Della Toscana e del perché Firenze mi abbia fatto piangere
Questo è un post fatto solo di emozioni e sensazioni.
Non parla né di abiti né di altri orpelli modaioli. Si nutre solo di immagini e di tre riflessioni che ho fatto lo scorso week-end, durante una breve fuga in Toscana con Enrico, l’amore della mia vita.
La prima considerazione è legata a una docente della quale sono stata allieva in IED. Vi spiego: un giorno a lezione disse una cosa che mi colpì molto, ovvero che chi si interessa di moda deve essere ricettivo e aprirsi a 360 gradi, senza riserve e senza preconcetti. Come un vaso vuoto da riempire, aggiunse. Non si sa mai da dove arriverà lo stimolo giusto, a volte dalle cose più impensate: ciò che vedo oggi e che non riesco a collocare potrebbe diventare qualcosa di concreto domani o tra un mese. Mi capita di inseguire un’idea per settimane e poi di vederla concretizzarsi in un attimo grazie a uno spunto improvviso che avevo immagazzinato tempo prima. Ecco perché mi piace collezionare immagini che apparentemente nulla hanno a che fare con la moda: in realtà, tutto torna. Ed ecco perché ho passato una mattinata a fotografare bambole e giocattoli: a parte che – secondo me – hanno una loro bellezza magnetica, sono anche certa del fatto che un giorno i loro colori e le loro forme mi diranno qualcosa. Serena – la mia docente – aveva proprio ragione.
La seconda considerazione è che la famosa sindrome di Stendhal esiste, eccome, e secondo me ha molte forme: io, per esempio, a Firenze ho pianto. Ebbene sì, nel Duomo di Santa Maria del Fiore, sotto la cupola di Brunelleschi, ho sentito le lacrime che mi bruciavano le palpebre. Non mi vergogno a scriverlo: sono uscita, mi sono seduta su una panchina e lì ho lasciato che le lacrime scendessero. Non so bene perché io abbia avuto questa reazione: forse perché erano troppi anni che non vedevo Firenze, forse perché al mio fianco c’era la persona con la quale sento una comunione sentimentale e intellettuale fortissima, forse perché era tanto tempo che non mi prendevo un paio di giorni di pausa e che non facevo qualcosa per me stessa, forse per il contrasto tra la bellezza assoluta del luogo e la durezza – generale – del periodo. Credo sia stato un mix di tutti questi fattori e sentimenti: fatto sta che ho pianto e che sono felice che sia successo. Emozionarsi fa bene, è liberatorio e fa sentire vivi.
La terza considerazione è figlia della seconda. Mentre gironzolavo per Piazza della Signoria mi sono detta che la domanda da porsi non è perché gli stranieri amino tanto l’Italia: la risposta mi sembra piuttosto evidente. La domanda è perché, circondati da tanta bellezza naturale e artistica, noi italiani non riusciamo a trovar pace.
Vi lascio alle foto che ho scattato, tanti colori, forme e anche sapori che ho collezionato in due giorni: mi piacerebbe che possano trasmettere un briciolo delle emozioni che ho provato.
Manu
Se vi state chiedendo dove io abbia trovato tante bambole, ecco la risposta: in Toscana ci siamo andati per la mostra-concorso “Frammenti di Storia” e, mentre Enrico era impegnato a inseguire una delle sue passioni, quella per i figurini e le miniature storiche, io mi sono persa nelle sale dedicate a bambole e giocattoli.
E ora vi do un consiglio del quale mi sarete grati, ve lo posso assicurare: se non li conoscete già, la prossima volta che siete a Firenze andate a mangiare un panino da I Due Fratellini. Vinattieri dal 1875, aperti tutti i giorni dalle 9, sono un’istituzione per i panini da oltre 70 anni: è un posto minuscolo e non c’è spazio all’interno, si ordina il panino e si mangia per strada.
C’è sempre coda ma ne vale la pena: i panini costano davvero poco e sono buonissimi. Una curiosità: fuori ci sono un paio di bacheche in legno con alcuni ripiani contraddistinti da un numero. A cosa servono? Ad appoggiare il vostro bicchiere senza confonderlo con quello degli altri.
Trovate I Due Fratellini in via dei Cimatori 38: è facilissimo, se vi lasciate Piazza della Signoria alle spalle e imboccate via dei Calzaioli, è la prima via sulla destra. Qui trovate la pagina Facebook o se preferite questo è il telefono: 055 2396096.
Grazie a Irene e Paolo per la dritta 🙂
Se volete saperne di più di Clet Abraham: qui la sua pagina Facebook e qui il suo Instagram.
Manu
Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.