Salviamo il guardaroba di Valentina Cortese – appello Associazione Profumo

Ricevo e volentieri condivido – Valentina Cortese, classe 1923, è considerata una delle ultime dive del cinema e del teatro italiano: scomparsa il 10 luglio 2019 dopo aver compiuto 96 anni, è oggi protagonista di un’asta.

Ponte Casa d’Aste ha infatti in calendario l’evento “Arredi e guardaroba di una diva”, con esposizione dei lotti a Milano dal 25 al 27 febbraio e asta nei giorni 1 e 2 marzo: vanno all’incanto capi, accessori, memorabilia, tutto appartenuto a Valentina Cortese (*).

L’Associazione Culturale Profumo di Milano, da dieci anni impegnata nella tutela artistica e nella celebrazione della diva, lancia un appello: la preoccupazione è quella che vada dispersa una collezione che ha fatto la storia del costume.

Elisabetta Invernici e Antonio Zanoletti, Presidente e Vice-Presidente dell’Associazione, lanciano dunque “Salviamo il guardaroba di Valentina Cortese!”, appellandosi ai protagonisti della scena culturale italiana affinché scendano in campo per salvare quello che viene considerato «un patrimonio dell’umanità, un pezzo d’arte e artigianato italiano da consegnare alle nuove generazioni».

Conosco personalmente Elisabetta Invernici e Antonio Zanoletti e godono di tutta la mia stima: più volte ho avuto modo di toccare con mano quanto il loro lavoro sia appassionato e competente e ricordo molto bene quando nel 2018 presentarono la mostra dedicata a Valentina Cortese allo Spazio Oberdan sempre a Milano (ne avevo parlato qui).

Non posso dunque non dare voce al loro accorato appello, nella speranza che si possa fare qualcosa. Leggi tutto

La mostra che celebra Rosa Genoni – e qualche mia riflessione…

Sono passati 144 anni da quando Rosa Genoni nasceva a Tirano, comune contornato dalle montagne in provincia di Sondrio, e – a mio avviso – racchiudere questa donna straordinaria in una definizione univoca è operazione pressoché impossibile.

La Genoni è stata una persona straordinaria, immersa nel proprio tempo quanto proiettata nel futuro, sempre all’avanguardia e spesso contro corrente.
Musica, letteratura, ideologie, moda, artigianato e tecnologia: ogni forma di pensiero e di creatività diventavano per lei oggetto di studio e di applicazione concreta.
È stata creatrice di moda (e non solo, è stata soprattutto pioniera della moda italiana), insegnante, attivista per i diritti umani.

Chissà che cosa penserebbe Rosa Genoni del mondo di oggi, di un mondo in cui il gender gap è ancora fortissimo, in cui la disparità di opportunità per uomini e donne è ancora fortissima, in cui le donne che occupano ruoli prestigiosi sono ancora troppo poche, in cui c’è disparità di salario a pari mansioni; un mondo in cui a una donna che si presenta a un colloquio di lavoro viene ancora chiesto se intenda fare figli, un mondo in cui qualcuno ancora pensa che ci sia differenza genetica di predisposizioni e di specializzazioni tra uomini e donne.

Chissà cosa ne penserebbe una donna come lei che, nel lontanissimo 1893, era già impegnata per il miglioramento delle condizioni delle lavoratrici (entrando a far parte della Lega Promotrice degli Interessi Femminili); una donna come lei che nel 1905 venne scelta per i suoi meriti dalla Società Umanitaria per tenere lezioni serali e dirigere la sezione di sartoria (ruolo che occupò fino al 1933, anno in cui si dimise per non giurare fedeltà al fascismo); una donna come lei che nel 1928, insieme al marito Alfredo Podreider, inaugurò un laboratorio di sartoria, un asilo nido e successivamente un ambulatorio ginecologico per le detenute del carcere di San Vittore a Milano. Leggi tutto

Riparto da un libro: Salvatore Ferragamo, il calzolaio dei sogni

Salvatore Ferragamo (didascalie e crediti in fondo)

Ho mandato in vacanza il blog parlandovi di un libro; riprendo oggi le mie narrazioni (bentornati ) parlandovi di un altro volume.

«Con più di tre miliardi di fatturato l’editoria è la prima industria culturale nazionale. Ma l’importanza del mondo del libro va ben al di là dei numeri: non c’è sviluppo economico, culturale e democratico senza una solida base di conoscenza, di sapere, di istruzione.»

È una dichiarazione di qualche mese fa di Ricardo Franco Levi, presidente dell’Associazione Italiana Editori (AIE): se mi sono appuntata le sue parole è perché sono completamente d’accordo con lui e credo che non esista modo migliore per spiegarvi perché ho deciso di ripartire presentandovi un libro.

L’importanza dei libri non conosce compartimenti o confini ed è trasversale poiché il loro valore immenso attraversa tutti i campi, ambiti e settori, comprendendo naturalmente anche la moda ed è un libro che parla proprio di moda e di Made in Italy quello che desidero introdurre oggi.

Esce infatti per Electa una nuova edizione, con una veste grafica ricercata, dell’autobiografia di Salvatore Ferragamo (1898-1960), pubblicata per la prima volta in inglese nel 1957 da George G. Harrap & Co., storico editore londinese.

Salvatore Ferragamo – il mitico Salvatore Ferragamo, direi – è un uomo che ha bisogno di poche presentazioni in quanto credo che il suo nome sia ben saldo nell’immaginario non solo di quanti amano la moda, quanto piuttosto di coloro che amano la bellezza, la qualità e il Made in Italy; è un uomo che aveva chiaro il suo destino determinato dalla sua vocazione.

