The Fashion Experience Milano, conoscere la verità su ciò che indossiamo

Recentemente, dopo aver visto “Fashion Victims”, il docu-film girato da Chiara K. Cattaneo e Alessandro Brasile e proiettato a Milano grazie all’organizzazione Fashion Revolution, ho deciso di farmi carico di un impegno ben preciso.

Il documentario è ambientato nel Tamil Nadu, ovvero uno dei 29 stati che compongono l’India: questo stato si trova nel sud del Paese e qui milioni di adolescenti e di giovani donne lavorano nell’industria tessile, dalla filatura alla tessitura del cotone fino alla confezione di capi di abbigliamento, per il mercato locale e internazionale.

Mentre guardavo quelle giovanissime donne che vivono in condizioni di quasi schiavitù (in realtà poco più che bambine e alcune della stessa età di mia nipote, 11 anni), ho sentito che il torrente che cercavo da tempo e in qualche modo di arginare si è trasformato in un fiume in piena: purtroppo, nella moda che tanto amo (e nel sistema moda del quale sono membro in qualità di editor e docente di editoria) c’è un evidente problema che fa diventare incubo ciò che dovrebbe essere sogno.
Ed è un incubo per quelle ragazze, certo, ma anche per tutti coloro che – come me – credono nella moda come in qualcosa che va o che dovrebbe andare oltre il profitto e che invece causa sofferenza e, in alcuni casi, addirittura morte.

Dalla dolorosa esperienza della visione di “Fashion Victims” è nato un lungo post pubblicato qui nel blog (non il mio primo su tale argomento ma sicuramente il più deciso finora): visto che è un argomento al quale tengo molto e sul quale non ho alcuna intenzione di arrendermi, ho preso l’impegno con me stessa e con chi mi fa il dono di leggere ciò che scrivo di continuare a parlare di etica e sostenibilità in ambito moda.

Ringrazio pertanto ADL Mag (il magazine della scuola in cui insegno) e soprattutto Barbara Sordi, la nostra direttrice, per avermi dato l’opportunità di parlare nuovamente del documentario e di Fashion Revolution in un secondo articolo, con una sfaccettatura diversa rispetto a quanto avessi appunto già fatto qui nel blog e un taglio meno emozionale ma spero altrettanto deciso e incisivo.

Oggi torno nuovamente a parlare di moda etica e sostenibile grazie a Mani Tese: dal 21 al 30 giugno a Milano, la ONG (organizzazione non governativa) che da oltre 50 anni si batte per la giustizia nel mondo offre a noi tutti l’opportunità di partecipare a THE FASHION EXPERIENCE, un’esperienza interattiva che ci permette di scoprire ciò che si nasconde dietro gli indumenti che indossiamo tutti i giorni.

«L’obiettivo di THE FASHION EXPERIENCE è quello di diffondere la consapevolezza sui rischi sociali e ambientali della cosiddetta Fast Fashion – dichiara Giosuè De Salvo, Responsabile Advocacy, Educazione e Campagne di Mani Tese – promuovendo modelli o processi d’impresa che siano in grado di assicurare, da una parte, il rispetto dei diritti delle persone che lavorano lungo la filiera globale dell’abbigliamento e, dall’altra, di proteggere risorse naturali fondamentali quali fiumi, mari e terre fertili.»

«Come Mani Tese – continua De Salvo – siamo da tempo impegnati nel superamento del business as usual attraverso il programma Made in Justice che mira a mettere i diritti umani e l’ambiente al centro della governance delle imprese e delle scelte dei consumatori.»

THE FASHION EXPERIENCE è un’iniziativa co-organizzata con il Comune di Milano e rientra nell’ambito del progetto “New Business for Good – Educare, informare e collaborare per un nuovo modo di fare impresa” promosso da Mani Tese in collaborazione con altri partner e co-finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.

THE FASHION EXPERIENCE – che ha come sottotitolo La verità su quello che indossi – si concretizza in un’installazione multimediale a ingresso libero collocata appunto a Milano, precisamente in Piazza XXIV Maggio, dal 21 al 30 giugno (dalle ore 10 alle 22): è aperta a tutti e racconta, attraverso un percorso ad alto impatto emotivo, le conseguenze sociali e ambientali legate alla filiera produttiva dell’abbigliamento.

