Il talento e il genio di Walter Albini in mostra a Prato

Sono particolarmente felice di annunciare che, dal 23 marzo al 22 settembre 2024, il Museo del Tessuto di Prato celebra lo stilista Walter Albini (1941-1983) con una grande mostra curata da Daniela Degl’Innocenti ed Enrica Morini.

Walter Albini. Il talento, lo stilista è il risultato di un intenso lavoro di studio e ricerca condotto sull’intera vicenda professionale di Albini, assoluto protagonista della moda italiana tra la fine degli Anni Sessanta e i primi Ottanta del Novecento. L’omaggio a questo professionista eccezionale è assolutamente doveroso ed è questo il motivo per cui sono felice di annunciare la mostra.

L’attività di ricerca alla base del progetto espositivo (e del catalogo che lo accompagna) nasce in seguito a una cospicua donazione (oltre 1700 pezzi!) che il Museo ha ricevuto a più riprese tra il 2014 e il 2016. Si tratta di un ricco fondo di bijou, bozzetti, disegni, fotografie, documenti, libri, appartenuti proprio ad Albini e che documentano la sua grande capacità creativa e progettuale, dal periodo giovanile fino alla sua scomparsa. Leggi tutto

Metti una serata spumeggiante ad Arezzo da Rossella C con Sere Ku

Sono appena rientrata da Arezzo, bella città che mi piace per le sue tante sfaccettature.

Arezzo è stata patria di artisti e poeti tra cui Francesco Petrarca e Giorgio Vasari. È famosa per gli affreschi di Piero della Francesca all’interno della cappella della Basilica di San Francesco e per il crocifisso di Cimabue all’interno della chiesa di San Domenico. È nota anche per la Giostra del Saracino, torneo equestre che si tiene ogni anno in giugno e in settembre.

Arezzo è conosciuta anche come città dell’oro. Avevo raccontato qui la visita fatta nel 2015 al museo d’impresa di UnoAErre, importante azienda orafa fondata nel lontano 1926 proprio nella città toscana.

Questa volta sono tornata ad Arezzo per un evento che ha unito Sere Ku, brand di bijou fondato da Serena Ciliberti, e il concept store Rossella C.

Di Sere Ku e di Serena ho parlato tante volte. Ne ho parlato in questo sito qui e qui. Ne ho parlato e ne parlo attraverso i miei canali social anche indossando i suoi pezzi. Ci conosciamo da febbraio 2013 e, in oltre dieci anni, ho visto la sua fantasia crescere esponenzialmente senza esaurirsi mai. Il suo motto è «differenziare per differenziarsi» e questa filosofia la porta a sperimentare senza sosta, dando vita a gioielli e accessori decisamente fuori dall’ordinario. Anzi stra-ordinari. Leggi tutto

Bibbiena è città della fotografia con la Galleria Permanente a cielo aperto

Ricevo e volentieri condivido – Bibbiena, bel comune della provincia di Arezzo in Toscana, diventa ora anche la Città della Fotografia grazie alla Galleria Permanente a cielo aperto, un’installazione diffusa che comprende 48 opere di grandi dimensioni dei più importanti autori della fotografia italiana.

Bibbiena è un comune decisamente ricco di testimonianze del passato medioevale e dell’epoca moderna nonché il principale centro del Casentino, splendida valle di alto pregio paesaggistico, naturale e storico.

La Galleria Permanente aggiunge ulteriore valore a tutto ciò, andando a diventare un ulteriore motivo per visitare questo incantevole angolo di Toscana.

Le foto sono collocate sulle facciate dei palazzi e lungo le mura dell’antico borgo e, naturalmente, la loro fruizione è accessibile a tutti gratuitamente.

Bellezza, valore, talento, cultura, storia, accessibilità: sono sei parole magiche che raccontano perché ho immediatamente deciso di dare spazio a questa notizia.

Qui sotto potete leggere tutti i dettagli, dai titoli di alcune delle opere esposte fino ai nomi di chi ha reso possibile tutto ciò. Leggi tutto

Prorogata fino al 25/10 la mostra sui costumi di Pinocchio ospitata a Prato

La mostra Pinocchio nei costumi di Massimo Cantini Parrini (foto Marco Badiani – courtesy of press office)

Alzi la mano chi conosce Pinocchio.
Anche se non posso purtroppo vedervi, cari amici, immagino una moltitudine di mani alzate.

