Frida Kahlo Oltre il Mito: vi racconto perché «la vita comincia domani»

«In un museo si entra solo tre volte nell’arco di una vita.
Da bambini, da genitori e da nonni.»

Lo so, può sembrare un po’ bizzarro iniziare così un nuovo post e lo è ancora di più se pensate che sto per parlarvi di una mostra – quella dedicata a Frida Kahlo, una delle donne e delle artiste che più amo in assoluto – che è stata appena inaugurata al Mudec, il Museo delle Culture di Milano.

Vi sembrerà forse ancora più bizzarro se aggiungo che questo vecchio detto è stato citato da Filippo Del Corno, Assessore alla Cultura, in occasione della conferenza stampa alla quale sono stata invitata mercoledì 31 gennaio: anch’io, per un istante, sono rimasta perplessa, poi ho sorriso e ho annotato le parole sul frontespizio della cartella che mi era stata consegnata, certa che le avrei usate proprio come incipit del post che avevo intenzione di scrivere (et voilà).

Perché le parole che potrebbero sembrare un autogol – da parte dell’Assessore nel citarle e da parte mia nel riportarle fedelmente – sono in realtà perfette per evidenziare la differenza del Mudec rispetto ad altre realtà museali, ovvero la capacità di confermarsi come luogo amato nel quale si torna più e più volte poiché è in grado di instaurare un dialogo sempre vivo con noi visitatori.

Per chi non lo conoscesse, mi fa piacere segnalare che il progetto del Museo delle Culture ha avuto origine negli anni Novanta del Novecento, il secolo che ci siamo da poco lasciati alle spalle, quando il Comune di Milano ha acquistato una ex zona industriale (quella dell’Ansaldo) per destinarla ad attività culturali: gli spazi dismessi sono stati trasformati in laboratori, studi e spazi creativi e, in questo scenario, è stato progettato un polo multidisciplinare dedicato alle diverse testimonianze e culture del mondo.

Il Mudec (che io amo molto e che qui e qui vedete in un paio di miei scatti realizzati proprio mercoledì scorso) è nato dunque con una forte vocazione interculturale e multidisciplinare: è un luogo d’incontro fra le culture e le comunità e alimenta un costante dialogo tra ricerca scientifica, testimonianza storica, interpretazione della contemporaneità e visione sul futuro attraverso mostre incentrate sulle arti visive, performative e sonore nonché sul design e sul costume.

Dimostrandosi ancora una volta fedele a questa sua vocazione, il Mudec ha inaugurato la mostra Frida Kahlo – Oltre il mito che sarà aperta fino al 3 giugno 2018: fedele anche alla volontà di raccontare le culture di riferimento riuscendo a contestualizzare le proprie mostre a tutto tondo, il museo affianca all’esposizione principale una sezione intitolata Il sogno degli antenati – L’archeologia del Messico nell’immaginario di Frida Kahlo.

La mostra-evento sull’artista messicana più famosa e acclamata al mondo è frutto di sei anni di studi e ricerche: si propone di delineare una nuova chiave di lettura attorno alla figura di Frida Kahlo, presentando inediti e sorprendenti materiali d’archivio.

La mostra riunisce infatti in un’unica sede espositiva – per la prima volta in Italia e dopo quindici anni dall’ultima a livello mondiale – tutte le opere provenienti dal Museo Dolores Olmedo di Città del Messico e dalla Jacques and Natasha Gelman Collection, le due più importanti e ampie collezioni di Frida Kahlo al mondo, con la partecipazione di autorevoli musei internazionali che hanno prestato alcuni capolavori mai visti nel nostro Paese.

Dalla mostra <em>Frida Kahlo – Oltre il Mito</em> (photo credit Carlotta Coppo, courtesy Mudec)
Dalla mostra Frida Kahlo – Oltre il Mito (photo credit Carlotta Coppo, courtesy Mudec)

Curata da Diego Sileo, teorico e storico d’arte, la mostra Frida Kahlo – Oltre il mito comprende più di cento opere tra dipinti (una cinquantina), disegni e fotografie.

«Per quanto possa sembrare paradossale, è proprio il gran numero di eventi espositivi dedicati a Frida Kahlo che ha portato a ideare questo nuovo progetto perché – contrariamente a quanto appare – la leggenda che si è creata attorno alla vita dell’artista è spesso servita solo ad offuscare l’effettiva conoscenza della sua poetica.»