«Sono nato per fare il calzolaio. Lo so e l’ho sempre saputo.» Leggi tutto

Prorogata fino al 25/10 la mostra sui costumi di Pinocchio ospitata a Prato

La mostra Pinocchio nei costumi di Massimo Cantini Parrini (foto Marco Badiani – courtesy of press office)

Alzi la mano chi conosce Pinocchio.
Anche se non posso purtroppo vedervi, cari amici, immagino una moltitudine di mani alzate.

Le avventure di Pinocchio – Storia di un burattino è il romanzo scritto da Carlo Collodi, pseudonimo del giornalista e scrittore fiorentino Carlo Lorenzini.
La prima metà apparve originariamente a puntate tra il 1881 e il 1882, completata poi nel libro uscito nel febbraio 1883.
Come tutti sanno, il romanzo racconta le esperienze di Pinocchio, marionetta animata scolpita da Mastro Geppetto: molto più di un semplice burattino, Pinocchio è diventato una vera e propria icona universale nonché una metafora della condizione umana.
Il libro – che si presta a una pluralità di interpretazioni – è considerato un capolavoro mondiale: ha ispirato centinaia di edizioni e traduzioni in innumerevoli lingue, ha dato vita a trasposizioni teatrali, televisive e perfino in cartoni animati e ha reso universali e proverbiali immagini metaforiche come quella del naso lungo del bugiardo.

È proprio per l’universalità e per il valore della figura di Pinocchio che sono molto felice di ospitare oggi una bella notizia: il Museo del Tessuto di Prato ha deciso di prorogare fino al 25 ottobre 2020 la mostra Pinocchio nei costumi di Massimo Cantini Parrini dal film di Matteo Garrone.

«Ripartiamo adottando tutte le misure di sicurezza per assicurare la salute dei visitatori, come previsto dal Decreto del Governo. In questo periodo abbiamo continuato a essere in contatto con il nostro pubblico attraverso iniziative promosse grazie ai canali social e al web. Il consenso riscontrato da parte di tanti ragazzi ci ha fatto decidere di prolungare la mostra fino al 25 ottobre per permettere di soddisfare le tante richieste pervenute.»

Con queste parole di Francesco Marini, Presidente della Fondazione Museo del Tessuto, riferite naturalmente alle misure di contenimento COVID-19, introduco la mostra che presenta i costumi realizzati per il film Pinocchio del regista Matteo Garrone da Massimo Cantini Parrini, pluripremiato costumista cinematografico. Leggi tutto

La Boccardi, perché consiglio il libro con la sua biografia

Vivere nel presente, guardando verso il futuro e conoscendo il passato: è questa la filosofia con la quale cerco di vivere.
Mi piace godere appieno e fino in fondo di ciò che vivo, giorno per giorno, con una proiezione e un pensiero verso ciò che vorrei, programmandolo grazie alla forza che – a mio avviso – tutti noi possiamo trarre dalle lezioni insite in ciò che è stato.
Credo dunque fortemente nel futuro e nella necessità del progresso e, allo stesso tempo, amo la tradizione.
Penso infatti che esistano valori assoluti e senza tempo che nemmeno progresso ed evoluzione dovrebbero cambiare.
Credo, in generale, nel duro lavoro e nel talento che ognuno di noi possiede e che si esprime in tanti modi; credo nello studio e nella curiosità intellettuale.
Per quanto riguarda nello specifico la moda, sono convinta che essa sia un potente linguaggio e che debba veicolare bellezza autentica.
Credo, che, come ogni linguaggio, abbia i suoi codici e che per padroneggiarla – e non esserne invece posseduti – occorra conoscere quei codici, come creatori e stilisti, come comunicatori e giornalisti, come clienti e fruitori.
Credo in quegli stilisti che sono prima di tutto sarti e che sanno costruire abiti veri e non solo operazioni fatte di clamore.
Credo in quei comunicatori e giornalisti che non sono solo presenzialisti e che hanno la voglia di raccontare davvero la moda.
Credo che tutti noi dovremmo essere clienti e fruitori che non si accontentano di trend e diktat, ma che cercano ciò che davvero li rappresenta per costruire un codice e un linguaggio che siano autentici.

In questo periodo, ho scritto (ancora una volta) di quanto io detesti il vuoto clamore (qui) nonché di quanto il cosiddetto sistema moda si trovi oggi ad affrontare importanti problemi (qui).
Riassumo il mio pensiero in un’unica frase: produciamo troppi vestiti, realizzati da troppi marchi spesso in maniera non sostenibile né socialmente né ambientalmente, venduti nella stagione sbagliata, infine scontati per fare spazio alla collezione successiva.
Ho scritto che le settimane della moda in versione digitale difficilmente potranno sostituire del tutto le sfilate in presenza perché la moda si nutre di tante sensazioni: come editor e blogger, ho sempre preferito vedere una sfilata dal vivo, da vicino, proprio per poter godere della parte sensoriale, il movimento di un abito, la caduta, il fruscio del tessuto, la luce e le ombre.
Senza considerare il fattore umano: le settimane della moda non sono solo il momento della passerella, sono altrettanto importanti (se non di più…) le interazioni che si svolgono oltre la passerella, gli incontri con i designer e con tutta una serie di figure come giornalisti, fotografi, buyer, incontri che garantiscono confronti interessanti e costruttivi. E, proprio per questo, ho sempre amato anche press day e presentazioni stampa, per la possibilità di toccare un tessuto, accarezzarlo, parlare con uno stilista, ascoltare la sua voce, farmi trasportare mentre racconta la genesi di una collezione. Leggi tutto

Silvia Stein Bocchese è stata insignita del titolo di Cavaliere del Lavoro

Silvia Stein Bocchese (ph. courtesy of press office)

Ci sono valori che considero assoluti, solide pietre miliari.