Le avventure di Pinocchio – Storia di un burattino è il romanzo scritto da Carlo Collodi, pseudonimo del giornalista e scrittore fiorentino Carlo Lorenzini.
La prima metà apparve originariamente a puntate tra il 1881 e il 1882, completata poi nel libro uscito nel febbraio 1883.
Come tutti sanno, il romanzo racconta le esperienze di Pinocchio, marionetta animata scolpita da Mastro Geppetto: molto più di un semplice burattino, Pinocchio è diventato una vera e propria icona universale nonché una metafora della condizione umana.
Il libro – che si presta a una pluralità di interpretazioni – è considerato un capolavoro mondiale: ha ispirato centinaia di edizioni e traduzioni in innumerevoli lingue, ha dato vita a trasposizioni teatrali, televisive e perfino in cartoni animati e ha reso universali e proverbiali immagini metaforiche come quella del naso lungo del bugiardo.

È proprio per l’universalità e per il valore della figura di Pinocchio che sono molto felice di ospitare oggi una bella notizia: il Museo del Tessuto di Prato ha deciso di prorogare fino al 25 ottobre 2020 la mostra Pinocchio nei costumi di Massimo Cantini Parrini dal film di Matteo Garrone.

«Ripartiamo adottando tutte le misure di sicurezza per assicurare la salute dei visitatori, come previsto dal Decreto del Governo. In questo periodo abbiamo continuato a essere in contatto con il nostro pubblico attraverso iniziative promosse grazie ai canali social e al web. Il consenso riscontrato da parte di tanti ragazzi ci ha fatto decidere di prolungare la mostra fino al 25 ottobre per permettere di soddisfare le tante richieste pervenute.»

Con queste parole di Francesco Marini, Presidente della Fondazione Museo del Tessuto, riferite naturalmente alle misure di contenimento COVID-19, introduco la mostra che presenta i costumi realizzati per il film Pinocchio del regista Matteo Garrone da Massimo Cantini Parrini, pluripremiato costumista cinematografico. Leggi tutto

Belle scoperte che amo condividere: il Museo dell’Arte della Lana di Stia

Dalla pagina Facebook del Museo dell’Arte della Lana di Stia (AR)

Mi sto appasssionando sempre più a un fenomeno che reputo molto interessante: quello dei musei d’impresa.

Che cosa si intende con questa espressione?

Prima di tutto, va sottolineato che essa mette insieme due realtà – il museo e l’impresa – che, finora, sono stati comprensibilmente distanti nell’immaginario comune: si tratta di rendere disponibili e accessibili a tutti archivi, documenti, materiali, oggetti, prodotti, macchinari che raccontano la storia dell’impresa e dei suoi protagonisti.

Forti della loro storia, tante imprese italiane (grandi, medie e piccole) stanno decidendo di investire nella valorizzazione del proprio patrimonio industriale, mettendolo a disposizione della collettività e andando a costruire un ponte sospeso tra passato e futuro, un ponte che unisce persone, lavoro, cultura, tradizione e innovazione.

Molti musei di impresa ruotano attorno al Novecento, un passato che è già storia ma storia recente, tanto che la memoria si salda all’esperienza viva e, spesso, alla viva testimonianza di persone ancora presenti.

Ho avuto l’opportunità di scoprirne e visitarne due e, per entrambi, ho condiviso la mia esperienza attraverso il blog: mi riferisco alla splendida Galleria Campari di Milano (precisamente di Sesto San Giovanni) e a un luogo incantevole che si chiama Petit Écho de la Mode e si trova a Châtelaudren, cittadina situata nel dipartimento della Côtes-d’Armor in Bretagna, Francia.

Nata nel 2010 grazie al progetto di riqualificazione dello stabilimento storico originario, la Galleria Campari è un museo aziendale, interattivo e multimediale, che ospita mostre e iniziative volte a esplorare le diverse intersezioni tra il marchio Campari e ambiti quali l’arte, il design e la moda: vi sono stata varia volte e ne ho parlato qui, a proposito di una mostra, e qui, a proposito della proiezione di un film-documentario.

