nostro futuro più green in qualsiasi settore, compreso quello della salute. Dunque, creativi, innovatori e tutti voi che avete un’idea che vi sembra geniale, mettete i vostri pensieri nero su bianco e diteci come possano migliorare le nostre vite.»

Così dichiara Barbara Molinario, presidente di Road to Green 2020, e io sono assolutamente d’accordo con lei e con lo spirito che la anima.

Per partecipare a #roadtogreen bisogna presentare ‘opere green’ inedite, ispirate ai valori della salvaguardia ambientale.

Le categorie previste sono cinque: food; culture & nature; health; fashion & beauty; city, mobility & technology.

Ognuno può partecipare con la propria arte, senza alcun vincolo, mediante pittura, scultura, installazioni, video, abiti (bozzetti o realizzati), plastici ecosostenibili, disegni, fotografie, progetti di eventi e altro.

Il contest è aperto a tutti, senza vincoli di età, nazionalità, titolo o professione (… potrebbe non piacermi questa libertà?) e il termine ultimo di presentazione delle opere è il 15 luglio 2020.

Il vincitore sarà proclamato durante ‘La città del futuro’, forum internazionale che si terrà il 24 settembre a Roma: in tale occasione, i finalisti presenteranno al pubblico in sala i propri lavori e il vincitore si aggiudicherà un voucher formativo (valore 3.450 euro) da utilizzare presso la sede di Roma di Accademia del Lusso.

Se volete saperne di più, vi invito a visitare il sito di Road to Green 2020 e in particolare la pagina dedicata al regolamento. dove troverete anche il modulo di partecipazione da scaricare. C’è anche una pagina Facebook che trovate qui.

Cosa posso aggiungere?

Aggiungo l’invito che, ormai, è diventato un’altra costante: non facciamoci trovare impreparati.

Partecipate numerosi e provate a aggiudicarvi una chance interessante per il futuro.

Manu

 

Hope vs COVID-19: Benedetta Bruzziches supporta l’Ospedale Belcolle di Viterbo

Da anni, ogni volta in cui ho il piacere di andare a una delle sue presentazioni, resto affascinata dal lavoro di Benedetta Bruzziches. E ammirata.

Benedetta Bruzziches è un’azienda che produce e vende borse speciali e preziose, ma è anche la capitana di un team di artigiani che, consapevoli del valore potente del Made in Italy, si sono imbarcati nella folle avventura di riscoprire le artigianalità in via d’estinzione attraverso l’accessorio che è il grande amore di noi donne, ovvero la borsa.

La filosofia Bruzziches è nata nel 2009 a Caprarola, in provincia di Viterbo e nel cuore del Lazio, grazie ai fratelli Agostino e Benedetta: oggi il marchio è distribuito da oltre 70 boutique di lusso sparse per il mondo.

Le lavorazioni vengono sviluppate a Caprarola nella casa familiare di campagna dove le borse nascono in un rilassato clima d’amicizia e possono… respirare l’aria buona (vi prego, permettetemi di scherzare un po’…).

Ora, in questo momento che sarebbe un eufemismo definire particolare, Benedetta Bruzziches ha deciso di supportare la lotta contro il virus COVID-19: fino al termine della quarantena, il 100% (ripeto, il 100%) del ricavato dalle vendite realizzate attraverso l’e-commerce del brand sarà devoluto al potenziamento della terapia intensiva dell’Ospedale Belcolle di Viterbo.

«Stare a casa è la cosa migliore che possiamo fare e non è la sola. La nostra goccia si aggiunge all’oceano di generosità che in questo momento sta inondando il mondo.»

Così racconta Benedetta stessa che dà rassicurazioni anche circa la modalità con la quale verrà attuato tutto l’iter.

«Saremo chiusi in questo periodo ed effettuerò io stessa le spedizioni, così che nessuno dei miei collaboratori debba spostarsi per farlo. Insomma, per chi desidera una mia borsa magari da tempo, questa è una buona occasione per un’ottima ragione

Qual è il vostro desiderio? Per quale creazione di Benedetta batte il vostro cuore?

Per Venus, la clutch realizzata in una scintillante maglia di cristalli (la foto qui in alto)? Per Ariel, la borsa in plexiglas riciclabile al 100% e che richiede una gestazione di 33 ore per vedere la luce? Per BB, la crossbody con il manico annodato, realizzata in pelle di vitello con interni in Alcantara?

O magari il vostro cuore (come il mio…) batte per Carmen, la borsa in pelle di nappa morbidissima, artigianalmente lavorata capitonné? Carmen è bella fuori e dentro – e mi riferisco non solo all’interno in Alcantara, ma proprio al suo cuore, ovvero all’idea che è alla base.