Tra questi valori metto il lavoro, il talento, il Made in Italy e la mia ferma volontà di sostenerli; altrettanto importante per me è dare valore, luce e voce a persone interpreti e testimoni di questi valori, che siano uomini o donne, perché credo nelle pari opportunità (nonostante sia consapevole di quanta strada ci sia ancora da percorrere per raggiungere davvero la parità).

Per questo, nei giorni scorsi, la mia attenzione è stata attirata da una notizia: il Presidente Sergio Mattarella ha nominato 25 nuovi Cavalieri del Lavoro, onorificenza conferita ogni anno in occasione della Festa della Repubblica a imprenditori italiani che si sono distinti in cinque settori (agricoltura, industria, commercio, artigianato, attività creditizia e assicurativa).

Tra questi Cavalieri, rientrano quest’anno alcuni nomi della moda, della gioielleria e del beauty, ovvero Ferruccio Ferragamo (presidente di Salvatore Ferragamo S.p.A., attiva nella creazione, produzione e vendita di calzature, capi di abbigliamento e accessori di lusso), Guido Roberto Grassi Damiani (presidente del Gruppo Damiani, attivo nella creazione, realizzazione e distribuzione di gioielli di alta gamma), Giuseppe Maiello (fondatore e vicepresidente esecutivo di Gargiulo & Maiello S.p.A., attiva nel commercio all’ingrosso di prodotti per l’igiene e la bellezza) e Silvia Stein Bocchese (presidente del Maglificio Miles S.p.A., attiva nella ideazione e produzione di capi di maglieria di alta gamma per conto terzi).

Lo dico apertamente: nutro stima e rispetto per Mattarella e mi emoziona profondamente il fatto che, in un momento storico in cui tutto il mondo si confronta con la crisi profonda causata dalla pandemia COVID-19, il Presidente abbia voluto riconoscere anche la moda tra le attività che contribuiscono a dare lustro al nostro Paese.

E mi emoziona che, attraverso questa onorificenza, il Presidente abbia sottolineato il valore di una donna che, da sola, ha creato un’attività che onora la manifattura italiana nel mondo e che ha dimostrato, con la sua storia, una capacità imprenditoriale e una volontà di riuscita che possono essere di esempio alle nuove generazioni.

E allora vorrei condividere con voi, cari amici, la bella storia di Silvia Stein Bocchese che, anticipando i tempi, ha saputo trasformare una piccola azienda da lei creata nel 1962 a Vicenza in un punto di riferimento internazionale per la produzione di maglieria di alta gamma.

L’avventura professionale di Silvia Stein Bocchese inizia appunto a Vicenza nel 1962.

A fianco del marito Giuseppe Bocchese, imprenditore della seta, fonda l’azienda Miles e, con quattro operaie e poche macchine, la signora Silvia comincia a realizzare capi di maglieria in organzino di seta, la materia prima del setificio di famiglia. Leggi tutto

Bob Krieger, il grande fotografo che io ricorderò anche per la sua simpatia

«Stamattina ho avuto il piacere di conoscere e ascoltare Bob Krieger in occasione dell’anteprima stampa della mostra che Palazzo Morando gli dedica.
Ed è così che ho scoperto qualcosa che non sapevo: oltre a essere un grande fotografo, uno dei fotografi che più hanno influenzato moda e costume a partire dagli Anni Sessanta (e questa parte mi era nota), ho scoperto che Krieger è anche un uomo simpatico, brillante e appassionato, davvero piacevolissimo da ascoltare, generoso quanto ad aneddoti ed esperienze.
Sono felice ogni volta in cui scopro che una persona nota è umile e non arrogante come invece sono molti anche senza essere conosciuti a livello mondiale…
E così, la cartelletta stampa con l’autografo e la dedica di Bob Krieger resterà tra i miei ricordi più cari.»

Sono le parole che ho scritto il 7 marzo 2019 dopo la conferenza stampa grazie alla quale ho avuto l’immenso onore di conoscere Bob Krieger.

Quando giovedì sera ho appreso della sua scomparsa… ero incredula.
L’ennesima scomparsa, l’ennesimo vuoto, l’ennesimo lutto per il mondo e non per quello della cultura, ma per l’intera umanità.

Silenziosa e pensierosa, gli do allora il mio saluto condividendo le foto che avevo realizzato quella mattina in occasione della conferenza stampa e dell’anteprima nonché riportando parte dell’articolo che avevo scritto per ADL Mag per raccontare la bella mostra di Palazzo Morando… Leggi tutto

STILE MILANO Storie di eleganza, la mostra che narra Milano e il suo stile

Ero ancora una ragazzina (ma già incuriosita dalla moda, dai suoi significati e dai suoi percorsi) quando sentii usare per la prima volta l’espressione Stile Milano rimanendone sorpresa e colpita.

La mia Milano, la città che tanto amavo (e che tanto amo), aveva addirittura uno stile tutto suo? Che orgoglio!