Inaugurato nel 2015, Le Petit Écho de la Mode era un tempo la sede dell’omonimo giornale: grazie a un’opera di ristrutturazione molto intelligente e molto ben condotta, è oggi un centro culturale polivalente che ruota attorno alla storia e alla tradizione di quella rivista. Ospita mostre ed eventi e consente la consultazione dell’archivio: l’ho visitato lo scorso agosto in occasione di un viaggio in Bretagna e ho condiviso tutti i dettagli qui.

Nell’ottica di due mie grandi passioni (quella per la condivisione di tutto ciò che profuma di bellezza e cultura e quella per il mio Paese, l’Italia), desidero oggi condividere la scoperta di un altro bellissimo museo d’impresa: lo scorso novembre, grazie a una cara amica di nome Loredana, ho potuto visitare il Museo dell’Arte della Lana situato nel complesso del Lanificio di Stia, in Casentino.

Il Casentino è per me una delle zone più belle della Toscana: è una delle quattro vallate principali della provincia di Arezzo ed è quella in cui scorre il primo tratto del fiume Arno. Leggi tutto

Le Gocce di Gioia – di nome e di fatto – di Irene, gioielli per il cuore

Quando sento parlare del web come quintessenza dei mali del mondo, francamente resto un po’ perplessa.
Ripeto sempre un concetto agli studenti di Accademia del Lusso ai quali tengo corsi di editoria e comunicazione della moda con focus specifico sulla loro evoluzione via web: il web è solo un mezzo, è solo uno strumento.
Non ha un’anima in quanto non è un essere vivente, pertanto non è di suo buono o cattivo, intelligente o stupido, onesto o disonesto, ingenuo o furbo.
Siamo noi a conferirgli un’anima a seconda dell’uso che ne facciamo, a seconda di ciò che da lui ci aspettiamo: per esempio, in qualità di nativa analogica e immigrata digitale (ovvero persona nata e cresciuta prima dell’avvento delle tecnologie), io ho dovuto conquistare il mio spazio poco a poco e mi aspettavo che, da curiosa di natura quale sono sempre stata, il web contribuisse ad annullare quelle barriere di qualsiasi tipo che ho sempre detestato e che mi facevano sentire limitata.
E questo ho avuto: ho ritrovato persone, ne ho conosciute altre che molto probabilmente non avrei potuto incontrare in altro modo, ho imparato tantissime cose, ho avuto accesso a molte informazioni e conoscenze.
Se dovessi dunque mettere sui due piatti di una bilancia positività e negatività avute dal web, il primo piatto sarebbe molto, molto, molto più pesante del secondo. Godrebbe di una superiorità schiacciante.

Nel piatto della positività, trovano decisamente posto i designer, i creativi, gli stilisti, gli artigiani e gli artisti che ho conosciuto proprio grazie al web: in questo folto gruppo, figura una giovane donna che si chiama Irene e che è la fondatrice di Gocce di Gioia, un progetto che mi ha trasmesso belle vibrazioni dal primo istante.

Quando ho intercettato Irene attraverso Instagram, non è servito molto tempo perché rimanessi affascinata dal suo lavoro: crea gioielli – anelli, collane, pendenti, spille – ricavati da francobolli rari o antichi, da frammenti di porcellane tra le quali quelle cinesi e danesi, da elementi naturali forniti dalla sua bella regione, la Toscana.

Poi, Irene ha pubblicato le foto di alcuni pendenti ricavati da un vecchio mazzo di carte da gioco: «quando le ho trovate – ha scritto – avevano un leggero odore di tabacco e mi hanno fatto pensare a serate fra amici di una vita».
Ho confessato tante volte che, nell’ambito dei monili, amo in modo particolare quelli vintage e quelli che vengono definiti gioielli contemporanei (ovvero quei gioielli che non sono più espressione di status symbol come un tempo e che non mettono necessariamente al centro la preziosità economica bensì il valore dell’idea e del progetto, diventando quasi oggetti d’arte): non è un caso se gioiello vintage e gioiello contemporaneo sono legati dal fatto di valorizzare ciò che a me più interessa, ovvero proprio il valore morale, il significato, il fatto di rappresentare un ricordo o un’idea o un concetto.
Alla luce di tutto ciò, mi sono immediatamente innamorata delle parole di Irene e dell’immagine che con esse ha saputo evocare, poi mi sono innamorata del risultato da lei ottenuto con quelle carte: così, il pendente con la donna di picche è ora parte della mia collezione (lo potete vedere qui indossato qui e qui).
Non poteva restare tutto solo e dunque, ben presto, ha avuto la compagnia di un anello anch’esso con il seme di picche (qui indosso la coppia). Leggi tutto