«Carmen è stata creata in un momento delicato della mia vita quando, dopo una delusione d’amore, volevo realizzare una borsa che fosse in grado di consolare.»

Questa è Benedetta Bruzziches, questa è la filosofia Bruzziches.

Le sue non sono solo semplici borse: come piace dire a lei, sono piuttosto «contenitori di storie» e allora sono felice di parlarne proprio ora.

E con autentico entusiasmo vi lascio il link dello shop online.

Manu

Hope vs COVID-19: Simona Corsellini per Fondazione Policlinico Sant’Orsola

Poco tempo fa, qui nel blog, ho raccontato di Simona Corsellini e della sua collezione autunno / inverno 2020 – 21 presentata a Milano il 24 gennaio alla Palazzina Appiani, splendido edificio di napoleonica memoria.

Quel giorno (freddissimo!) mi sono innamorata di Simona e del suo lavoro.

Stilista e imprenditrice, nata a Bologna nel 1979, della sua splendida regione, l’Emilia-Romagna, Simona Corsellini sa trasmettere le caratteristiche migliori: l’ottimismo, l’entusiasmo, l’energia, l’operosità, la creatività, la capacità comunicativa.

È cresciuta in una famiglia da sempre presente e attiva nel settore della moda, una vera palestra in cui ha iniziato a muovere i primi passi fino alla creazione della linea che ha deciso di firmare con il suo nome.

«Il mio ruolo è quello di guidare lo sviluppo del brand perché voglio stare in prima persona vicino alle mie donne»: così dichiara Simona conquistandomi definitivamente poiché ‘vicinanza’ è – oggi più che mai – una parola dal significato sfaccettato, complesso, ricco e intenso…

Ho affermato che Simona ben incarna le belle qualità della sua terra: oltre, per esempio, alla creatività rappresentata dai capi che ho visto sfilare quel 24 gennaio, la brava stilista mi ha dato prova anche della sua capacità comunicativa, per esempio accettando immediatamente di rispondere a qualche mia ulteriore curiosità (se vi va, trovate il nostro scambio qui).

Identità precisa, grande carattere, forti radici territoriali e familiari, capacità di metterci la faccia, maniacale attaccamento alla qualità, appassionata difesa del Made in Italy: ci sono tutti gli elementi perché io ami Simona decidendo di portare il suo marchio tra queste mie pagine virtuali.

E, oggi, si aggiunge un altro elemento importante perché io apprezzi il cammino della stilista: la capacità di vivere i tempi con piena consapevolezza e coscienza, dimostrando di essere parte di una comunità.

Nel difficile periodo che ci troviamo ad affrontare, la capacità di unirsi ed essere solidali è la nostra più grande forza: in questa ottica, Simona Corsellini sceglie di dare appoggio alla raccolta fondi attivata dalla Fondazione Policlinico Sant’Orsola a sostegno degli ospedali di Bologna e degli operatori sanitari che ogni giorno sono in prima linea nell’emergenza COVID-19.

Già a partire da lunedì 23 marzo, ogni acquisto effettuato sul sito viene in parte devoluto all’ente non profit nato per supportare l’ospedale che è punto di riferimento nazionale e internazionale, polo di eccellenza in una città, Bologna, che è anche quella della designer; e se volete sapere di più del progetto ‘più forti INSIEME’ di Fondazione Policlinico Sant’Orsola, cliccate qui.

Sostengo da sempre e con convinzione l’idea che la bellezza – intesa in senso ampio – possa salvare noi uomini: in questo caso, l’idea diventa estremamente concreta e tangibile.

Manu

 

Hope vs COVID-19: Yosono lancia la limited edition Fuckovid-19

Quando lo scorso 21 febbraio, durante la Milano Fashion Week, sono andata alla presentazione della collezione autunno – inverno 2020/21 di Yosono, non potevo certo immaginare quanto sarebbe cambiata la situazione di tutti noi da lì a breve.

Conosco Silvia Scaramucci dal 2016 e nutro grande stima per questa giovane donna, tenace e piena di talento, direttore creativo dapprima di Demanumea Unique Artbags e poi di Yosono: oggi, però, non vi parlerò della collezione FW 2020/21 che ho visto quel 21 febbraio bensì di un altro progetto che Silvia ha messo in piedi confermando (caso mai ce ne fosse bisogno) l’opinione positiva che ho di lei.

Dovete sapere che la collezione che Yosono ha lanciato per questa primavera si chiama Dreamers ovvero Sognatori (chissà, una sorta di premonizione): il sogno di Silvia e di tutto il suo staff è oggi quello di riuscire ad aiutare medici, infermieri e volontari che operano nelle strutture sanitarie e che, senza sosta, affiancano chi in questo momento sta affrontando la dura battaglia contro il COVID-19.