La risposta a quel mio quesito era ed è sì: in realtà, si può affermare che ogni città sia caratterizzata da uno stile preciso che, a sua volta, è influenzato dalle caratteristiche e dall’impronta sociale, culturale ed economica della città stessa; quando si parla di quella che è diventata una delle cosiddette capitali della moda, ecco che nasce una definizione come Stile Milano.

Lunedì 20 gennaio, a Palazzo Morando in via Sant’Andrea 6 a Milano, è stata inaugurata la mostra STILE MILANO – Storie di eleganza, promossa dal Comune di Milano | Cultura e dall’Associazione Stile e storia.

Aperta al pubblico fino al 29 marzo 2020, la mostra (allestita nell’ala nuova al primo piano dello storico palazzo) illustra il rapporto tra abito e gioiello dagli Anni Cinquanta ai giorni nostri, sottolineando lo stretto legame che unisce vestito e ornamento e narrando l’evoluzione di stile e costume.

Ogni città ha il suo stile – come dicevo – e Milano, con la sua sobrietà, ha definito un’eleganza curata, fatta di capi impeccabili e dettagli preziosi, frutto di alta artigianalità, fino a diventare un’indiscussa capitale della moda: STILE MILANO racconta come lo è diventata.

È la presenza sul territorio di capaci artigiani, spesso donne, che ha permesso la nascita dei grandi brand: dal dopoguerra in poi, le sartorie (da Biki a Jole Veneziani) e i gioiellieri milanesi (da Buccellati a Cusi, da Faraone a Calderoni) hanno creato per le loro clienti abiti e gioielli personalizzati, utilizzando con sapienza tecniche e lavorazioni particolari.

Una creatività delle donne, quella delle abili mani delle sarte, e una creatività per le donne, quella dei gioiellieri: da entrambe sono nati oggetti esclusivi che esprimono un lusso non gridato ma ricercato e ‘su misura’.

I gioiellieri, infatti, hanno avuto un ruolo importante quanto gli stilisti e ancora oggi rappresentano punti di riferimento dello stile milanese: STILE MILANO racconta, anche attraverso una selezione di gioielli, come le maison milanesi abbiano saputo interpretare lo stile di un’epoca delineando la propria proposta personale. Leggi tutto

Belle scoperte che amo condividere: il Museo dell’Arte della Lana di Stia

Dalla pagina Facebook del Museo dell’Arte della Lana di Stia (AR)

Mi sto appasssionando sempre più a un fenomeno che reputo molto interessante: quello dei musei d’impresa.

Che cosa si intende con questa espressione?

Prima di tutto, va sottolineato che essa mette insieme due realtà – il museo e l’impresa – che, finora, sono stati comprensibilmente distanti nell’immaginario comune: si tratta di rendere disponibili e accessibili a tutti archivi, documenti, materiali, oggetti, prodotti, macchinari che raccontano la storia dell’impresa e dei suoi protagonisti.

Forti della loro storia, tante imprese italiane (grandi, medie e piccole) stanno decidendo di investire nella valorizzazione del proprio patrimonio industriale, mettendolo a disposizione della collettività e andando a costruire un ponte sospeso tra passato e futuro, un ponte che unisce persone, lavoro, cultura, tradizione e innovazione.

Molti musei di impresa ruotano attorno al Novecento, un passato che è già storia ma storia recente, tanto che la memoria si salda all’esperienza viva e, spesso, alla viva testimonianza di persone ancora presenti.

Ho avuto l’opportunità di scoprirne e visitarne due e, per entrambi, ho condiviso la mia esperienza attraverso il blog: mi riferisco alla splendida Galleria Campari di Milano (precisamente di Sesto San Giovanni) e a un luogo incantevole che si chiama Petit Écho de la Mode e si trova a Châtelaudren, cittadina situata nel dipartimento della Côtes-d’Armor in Bretagna, Francia.

Nata nel 2010 grazie al progetto di riqualificazione dello stabilimento storico originario, la Galleria Campari è un museo aziendale, interattivo e multimediale, che ospita mostre e iniziative volte a esplorare le diverse intersezioni tra il marchio Campari e ambiti quali l’arte, il design e la moda: vi sono stata varia volte e ne ho parlato qui, a proposito di una mostra, e qui, a proposito della proiezione di un film-documentario.

Inaugurato nel 2015, Le Petit Écho de la Mode era un tempo la sede dell’omonimo giornale: grazie a un’opera di ristrutturazione molto intelligente e molto ben condotta, è oggi un centro culturale polivalente che ruota attorno alla storia e alla tradizione di quella rivista. Ospita mostre ed eventi e consente la consultazione dell’archivio: l’ho visitato lo scorso agosto in occasione di un viaggio in Bretagna e ho condiviso tutti i dettagli qui.

Nell’ottica di due mie grandi passioni (quella per la condivisione di tutto ciò che profuma di bellezza e cultura e quella per il mio Paese, l’Italia), desidero oggi condividere la scoperta di un altro bellissimo museo d’impresa: lo scorso novembre, grazie a una cara amica di nome Loredana, ho potuto visitare il Museo dell’Arte della Lana situato nel complesso del Lanificio di Stia, in Casentino.

Il Casentino è per me una delle zone più belle della Toscana: è una delle quattro vallate principali della provincia di Arezzo ed è quella in cui scorre il primo tratto del fiume Arno. Leggi tutto

La stoffa della mia vita, un libro racconta Martino Midali uomo e stilista

Martedì 8 ottobre ho trascorso una serata estremamente piacevole grazie alla presentazione de ‘La stoffa della mia vita – un intreccio di trama e ordito’, libro dello stilista Martino Midali scritto con Cinzia Alibrandi per Cairo Editore.

