Silvia Stein Bocchese è stata insignita del titolo di Cavaliere del Lavoro

Silvia Stein Bocchese (ph. courtesy of press office)

Ci sono valori che considero assoluti, solide pietre miliari.

Tra questi valori metto il lavoro, il talento, il Made in Italy e la mia ferma volontà di sostenerli; altrettanto importante per me è dare valore, luce e voce a persone interpreti e testimoni di questi valori, che siano uomini o donne, perché credo nelle pari opportunità (nonostante sia consapevole di quanta strada ci sia ancora da percorrere per raggiungere davvero la parità).

Per questo, nei giorni scorsi, la mia attenzione è stata attirata da una notizia: il Presidente Sergio Mattarella ha nominato 25 nuovi Cavalieri del Lavoro, onorificenza conferita ogni anno in occasione della Festa della Repubblica a imprenditori italiani che si sono distinti in cinque settori (agricoltura, industria, commercio, artigianato, attività creditizia e assicurativa).

Tra questi Cavalieri, rientrano quest’anno alcuni nomi della moda, della gioielleria e del beauty, ovvero Ferruccio Ferragamo (presidente di Salvatore Ferragamo S.p.A., attiva nella creazione, produzione e vendita di calzature, capi di abbigliamento e accessori di lusso), Guido Roberto Grassi Damiani (presidente del Gruppo Damiani, attivo nella creazione, realizzazione e distribuzione di gioielli di alta gamma), Giuseppe Maiello (fondatore e vicepresidente esecutivo di Gargiulo & Maiello S.p.A., attiva nel commercio all’ingrosso di prodotti per l’igiene e la bellezza) e Silvia Stein Bocchese (presidente del Maglificio Miles S.p.A., attiva nella ideazione e produzione di capi di maglieria di alta gamma per conto terzi).

Lo dico apertamente: nutro stima e rispetto per Mattarella e mi emoziona profondamente il fatto che, in un momento storico in cui tutto il mondo si confronta con la crisi profonda causata dalla pandemia COVID-19, il Presidente abbia voluto riconoscere anche la moda tra le attività che contribuiscono a dare lustro al nostro Paese.

E mi emoziona che, attraverso questa onorificenza, il Presidente abbia sottolineato il valore di una donna che, da sola, ha creato un’attività che onora la manifattura italiana nel mondo e che ha dimostrato, con la sua storia, una capacità imprenditoriale e una volontà di riuscita che possono essere di esempio alle nuove generazioni.

E allora vorrei condividere con voi, cari amici, la bella storia di Silvia Stein Bocchese che, anticipando i tempi, ha saputo trasformare una piccola azienda da lei creata nel 1962 a Vicenza in un punto di riferimento internazionale per la produzione di maglieria di alta gamma.

L’avventura professionale di Silvia Stein Bocchese inizia appunto a Vicenza nel 1962.

A fianco del marito Giuseppe Bocchese, imprenditore della seta, fonda l’azienda Miles e, con quattro operaie e poche macchine, la signora Silvia comincia a realizzare capi di maglieria in organzino di seta, la materia prima del setificio di famiglia. Leggi tutto

Valier Venetia, la borsa che sa essere indispensabile

Le borse Valier Venetia

Tra me e il web è amore – l’ho dichiarato più volte.

Del web amo la meravigliosa possibilità di costruire ponti virtuali che diventano anche reali, di instaurare conoscenze, di essere tramite di scoperte, di essere garante della possibilità di continuare a esplorare il mondo anche in un momento in cui siamo stati obbligati a rimanere a casa, per ottime quanto giustificatissime motivazioni. Ma la testa no, lei può viaggiare ed è anche il web, appunto, a consentirglielo.

È in questo scenario che è maturata la conoscenza tra me e Valier Venetia, una conoscenza nutrita da una parte dal desiderio di aprirsi, raccontarsi e donarsi e, dall’altra, dal desiderio di accogliere e ascoltare per poi condividere.

Al centro di questa storia ci sono due donne, due sorelle che si chiamano Antonia e Gunilla e che hanno dedicato la prima parte delle loro vite all’azienda che il nonno aveva fondato negli anni Trenta del Novecento e che i loro genitori hanno poi mandato avanti per tanti anni.

In quegli anni, Antonia ha viaggiato in qualità di export manager e ha comprato decine di borse senza che mai nessuna soddisfacesse completamente le sue esigenze, ritrovandosi costretta a portare con sé una borsa da lavoro più una personale. Nel frattempo si confrontava con tante amiche tutte ugualmente sorprese dalla stessa mancanza, dal fatto che non esistesse una borsa da lavoro funzionale quanto piacevole e pensata per donne multitasking.

Gunilla è un’esteta e una perfezionista, ha studiato Belle Arti e ha una specializzazione come make-up artist: è ossessionata dalla cura per i dettagli, è perennemente alla ricerca di abiti e accessori di manifattura pregiata, ama i cappelli, i turbanti, i ventagli e gli occhiali. Mi ritrovo in queste sue passioni così come mi ritrovo nella sua insofferenza verso «le mode passeggere e le sbornie modaiole di corto respiro». Leggi tutto

Hope vs COVID-19: Benedetta Bruzziches supporta l’Ospedale Belcolle di Viterbo

Da anni, ogni volta in cui ho il piacere di andare a una delle sue presentazioni, resto affascinata dal lavoro di Benedetta Bruzziches. E ammirata.

Benedetta Bruzziches è un’azienda che produce e vende borse speciali e preziose, ma è anche la capitana di un team di artigiani che, consapevoli del valore potente del Made in Italy, si sono imbarcati nella folle avventura di riscoprire le artigianalità in via d’estinzione attraverso l’accessorio che è il grande amore di noi donne, ovvero la borsa.