Quattro imprenditori lucchesi rilanciano Tessieri, storica azienda italiana

Servono belle notizie.
Servono storie belle e vere che fungano da esempio e che siano d’incoraggiamento.
Serve positività.

Per questo, oggi, scelgo di condividere una storia che mi è stata sottoposta.
Non c’entra nulla con la moda, ma c’entra con il talento, la capacità, il saper fare, il Made in Italy, la tradizione e il coraggio dell’innovazione.

C’entra un prodotto unico nel suo genere, immutato da oltre cento anni, c’entrano quattro imprenditori lucchesi legati da una lunga e profonda amicizia, c’entra una storia artigiana che è parte integrante della storia manifatturiera italiana, c’entra il desiderio di investire in un prodotto storico e di grande prestigio.

Sono questi gli ingredienti alla base della nuova avventura d’impresa che vede come protagonisti la Premiata Fabbrica di mattonelle A. Tessieri & C., nata a Lucca nel lontano 1902, e un gruppo di amici oggi alla guida della società: Piergiorgio Tessieri (socio maggioritario, proprietario della Publiartex e pronipote di Alfredo, fondatore della fabbrica), Manuel Vellutini e Marco Pierallini (entrambi vicepresidenti esecutivi della Wolters Kluwer CCH Tagetik) e infine Alessandro Mennucci (amministratore delegato della Toscotec).

Dapprima, nell’aprile 2017, è stato Piergiorgio Tessieri a diventare socio unico dell’azienda, raccogliendo il testimone dal cugino Francesco che, nella Tessieri, è cresciuto tramandando il sapere artigiano per oltre sessant’anni. Ed è stato sempre lui, qualche mese fa, a voler coinvolgere nella compagine societaria gli altri tre imprenditori, suoi amici storici e a loro volta legati da un grande amore nei confronti delle mattonelle Tessieri: così, dopo oltre cento anni di attività, la Tessieri ha aperto per la prima volta il proprio capitale a persone non di famiglia.

«Ho una duplice missione: da una parte, garantire la continuità di una storia cominciata con il mio bisnonno Alfredo nel 1902 e arrivata fino a me che, di questa famiglia e di questa azienda, rappresento la quarta generazione; dall’altra, preservare la bellezza delle mattonelle, l’artigianalità di un manufatto che è rigorosamente fatto a mano in tutto il suo processo produttivo, con le stesse lavorazioni, gli stessi stampi, le medesime formulazioni di oltre cento anni fa.»

Così racconta Piergiorgio che spiega anche come un pavimento Tessieri sia sinonimo di prestigio, raffinatezza, qualità e come rappresenti una storia che contiene i tratti distintivi del Made in Italy e dell’alto artigianato manifatturiero che si distingue per tradizione, eccellenza e connotazione storica, tanto che l’azienda può dire di aver resistito anche al passaggio di due grandi guerre.

Partendo da acqua, terra e minerali, Tessieri produce esattamente da 116 anni mattonelle, in graniglia o pasta di cemento, decorate con disegni di ispirazione Art Nouveau.

Per realizzarle, sono stati creati più di trecento stampi e divisionali, ancora oggi utilizzati abitualmente e grazie ai quali è possibile ottenere centinaia di disegni e combinazioni diverse: mi piace sottolineare che gli stampi consentono non solo la produzione di nuovi pavimenti, ma anche il restauro di quelli più antichi.

Gli artigiani della Tessieri, infatti, possono sostituire qualsiasi mattonella della loro produzione, anche quelle centenarie, riuscendo a ottenere la stessa cromatura invecchiata, dosando i colori secondo uno stile inconfondibile, ogni volta diverso, speciale e unico. Leggi tutto

Riparto da Prato dove arte, tradizione e culto sono “Legati da una Cintola”

Ci siamo, A glittering woman riparte: alla fine, sono tornata sebbene la tentazione di restare in Grecia e precisamente a Samos sia stata forte (ma ne parleremo in un prossimo post).