L’evento è stato presentato da Jo Squillo, conduttrice televisiva da tempo attiva portavoce della battaglia contro la violenza sulle donne che con Midali condivide proprio l’impegno sociale; ha visto inoltre la partecipazione di Cinzia Alibrandi, letterata diplomata in arti drammatiche, la scrittrice che ha saputo raccontare le memorie e il percorso di Midali, vero self-made man.

Martino Midali, classe 1952, originario della storica città lodigiana di Mignete, si trasferisce a Milano giovanissimo: è nel capoluogo meneghino che inizia la sua scalata nel mondo della moda diventando uno stilista amato e conosciuto in Italia e all’estero.

Fin da subito, Midali si distingue per essere lo stilista vicino alle donne che tanto ama: la sua missione è quella di valorizzare il loro corpo, in ogni sua forma e taglia, partendo però dalla loro testa.

Valorizzare senza ostentare, vestendo donne che scelgono gli abiti per stare bene con loro stesse e non per essere trofeo accanto a un uomo; le donne che hanno vestito e che vestono Martino Midali sono donne consapevoli della propria identità personale, sociale, professionale. Leggi tutto

Savini Milano presenta ‘Callas mai vista, Maria re-interpreta Medea’

Siamo ormai arrivati alla metà del mese di settembre che in molti definiscono fashion month.

Il perché è presto detto: settembre è il mese in cui si svolgono le principali settimane della moda, occasione in cui si presentano le collezioni donna della stagione estiva successiva. E ora, dopo New York e Londra, tocca a Milano che sarà poi seguita da Parigi.

Come dicevo, ad aprire le danze è stata New York.

«Negli ultimi anni, la rilevanza della New York Fashion Week è diminuita. Tom Ford e il CFDA hanno promesso che ciò sarebbe cambiato a partire da quest’anno grazie a un programma abbreviato e punteggiato da una serie di spettacoli esperienziali e imperdibili. Alla fine, anche se non ci sono stati abiti straordinari di cui parlare, c’è stata eccitazione. E questo, almeno, è un inizio.»

CFDA è l’acronimo di Council of Fashion Designers of America, l’equivalente della nostra Camera Moda, e lo stilista Tom Ford ne è l’attuale presidente: l’affermazione che ho riportato suona come una sentenza non molto positiva, esce dalla pungente penna della giornalista americana Lauren Sherman ed è contenuta in un articolo per il prestigioso The Business of Fashion.

Ma se la Sherman e Bof trovano che – cito testualmente – «this season there were no extraordinary clothes to speak of», vi confesso che, francamente, spero si potrà invece dire diversamente di Milano e che, entusiasmo, fermento ed eccitazione a parte, si potrà parlare anche di abiti straordinari o quanto meno belli.

Non solo: mi fa piacere sostenere che l’imminente edizione di Milano Moda Donna (o se preferite Milano Fashion Week, 17-23 settembre) «nasce all’insegna di sostenibilità, inclusione e apertura anche al pubblico visto che tanti eventi saranno accessibili a tutti».

A dichiararlo, ben prima di me e in occasione della conferenza stampa, è stato Carlo Capasa, presidente di Camera Nazionale della Moda Italiana: MMD non sarà dunque esclusivo appannaggio di fashion editor, buyer e vari addetti ai lavori e, durante la settimana, vi saranno alcuni appuntamenti aperti al pubblico, allestiti da vari brand e maison. Leggi tutto

Gli ‘Abiti da star’ di Rosanna Schiaffino sono in mostra a Milano

Nel post precedente, miei cari amici e lettori, ho fatto una confessione, ovvero quanto dispiacere io provi (anche in veste di docente) quando riscontro poco interesse verso la storia del costume da parte di tanti giovanissimi che frequentano le accademie di moda.

Capita, ebbene sì, che vi sia tale disinteresse e ho aggiunto che se mi dispiace è perché credo che sia per loro un’occasione persa: chi studia la moda e ambisce a diventare un professionista in tale settore deve invece essere molto interessato ad acquisire quegli strumenti preziosi che permettono di leggere il passato per interpretare il presente e immaginare o progettare il futuro.

Se riprendo questo incipit è perché, lo scorso 20 giugno, insieme a un piccolo gruppo di miei studenti di Accademia del Lusso, sono stata a Palazzo Morando, il museo meneghino che ospita il racconto di tutto ciò che è Costume, Moda, Immagine: scopo della nostra presenza era visitare una mostra della quale avevo già accennato in un precedente post parlando di archivi-guardaroba celebri, qui, ovvero la mostra ‘Rosanna Schiaffino e la moda – Abiti da star’ che resterà aperta fino al 29 settembre.