La filosofia Bruzziches è nata nel 2009 a Caprarola, in provincia di Viterbo e nel cuore del Lazio, grazie ai fratelli Agostino e Benedetta: oggi il marchio è distribuito da oltre 70 boutique di lusso sparse per il mondo.

Le lavorazioni vengono sviluppate a Caprarola nella casa familiare di campagna dove le borse nascono in un rilassato clima d’amicizia e possono… respirare l’aria buona (vi prego, permettetemi di scherzare un po’…).

Ora, in questo momento che sarebbe un eufemismo definire particolare, Benedetta Bruzziches ha deciso di supportare la lotta contro il virus COVID-19: fino al termine della quarantena, il 100% (ripeto, il 100%) del ricavato dalle vendite realizzate attraverso l’e-commerce del brand sarà devoluto al potenziamento della terapia intensiva dell’Ospedale Belcolle di Viterbo.

«Stare a casa è la cosa migliore che possiamo fare e non è la sola. La nostra goccia si aggiunge all’oceano di generosità che in questo momento sta inondando il mondo.»

Così racconta Benedetta stessa che dà rassicurazioni anche circa la modalità con la quale verrà attuato tutto l’iter.

«Saremo chiusi in questo periodo ed effettuerò io stessa le spedizioni, così che nessuno dei miei collaboratori debba spostarsi per farlo. Insomma, per chi desidera una mia borsa magari da tempo, questa è una buona occasione per un’ottima ragione

Qual è il vostro desiderio? Per quale creazione di Benedetta batte il vostro cuore?

Per Venus, la clutch realizzata in una scintillante maglia di cristalli (la foto qui in alto)? Per Ariel, la borsa in plexiglas riciclabile al 100% e che richiede una gestazione di 33 ore per vedere la luce? Per BB, la crossbody con il manico annodato, realizzata in pelle di vitello con interni in Alcantara?

O magari il vostro cuore (come il mio…) batte per Carmen, la borsa in pelle di nappa morbidissima, artigianalmente lavorata capitonné? Carmen è bella fuori e dentro – e mi riferisco non solo all’interno in Alcantara, ma proprio al suo cuore, ovvero all’idea che è alla base.

«Carmen è stata creata in un momento delicato della mia vita quando, dopo una delusione d’amore, volevo realizzare una borsa che fosse in grado di consolare.»

Questa è Benedetta Bruzziches, questa è la filosofia Bruzziches.

Le sue non sono solo semplici borse: come piace dire a lei, sono piuttosto «contenitori di storie» e allora sono felice di parlarne proprio ora.

E con autentico entusiasmo vi lascio il link dello shop online.

Manu

Simona Corsellini FW 2020-21: elogio del talento e della… ‘normalità’

È con grande piacere che, oggi, ospito una donna e una professionista qui, tra le pagine virtuali di A glittering woman: lei mi piace molto, si chiama Simona Corsellini ed è stilista e imprenditrice.

Simona Corsellini è nata a Bologna il 20 marzo 1979 e della sua splendida regione, l’Emilia-Romagna, sa trasmettere le caratteristiche migliori, per esempio l’ottimismo, l’entusiasmo, l’energia, l’operosità, la creatività, la capacità comunicativa.

Aggiungete a tutto ciò il fatto che Simona è cresciuta in una famiglia da sempre presente e attiva nel settore della moda, una vera palestra in cui ha iniziato a muovere i primi passi fino alla creazione della sua linea, Space Style Concept, nome che deriva dall’azienda di famiglia, appunto.

Quelli di Space Style Concept sono stati per lei anni di crescita e hanno visto evolversi non solo il brand, ma soprattutto l’aspetto creativo e imprenditoriale di Simona che può contare anche sulla professionalità di Fabrizio Franceschini, suo partner nella vita (è il marito) e nel lavoro.

Nel 2019 la stilista ha deciso di firmare le collezioni con il suo nome, Simona Corsellini.

«Il mio ruolo è quello di guidare lo sviluppo del brand perché voglio stare in prima persona vicino alle mie donne – afferma la designer – e infatti abbiamo lavorato molto sull’identità delle linee: con il nuovo corso inauguriamo un modo inedito di raccontare la storia del brand che è anche la mia storia.» Leggi tutto

STILE MILANO Storie di eleganza, la mostra che narra Milano e il suo stile

Ero ancora una ragazzina (ma già incuriosita dalla moda, dai suoi significati e dai suoi percorsi) quando sentii usare per la prima volta l’espressione Stile Milano rimanendone sorpresa e colpita.

La mia Milano, la città che tanto amavo (e che tanto amo), aveva addirittura uno stile tutto suo? Che orgoglio!

La risposta a quel mio quesito era ed è sì: in realtà, si può affermare che ogni città sia caratterizzata da uno stile preciso che, a sua volta, è influenzato dalle caratteristiche e dall’impronta sociale, culturale ed economica della città stessa; quando si parla di quella che è diventata una delle cosiddette capitali della moda, ecco che nasce una definizione come Stile Milano.

Lunedì 20 gennaio, a Palazzo Morando in via Sant’Andrea 6 a Milano, è stata inaugurata la mostra STILE MILANO – Storie di eleganza, promossa dal Comune di Milano | Cultura e dall’Associazione Stile e storia.

Aperta al pubblico fino al 29 marzo 2020, la mostra (allestita nell’ala nuova al primo piano dello storico palazzo) illustra il rapporto tra abito e gioiello dagli Anni Cinquanta ai giorni nostri, sottolineando lo stretto legame che unisce vestito e ornamento e narrando l’evoluzione di stile e costume.