Sono felice di inaugurare una nuova stagione con un evento che ha tutto il sapore e il profumo di conoscenza e cultura, ambiti che tanto mi stanno a cuore; tuttavia, devo in realtà iniziare con un’ammissione di (mia) forte ignoranza e non per confondervi le idee, giuro.

Ora vi racconto tutto con ordine.

Dovete sapere che, già prima della pausa e delle vacanze, avevo ricevuto un invito tanto gradito da inserirlo subito in agenda con grande piacere e curiosità: mercoledì 6 settembre, insieme a un nutrito gruppo di giornalisti, ho pertanto preso un treno Frecciarossa da Milano per raggiungere Firenze e poi Prato, destinazione finale del nostro viaggio stampa.

Siamo stati infatti ospiti del Comune di Prato per la conferenza stampa e la visita in anteprima di una mostra intitolata Legati da una Cintola – L’Assunta di Bernardo Daddi e l’identità di una città che si svolge al Museo di Palazzo Pretorio da oggi, venerdì 8 settembre, fino a domenica 14 gennaio 2018 (aggiornamento – estesa fino al 25 febbraio 2018 per il grande successo di pubblico).
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Ekko Jewels e la stampa 3D tra futuro e tradizione

C’è così tanta incredibile bellezza in questo nostro Paese.

Di una delle sue forme – la bellezza della Natura – non abbiamo alcun merito: al contrario, abbiamo talvolta la colpa di usarla impropriamente, mentre dovremmo capire quanto siamo fortunati a poterne godere, noi e tutti coloro che vengono a visitarci. Di altre forme, invece, possiamo assumerci a ragione il merito ed esserne orgogliosi: mi riferisco alla bellezza dell’Arte, dell’Architettura, della Letteratura, della Cucina, dell’Artigianato.

Sì, ho scritto tutto quanto con le iniziali maiuscole perché più passa il tempo e più mi convinco del fatto che queste meravigliose espressioni siano perle uniche e pregiatissime, da diffondere con passione e da tutelare con convinzione.

Faccio questi pensieri ogni volta in cui ho la fortuna di viaggiare per l’Italia riempiendo il cuore e vivendo incontri speciali come quelli fatti in occasione del mio recente viaggio in Toscana e in particolar modo ad Arezzo.

Durante quel breve viaggio, in una domenica pomeriggio di sole, ho avuto l’opportunità di conoscere da vicino la realtà di Ekko Jewels, un brand dinamico, innovativo e rigorosamente made in Italy.

Ekko Jewels propone una collezione di gioielli realizzati e rifiniti con cura proprio come insegna la prestigiosa tradizione orafa insita nella città di Arezzo: le loro creazioni sono moderne e sono preziose, sì, eppure sono da vivere ogni giorno. Leggi tutto