Nonostante la giornata fosse davvero torrida e non favorisse la concentrazione, i miei ragazzi mi hanno dato grande soddisfazione cogliendo appieno l’importanza della mostra e soffermandosi con attenzione, entusiasmo e ammirazione a osservare ricami, leggere didascalie, guardare filmati d’epoca: la mostra racconta – come dice il titolo stesso – il rapporto con la moda di Rosanna Schiaffino (1939 – 2009), splendida e celeberrima attrice italiana, è vero, ma certamente lontana dai tempi, dalla realtà e dal vissuto di giovanissimi appartenenti alla Generazione Z. Leggi tutto

La tuta da Thayaht ai giorni nostri, un capo che non invecchia mai

Vi faccio una confessione, miei cari amici.
Anche in veste di docente, provo grande dispiacere quando riscontro poco interesse verso la storia del costume da parte di quei giovanissimi che frequentano le accademie di moda.
Ebbene sì, capita, e se mi dispiace è perché credo che sia per loro un’occasione persa: chi studia la moda e ambisce a diventare un professionista in tale settore deve invece essere molto interessato ad acquisire quegli strumenti preziosi che permettono di leggere il passato per interpretare il presente e immaginare o progettare il futuro.
Credo che l’equivoco di base sia considerare la storia come qualcosa di polveroso se non morto, mentre al contrario la storia vive ed è una grande maestra proprio perché, se letta e padroneggiata con attenzione e passione, ci offre grandi possibilità.
Anche perché la storia della moda ha una caratteristica significativa: è ciclica ed è molto spesso fatta di ritorni e reinterpretazioni, dunque sorrido quando magari si considera rivoluzionario e moderno qualcosa che in realtà esisteva già secoli scorsi (o anche più, come nel caso di capi che risalgono a Greci, Romani, Egizi) e che qualche stilista contemporaneo ha più o meno semplicemente rielaborato e riproposto.
C’è perfino qualcuno che ha considerato ‘diavolerie moderne’ cose che esistevano già mille e più anni fa, come per esempio il costume a due pezzi (certo esisteva in una forma diversa, come ho raccontato e mostrato qui).
Ebbene sì: dobbiamo molti dei capi che indossiamo ancora oggi a geniali creatori che li hanno pensati tanti anni fa, magari… cento anni fa.

Non scrivo il numero a caso ma prendendo come esempio la tuta: avevo promesso in un post recente di tornare a parlarne ed eccomi qui a mantenere la promessa.

Tornare a parlarne, sì, perché avevo già accennato alla storia della tuta in un post del 2016 dedicato al lavoro di Francesca Fossati.
Ora, però, ho voglia di raccontarvela proprio bene, perché la tuta (overalls / dungaree / jumpsuit per chi preferisce l’inglese o ancora salopette per chi ama il francese) ha una genesi davvero interessante e che riesce a fondere tanti diversi elementi.

Vi dico subito il nome di colui al quale si può attribuire la paternità della tuta: si tratta dell’artista italiano Ernesto Michahelles (1893 – 1959). Leggi tutto

Cara Maria Vittoria Albani… questo è solo un arrivederci…

Stamattina, al mio risveglio, ho ricevuto una notizia per me scioccante, ovvero la scomparsa di Maria Vittoria Albani, colei che è stata giustamente definita la signora del gioiello moda italiano dalla professoressa Alba Cappellieri in un bellissimo articolo per Preziosa Magazine.

Si è spenta a 89 anni, per un brutto male.
«È stata creativa e combattiva, lucidissima fino a pochi giorni fa.»
Così ha scritto la persona che mi ha dato la notizia: vi confesso che, avendo avuto l’immenso onore di conoscere questa donna straordinaria, minuta di fisico ma vulcanica quanto a testa e cervello, non sono affatto sorpresa della vitalità che ha dimostrato fino all’ultimo.

Ho incontrato Maria Vittoria Albani per la prima volta quattro anni fa, in marzo 2015, quando il Museo del Bijou di Casalmaggiore, in collaborazione con Bianca Cappello, storica e critica del gioiello, ha allestito un’importante e bellissima mostra interamente dedicata a Ornella Bijoux, l’azienda fondata nel lontano 1944 da Maria Vittoria e dalla mamma Piera.

Anno dopo anno, la loro creatura si è trasformata in una griffe di costume jewellery mondialmente riconosciuta e che viene considerata una tra le più ricercate e apprezzate da intenditori e appassionati.

All’epoca, nel 1944, Maria Vittoria aveva solo 14 anni e la mamma, Piera Albani, era rimasta vedova: rilevare un campionario di bigiotteria fu per loro l’inizio di una nuova avventura – che continua ancora oggi con Simona e Marta, rispettivamente figlia e nipote di Maria Vittoria – e di una nuova vita.

I primi tempi furono all’insegna di grandi sacrifici: il campionario era sistemato in bauli e portato in giro in bicicletta per essere mostrato ai vari rivenditori e, in un’Italia in gran parte distrutta, le due donne si avventurano fino al sud, spesso ottenendo fortuiti passaggi.

Nonostante la giovanissima età, Maria Vittoria mostrò una straordinaria attitudine al disegno e alla composizione creativa e, già agli inizi degli Anni Cinquanta, divenne ufficialmente la disegnatrice di Ornella Bijoux: nel 1957, vinse il “Primo Concorso Nazionale Sorelle Fontana per l’Accessorio nell’Alta Moda”.

La storia di Ornella Bijoux si fonde dunque con le vicissitudini italiane: parla di coraggio, di autentico spirito imprenditoriale in un momento difficilissimo come quello del secondo dopoguerra, parla di due donne straordinarie e coraggiose che sono state artefici del proprio destino in un’epoca in cui nemmeno esisteva l’espressione women empowerment.

Quel pomeriggio del 21 marzo 2015, a Casalmaggiore, mi sono innamorata immediatamente di Maria Vittoria: a folgorarmi è stato proprio il suo carattere, un mix di vitalità, energia, entusiasmo, tenacia, volontà, talento, carisma, verve, competenza, il tutto condito da un’immensa gentilezza.