Ogni città ha il suo stile – come dicevo – e Milano, con la sua sobrietà, ha definito un’eleganza curata, fatta di capi impeccabili e dettagli preziosi, frutto di alta artigianalità, fino a diventare un’indiscussa capitale della moda: STILE MILANO racconta come lo è diventata.

È la presenza sul territorio di capaci artigiani, spesso donne, che ha permesso la nascita dei grandi brand: dal dopoguerra in poi, le sartorie (da Biki a Jole Veneziani) e i gioiellieri milanesi (da Buccellati a Cusi, da Faraone a Calderoni) hanno creato per le loro clienti abiti e gioielli personalizzati, utilizzando con sapienza tecniche e lavorazioni particolari.

Una creatività delle donne, quella delle abili mani delle sarte, e una creatività per le donne, quella dei gioiellieri: da entrambe sono nati oggetti esclusivi che esprimono un lusso non gridato ma ricercato e ‘su misura’.

I gioiellieri, infatti, hanno avuto un ruolo importante quanto gli stilisti e ancora oggi rappresentano punti di riferimento dello stile milanese: STILE MILANO racconta, anche attraverso una selezione di gioielli, come le maison milanesi abbiano saputo interpretare lo stile di un’epoca delineando la propria proposta personale. Leggi tutto

DressYouCan ospita House of Mua Mua: a Milano, moda e charity per YPAC Bali

Quest’anno, per Natale, ho deciso di dare un taglio particolare ai miei consigli / non consigli per regali diversi: così, dopo aver parlato del progetto YOUth (qui) e di Una Culla per la Vita by Buzzi Onlus (qui) nonché de Il Mondo di Allegra (qui – via Instagram), oggi chiudo il cerchio tornando nuovamente a parlare di impegno sociale con l’iniziativa intrapresa da DressYouCan insieme a House of Mua Mua.

Fino al 24 dicembre, l’atelier milanese di DressYouCan, interessante realtà di fashion renting, ospita infatti una speciale vendita natalizia in collaborazione con House of Mua Mua, il brand fondato da Ludovica Virga: niente noleggio, stavolta, ma acquisti per una buona causa, ovvero sostenere l’associazione YPAC di Bali, scuola residenziale per bambini con disabilità fondata nel 1975.

Nel negozio di via Gian Giacomo Mora, a due passi dalle Colonne di San Lorenzo, oltre alle irriverenti creazioni moda del brand di Ludovica, sarà possibile acquistare anche le sue Mua Mua Dolls (che vedete qui sopra), creazioni che nascono dalle mani di donne e anziani balinesi: sono simpatiche (e ironiche) bambole, fatte all’uncinetto e cucite a mano, che rappresentano volti noti e icone della moda come Coco Chanel, Anna Wintour, Franca Sozzani e Karl Lagerfeld.

Da sempre House of Mua Mua ha a cuore Bali ed è proprio lì che, nel 2006, è nato il marchio: Ludovica, designer e mente creativa, decide di produrre bamboline realizzate all’uncinetto dagli abitanti dell’isola rimasti senza lavoro a causa di un turismo sempre più in crisi dopo lo tsunami del 2004.

Oggi House of Mua Mua è diventato un brand di ready-to-wear e accessori donna rivenduto nei più importanti concept store ed e-commerce di tutto il mondo e ha conquistato anche numerose celebrità internazionali per il suo spirito ironico e irriverente e – non ultimo – per il risvolto umanitario.

È dunque un’ottima occasione per fare del bene e anche per scegliere un dono natalizio che farà sicuramente piacere a tutte le appassionate di moda: DressYouCan è l’unica realtà milanese a ospitare House of Mua Mua, proponendo sconti fino all’86% e parte del ricavato sarà devoluto a sostegno di YPAC.

Io ci faccio un salto…

Manu

 

Se volete approfondire…

Come vi ho già raccontato, House of Mua Mua nasce nel 2006: Ludovica Virga, designer e mente creativa, decide di produrre bamboline realizzate all’uncinetto dagli abitanti dell’isola rimasti senza lavoro a causa di un turismo sempre più in crisi dopo lo tsunami del 2004. La prima creazione di Ludovica, per tutti Luvilu, nasce come regalo per un caro amico.
Il successo arriva nel 2009 quando, durante una sfilata Chanel a Venezia, Ludovica incontra Karl Lagerfeld e gli fa dono di una Mua Mua doll con le fattezze del Kaiser della Moda il quale inizia poi una collaborazione con la designer italiana: nel 2012, le commissiona più di 500 bambole da vendere nei negozi Lagerfeld.
Il  successo è immediato e Mua Mua diventa un marchio conosciuto dagli addetti ai lavori: la famiglia di bamboline all’uncinetto si arricchisce di nuovi personaggi tra i quali Anna Wintour, Coco Chanel, Franca Sozzani, Lady Gaga.
Oggi, grazie alla creatività di Luvilu e alla sua visione ironica del mondo della moda, House of Mua Mua è diventato un marchio venduto nei concept store ed e-commerce di tutto il mondo: le creazioni spaziano dalle iconiche bambole a divertenti t-shirt oltre a una linea di accessori che ha conquistato celebrità e it-girl internazionali.
Ma House of Mua Mua continua a essere anche una realtà con uno spiccato aspetto umano: ogni bambola viene infatti realizzata a Bali in zone rurali dove abitano donne e anziani che vivono in condizioni difficili, mentre parte del ricavato della vendita della collezione viene donato a una scuola a Sumbawa per aiutare e sostenere l’istruzione femminile.
Qui trovate il sito e qui trovate l’account Instagram.