Così racconta Diego Sileo spiegando in modo chiaro la differenza tra questa e altre mostre: secondo il curatore, finora, molti eventi su Frida Kahlo si sono limitati ad analizzare, con una certa morbosità, i suoi oscuri traumi familiari, la sua tormentata relazione con Diego Rivera, il suo desiderio frustrato di essere madre, la sua tragica lotta contro la malattia.

«Nel migliore dei casi – continua Sileo – la sua pittura è stata interpretata come un semplice riflesso delle sue vicissitudini personali o, nell’ambito di una sorta di psicoanalisi amatoriale, come un sintomo dei suoi conflitti e disequilibri interni. L’opera si è vista quindi radicalmente rimpiazzata dalla vita e l’artista irrimediabilmente ingoiata dal mito.»

A mio umile avviso, Sileo ha ragione.

Frida Kahlo – Oltre il mito si pone invece l’obiettivo di andare oltre tale visione fin troppo semplicistica della relazione tra la vita e l’opera dell’artista messicana, dimostrando che per un’analisi seria e approfondita della sua poetica è necessario spingersi al di là degli angusti limiti di una biografia anche troppo abusata, è necessario andare oltre quel mito consolidato e alimentato dalle mode degli ultimi decenni.

La mostra del Mudec vuole evidenziare come Frida Kahlo nasconda ancora molti segreti e racconta nuove chiavi di lettura della sua produzione: lo fa attraverso fonti e documenti inediti svelati nel 2007 dall’archivio ritrovato di Casa Azul (dimora dell’artista a Città del Messico) e attraverso altri importanti archivi presenti per la prima volta con materiali sorprendenti.

Non solo: dalle indagini realizzate in Messico dal curatore, sono emersi alcuni temi che sono stati sviluppati – l’espressione della sofferenza esistenziale, la ricerca della realizzazione di sé, l’affermazione della messicanità, l’opposizione alla dialettica patriarcale, la leggendaria capacità di resilienza – e che permettono a noi visitatori di percepire la coerenza profonda che esiste, molto più in là delle sue apparenti contraddizioni, nell’opera di Frida Kahlo.

Dalla mostra <em>Frida Kahlo – Oltre il Mito</em> (photo credit Carlotta Coppo, courtesy Mudec)
Dalla mostra Frida Kahlo – Oltre il Mito (photo credit Carlotta Coppo, courtesy Mudec)

I temi identificati da Diego Sileo si riflettono anche nel progetto d’allestimento della mostra che si sviluppa – secondo un criterio non cronologico bensì analitico – attraverso quattro sezioni capaci di raccontare al meglio l’opera di Frida Kahlo.

La prima sezione si chiama Donna: Frida è stata la prima artista donna a fare del proprio corpo un manifesto, a esporre la propria femminilità in maniera diretta, esplicita e, a volte, violenta, rivoluzionando irrevocabilmente il ruolo femminile nella storia dell’arte.

La seconda sezione si intitola Terra perché la Kahlo si è sempre identificata con la Terra e nella sua opera ha gradualmente sviluppato un interesse nuovo per gli elementi della Natura.

La sezione chiamata Politica racconta invece come tutta l’opera dell’artista sia di natura irriducibilmente politica, tanto che le sue immagini si fanno veicolo della resistenza sociale.

Infine, Dolore – la quarta e ultima sezione, qui trovate alcuni dei dipinti – racconta come l’arte di Frida, marcata da una qualità pittorica potente ed espressiva e da una violenza dell’immagine, sfoci inevitabilmente in una vera iconografia del dolore.

Come accennavo in principio, parte integrante del percorso è infine la sezione Il sogno degli antenati – L’archeologia del Messico nell’immaginario di Frida Kahlo.

Nata da un progetto di ricerca curato da Davide Domenici e Carolina Orsini, questa parte è in perfetto dialogo con la mostra.

L’esposizione rappresenta un articolato racconto fatto di oggetti archeologici ed etnografici messicani della collezione permanente del Mudec, foto storiche e immagini di opere di Frida Kahlo: tutto ciò mostra come il mondo indigeno e il passato precolombiano abbiano costituito elementi fondanti della pratica artistica della pittrice messicana.

Dalla mostra <em>Frida Kahlo – Oltre il Mito</em> (photo credit Carlotta Coppo, courtesy Mudec)
Dalla mostra Frida Kahlo – Oltre il Mito (photo credit Carlotta Coppo, courtesy Mudec)

A questo punto, però, desidero condividere i 5 motivi per i quali la mostra Frida Kahlo – Oltre il mito mi piace tanto, per i quali la supporto e la raccomando con calore, per i quali mi sono emozionata più volte durante la visita.