Yosono dà il proprio contributo concreto attraverso la creazione di una special edition: si chiama Fuckovid-19 e il ricavato sarà totalmente devoluto a favore del reparto di terapia intensiva dell’Ospedale C. e G. Mazzoni di Ascoli Piceno, città natale del brand.

La vendita è in corso da lunedì 23 marzo: tutte le persone che desiderano unirsi alla Yosono Dreamers Gang possono pre-ordinare online qui una delle borse Fuckovid-19 create ad hoc.

La consegna è garantita in 6 settimane; inoltre, per ringraziare i propri clienti del supporto offerto al progetto, Yosono offre uno sconto del 20% da spendere in stagione in occasione del prossimo acquisto.

La borsa è in pelle di vitello con coste tinte a mano e ricamo in micropaillette e, come tutte le creazioni del brand, è rigorosamente Made in Italy.

Se state pensando a modi in cui dare una mano a fronte dell’emergenza creata dalla pandemia; se volete dare supporto alle piccole aziende di casa nostra mantenendo vivo il loro lavoro anche se non con un guadagno diretto per loro, come in questo caso; se credete nel valore della solidarietà, credo di non dover aggiungere altro se non che la limited edition consiste in soli 100 pezzi.

Assicuratevi una di queste borse e regalatevi una soddisfazione morale, facendo qualcosa di bello per la comunità, e anche una soddisfazione personale, gratificandovi con un oggetto ben fatto.

Manu

 

In tempi di COVID-19, scagli la prima pietra chi è senza peccato

Negli ultimi tempi mi sono sentita… disorientata.
Ho pensato a lungo a quale aggettivo usare per definire il mio stato animo e volete sapere una cosa? In realtà non ne esiste uno che mi soddisfi e che mi rappresenti al 100%.
Ciò che provo è molto complesso e anche un po’ aggrovigliato e credo sia uno stato comune a moltissimi di noi.
A ogni modo, penso che ‘disorientata’ – aggettivo che dipinge chi è smarrito, spaesato, interdetto, spiazzato – sia la definizione più vicina e calzante.

Dunque sì, ecco, mi sento disorientata, su molte cose e da molte cose, e tengo a precisare che il disorientamento non riguarda cosa devo e dobbiamo fare, quali comportamenti tenere.
Su quel fronte è tutto chiaro e il disorientamento è nei sentimenti e nei pensieri.
Il disorientamento è quello di cuore, anima e testa sballottati in una continua alternanza di contrasti, di alti e bassi, come se mi trovassi su una giostra impazzita e fuori controllo…

Quando ci si sente così, è preferibile tacere anche per non coinvolgere gli altri nel proprio stato d’animo, quindi ho scelto volontariamente e consciamente di non pronunciarmi più e in alcun modo riguardo gli sviluppi del COVID-19, privilegiando esclusivamente l’ascolto.

Non mi era mai successo nulla di simile, non mi ero mai sentita così fortemente e completamente spaesata, spiazzata, smarrita nemmeno in altri momenti molto duri, miei personali o comuni a tutta la nostra società e diciamo che ne abbiamo passati diversi.
Io ricordo personalmente (e non per averlo letto nei libri di storia), da piccolissima in poi, il disastro di Chernobyl, la guerra del Golfo, l’11 settembre, gli attentati terroristici in tutta Europa, la guerra in Siria, la SARS, l’encefalopatia spongiforme bovina diventata tristemente nota come morbo della mucca pazza, così, giusto per citarne alcuni.
Forse, però, questo è davvero un momento diverso rispetto a tutto ciò che abbiamo vissuto finora… forse presenta davvero un lato inedito in quanto nessuno di noi (se non i più anziani) aveva mai sperimentato personalmente una pandemia che implica una rigorosa quanto necessaria limitazioni delle nostre libertà individuali e personali.

Tuttavia ora, dopo il lungo silenzio, desidero esprimere alcuni pensieri. Leggi tutto

Mind the Gum di Giorgio e Carlo Pautrie: ‘Success is a State of Mind’

Più passa il tempo e più maturo alcune convinzioni.
Per esempio: le barriere sono del tutto inutili. Non si può ragionare per ‘compartimenti stagni’.
E ancora: qualità come bellezza, bravura, talento possono avere mille diverse declinazioni. E io rifiuto di erigere barriere o ‘compartimenti stagni’ tra di essi, rifiuto di coglierli solo in determinati ambiti chiudendomi davanti ad altri.
Bellezza, bravura, capacità, lungimiranza, inventiva, talento possono risiedere in qualsiasi progetto, che sia quello di un brand di abbigliamento o quello di una gomma da masticare.
E non scrivo gomma da masticare a caso, vedrete…

Lo scorso novembre, sono stata invitata alla presentazione di un progetto che, sulla carta, mi incuriosiva molto e che, a conti fatti, mi ha intrigata ancor di più: si chiama Mind the Gum e ciò che mi conquista è sia il prodotto sia la storia che c’è dietro e che – indovinate un po’ – desidero condividere con voi.