Lo showroom DressYouCan ha sede a Milano a due passi dal Duomo, davanti alle Colonne di San Lorenzo e precisamente in Corso di Porta Ticinese angolo Via Mora.
La fondatrice è Cristina che lo gestisce insieme a Priscilla e Gloria: il negozio, con ingresso libero, è aperto 6 giorni su 7 (lunedì 13.30-19.30; martedì-sabato 10.30-13-30; 14.30-19.30).
È come se fosse un armadio infinito poiché è possibile noleggiare abiti, scarpe e borse per comporre outfit per occasioni speciali, da un cocktail party a un matrimonio, inclusa la possibilità di noleggiare un abito da sposa!
Qui trovate il sito, qui trovate l’account Instagram.

YPAC è una scuola residenziale per bambini con disabilità: è stata fondata nel 1975 da Nyonya Sukarmen, moglie dell’allora governatore di Bali.
Nel 1981 la scuola è stata ufficialmente riconosciuta dal governo indonesiano: ospita bambini e ragazzi di entrambi i sessi, di età varia e con vari tipi di disabilità.
Qui trovate il gruppo Facebook che fa capo alla scuola e qui trovate l’account Instagram.

Lisa C, il brand decisamente glittering di Anna Lisa Caruso

Dal sito Lisa C

Sapete qual è la soddisfazione più grande per chi, come me, si occupa di comunicazione in ambito moda?
Osservare il percorso di un brand nel quale si crede, nel quale si è vista la scintilla del talento, soprattutto se quel percorso porta a una diffusione e a un successo sempre maggiori: è ciò che è successo con Lisa C, il brand fondato da Anna Lisa Caruso.

Mi ero imbattuta nelle sue borse e nei suoi bijou per la prima volta nel 2014, innamorandomene e scrivendone più volte per uno dei magazine con i quali collaboravo in quel periodo; ora, a distanza di cinque anni, ho ritrovato Anna e le sue creazioni in occasione di un recente press day e il bello è che ho immediatamente riconosciuto il marchio perché, nonostante sia cresciuto in questi anni, Lisa C ha sempre avuto una caratteristica importante, ovvero la riconoscibilità.

Basta prendere in mano un suo pezzo per notare la cura con cui è realizzato e che diventa riconoscibile esattamente quanto una firma o un logo che vengano posizionati in bella mostra.

Classe 1969, Anna nasce in una famiglia partenopea che ha progettato e prodotto abbigliamento, borse e accessori fin dagli Anni Settanta.
Dopo aver studiato lingue sebbene in segreto desiderasse frequentare l’Accademia di Belle Arti, nel 1993 Anna inizia a lavorare occasionalmente nell’azienda di famiglia: emerge così il suo talento artistico che la porta a diventare il direttore creativo, dapprima come figura di riferimento nelle consulenze ai clienti e poi come designer di proprie collezioni.
La nascita di un marchio a suo nome è dunque un processo naturale e spontaneo che la porta, nel 2013, a fondare il marchio Lisa C, trasformandosi così definitivamente da giovane imprenditrice in designer.

Anna continua oggi a vivere e a lavorare a Napoli, luogo in cui avviene anche buona parte della produzione: innamorata da sempre di arte, letteratura e cinema, ama viaggiare e ama le grandi metropoli con il loro caos creativo fatto di luci e colori.
Simbolo di questo suo amore è soprattutto Los Angeles, la città che predilige e che spesso è fonte di ispirazione per le sue fantasiose creazioni.

Ah, a proposito di quel percorso di cui accennavo in principio…
Oltre a riconoscere subito tutti i suoi tratti distintivi, ho appreso con piacere che le sue collezioni sono ora vendute non solo in Italia ma in tutta Europa e anche in Asia, soprattutto in Giappone.
Vengono presentate nelle fiere internazionali più prestigiose e poi ospitate e commercializzate nei concept store più celebri.

Tutte le creazioni Lisa C sono fatte a mano e i componenti vengono saldati manualmente.
Le collezioni (con cristalli Swarovski, pietre in resina, ottone) si sviluppano spesso attorno a temi legati al mondo animale, vegetale e floreale, presenti fin dal principio e amati da Anna per la loro delicatezza intrinseca.
Le collezioni più recenti attingono anche alla sua amata e già citata Los Angeles nonché a quella macchina dei sogni che è Hollywood, con ulteriori spunti presi dal mondo del circo e dall’arte del burlesque.
Oltre a spille, orecchini, bracciali e collane, Lisa C presenta fasce, cerchietti e barrette per capelli nonché borse con righe, pois e fiori abbellite da pin con cristalli che rappresentano unicorni, elefanti, leopardi, creature marine, cigni, pappagalli, fenicotteri, rondini, palme, cactus, fiori, stelle e cuori…
Il risultato è che il bestiario di Anna – fantasioso, coloratissimo, esotico, a volte immaginario – crea una continua connessione e un efficace dialogo tra natura e dimensione cittadina. Leggi tutto

Pasticceria Angela Milano + Angelina Made in Milano = una nuova formula

Innamorata più che mai di Milano, la mia città, e sempre in cerca di idee nuove e di persone coraggiose in grado di concretizzarle, oggi vi racconto un nuovo progetto che mette insieme il mondo della pasticceria e del bijou: i protagonisti sono la Pasticceria Angela Milano e il brand Angelina Made in Milano.