Le uniche cose che Maria Vittoria Albani non possedeva erano infatti la spocchia e l’arroganza: sono sempre stati gli altri a riconoscerle l’indiscussa importanza e grandezza.

Tornata a casa, ho scritto un post raccontando della mostra e narrando tutta la lunga e gloriosa storia di Ornella Bijou, Piera e Maria Vittoria, una storia costellata di successi e grandi realizzazioni: il titolo eloquente che ho scelto, “Ornella Bijoux, un’autentica icona italiana”, racconta tutta la mia ammirazione.

Un paio di mesi dopo, sono andata a trovare Maria Vittoria nel suo laboratorio di Milano: ricordo come fosse ieri la mia enorme emozione nel poter entrare nel suo mondo, quanto fossi onorata del fatto che lei avesse accettato di accogliermi nel suo regno.
La foto che vedete qui in alto è stata scattata proprio quel giorno: il sorriso racconta la mia felicità meglio di mille parole e, al collo, porto una delle creazioni di Maria Vittoria, una delle tante che lei mi ha permesso di provare nonché la mia preferita.
Anche quella volta, dai racconti e dalle scoperte, è nato un post intitolato “Maria Vittoria Albani, vorrebbe adottarmi?”.

Non me ne voglia la mia mamma – che adoro – né Simona, la vera figlia: quel titolo affettuosamente scherzoso voleva esprimere tutta la mia stima per una donna la cui creatività mi faceva desiderare di poter essere una figlia adottiva, io che ho scelto il nomignolo glittering woman.

Di quel pomeriggio nel suo laboratorio conservo anche un paio di ricordi nitidi e inediti che oggi condivido.

Il primo è che mi confessò di non indossare gioielli, con la sola eccezione delle spille: questa cosa mi incuriosì molto, mi incuriosì il fatto che la signora del gioiello moda non fosse anche un’utilizzatrice.

Il secondo ricordo è relativo a quando, prima di andare via, mi invitò a scegliere un suo pezzo: voleva farmi un regalo e il suo pensiero così gentile e delicato mi fece emozionare.
Non dimenticherò mai il suo sguardo intenerito davanti alla mia emozione che credo le avesse fatto comprendere quanto la ammirassi.

Da allora, negli anni, ci siamo incontrate tante volte, soprattutto in occasione degli eventi culturali legati a moda e gioiello: ci salutavamo sempre con grande entusiasmo e simpatia, una simpatia che sentivo essere reciproca.

In tali incontri, non mancavo di ammirare la sua innata eleganza senza fronzoli, ricordando ciò che mi aveva confessato quel pomeriggio in laboratorio: è vero, non portava gioielli se non qualche spilla eppure, per tutta la sua vita, ha sempre saputo con estrema precisione cosa noi donne amiamo indossare.
Tutto ciò grazie a un fiuto istintivo e infallibile, a un gusto squisito, a una curiosità inarrestabile e infinita: ed ecco perché, a 89 anni, Maria Vittoria è scomparsa essendo ancora giovane e vitale.

Non dimenticherò mai la sua energia e il suo entusiasmo.
Incontrarla e conoscerla, ascoltarla, visitare il suo laboratorio, aprire con lei cassetti e vetrine scoprendo infinite meraviglie: considero tutto ciò uno dei grandi regali che la vita mi ha fatto.

Ho scritto tanti post dedicati alle mie icone scomparse, uomini e donne che tanto hanno fatto nell’ambito dell’ingegno e della creatività.
In alcuni casi, ho avuto la fortuna di stringer loro la mano almeno una volta, come accadde con Krizia; in altri casi, nonostante la possibilità di vari incontri, non ho mai avuto l’ardire di farmi avanti, come accadde con Elio Fiorucci; in due casi, quelli di Angelo Marani e Maria Vittoria Albani, il dolore della scomparsa è aggravato dal fatto di aver avuto l’onore di intrattenermi e chiacchierare con loro in varie occasioni.

Ecco perché, oggi, mi sento un po’ orfana: sento di aver perso quella mamma adottiva per affinità elettiva.
Naturalmente, con tutto il mio più grande rispetto per il dolore della vera famiglia alla quale mi unisco in un affettuoso abbraccio.

Manu

Postilla del 30 aprile…
Ieri sono stata alla funzione in onore di Maria Vittoria Albani e il parroco della Chiesa di Santa Maria Segreta ha detto tante cose che hanno colpito il mio cuore, come quando ha parlato di lei come di una persona nella quale molti riconoscevano una figura di confidente e di riferimento all’insegna di una maternità diffusa (non ero poi folle a percepirla come una sorta di mamma adottiva per affinità elettiva…) o come quando l’ha descritta come persona capace di un’ironia leggera (specificando che è cosa ben diversa dalla superficialità e che, al contrario, è la rara capacità di saper distinguere le cose davvero serie riuscendo a ironizzare con leggerezza) o come quando ha raccontato di come si era inventata le spillette per il gruppo scout…
Che donna!
«Commemoriamo con la testa e ricordiamo con il cuore»: così ha concluso e non c’è dubbio che Maria Vittoria sarà ricordata con tanto cuore

Quattro imprenditori lucchesi rilanciano Tessieri, storica azienda italiana

Servono belle notizie.
Servono storie belle e vere che fungano da esempio e che siano d’incoraggiamento.
Serve positività.

Per questo, oggi, scelgo di condividere una storia che mi è stata sottoposta.
Non c’entra nulla con la moda, ma c’entra con il talento, la capacità, il saper fare, il Made in Italy, la tradizione e il coraggio dell’innovazione.