Unoaerre, un museo (letteralmente) d’oro

Sono fermamente convinta di un fatto: le cose più belle sono spesso quelle che non ci aspettiamo e che non programmiamo.
Lo scorso week-end, per esempio, sono stata vicino ad Arezzo insieme a Enrico, mio marito, per sostenerlo in una delle sue grandi passioni: il modellismo.
Nella bella città toscana, ho delle amiche preziose le quali, saputo del mio arrivo, si sono adoperate per farmi vivere alcune esperienze davvero deliziose. Agnese, una di loro, è stata così gentile e premurosa (leggere: fantastica) da far sì che potessimo visitare il museo di UNOAERRE, importante azienda che non ha bisogno di molte presentazioni.
Non solo: la visita è avvenuta sotto la guida di Giuliano Centrodi, direttore, curatore e conservatore del museo nonché modellista storico di UNOAERRE.
Come avrei potuto immaginare che, un fine settimana pensato ad hoc per la mia dolce metà, si sarebbe trasformato in qualcosa di interessante per le mie attività e che sarei entrata in un luogo importantissimo per la tradizione orafa? Ecco perché dico che le cose inaspettate sono le più belle.
Arezzo è uno dei poli italiani dell’oro insieme a Valenza e Vicenza: la storia di UNOAERRE inizia il lontano 15 marzo 1926 grazie a Carlo Zucchi e Leopoldo Gori, i due fondatori dell’azienda.
Forse non tutti sanno che, fino a inizio ‘900, in Italia i gioielli erano punzonati unicamente per attestare la veridicità del metallo, ma non recavano il marchio di chi li aveva prodotti: il vero marchio orafo che garantisce il titolo e certifica anche il produttore nacque come idea durante il ventennio fascista.
Perché vi sto raccontando questa cosa? Perché è strettamente legata alla storia e al nome dell’azienda: il 2 aprile del 1935, la Gori & Zucchi ricevette infatti il primo marchio della provincia di Arezzo, ovvero 1AR. Tale marchio scritto per esteso (UNOAERRE) è diventato a tutti gli effetti il nome alla società.
In quasi 90 anni, varie generazioni di orafi, tecnici, maestri e artisti hanno costruito, sviluppato, consolidato e fatto conoscere una realtà economica ancora oggi unica al mondo: l’azienda arrivò ad avere più di 1500 dipendenti negli anni ’60 e, proprio tra gli anni ’50 – ’60, le fu riconosciuto il ruolo di zecca e dunque fu autorizzata a battere valuta in corso legale. Lo fece per più di 90 paesi tra i quali il Regno Unito.
Non c’è praticamente paese dove non sia giunto un gioiello UNOAERRE e oggi l’azienda vanta una distribuzione in oltre 40 stati con filiali dirette in Francia e Giappone: in Italia è il marchio leader nel mercato delle fedi nuziali aggiudicandosi una fetta del 70%.
UNOAERRE è dunque una nostra gloria della quale essere giustamente orgogliosi: nel 1988, l’azienda ha inaugurato il suo museo fondato con l’intento di non disperdere la memoria storica e di offrire un percorso espositivo che parte dalla cosiddetta archeologia industriale (i macchinari d’epoca).
La collezione comprende oltre 2000 opere tra disegni originali, pezzi di oreficeria, gioielli e diversi pezzi unici: sono per esempio rappresentati gli anni ’20 (con gli ultimi bagliori della Belle Époque e dello stile ghirlanda tipico del periodo), l’Art Déco col suo stile dal sapore geometrico e i gioielli autarchici degli anni ’30, fatti in argento, rame e vetri colorati. Il tutto narra con efficacia una storia che è ancora viva ed attuale grazie ad un continuo aggiornamento con i gioielli più rappresentativi delle collezioni contemporanee: per questo il museo può essere considerato come un patrimonio presente e futuro di arte e cultura orafa.
A me è piaciuto proprio questo, ovvero il fatto che l’esposizione appaia straordinariamente viva: sicuramente il merito va anche a Giuliano Centrodi e alla sua straordinaria conoscenza e memoria. Pensate che è entrato in azienda nel 1963 quando era un giovane e promettente studente di soli 18 anni: oltre ad essere stato direttore artistico di UNOAERRE e ad essere oggi curatore del museo, ha insegnato presso l’Università di Firenze.
Sono onoratissima di averlo conosciuto e di aver ascoltato un pezzo di storia raccontato con vigore, eleganza e passione.
Tra i tantissimi pezzi del museo, sono rimasta affascinata proprio dai gioielli autarchici di epoca mussoliniana e dalle testimonianze della campagna detta Oro alla patria (il dono degli oggetti in oro e soprattutto delle fedi matrimoniali sostituite da esemplari in ferro che venivano date a coloro i quali facevano la donazione, uno dei momenti più impressionanti del consenso al regime fascista favorito da una martellante opera di propaganda): ho amato anche i bellissimi pezzi del grande Giò Pomodoro, autentiche sculture da indossare.
Se amate la bellezza, il saper fare, la capacità, la fantasia, la creatività, il made in Italy e se amate la storia, vi raccomando una visita a questo bellissimo museo che è un autentico gioiello. Letteralmente.