La Pasticceria Angela Milano ha la propria sede storica in un edificio della vecchia Milano in via Ruggero di Lauria 15: fondata nel 1979 dalla famiglia Di Clemente, continua a riservare alla sua clientela una vasta gamma di prodotti di produzione rigorosamente propria, con ricette storiche personalizzate e rielaborate, ricercate ma allo stesso tempo rispettose della tradizione.

A gestire la pasticceria sono Angela e Luigi con il figlio Luca: i tre hanno deciso di aprire un secondo punto vendita in via Carlo Ravizza 6 con la formula di una piccola boutique – pasticceria in partnership con Angelina Made in Milano, il marchio creato dalla giornalista Cristiana Schieppati, creando un nuovo modo di vivere la dolcezza a 360°.

La pasticceria che fa bella mostra di sé in via Ravizza è prodotta nello storico laboratorio di via Ruggero di Lauria dove Luigi Di Clemente, il fondatore nonché pastry chef, crea specialità della tradizione italiana e non solo, invitando tutti i buongustai a colazione (con oltre 13 diversi tipi di brioche), pranzo e aperitivo.

Nel segno della continuità, il nuovo punto vendita è allestito affinché sia possibile gustare proposte dolci e salate, incluso il caffè Angelina, un café gourmand con assaggio di dolci tutti di produzione giornaliera (oltre che artigianale, naturalmente); all’interno dello spazio trova inoltre ospitalità il mondo di Angelina Made in Milano, bijou in argento 925 con pietre semi-preziose, orecchini con smalti colorati, bracciali dell’amicizia e anelli golosi proprio come dolci. Leggi tutto

Dior SS 2020: a proposito di Christian, Catherine e certe affinità elettive

Collezione Dior SS 2020 (photo credit pagina Facebook Dior)

Ho smesso di credere alle coincidenze e al caso da molto tempo.
Per carità, non fraintendetemi, non credo che le nostre vite siano predestinate e che tutto sia scritto; al contrario, credo nel libero arbitrio e nella volontà personale; credo fermamente che ognuno di noi scelga i propri pensieri e le proprie azioni essendone dunque artefice e responsabile.
Credo però anche che pensieri, sogni e desideri possano essere trasformati in azioni concrete e possano portare a situazioni e incontri che sembrano il frutto di coincidenze ma che, in realtà, abbiamo appunto agevolato o creato noi stessi proprio attraverso quelle azioni.
Credo infine al fatto che esistano delle cosiddette affinità elettive ovvero delle somiglianze che ci portano istintivamente verso qualcuno o qualcosa in base a un comune sentire.

Ecco, il racconto che desidero condividere oggi nasce proprio da tutto ciò.

Come ho già raccontato, durante il mese di agosto, in occasione delle vacanze, sono tornata in Bretagna e Normandia, due regioni francesi che amo immensamente, e sono tornata a visitare anche quella che è stata la casa di infanzia di uno dei più grandi couturier di tutti i tempi.
Mi riferisco a Christian Dior, nato a Granville il 21 gennaio 1905: Villa Les Rhumbs, la casa di famiglia in cui Monsieur Dior ha trascorso anni felici, è oggi un museo a lui dedicato.
Granville si affaccia sullo splendido golfo di Saint-Malo: la villa in cui si trova il Musée Christian Dior è costruita sul promontorio roccioso, con una vista mozzafiato, ed è circondata da un giardino incantevole.
Se volete, potete leggere qui il post in cui ne parlo dettagliatamente, incluso il racconto della bellissima mostra attualmente in corso, dedicata a Grace di Monaco: io, invece, vorrei ora concentrarmi proprio sul giardino.

A partire dal 1925, Christian Dior decide di sostituire la serra esistente con un pergolato e uno specchio d’acqua, ispirandosi alle mode dell’epoca e ai dettami dell’Art Déco.
Nell’estensione del pergolato di Villa Les Rhumbs, Madeleine Dior, la sua amatissima madre, aggiunge un roseto che si appoggia al muro lungo quello che veniva chiamato Sentiero dei Dogananieri, beneficiando così di un’esposizione riparata dai forti venti salini.
Il giardino, dunque, è un luogo chiave per la villa e per Monsieur Dior: l’amore per i fiori ha costantemente influenzato la sua vita come anche il suo lavoro e i suoi abiti, dalle forme ai nomi passando per le decorazioni e i tessuti, con una preferenza per rose e mughetti.

E qui si innesta quella che io considero una non coincidenza e un’affinità elettiva: Maria Grazia Chiuri, Direttore Creativo della Maison Dior dal 2016, ha presentato martedì 24 settembre a Parigi la collezione primavera / estate 2020 ispirandosi a Catherine Dior, sorella di Christian, a lui fortemente legata anche e proprio dall’amore per fiori e giardini.

Mi sono emozionata davanti all’omaggio reso da Maria Grazia a una figura femminile così importante per il couturier e sono colpita dal fatto che ciò sia avvenuto esattamente nella stagione in cui anch’io sono tornata nella splendida residenza in Normandia.
Ecco perché ho scelto di raccontarvi tutto ciò, anche perché ho immensa stima del lavoro che Maria Grazia sta facendo in Dior e ho molto apprezzato il risultato di questo suo omaggio diventato la collezione Dior SS 2020. Leggi tutto

Savini Milano presenta ‘Callas mai vista, Maria re-interpreta Medea’

Siamo ormai arrivati alla metà del mese di settembre che in molti definiscono fashion month.

Il perché è presto detto: settembre è il mese in cui si svolgono le principali settimane della moda, occasione in cui si presentano le collezioni donna della stagione estiva successiva. E ora, dopo New York e Londra, tocca a Milano che sarà poi seguita da Parigi.