Ve lo dimostrerò a parole e anche attraverso le foto che ho scattato mercoledì 31 gennaio e che vado a inserire qui o che condivido dal mio account Instagram.

Il primo motivo (fondamentale, direi) è che posso affermare con convinzione che Diego Sileo è riuscito appieno nel suo intento.
Straordinaria figura di donna ormai entrata nell’immaginario collettivo per il suo aspetto iconico, la vita travagliata e l’aurea esotica, Frida Kahlo è anche – e soprattutto – una grande pittrice e la mostra riesce a liberarla dai limiti castranti della sua stessa biografia e del mito, restituendole il ruolo che merita all’interno della storia dell’arte.
Dipinti a olio, disegni, acquerelli, lettere e fotografie esplorano la complessa matrice storica e culturale dell’opera di Frida, analizzandone l’esplicito realismo ma anche l’inquietante ambiguità, i contenuti drammatici ma anche la sapiente ironia, l’esuberante sensualità delle nature morte ma anche l’irriducibile natura politica, l’uso spregiudicato del corpo insieme all’estetica macabra e talvolta violenta ma anche l’interazione con l’ambiente naturale del Messico del primo Novecento.

Il secondo motivo potrebbe sembrare un paradosso, considerato quanto ho appena affermato, ma in realtà non lo è: proprio perché la mostra riesce nell’operazione di pulizia, la personalità di Frida emerge ancora più chiara e forte andando a motivare alla perfezione tutta la sua opera.
Un esempio pratico? Durante la conferenza stampa, Diego Sileo ha attirato l’attenzione della platea su un disegno di Frida: lo vedete qui sotto, è di piccolo formato ed è diverso da molte delle opere (coloratissime e magnetiche) della grande pittrice; magari sfuggirà a molti occhi, eppure è estremamente significativo, rappresentativo e contiene un messaggio molto forte rispetto al modo in cui Frida concepiva sé stessa.
Il disegno è come una sorta di radiografia: ben oltre gli abiti con cui siamo abituati a identificarla e che diventano trasparenti, l’artista ci mostra il suo corpo martoriato con la scritta Las aparencias engañan, ovvero le apparenze ingannano.
Non credo serva aggiungere altro se non un caloroso invito a cercare questo disegno e a lasciarvi travolgere dalla sua forza comunicativa: non mi vergogno a dirvi che ho pianto – una delle tre occasioni in cui l’ho fatto.

Il terzo motivo è la straordinaria ricchezza della mostra: tra i miei quadri preferiti, vi segnalo Radici (datato 1943, qui), L’abbraccio d’amore dell’universo, la terra (Messico), io, Diego e il signor Xólotl (datato 1949, qui), La colonna spezzata (datato 1944, qui), Autoritratto alla frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti (datato 1932, qui), Autoritratto con scimmia (datato 1938, qui).

In queste due mie foto, ci sono le emozioni più grandi provate in occasione della visita della mostra <em>Frida Kahlo – Oltre il mito:</em> sopra, il disegno intitolato <em>Las aparencias engañan</em> in cui Frida rappresenta sé stessa oltre le apparenze; sotto, la sua lettera con la frase <em>La vida comienza mañana, la vita comincia domani.</em>
In queste due mie foto, ci sono le emozioni più grandi provate in occasione della visita della mostra Frida Kahlo – Oltre il mito: sopra, il disegno intitolato Las aparencias engañan in cui Frida rappresenta sé stessa oltre le apparenze; sotto, la sua lettera con la frase La vida comienza mañana, la vita comincia domani.

Il quarto motivo è la lucidità e l’obiettività con la quale viene raccontato il grande amore tra Frida Kahlo e Diego Rivera, senza finzione da romanzo, tra luci e ombre, tra gioia e dramma: un rapporto romantico e a volte crudele, assoluto e totalizzante, sempre appassionato eppure colmo di contraddizioni.
I dipinti (qui e qui), le foto (qui e qui), il filmato, la canzone che risuona in una delle sale (trovate in fondo i dettagli ed è un’altra delle occasioni in cui mi sono commossa): tutto contribuisce a dare la dimensione di un amore tanto grande da essere capace di segnare profondamente il destino di Frida che arrivò a scrivere «ho subito due gravi incidenti nella mia vita… il primo è stato quando un tram mi ha travolto e il secondo è stato Diego».