I volontari e le volontarie di Mani Tese accompagnano i visitatori all’interno di una struttura che si snoda in tre differenti ambienti (tre grandi dome, ovvero strutture a pianta circolare) alla scoperta del mondo che spesso si cela dietro un capo d’abbigliamento o un accessorio.

Probabilmente, esattamente com’è capitato a me in questi giorni e se siete di Milano, avete anche voi avuto modo di notare i cartelloni in giro per la città, raffiguranti i tre soggetti della campagna di lancio di THE FASHION EXPERIENCE, una compagna che gioca sul contrasto fra lo slogan (ovvero un hashtag con espressioni tipicamente legate al mondo della moda) e un’immagine tutt’altro che fashion e che rimanda invece a una situazione di sfruttamento lavorativo nell’ambito della produzione tessile – esattamente come raccontato dal documentario “Fashion Victims”.

Gli hashtag sono #blackfriday, #preordernow e #fashionstyle: per illustrare questo post, ho scelto il manifesto con quest’ultima espressione ed è così che vi invito a partecipare a questa esperienza interattiva.

Amo la moda come forma espressiva e comunicativa e come qualcosa che deve veicolare sogni e fantasia – non incubi: se la pensate come me, proviamo a chiedere alle aziende, con sempre maggiore insistenza e convinzione. che producano capi rispettando le persone e l’ambiente.

Abbiamo molti strumenti nelle nostre mani (ne ho parlato anche nel post già menzionato in principio) e sono convinta che uno di questi sia fare sentire la nostra voce ed essere non più semplici consumatori bensì persone che scelgono e acquistano in modo consapevole e informato.

Per produrre un singolo paio di jeans – capo scelto per la sua ampia diffusione nella popolazione di ogni età e provenienza – è necessario impiegare in media 3.800 litri d’acqua (e ogni anno vengono prodotti 3 miliardi e mezzo di paia di jeans); si stima che in tutto il mondo (e non solo nel Tamil Nadu) siano 152 milioni i bambini costretti a lavorare, 73 milioni di questi alle prese con lavori pericolosi; è ormai noto che nell’industria dell’abbigliamento i casi di sfruttamento riguardano tutta la filiera, dalla raccolta nei campi di cotone fino al confezionamento nei laboratori artigianali e nelle grandi fabbriche; i bambini possono lavorare fino a 12 ore al giorno, nella speranza di guadagnare, una volta che saranno adulti, uno stipendio medio che non supera i 200 dollari al mese.

Queste sono alcune delle dolorose e scomode verità su ciò che indossiamo e che non riguardano solo l’ambito fast fashion, ci tengo a precisarlo; è davanti a questi numeri impressionanti che non possiamo più tacere e che dobbiamo chiedere a gran voce un cambiamento, ricordando che il 2030 è l’anno fissato dalle Nazioni Unite per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, tra cui quelli di dimezzare la povertà, eliminare la fame ed evitare la catastrofe climatica.

Sta a noi scegliere.

Manu

 

 

Per conoscere meglio il lavoro, le sfide e l’impegno della ONG Mani Tese oltre THE FASHION EXPERIENCE: qui trovate il sito e qui la pagina Facebook.

 

 

 

 

 

A glittering woman è anche su Facebook | Twitter | Instagram

 

Sharing is caring: se vi va, qui sotto trovate alcuni pulsanti di condivisione

 

 

 

 

 