Come dicevo, ad aprire le danze è stata New York.

«Negli ultimi anni, la rilevanza della New York Fashion Week è diminuita. Tom Ford e il CFDA hanno promesso che ciò sarebbe cambiato a partire da quest’anno grazie a un programma abbreviato e punteggiato da una serie di spettacoli esperienziali e imperdibili. Alla fine, anche se non ci sono stati abiti straordinari di cui parlare, c’è stata eccitazione. E questo, almeno, è un inizio.»

CFDA è l’acronimo di Council of Fashion Designers of America, l’equivalente della nostra Camera Moda, e lo stilista Tom Ford ne è l’attuale presidente: l’affermazione che ho riportato suona come una sentenza non molto positiva, esce dalla pungente penna della giornalista americana Lauren Sherman ed è contenuta in un articolo per il prestigioso The Business of Fashion.

Ma se la Sherman e Bof trovano che – cito testualmente – «this season there were no extraordinary clothes to speak of», vi confesso che, francamente, spero si potrà invece dire diversamente di Milano e che, entusiasmo, fermento ed eccitazione a parte, si potrà parlare anche di abiti straordinari o quanto meno belli.

Non solo: mi fa piacere sostenere che l’imminente edizione di Milano Moda Donna (o se preferite Milano Fashion Week, 17-23 settembre) «nasce all’insegna di sostenibilità, inclusione e apertura anche al pubblico visto che tanti eventi saranno accessibili a tutti».

A dichiararlo, ben prima di me e in occasione della conferenza stampa, è stato Carlo Capasa, presidente di Camera Nazionale della Moda Italiana: MMD non sarà dunque esclusivo appannaggio di fashion editor, buyer e vari addetti ai lavori e, durante la settimana, vi saranno alcuni appuntamenti aperti al pubblico, allestiti da vari brand e maison. Leggi tutto

Belle (ri)scoperte che amo condividere: Musée Christian Dior a Granville

Durante il mese di agosto, in occasione delle vacanze, sono tornata in Bretagna e Normandia, due regioni francesi che amo immensamente e che, anche stavolta, sono state molto generose nei miei confronti regalandomi moltissimi spunti quanto a bellezza, conoscenza e cultura.

Attraverso un post recente ho condiviso la scoperta di un posto splendido che si chiama Petit Écho de la Mode e che si trova a Châtelaudren, cittadina situata nel dipartimento della Côtes-d’Armor in Bretagna: un tempo era la sede di un giornale dal titolo omonimo e oggi, grazie a un’opera di ristrutturazione molto intelligente e molto ben condotta, è un centro culturale polivalente che ruota attorno alla storia e alla tradizione di quella rivista.

Stavolta, desidero condividere la scoperta – o meglio la riscoperta – di un altro luogo di grande ispirazione in Normandia: si tratta della casa di infanzia di uno dei più grandi couturier di tutti i tempi e che ospita ora un museo proprio a lui dedicato.

Mi riferisco a Christian Dior che nacque a Granville il 21 gennaio 1905: la villa di famiglia in cui Monsieur Dior ha trascorso anni felici ospita oggi un museo nel quale io non tornavo dal 2012 e che quest’anno ho voluto nuovamente visitare.

Granville si affaccia sullo splendido golfo di Saint-Malo: la villa in cui si trova il Musée Christian Dior è costruita sul promontorio roccioso, con una vista mozzafiato, ed è circondata da un giardino incantevole.
È sempre bello tornare in questo luogo colmo di grazia e di pace: stagione dopo stagione, ospita tra l’altro mostre sempre diverse e che mirano a tenere costantemente vivo il ricordo nonché la straordinaria eredità del grande couturier. Leggi tutto

Chiuso per ferie 2019, AGW ospita Gloria Vian e il suo «Esserci o esistere»

Tra le diverse attività che compongono il mio panorama professionale figura l’insegnamento.
È l’attività che richiede maggior impegno, energia e passione, perché insegnare è una gioia nonché una grande responsabilità.
Mi regala molte soddisfazioni ma anche qualche sconfitta: è una sfida continua ed è una sfida che non intendo abbandonare in quanto ci tengo (e ci credo) moltissimo.
E così, attraverso Accademia del Lusso che continua a credere in me (grazie ), tengo dei corsi di editoria e comunicazione della moda con focus specifico sulla loro evoluzione via web: si è da poco concluso l’anno accademico 2018-19 e io sto già pensando ad aggiornare i materiali per il nuovo anno che inizierà tra settembre e ottobre.

Tra le regole imprescindibili che mi do in qualità di docente, includo la necessità di essere imparziale, dando le stesse possibilità a tutti gli studenti e non assecondando in alcun modo simpatie (o antipatie) personali.
Ma ora che l’anno accademico è finito, ho deciso che, per una volta, posso concedermi uno strappo alla regola, anche perché la studentessa alla quale darò voce oggi, Gloria Vian, si è laureata lo scorso 1° luglio, concludendo tra l’altro il suo percorso con il massimo dei voti.

La tesi di laurea di Gloria ruota attorno a un argomento attuale e interessante: si intitola «Esserci o esistere» e si pone l’obiettivo di analizzare il rapporto tra mondo reale e mondo virtuale.
L’argomento è decisamente complesso e sfaccettato: ho molto apprezzato la serietà, l’impegno e la profondità con cui Gloria ha affrontato il tutto, ho molto apprezzato le ricerche che ha condotto anche attraverso interviste a vari professionisti ed esperti e, infine, ho molto apprezzato l’installazione che ha dato corpo alla sua tesi.