Il quinto motivo viene per ultimo ma è importante almeno quanto gli altri: Frida è uno straordinario esempio di resilienza e di amore per la vita – nonostante tutto e perfino in antitesi con ciò che molti potrebbero pensare osservando distrattamente i suoi quadri che, pur offrendo una visione forte e a volte dolorosa e disincantata, lo fanno però in modo anche molto ironico.
Ancora una volta, è stato Diego Sileo a offrire il miglior esempio della capacità di resilienza di Frida: il 17 settembre 1925, a soli 18 anni, la ragazza è vittima di un incidente causato dallo scontro tra un tram e l’autobus sul quale viaggiava.
Ne esce gravemente ferita: passa un mese in ospedale, è costretta all’immobilità totale e le complicazioni dell’incidente rendono necessaria l’applicazione di una protesi alla gamba e di un busto per sostenerle la colonna vertebrale.
La mostra comprende documenti e lettere originali che svelano la grafia di Frida in un flusso talvolta spezzato da correzioni e ripensamenti, ma anche da piccoli schizzi con cui la grande artista completava le proprie missive: in una lettera che risale al periodo dopo l’incidente e che trovate qui sopra, Frida scrive le parole La vida comienza mañana, aggiungendo un piccolo ritratto scherzoso di sé.

La vita comincia domani.

Scrive così, Frida, a soli 18 anni, bloccata in un letto, con dolori e conseguenze che porterà con sé per tutta la vita ma con la speranza e la forza di chi ama la vita più di tutto.

Credo non sia necessario specificare che questa è stata l’occasione in cui mi sono maggiormente commossa, tanto da decidere di usare queste parole come titolo.

Grazie Frida.

Grazie Diego.

Perché è vero, le apparenze ingannano e la vita comincia domani. Sempre.

E voi, se potete, andate a vedere la mostra.

(E cercate la lettera e il disegno, sono all’inizio del percorso).

Manu

 

 

 

Mostra
FRIDA KAHLO – Oltre il mito

Mudec – Museo delle Culture
Via Tortona 56, Milano

Dal 1° febbraio al 3 giugno 2018

Orari
Lunedì 14.30 – 19.30
Martedì – mercoledì 9.30 – 19.30
Giovedì – venerdì – sabato 9.30 – 22.30
Domenica 9.30 – 20.30

Ingresso singolo intero € 13 – tutte le riduzioni sull’apposita pagina del sito

Qui trovate il sito del Mudec, qui la pagina Facebook, qui l’account Twitter e qui quello Instagram

Le quattro sezioni della mostra: Donna, Terra, Politica e Dolore

DONNA
Frida Kahlo è stata la prima artista donna a fare del proprio corpo un manifesto, a esporre la propria femminilità in maniera diretta, esplicita e, a volte, violenta, rivoluzionando irrevocabilmente il ruolo femminile nella storia dell’arte. In molte delle sue opere, Frida Kahlo si focalizza sulla condizione della donna e sul corpo dell’artista stessa, che diventa indizio, segno e gesto attraverso il quale confrontarsi con tematiche attinenti ai miti sgretolati della tradizione pre-ispanica, all’identità di genere e a una femminilità dissolta nella sfera pubblica. Il corpo di Frida Kahlo immolato sotto gli sguardi impietosi del pubblico è, allo stesso tempo, un corpo irrimediabilmente sacrificale e politico, un corpo che reagisce e rivendica, più in generale, un ruolo di uguaglianza. I suoi autoritratti e i ritratti diventano segno poetico trasposto dall’artista in strategie estetiche che mirano a sottolineare la fragilità, la sofferenza e la poderosa emotività del genere umano. Il corpo per Frida Kahlo è in sé una scrittura, un sistema di segni che rappresentano, traducono la ricerca indefinita dell’uomo, le sue paure, le sue ansie, i suoi desideri inconsci, le sue relazioni con il tempo inteso però come entità indefinita, senza inizio e senza fine. Attraverso la ritrattistica, l’artista ricostituisce tra il soggetto rappresentato e gli altri una sorta di situazione neo-natale, dove si accoglie il linguaggio gestuale nel corpo. Si delinea così un suo caratteristico linguaggio del corpo attraverso una serie di lavori rivolti al pubblico e nei quali Frida Kahlo cerca di toccare la profondità dell’essere umano attraverso dispositivi di sofferenza e di privazione.