Manu

Il museo (situato presso la sede dell’azienda in Località San Zeno Strada E al civico 5, Arezzo) è visitabile su prenotazione, telefono: 0575 9251, e-mail info@unoaerre.it
Qui trovate la pagina Facebook di UNOAERRE

Vi lascio con la gallery delle foto che ho scattato in occasione della visita di sabato scorso. Le ultime due sono opera di Grazia, una delle mie amiche: la prima mi ritrae con Giuliano Centrodi, mentre la seconda ritrae noi tre, Grazia, la sottoscritta e Agnese. Un grazie speciale ad Agnese e Grazia

Il Divertissement secondo Agnese Del Gamba

Ci sono parole che mi affascinano, mi incuriosiscono e mi divertono per la loro capacità di disegnare scenari molto ampi: prendete, per esempio, divertissement.
È presa in prestito dal francese e significa divertimento: dal punto di vista storico, il termine indicava danze o canzoni inserite in opere e balletti francesi del XVIII secolo. Il divertissement era collocato tra gli atti o alla fine dello spettacolo ed era connesso al soggetto del lavoro: era quindi propriamente un momento di divertimento intelligente.
In seguito, il termine è passato ad indicare composizioni letterarie o artistiche di tono leggero che nascono come divertimento dell’autore; oggi, si utilizza per indicare un’attività anche impegnativa ma fatta per piacere o per svago e divertissement è anche il prodotto che ne deriva.
Non potrebbe dunque esistere nome più adatto per il lavoro di Agnese Del Gamba.
Gli ingredienti del suo lavoro e del suo brand sono l’estro, la creatività e l’abilità delle sue mani: da questo mix nascono i suoi Divertissement, oggetti da indossare o fatti per arredare.
Agnese idea e costruisce bracciali, anelli, collane, orecchini, cerchietti per capelli e fascinator ma anche lampadari, talvolta su ordinazione: in ogni sua creazione, filati e tessuti di pregio, bottoni e passamaneria di antiquariato prendono vita in modo sempre diverso e suggestivo sposando materiali di riciclo come il PET, ovvero il materiale del quale sono fatte le bottiglie che usiamo e che la maggior parte di noi butta, senza pensarci due volte, nei rifiuti (spero almeno differenziati).
Il suo Divertissement è un piccolo piacere, un oggetto unico nella forma e nel materiale: cose che avrebbero terminato il loro ciclo vitale – accantonate e talvolta bollate come inutili, la peggiore onta nella società moderna – assumono una nuova dignità e una nuova funzione.
A mio avviso, c’è grande poesia nel saper creare oggetti capaci di innalzare il morale e di riempire di letizia la nostra vita partendo da cose umili, semplici, antiche oppure scartate. E mi piace il fatto che Agnese onori in pieno il nome che ha scelto per il suo brand, mi piace che si diverta e che sappia far divertire.
Come accennavo, lavora anche su ordinazione e per me ha pensato a un tocco di Toscana (la sua regione) e ai prati, ricordando quelli della sua infanzia.
È nata così una parure che porta il mio nome, Emanuela, composta da collana e anello – quelli che vedete qui sopra. La collana è un prato con papaveri e fiordaliso, con la base in plexiglas, francobolli di antiquariato e piccole murrine: i fiori, molto realistici, sono stati realizzati lavorando il PET. Tra foglie e petali, ci sono perfino una coccinella e una lumachina. L’anello è un papavero che orna graziosamente di rosso la mano.
Quando indosso la mia parure, chiudo gli occhi e vedo Agnese bambina, felice nell’orto del nonno, intenta a osservare piante e fiori.
Ho sempre pensato che il divertimento sia fondamentale: quello firmato Divertissement è intelligente, equilibrato e pieno di garbo.

Manu

Qui trovate la pagina Facebook di Divertissement e qui il profilo Instagram.
Potete trovare Agnese anche alla Fiera Antiquaria di Arezzo, ogni prima domenica del mese e sabato precedente.
E proprio lì, Agnese ha recentemente incontrato Veronika Richterová, artista di origine ceca che crea sculture col PET e che partecipa a mostre in tutto il mondo (le più recenti a Cuba e Taiwan). Indovinate un po’? Veronika si è fermata a osservare il lavoro di Agnese e chissà che presto una delle sue creazioni non finisca nella collezione dell’artista che, oltre alle sue opere, ha raccolto oltre 3.000 oggetti in plastica da 76 paesi diversi (se siete curiosi, date un occhio qui e qui).