È il 2010 quando un giovane quanto brillante studente resta vittima di un incidente d’auto piuttosto serio: riporta una serie di danni fisici significativi con una frattura all’osso del collo.
Trascorsi due anni, per superare le conseguenze e per riuscire a continuare gli studi (così come promesso al nonno…), studi che erano stati bruscamente interrotti proprio dall’incidente, il giovane cerca supporto anche negli integratori allo scopo di mantenere concentrazione ed energia: non trovando una soluzione già pronta che lo soddisfacesse, Giorgio Pautrie – questo il nome dello studente – decide di realizzare qualcosa di nuovo con l’aiuto di farmacisti e scienziati combinando dei componenti attivi in un chewing gum.
Giorgio riesce a fare 23 esami e a consegnare la tesi in tempi record (poco più di un anno!): ottiene il massimo dei voti, onora la promessa fatta al nonno e matura un’idea, quella di rendere il prodotto commercializzabile e disponibile per tutti, colmando una lacuna del mercato. Leggi tutto

Un motivo speciale per sostenere Buzzi Ospedale dei Bambini Milano…

Dalla pagina Fb dell’Associazione OBM Ospedale dei Bambini Milano – Buzzi Onlus

Ci sono questioni che toccano profondamente le mie corde più intime.
Tra tali questioni figura la malattia e, in particolare, l’approccio alla malattia e al dolore fisico.
Ho conosciuto il dolore in più occasioni e l’ho provato sulla mia pelle, letteralmente, soprattutto a causa di un grave incidente che ho subito da bambina: tutt’oggi porto le cicatrici indelebili, i segni di un’ustione che quasi mi privò della vita.
Credetemi se dico che, nonostante fossi piccolissima, il trauma è stato tanto forte che piccoli frammenti di quella terribile esperienza sono impressi nella mia memoria, sprazzi di dolore e momenti di angoscia (ero stata ricoverata in camera asettica e avevo paura) che sono perfino più profondi delle cicatrici fisiche che, da adulta, non ho infine voluto togliere.
Sostengo (sorridendo) di essere stata ricompensata per quel tragico incidente attraverso la fortuna di un’ottima salute; eppure, ho conosciuto la malattia attraverso tante (troppe…) persone care che fanno parte della mia vita. Alcune non ci sono più, purtroppo, ma sono presenti più che mai nel mio cuore.
L’ustione ha segnato la mia pelle e ha anche forgiato il mio animo: la mia soglia del dolore è abbastanza alta e sopporto piuttosto bene la sofferenza fisica ma, per paradosso, se sono disposta a sopportarla su me stessa, mi è invece difficilissimo accettarla in coloro che amo.
Un conto è soffrire in prima persona, un altro è veder soffrire coloro che amiamo: per quanto mi riguarda, preferisco di gran lunga essere io a provare dolore… non so, forse così ho l’illusione di poterlo controllare e di poterlo vincere ancora, così come è già stato.
Naturalmente, detesto vedere soffrire specialmente i bambini (non solo quelli che conosco e amo) e il loro dolore mi fa stare male quasi fisicamente proprio perché sono stata una bambina che ha conosciuto la sofferenza.
Dovete sapere che il luogo in cui mi salvarono la vita è il Buzzi di Milano, quello che allora come oggi è chiamato l’Ospedale dei Bambini: qualche settimana fa, mentre guardavo un programma in televisione, ho visto una pubblicità che parlava di Una Culla per la Vita, progetto nato in seno all’Associazione OBM Ospedale dei Bambini Milano – Buzzi Onlus.
La pubblicità raccontava come alcuni bambini, quando nascono, hanno bisogno di un aiuto in più per partire per quell’affascinante viaggio che è la vita: si tratta di neonati critici, magari nati prima del termine e sottopeso oppure con malformazioni o patologie. Grazie a interventi tempestivi, alcuni possono riprendere subito il loro viaggio, altri hanno bisogno di continuare a ricevere cure speciali.
Una Culla per la Vita
collabora con i professionisti dell’Ospedale Buzzi accanto ai bambini e alle mamme per accompagnarli verso una cura più serena, in un ambiente a loro misura: quando ho visto quella pubblicità… mi sono commossa fino alla lacrime.
Perché mi sono sentita di nuovo piccina.
Perché so cosa vuol dire avere bisogno di un ambiente a misura dei più piccoli visto che ho sperimentato cosa sia l’angoscia della degenza in ospedale per un bambino.
Perché anch’io ho avuto bisogno di un aiuto per proseguire il mio viaggio che sì, poi è stato meraviglioso.
Perché, come vi ho detto, non sopporto il dolore dei bambini.
Perché, per tutti questi motivi, ogni volta in cui c’è la possibilità di dare un aiuto, mi metto in gioco volentieri e cerco di dare il mio sostegno con tutto il cuore: so che quel che faccio non è altro che aggiungere una piccola goccia, ma sono convinta che il mare – soprattutto se inteso in senso metaforico – sia fatto da tante, tantissime microscopiche gocce.
Dunque, scrivere questo post è stata una decisione semplice quanto spontanea.
E ora chiedo a voi: volete fare un dono, non solo a qualcuno, ma prima di tutto a voi stessi?
Prendetevi un attimo per guardare il sito dell’Associazione OBM Ospedale dei Bambini Milano – Buzzi Onlus (qui) o la loro pagina Facebook (qui): trovate tutti i progetti e le iniziative per migliorare sia la cura dei bambini ricoverati al Buzzi sia il sostegno alle loro famiglie.
Oppure potete andare sul sito del progetto Una Culla per la Vita (qui): troverete i traguardi del progetto e alcune storie…
Se volete saperne di più, potete anche chiamare il numero 02 57995359 oppure andare direttamente in via Castelvetro 28 a Milano.
Non vi chiedo nulla, credo non ve ne sia bisogno: vi chiedo solo di guardare e informarvi e in questo consiste il regalo che propongo di fare a voi o meglio a noi stessi – ben oltre il Natale ormai imminente.
Poi, se volete (e sottolineo se)… si può per esempio anche donare il 5×1000 a OBM Onlus – C.F. 97376440158.
Da anni e ogni anno, scelgo con attenzione e cura un’associazione alla quale devolvere il mio 5×1000: so a chi lo donerò nei prossimi anni…
È ora di restituire (e non solo amandola e onorandola ogni giorno) l’opportunità che mi è stata data tanti anni fa: quella di una seconda vita, una chance che ho anche grazie all’Ospedale Buzzi.