TERRA
Frida Kahlo si è sempre identificata con la sua Terra e nella sua opera ha gradualmente sviluppato un interesse nuovo per gli elementi della natura, stabilendo, per il tramite di questi ultimi, una serie di relazioni, contraddistinte dall’interazione simbolica e simbiotica tra la somatica ed il paesaggio naturale. È questo particolare aspetto della ricerca di Frida Kahlo ad aver maggiormente influenzato intere generazioni di artiste, non solo latinoamericane, le quali hanno sviluppato e mantenuto una relazione osmotica con l’elemento organico, caratteristica intrinseca dell’opera di Frida. L’artista non sembra erigere alcuna barriera né personale né culturale tra sé e la Madre Terra né interporre alcun confine interiore o sociale: essa è allo stesso tempo mito e concretezza, immagine archetipica e fonte di sussistenza materiale di tutti gli Esseri. Nella poetica di Frida Kahlo, la Terra ha anche una connotazione politica: rappresenta la tomba e la decomposizione e appare associata all’inevitabile destino della disintegrazione, tramite il processo della dissoluzione fisica. Il suo compromesso con il luogo e con il processo di evoluzione e trasformazione a esso legato è un modo di dare testimonianza a una vita fatta di un’intensità costante e che sempre ha comportato un rischio, un’eccezione alla regola, una condizione di esclusione, uno stare incomodo nel mondo.

POLITICA
Tutta l’opera di Frida Kahlo è di natura irriducibilmente politica: le immagini si fanno veicolo della resistenza sociale e dell’opposizione senza, tuttavia, mai ricorrere alla mera retorica dell’ideologia. Da questo punto di vista, nell’arte di Frida Kahlo, l’approccio impegnato diventa tensione incarnata ed energia vibrante e viene tradotto in un linguaggio visivo, spesso simbolico, che allude il più delle volte a un senso di irresolutezza. Il corpo di Frida Kahlo è usato come manifesto della protesta e dell’opposizione, conteso tra giustizia e ingiustizia, bene e male, forza e fragilità, libertà individuale e controllo sociale. È un corpo colmato di tensioni irriducibili ed è un corpo dall’impatto politico e sociale, un corpo che quasi assume una qualità espiatoria, catartica e sacrificale, un corpo legato anche a quelle forme di resistenza attiva che sembrano anticipare molte azioni performative contemporanee, non come una eco né come un risultato, bensì come una forza rivitalizzante nell’organizzazione delle reti sociali e nella configurazione di dibattiti pubblici. Lo stato di mobilitazione civile del Messico post rivoluzionario amplifica la ripercussione del suo lavoro; lo stato di emergenza si esprime in immagini congiunte che sobbalzano i paradigmi estetici.
L’arte di Frida Kahlo non può essere separata da una matrice storica e culturale specifica e da una forte visceralità a sua volta condizionata da tematiche specifiche di classe ed etnia che contestualizzano la ricerca e l’attività pratica dell’artista nel suo presente, in una sfera particolare dal punto di vista culturale, socio-politico e geografico.

DOLORE
L’arte di Frida Kahlo è marcata da una qualità pittorica potente ed espressiva e da una violenza dell’immagine che inevitabilmente sfocia in una vera iconografia del dolore, situazioni non piacevoli e segnali d’allarme di un profondo malessere esistenziale. L’artista aggredisce la sensibilità dell’osservatore rappresentando il dolore attraverso azioni colte tra il reale e il metaforico; crea immagini torturanti, potenti, disturbanti, necessarie per mettere in pratica una strategia deliberata, intesa a mandare in frantumi l’apparenza dell’indifferenza e il generale sentimento di impotenza. Nella poetica di Frida Kahlo, il dolore è sempre un concetto con più sfaccettature ed erompe in maniera brutale e spesso improvvisa. Conseguentemente, la sua opera emana una sensazione di distruzione che oscilla tra bellezza minimale e macabro, tra sacro e perverso, tra morte e vita. Le immagini prodotte dall’artista mettono brutalmente l’osservatore di fronte ai suoi stessi timori e questo è il motivo per cui le sue opere di dolore e sofferenza creano disagio, ansia, timore e orrore e non ci lasciano mai indifferenti. Frida Kahlo porta la morte sulla pubblica piazza, rimuovendo il confine tra ciò che è vivo e ciò che è morto, tra il personale e l’impersonale.