Se proviamo a mettere i sogni nel cappello

Supponete che qualcuno voglia fare una piccola ricerca qui sul mio blog allo scopo di verificare quali siano le parole più usate.

Sono pronta a fare una scommessa sulle prime tre: credo sarebbero talento, passione, condivisione.

Talento perché ne parlo spesso e perché amo tutte le sue possibili declinazioni e manifestazioni; passione perché credo che sia il sentimento che dovrebbe governare le nostre vite, perché credo che dovremmo amare ciò che facciamo e perché credo che essa sia un grande potere, uno strumento invincibile; condivisione perché mi piace che talento e passione circolino.

Il post che state leggendo contiene tutti e tre questi elementi e racconta un evento che mi sta molto a cuore: da domani, venerdì 1° maggio, fino a domenica 3 maggio, si terrà ad Arezzo la mostra I sogni nel Cappello, una vetrina nella quale saranno protagonisti i lavori di una trentina di creativi che provengono da tutta Italia e che gravitano attorno al mondo del cappello.

Desidero spiegarvi come questa bella mostra contenga tutte e tre le parole magiche di cui sopra. Leggi tutto

Della Toscana e del perché Firenze mi abbia fatto piangere

Questo è un post fatto solo di emozioni e sensazioni.

Non parla né di abiti né di altri orpelli modaioli. Si nutre solo di immagini e di tre riflessioni che ho fatto lo scorso week-end, durante una breve fuga in Toscana con Enrico, l’amore della mia vita.

La prima considerazione è legata a una docente della quale sono stata allieva in IED. Vi spiego: un giorno a lezione disse una cosa che mi colpì molto, ovvero che chi si interessa di moda deve essere ricettivo e aprirsi a 360 gradi, senza riserve e senza preconcetti. Come un vaso vuoto da riempire, aggiunse. Non si sa mai da dove arriverà lo stimolo giusto, a volte dalle cose più impensate: ciò che vedo oggi e che non riesco a collocare potrebbe diventare qualcosa di concreto domani o tra un mese. Mi capita di inseguire un’idea per settimane e poi di vederla concretizzarsi in un attimo grazie a uno spunto improvviso che avevo immagazzinato tempo prima. Ecco perché mi piace collezionare immagini che apparentemente nulla hanno a che fare con la moda: in realtà, tutto torna. Ed ecco perché ho passato una mattinata a fotografare bambole e giocattoli: a parte che – secondo me – hanno una loro bellezza magnetica, sono anche certa del fatto che un giorno i loro colori e le loro forme mi diranno qualcosa. Serena – la mia docente – aveva proprio ragione. Leggi tutto

Bradley Quinn ospite di Polimoda Textile Day: dialoghi sul futuro

Vi chiedete mai come sarà la moda non nella prossima stagione, ma nel futuro, ovvero come ci vestiremo tra 30 o 40 anni? Io me lo chiedo spesso, con curiosità, una curiosità non tanto legata a quali fogge o a quali abiti saranno in uso, ma piuttosto proprio all’evoluzione che essi avranno. Quand’ero piccina, fantasticavo sui film e sui libri di fantascienza chiedendomi se, da adulta, avrei mai visto cose come il teletrasporto: ora, da adulta, mi chiedo con più realismo come si evolverà il concetto del vestire e quanto esso si integrerà con tecnologia e nuovi materiali. Ad alcune di queste domande ho avuto una parziale risposta settimana scorsa grazie a Bradley Quinn e agli scenari che ha disegnato durante una sua guest lecture in Polimoda.

Polimoda, prestigioso centro di formazione, ha deciso di lanciare una nuova iniziativa: una serie di incontri atti a stimolare il dibattito sulla cultura della moda. E questo, come immaginerete, non poteva che attirare immediatamente la mia attenzione.

In ogni giornata verranno coinvolti personaggi, aziende, docenti e studenti e le tematiche saranno molto varie: dai tessuti ai colori, dalla scrittura alla fotografia, dall’illustrazione ai video. Questi eventi forniranno dunque una testimonianza diretta sulle ultime tendenze del settore ed anche un approccio pratico al mondo del lavoro. Leggi tutto

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