Spread the love

Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

Glittering comments

Florisa Sciannamea
Reply

Cara Manu hai toccato un argomento che sta a cuore moltissimo anche a me. Io ho abbandonato come ben sai il mio ruolo di designer e l’ho fatto consapevolmente alcuni anni fa per i gravi e grandi conflitti etici fra me e le aziende con cui collaboravo da tempo. Già venti anni or sono avevo ideato e messo a punto una collezione sposa e donna utilizzando tessuti “poveri e naturali” sfruttando solo il mio spirito “romanico”. Rendere preziosa una materia umile attraverso il lavoro e la creatività. In seguito ho approfondito la mia ricerca e , inconsapevolmente e senza cavalcare l’onda del green fashion (ora per fortuna più visibile), ho contattato aziende tessili che utilizzavano solo prodotti biologici e ecologici per la tessitura. Ho così creato collezioni con lini organici, bambù, ramiè, scarti di mallo di noce, fibra di banano, filati realizzati con la caseina ecc ecc . Creare abiti da sposa con questi materiali non è stato facile, ma i risultati sono stati buoni. Il problema è stato purtroppo nel prezzo: questi materiali hanno un costo superiore a quelli che inquinano e sporcano il pianeta. Purtroppo per questo motivo ai clienti e soprattutto alle aziende, non è importato più di tanto il concetto della sostenibilità, ma solo dello sporco denaro. A questo si è aggiunto il mio rifiuto di utilizzare ricami provenienti dai paesi come l’India dove , per applicare conterie microscopiche, vengono “utilizzate” bambine le cui manine sono adatte a manipolare la minuteria piccolissima. E fu proprio un tessitore di Livorno (uno dei più famosi nell’ambito della produzione di tessuti e ricami meravigliosi) a “portarmi ” in India attraverso un video da lui girato all’interno di uno scantinato dove decine di bambini ricamavano tessuti per lui. Da quel momento la mia prospettiva nei riguardi di ciò che proviene da quel paese , ma anche da altri del terzo mondo, è cambiata. Purtroppo non quella delle aziende. Il conflitto a quel punto è stato insormontabile e così ho chiuso con uno degli amori più grandi della mia vita. Come docente invece continuo la mia opera di catechizzazione degli studenti . Li informo , li formo, li conduco a conoscere ciò che viene nascosto . Devo ammettere che i ragazzi sono molto sensibili . E’ così forte e consapevole la mia decisione e posizione nei confronti dello sfruttamento soprattutto minorile, che non ho potuto non scrivere una favola a tale proposito. Fa parte del mio ultimo libro.te la invio e-mail. Facciamo parte di un piccolo esercito di “capovolti” , ci vorrà tempo, ma ce la faremo. Un abbraccio grandissimo

Manu
Reply

Amica Mia Amatissima,
Devo farti una confessione.
Per ogni nuovo commento lasciato nel blog, a me arriva una notifica via e-mail; dunque, anche se in quel lomento o in quei giorni non ho (purtroppo!) il tempo di entrare nell’area di amministrazione del sito, leggo comunque il commento in anteprima.
E così ho letto queste tue parole (intense e dolorosissime) nonché il riferimento alla favola che avevi scritto e che mi avresti spedito e così, incapace di attendere anche un solo istante (sai quanto io ami tutto ciò che scrivi), sono subito andata a leggere l’altro tuo messaggio e a scaricare la favola.
L’ho letta, tutta d’un fiato, anche se parola dopo parola diventavo sempre più triste.
Anche se, parola dopo parola, i miei occhi si riempivano di lacrime.
Anche se, parola dopo parola, mi vergognavo profondamente di essere parte di un meccanismo immenso che fa sì che esistano bambine come Samantha e Sharmila che sono due “vittime” in modi diversi. Perché la verità è che l’infanzia si può violare, negare e non rispettare in tanti modi; obbligando un bambino a lavorare in uno scantinato senza riconoscergli alcuna possibilità di un futuro migliore ma anche trascurandolo e “ricompensandolo” con doni materiali negandogli invece tempo e attenzione.
Attraverso la tua favola, ho sentito forte il dolore per tutti i bambini, per tutte le Samantha e le Sharmila alle quali, in un modo o nell’altro, noi tutti stiamo negando l’infanzia e/o stiamo rubando il futuro.
Certo, ognuno di noi ha gradi di responsabilità diversa in tutto ciò, ma io realizzato da un po’ che, se veramente vogliamo fare qualcosa di concreto per contribuire a cambiare questa situazione terribile e orribile, il primo passo è accettare il proprio fardello e la propria parte di colpe: nessuno di noi è innocente, purtroppo, anche se la nostra colpa non è rinchiudere un bambino in uno scantinato ma “solo” comprare un prodotto. Il problema è che comprando quel prodotto contribuiamo a tenere quel bambino in quello scantinato.
Questo pensiero è orrendo, lo so, ma è ora che tutti quanti apriamo gli occhi davanti a realtà e verità.
Non possiamo più trincerarci dietro l’ignoranza intesa come ignorare, non sapere: oggigiorno non è più ammissibile perché gli strumenti per giungere alla consapevolezza esistono e sono accessibili a tutti.
Dunque consapevolezza, vergogna e tristezza sono il primo passo necessario: ovviamente, non sono affatto sufficienti e bisogna andare ben oltre.
Già da un bel po’, io mi vergogno di me stessa, lo ripeto, mi vergogno di fare parte di un ingranaggio che fa sì che stiamo consegnando un mondo orribile alle nuove generazioni: me ne vergogno come essere umano, come membro dell’umana società e come professionista che si muove nell’ambito di moda e comunicazione.
E già da un po’ sto cercando di sfruttare proprio quella parte professionale di me lavorando per diffondere ciò di cui sono diventata conscia e consapevole.
Non lo faccio per scaricarmi la coscienza: lo faccio perché desidero veramente fare la mia parte attiva per camminare verso il cambiamento.
Lo faccio attraverso il blog e attraverso il social; lo faccio cercando di lavorare su me stessa cambiano tante mie abitudini e atteggiamenti.
Non sono perfetta e commetto tanti errori ma voglio arrivare al giorno in cui potrò non vergognarmi più di me stessa e non lo voglio fare perché devo far tacere la mia coscienza e stare meglio, ribadisco anche questo, ma perché il pensiero di tutte le Samantha e le Sharmila mi toglie la gioia di vivere e perché – soprattutto – voglio che la gioia di vivere sia la loro, sia parte di loro, appartenga a loro.
Io voglio che i bambini, tutti i bambini, tornino a essere felici e spensierati; voglio che non anneghino tra impegni creati ad arte perché se ne stiano buoni e non ci “disturbino” né voglio che muoiano di paura e stenti tra topi e scarafaggi rinchiusi in scantinati bui in nessuna parte del mondo.
Stiamo facendo qualcosa di terribile e se non la smettiamo non ci sarà nessun dio al quale chiedere perdono. Perché non avremo nessun futuro.