IL CURATORE
Diego Sileo – teorico, storico d’arte, e curatore del PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano – ha conseguito la specializzazione in arte contemporanea presso l’Università degli Studi di Milano e il dottorato in arte contemporanea latinoamericana presso l’Università degli Studi di Udine. Studioso dei processi della creazione estetica in Sud America, ha frequentato corsi di specializzazione presso l’Università di Città del Messico e l’Università di Buenos Aires: nel 2010, ha fatto parte, come unico membro europeo, del progetto di ricerca sul nuovo archivio di Frida Kahlo e Diego Rivera del Museo Frida Kahlo di Città del Messico. Le sue ricerche hanno contribuito a rendere nota in Italia l’opera di artisti quali Remedios Varo, Leonora Carrington, María Izquierdo, David Alfaro Siqueiros, José Clemente Orozco e Diego Rivera. Ha partecipato a numerosi convegni italiani e internazionali come relatore su tematiche e problematiche dell’arte contemporanea latinoamericana. È autore delle prime monografie italiane di Remedios Varo (2007), Abel Azcona (2015) e Carlos Martiel (2016): ha al suo attivo diversi saggi per riviste di settore e per cataloghi di mostre.

MOSTRA IL SOGNO DEGLI ANTENATI – L’ARCHEOLOGIA DEL MESSICO NELL’IMMAGINARIO DI FRIDA KAHLO
Resa parte integrante del percorso e nata da un progetto di ricerca curato da Davide Domenici e Carolina Orsini, questa sezione si snoda sulle due lunghe vetrine ricurve che si affacciano sulla nuvola centrale del museo. In perfetto dialogo con la mostra, l’esposizione rappresenta un articolato racconto fatto di oggetti archeologici ed etnografici messicani della collezione permanente del Mudec, foto storiche e immagini di opere di Frida Kahlo: tutto ciò mostra come il mondo indigeno e il passato precolombiano abbiano costituito elementi fondanti della pratica artistica della pittrice messicana. La mostra si articola in una serie di sezioni dedicate a temi che spaziano dal ruolo che il mondo indigeno e la riscoperta archeologica del suo passato precolombiano ebbero nella costruzione della nazione post-rivoluzionaria al collezionismo di oggetti archeologici da parte di Frida Kahlo e Diego Rivera per arrivare alla loro riscoperta dell’estetica precolombiana e a come l’identità messicana di Frida sia stata espressa non solo attraverso la ripresa di motivi precolombiani nella sua opera pittorica, ma anche in una vera e propria costruzione del corpo dell’artista mediante il frequente uso, documentato da foto storiche, di abiti etnici e di antichi gioielli di giada.

I CURATORI
Davide Domenici – antropologo del Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Università di Bologna – è uno specialista di archeologia e storia dell’America indigena. Ha diretto il Progetto Archeologico Rio La Venta (Chiapas, Messico) e il Progetto Cahokia (Illinois, USA). Attualmente si sta dedicando allo studio del collezionismo italiano di oggetti messicani nel corso della prima età moderna e all’analisi dei materiali coloranti usati nella produzione di manoscritti pittorici messicani, sia pre-ispanici sia coloniali.
Carolina Orsini – conservatore anziano del Museo delle Culture – è specializzata in Archeologia presso la Scuola Normale Superiore di Pisa ed è dottore di ricerca dell’Università di Bologna con una tesi sull’archeologia andina. Ha curato l’esposizione permanente delle collezioni del Mudec, il loro riordino e il catalogo. Ha inoltre realizzato diverse mostre nell’ambito dei musei civici milanesi e non. Dal 1998, effettua ricerca di campo in Perù e in Argentina,sotto l’egida del Ministero degli Affari Esteri d’Italia, collaborando con numerosi istituti di ricerca locali.

MUSICHE IN MOSTRA
Tratto da A casa tutto bene, l’ultimo disco del cantautore Brunori Sas, Diego e io è il brano che accompagna i visitatori in una delle sale della mostra (potete ascoltarlo qui): dedicata proprio al rapporto tra Frida e il pittore Diego Rivera, scritta a quattro mani con Antonio Di Martino che ha rielaborato e cantato in italiano i testi della storica cantante messicana Chavela Vargas, la canzone è una ballata romantica per piano e archi e racchiude una sorta di missiva amorosa di Frida all’indirizzo del pittore e marito Diego.

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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