Manu

*** Un immenso grazie di cuore a chiunque vorrà condividere questo post ***

YOUth, le felpe belle e virtuose create dagli adolescenti dell’Istituto Tumori

Il dottor Andrea Ferrari insieme ad alcuni dei ragazzi del progetto YOUth

(Photo credit Veronica Garavaglia)

Tutto l’anno, costantemente, attraverso questo spazio web e attraverso i miei vari canali social, non faccio altro che parlare del talento, dando voce, supporto (e spero aiuto) a tutti quei progetti che secondo me profumano di capacità, di positività, di bellezza e di ben fatto.

Penso che, a Natale, questo possa e debba sposarsi perfino con qualcosa di più, qualcosa che profumi di solidarietà e di nuove possibilità.

In fondo, parlare di solidarietà, di nuove possibilità, di impegno sociale (e nello specifico di lotta al tumore) è qualcosa che ho fatto più volte proprio attraverso blog e canali social poiché credo profondamente nel fatto che chi vuole occuparsi di comunicazione debba prestare la propria voce anche per agevolare il progresso della società nei suoi vari aspetti e bisogni.

Ecco perché oggi ho deciso di parlarvi di YOUth, la prima collezione di felpe realizzate dagli adolescenti del Progetto Giovani del reparto di pediatria dell’Istituto Nazionale dei Tumori coordinati da Gentucca Bini con il sostegno dell’associazione Bianca Garavaglia.

Il Progetto Giovani è parte integrante della Struttura Complessa di Pediatria Oncologica dell’INT (Istituto Nazionale dei Tumori) ed è Centro di Eccellenza per la cura dei tumori dell’età pediatrica e degli adolescenti: le felpe e il marchio YOUth sono il frutto di sei mesi di lavoro di 32 giovani tra i 15 e i 24 anni, di cui 20 attualmente ancora in cura, coordinati dalla stilista Gentucca Bini. Il ricavato dell’iniziativa sarà destinato al Progetto Giovani dell’INT sostenuto dall’Associazione Bianca Garavaglia ONLUS.

Vi ho incuriositi?

Volete saperne di più? Leggi tutto

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