Alla luce di tutto ciò, quest’anno ho deciso di lasciare a Gloria Vian una responsabilità, ovvero quella di essere il post che ogni estate ‘chiude per ferie’ il blog: lo faccio per due motivi.

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Gli ‘Abiti da star’ di Rosanna Schiaffino sono in mostra a Milano

Nel post precedente, miei cari amici e lettori, ho fatto una confessione, ovvero quanto dispiacere io provi (anche in veste di docente) quando riscontro poco interesse verso la storia del costume da parte di tanti giovanissimi che frequentano le accademie di moda.

Capita, ebbene sì, che vi sia tale disinteresse e ho aggiunto che se mi dispiace è perché credo che sia per loro un’occasione persa: chi studia la moda e ambisce a diventare un professionista in tale settore deve invece essere molto interessato ad acquisire quegli strumenti preziosi che permettono di leggere il passato per interpretare il presente e immaginare o progettare il futuro.

Se riprendo questo incipit è perché, lo scorso 20 giugno, insieme a un piccolo gruppo di miei studenti di Accademia del Lusso, sono stata a Palazzo Morando, il museo meneghino che ospita il racconto di tutto ciò che è Costume, Moda, Immagine: scopo della nostra presenza era visitare una mostra della quale avevo già accennato in un precedente post parlando di archivi-guardaroba celebri, qui, ovvero la mostra ‘Rosanna Schiaffino e la moda – Abiti da star’ che resterà aperta fino al 29 settembre.

Nonostante la giornata fosse davvero torrida e non favorisse la concentrazione, i miei ragazzi mi hanno dato grande soddisfazione cogliendo appieno l’importanza della mostra e soffermandosi con attenzione, entusiasmo e ammirazione a osservare ricami, leggere didascalie, guardare filmati d’epoca: la mostra racconta – come dice il titolo stesso – il rapporto con la moda di Rosanna Schiaffino (1939 – 2009), splendida e celeberrima attrice italiana, è vero, ma certamente lontana dai tempi, dalla realtà e dal vissuto di giovanissimi appartenenti alla Generazione Z. Leggi tutto

Le Gocce di Gioia – di nome e di fatto – di Irene, gioielli per il cuore

Quando sento parlare del web come quintessenza dei mali del mondo, francamente resto un po’ perplessa.
Ripeto sempre un concetto agli studenti di Accademia del Lusso ai quali tengo corsi di editoria e comunicazione della moda con focus specifico sulla loro evoluzione via web: il web è solo un mezzo, è solo uno strumento.
Non ha un’anima in quanto non è un essere vivente, pertanto non è di suo buono o cattivo, intelligente o stupido, onesto o disonesto, ingenuo o furbo.
Siamo noi a conferirgli un’anima a seconda dell’uso che ne facciamo, a seconda di ciò che da lui ci aspettiamo: per esempio, in qualità di nativa analogica e immigrata digitale (ovvero persona nata e cresciuta prima dell’avvento delle tecnologie), io ho dovuto conquistare il mio spazio poco a poco e mi aspettavo che, da curiosa di natura quale sono sempre stata, il web contribuisse ad annullare quelle barriere di qualsiasi tipo che ho sempre detestato e che mi facevano sentire limitata.
E questo ho avuto: ho ritrovato persone, ne ho conosciute altre che molto probabilmente non avrei potuto incontrare in altro modo, ho imparato tantissime cose, ho avuto accesso a molte informazioni e conoscenze.
Se dovessi dunque mettere sui due piatti di una bilancia positività e negatività avute dal web, il primo piatto sarebbe molto, molto, molto più pesante del secondo. Godrebbe di una superiorità schiacciante.

Nel piatto della positività, trovano decisamente posto i designer, i creativi, gli stilisti, gli artigiani e gli artisti che ho conosciuto proprio grazie al web: in questo folto gruppo, figura una giovane donna che si chiama Irene e che è la fondatrice di Gocce di Gioia, un progetto che mi ha trasmesso belle vibrazioni dal primo istante.

Quando ho intercettato Irene attraverso Instagram, non è servito molto tempo perché rimanessi affascinata dal suo lavoro: crea gioielli – anelli, collane, pendenti, spille – ricavati da francobolli rari o antichi, da frammenti di porcellane tra le quali quelle cinesi e danesi, da elementi naturali forniti dalla sua bella regione, la Toscana.

Poi, Irene ha pubblicato le foto di alcuni pendenti ricavati da un vecchio mazzo di carte da gioco: «quando le ho trovate – ha scritto – avevano un leggero odore di tabacco e mi hanno fatto pensare a serate fra amici di una vita».
Ho confessato tante volte che, nell’ambito dei monili, amo in modo particolare quelli vintage e quelli che vengono definiti gioielli contemporanei (ovvero quei gioielli che non sono più espressione di status symbol come un tempo e che non mettono necessariamente al centro la preziosità economica bensì il valore dell’idea e del progetto, diventando quasi oggetti d’arte): non è un caso se gioiello vintage e gioiello contemporaneo sono legati dal fatto di valorizzare ciò che a me più interessa, ovvero proprio il valore morale, il significato, il fatto di rappresentare un ricordo o un’idea o un concetto.
Alla luce di tutto ciò, mi sono immediatamente innamorata delle parole di Irene e dell’immagine che con esse ha saputo evocare, poi mi sono innamorata del risultato da lei ottenuto con quelle carte: così, il pendente con la donna di picche è ora parte della mia collezione (lo potete vedere qui indossato qui e qui).
Non poteva restare tutto solo e dunque, ben presto, ha avuto la compagnia di un anello anch’esso con il seme di picche (qui indosso la coppia). Leggi tutto

Notte prima degli esami, il mio personale ricordo dell’esame di maturità

Foto di Michal Jarmoluk da Pixabay

Ieri sera ho rivisto – per l’ennesima volta – il film Notte prima degli esami.

