La Piccola Fabbrica dei Mostri (mostri?) di Stefano Prina tra arte e gioiello

Se la memoria non mi tradisce, era il 2015 quando, camminando lungo via Pontaccio a Milano, nel pieno cuore di Brera, il mio sguardo fu attirato dalla vetrina di un atelier di gioielli.
In particolare, il mio sguardo fu calamitato… da altri sguardi: in vetrina, infatti, troneggiava una ciotola carica di stupendi anelli nei quali, al posto di una pietra o di un cristallo, a fare bella mostra erano degli occhi di tanti colori e in varie misure.

Entrai nel negozio e chiesi informazioni, ma non acquistai (scioccamente) nessun anello; tornai tempo dopo, non ricordo di preciso quando ma, con mio grande disappunto, scoprii che gli anelli non c’erano più.
C’era tuttavia una commessa molto gentile che capì a cosa mi stessi riferendo a mi lasciò un biglietto da visita di Stefano Prina, il creatore degli anelli.

Non so se a qualcuno sia capitato di leggere un mio post datato 2016 nel quale ho confessato tutto il mio amore – o, se preferite, la mia fissazione – verso l’occhio e i suoi significati: già allora avevo iniziato a tenere d’occhio (è proprio il caso di dirlo…) tutta una serie di designer il cui lavoro verte su questo dettaglio non solo anatomico e proprio in quel testo inclusi anche gli anelli di Stefano Prina.

Il suo biglietto da visita preso in via Pontaccio è sempre rimasto tra quelli in sospeso sulla mia scrivania: c’è voluto Internet e precisamente Instagram perché le nostre strade si incrociassero nuovamente.
Attraverso l’account di una persona con la quale mi interfaccio, ho visto un anello: ho seguito il tag, ho confrontato il nome con il biglietto da visita e ho avuto conferma che sì, si trattava dello stesso artista e degli stessi anelli dei quali mi ero già innamorata.
Da allora ho iniziato a seguire Stefano attraverso il suo account Instagram e a mettere tanti like alle sue creazioni: gli ho scritto chiedendo informazioni e infine, poco prima di Natale, sono andata a trovarlo nel suo studio-laboratorio.
Gli ho raccontato come l’avessi seguito e ritrovato negli anni da quel primo incontro in via Pontaccio: per fortuna, lui ha capito che non solo una stalker, ma solo una collezionista appassionata e un po’ pazzerella.

Ma volete sapere perché gli occhi mi colpiscono tanto? Leggi tutto

A me gli occhi, dal National Geographic agli anelli di Alysha Laurene

Dovete sapere che, tra le mie tante e diverse passioni, nutro da sempre interesse e curiosità nei confronti della scienza e della divulgazione scientifica. Quando nel 1998 nacque la versione italiana di National Geographic, fui una dei primissimi abbonati.
Tra le numerose declinazioni della scienza, mi attrae fortemente la biologia e, in particolare, sono affascinata dal funzionamento del corpo, umano e animale: recentemente, proprio il National Geographic ha catturato il mio interesse grazie a uno splendido articolo firmato da Ed Yong a proposito di occhi e vista.
I cinque sensi sono gli strumenti attraverso i quali esploriamo il mondo e, tra di essi, la vista è per me fondamentale, è il senso su cui faccio più affidamento: sono letteralmente ossessionata dagli occhi e da qualsiasi cosa li riguardi, così ho divorato l’articolo scoprendo moltissime cose, per esempio che, d’istinto, siamo portati a pensare che gli animali vedano come noi.
In realtà, se si va a studiare la loro visione, si scopre che non è così. E d’altra parte, pur avendo tutti quanti lo stesso sistema visivo, noi esseri umani vediamo in modi diversi a causa di fattori che vanno dalla densità di coni e bastoncelli nella retina fino all’integrazione sensoriale del nostro cervello.
Si può insomma affermare che gli occhi siano tra gli organi più diversificati esistenti in natura: il perché di tanta diversità è da ricercare nell’evoluzione nonché nelle più disparate esigenze di ogni singola specie.
Vi faccio qualche esempio tratto dall’articolo.
La sfinge della vite (Deilephila elpenor) ha occhi eccellenti per raccogliere le minime tracce di luce e fanno sì che l’animale possa distinguere i colori dei fiori carichi di nettare anche solo al tenue bagliore delle stelle.
Gli occhi dell’aquila di mare testabianca (Haliaeetus leucocephalus) hanno un potere di risoluzione eccezionale: due volte e mezzo quello degli occhi umani. Hanno retine con due regioni ad alta densità di fotorecettori (noi ne abbiamo una sola) e vedono davanti e di lato contemporaneamente.
La cubomedusa (Tripedalia cystophora) è larga solo 10 millimetri ma ha ben 24 occhi, alcuni semplici sensori di luce, altri dotati di lenti in grado di mettere a fuoco: un contrappeso mantiene l’occhio superiore puntato sempre in alto per individuare cibo e rifugio.
L’occhio sinistro del calamaro Histioteuthis heteropsis è grande il doppio del destro, guarda verso l’alto ed è ideale per individuare prede con la luce che viene da quella direzione: l’occhio più piccolo punta invece in basso, verso l’oscurità, per individuare prede e predatori bioluminescenti.
Il mantello della capasanta Argopecten irradians è cosparso di un centinaio di occhi di uno straordinario azzurro brillante, mentre il record quanto a dimensioni appartiene al calamaro gigante: gli occhi di un Architeuthis dux possono essere grandi fino a 30 centimetri. Leggi tutto

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