C’entra un prodotto unico nel suo genere, immutato da oltre cento anni, c’entrano quattro imprenditori lucchesi legati da una lunga e profonda amicizia, c’entra una storia artigiana che è parte integrante della storia manifatturiera italiana, c’entra il desiderio di investire in un prodotto storico e di grande prestigio.

Sono questi gli ingredienti alla base della nuova avventura d’impresa che vede come protagonisti la Premiata Fabbrica di mattonelle A. Tessieri & C., nata a Lucca nel lontano 1902, e un gruppo di amici oggi alla guida della società: Piergiorgio Tessieri (socio maggioritario, proprietario della Publiartex e pronipote di Alfredo, fondatore della fabbrica), Manuel Vellutini e Marco Pierallini (entrambi vicepresidenti esecutivi della Wolters Kluwer CCH Tagetik) e infine Alessandro Mennucci (amministratore delegato della Toscotec).

Dapprima, nell’aprile 2017, è stato Piergiorgio Tessieri a diventare socio unico dell’azienda, raccogliendo il testimone dal cugino Francesco che, nella Tessieri, è cresciuto tramandando il sapere artigiano per oltre sessant’anni. Ed è stato sempre lui, qualche mese fa, a voler coinvolgere nella compagine societaria gli altri tre imprenditori, suoi amici storici e a loro volta legati da un grande amore nei confronti delle mattonelle Tessieri: così, dopo oltre cento anni di attività, la Tessieri ha aperto per la prima volta il proprio capitale a persone non di famiglia.

«Ho una duplice missione: da una parte, garantire la continuità di una storia cominciata con il mio bisnonno Alfredo nel 1902 e arrivata fino a me che, di questa famiglia e di questa azienda, rappresento la quarta generazione; dall’altra, preservare la bellezza delle mattonelle, l’artigianalità di un manufatto che è rigorosamente fatto a mano in tutto il suo processo produttivo, con le stesse lavorazioni, gli stessi stampi, le medesime formulazioni di oltre cento anni fa.»

Così racconta Piergiorgio che spiega anche come un pavimento Tessieri sia sinonimo di prestigio, raffinatezza, qualità e come rappresenti una storia che contiene i tratti distintivi del Made in Italy e dell’alto artigianato manifatturiero che si distingue per tradizione, eccellenza e connotazione storica, tanto che l’azienda può dire di aver resistito anche al passaggio di due grandi guerre.

Partendo da acqua, terra e minerali, Tessieri produce esattamente da 116 anni mattonelle, in graniglia o pasta di cemento, decorate con disegni di ispirazione Art Nouveau.

Per realizzarle, sono stati creati più di trecento stampi e divisionali, ancora oggi utilizzati abitualmente e grazie ai quali è possibile ottenere centinaia di disegni e combinazioni diverse: mi piace sottolineare che gli stampi consentono non solo la produzione di nuovi pavimenti, ma anche il restauro di quelli più antichi.

Gli artigiani della Tessieri, infatti, possono sostituire qualsiasi mattonella della loro produzione, anche quelle centenarie, riuscendo a ottenere la stessa cromatura invecchiata, dosando i colori secondo uno stile inconfondibile, ogni volta diverso, speciale e unico. Leggi tutto

Con Leonardo da Vinci Parade iniziano a Milano le celebrazioni vinciane

Ricordo molto bene l’emozione provata quando, grazie al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano, ho incontrato un vero androide, illustre, unico e con le sembianze di uno degli uomini più famosi non solo del Rinascimento, ma di tutta la storia umana: il pittore, ingegnere e scienziato Leonardo da Vinci.

Nel 2015, il Museo – che tra l’altro è intitolato proprio al grande genio – ha infatti ospitato un androide che si avvale di tecnologie di mimica facciale di ultima generazione: il robot, a grandezza naturale e con una verosomiglianza davvero impressionante, veniva dal Giappone, progettato dal team di Minoru Asada, Direttore Robotica di Neuroscienze Cognitive dell’Università di Osaka.

Da eterna curiosa e affamata di conoscenza quale sono, Leonardo è per me una figura importantissima e avere l’occasione di vedere da vicino quel robot che parlava e interagiva grazie a software sofisticatissimi ha rappresentato un’esperienza particolarissima (che ho raccontato qui).

Il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia è un luogo che amo particolarmente poiché racconta storie di scienza, tecnologia e industria senza preconcetti: vide la luce il 15 febbraio 1953, sotto la spinta di un gruppo di industriali lombardi guidati dall’ingegner Guido Ucelli.

L’idea di Ucelli era quella di dotare l’Italia, al pari degli altri grandi Paesi europei, di un museo che raccontasse «il divenire del mondo» a partire da uno sguardo di unità della cultura: questa idea di dialogo senza barriere tra cultura umanistica e artistica e cultura tecnico-scientifica ispira ancora oggi le scelte e il piano strategico di sviluppo dell’istituzione meneghina e rappresenta uno dei motivi alla base del mio amore.

Il nome di Leonardo da Vinci accompagna il Museo fin dalla sua inaugurazione avvenuta con una grande mostra che celebrava il cinquecentenario della nascita del grande genio vissuto tra il 1452 e il 1519: Leonardo è infatti il miglior simbolo di quella continuità tra i due lati della cultura, espressioni differenti quanto complementari della creatività umana, fortemente presenti nella vita e nell’operato del genio di Vinci. Leggi tutto

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