Esistono cose che diventano certezze, a volte piacevoli e a volte meno: tra le prime (quelle piacevoli), figura la programmazione televisiva estiva quando ci propina film ripetuti, è vero, ma che ci fanno sorridere e che, in fondo, scandiscono il trascorrere delle stagioni.

Ed è una certezza che ogni anno, in giugno, arrivi Notte prima degli esami, film commedia di Fausto Brizzi, anno 2006, interpretato tra gli altri da Nicolas Vaporidis, Cristiana Capotondi e Sarah Maestri (nei panni di un gruppo di studenti alle prese con l’esame di maturità) e da Giorgio Faletti (nei panni di un severo professore) con le canzoni del grande Antonello Venditti, compresa quella che si chiama proprio come il film.

È una certezza, sì, esattamente come il fatto che, tra poco, arriverà Sapore di mare e poi Lo squalo con tutti i suoi vari seguiti.
Ecco, in questo ultimo caso siamo tra le certezze che probabilmente eviteremmo anche volentieri di avere, salvo poi risentire riecheggiare nella testa la musichetta del film ogni volta che facciamo il bagno al largo…

A ogni modo, dicevo: ho rivisto Notte prima degli esami per l’ennesima volta – e ho perso il conto di quante siano – e l’ho fatto molto volentieri.

Il film è ambientato nel 1989, lo stesso periodo in cui io sostenni l’esame di maturità (ovvero 1991, diciott’anni appena compiuti): devo dire che rievoca alla perfezione l’atmosfera, l’ambiente, i modi e i ritmi di quegli anni, riuscendo a riempirmi di ricordi e strappandomi il sorriso perché sì, a distanza di quasi 30 anni, ci penso ancora e, soprattutto, rammento volentieri il mio esame annoverandolo nella sezione ricordi belli.

State leggendo e state sostenendo la maturità in questi giorni?
Siete la mamma o il papà di uno studente impegnato in tale esame?
State pertanto pensando «bella forza, tu hai preso circa 30 anni di distanza»?

Se state pensando tutto ciò avete ragione, per carità, però datemi una chance, vi prego.
Non voglio fare né retorica né morale né ramanzine né predicozzi, non voglio drammatizzare o demonizzare né al contrario sottovalutare, anche perché anch’io, all’epoca, feci gli stessi pensieri che il personaggio della Capotondi affida al suo diario in una scena di Notte prima degli esami, ovvero mi chiesi chi mai avesse inventato quel maledetto esame di maturità.
Desidero solo ricordare tre episodi che, ancora oggi, mi fanno pensare che quello fu uno dei momenti più intensi e decisivi della mia vita, una sorta di rito di passaggio tra adolescenza ed età adulta.

E se lo faccio – senza nostalgia né rimpianti né rimorsi ma con grande tenerezza – è per formulare un augurio con tutto il cuore.
Auguro a tutti i ragazzi che stanno sostenendo la maturità ora che possa avvenire la stessa cosa per loro e che un giorno, a distanza di qualche decennio, possano ricordare con altrettanta tenerezza questa esperienza come oggi avviene a me che, tra l’altro, sono un po’ passata dall’altra parte della barricata visto il mio ruolo di docente in Accademia del Lusso, un po’ come accade a un altro personaggio di Notte prima degli esami, quello di Vaporidis (che diventa professore di lettere). Leggi tutto

Dunia Algeri beachwear, il crochet ci fa belle (senza bisogno di prove)

La vita è strana, passano anni senza che io parli di beachwear e poi mi capita di imbattermi in ben due nomi interessanti nel giro di poco tempo: deve essere l’anno dei costumi da bagno…

Ho scritto ‘nomi interessanti’: lo sono dal punto di vista della mia passione per talento e qualità, in quanto i brand in questione hanno trovato la loro strada proponendo due diverse soluzioni, ognuna originale e personale a proprio modo.

Se da una parte ho raccontato la storia di un brand che è riconoscibile grazie a bellissime grafiche di propria progettazione e realizzazione, oggi torno a parlare di un brand che è diventato riconoscibile grazie alla propria interpretazione di una lavorazione artigianale di grandissima tradizione: mi riferisco alla maglieria (che diventa in questo caso uncinetto) e mi riferisco a Dunia Algeri.

Dunia realizza splendidi maglioni con un filato molto particolare che si chiama baby alpaca: l’alpaca (Vicugna pacos) è un simpatico mammifero della famiglia dei camelidi, addomesticato e allevato per utilizzarne la lana; insieme al lama, è una delle due specie domestiche di camelidi diffusa in Sudamerica.

La baby alpaca è la lana del dorso dell’animale, ovvero la parte più pregiata (poiché non tocca mai terra e dunque non si contamina con sporcizia e impurità) e l’appellativo baby si riferisce alla sua finezza, visto che la fibra è eccezionalmente sottile: specifico che la tosatura non arreca alcun danno all’animale in quanto viene fatta rigorosamente a mano, nel periodo primaverile, in modo che il vello ricresca in tempo per l’inverno.

Ho raccontato come e perché Dunia abbia pensato alla baby alpaca (nonché in cosa si concretizzi il suo lavoro) in un post che potete leggere qui: oggi vi racconto invece a cosa ha pensato per la stagione estiva. Leggi tutto

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