Grazie per la favola, Florisa.
Spero solo che ogni passo che compio sia un passo verso un mio impegno sempre più attivo.

Con tutto il cuore,
Tua Manu (che oggi non si sente Bambina al Luna Park… non ne ho diritto)

Florisa Sciannamea
Reply

cara Manu sono felice che tu abbia scelto di leggere fra le numerose mail e i tanti commenti che sempre con entusiasmo e passione sia io che altri ti inviamo. Grazie per questo .ma soprattutto grazie per avere sollevato il doloroso problema che la moda nasconde dietro passerelle, luci abbaglianti e tanto glamour. E se lo fai tu, persona competente, seria , preparata e appassionata , la speranza che ti possano seguire in dieci, cento , mille e più persone, si trasforma in certezza. Il tuo compito è sempre quello della cacciatrice di tartufi alla ricerca della bellezza, del pifferaio magico che si fa seguire lungo la strada dell’etica (bellezza e etica vanno di pari passo) . Il tuo compito, il nostro compito è questo. Fare sperare nella SPERANZA di un mondo più bello. Ti abbraccio forte forte
PS: non hai ancora ricevuto il mio pacco spedito il 29 agosto?

Manu
Reply

Con emozione, cara Florisa, ti dico GRAZIE.
Grazie per la fiducia, per la stima e per l’indulgenza con le quali guardi a me.
Sappi che farò sempre quanto è in mio potere per meritarmi tutto ciò.
E per quanto io sia conscia dei miei limiti e delle mie mancanze, sapere di godere della fiducia di persone come te (che a mia volta stimo IMMENSAMENTE) mi dà grande carica e mi sprona, facendomi pensare che, con tanto impegno, posso pian piano uscire da quei limiti e da quelle mancanze.
Un grande abbraccio,
Tua Manu
P.S.: pacco ricevuto con grande emozione per tutto ciò che mi hai inviato…

Florisa Sciannamea
Reply

sei una persona speciale e forse non ne sei consapevole , proprio ciò che succede a coloro che sono in possesso di tale peculiarità. I limiti li sposti continuamente con la tua instancabile ricerca , analisi e curiosità. E noi che ti seguiamo con attenzione e passione, li spostiamo con te.
Quindi
GRAZIE Manu… ti voglio bene un sacchissimo

Manu
Reply

Sei il mio talismano di felicità, sei la mia personale portatrice di allegria e stima.
Mi dai carica e gioia e ti ringrazio 😊
Tua Manu

Lascia un commento

Nome*

email* (not published)

website

error: Sii glittering... non copiare :-)