Vetro, Gioielli italiani tra ‘800 e ‘900: la mostra imperdibile a Casalmaggiore

Il 2022 è l’Anno Internazionale del Vetro.

Lo ha stabilito l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con una scelta importante per tutta la filiera del vetro che è un materiale antico ma che, allo stesso tempo, sa rispondere a tutte le sfide della contemporaneità.

La risoluzione A/RES/75/279 delle Nazioni Unite afferma proprio questo: «il 2022 sottolineerà il ruolo tecnologico, scientifico, economico, ambientale, storico e artistico del vetro nella nostra società, mettendo in luce le ricche possibilità di sviluppo delle tecnologie e il loro potenziale contributo per affrontare le sfide dello sviluppo sostenibile e delle società inclusive».

Ed è in quest’ottica che sono molto felice di dare spazio e voce alla mostra Vetro. Gioielli italiani tra ‘800 e ‘900 curata da Bianca Cappello e Augusto Panini e inaugurata al Museo del Bijou di Casalmaggiore in provincia di Cremona lo scorso 23 aprile.

Sono in mostra fino al prossimo 9 ottobre circa 300 gioielli, oggetti, disegni, foto e documenti, tutti pezzi rari, unici e inediti, provenienti da prestigiose collezioni private e dagli archivi del Museo stesso.

Vetro. Gioielli Italiani tra ‘800 e ‘900 è una mostra da non perdere per vari motivi. Leggi tutto

Il libro Diva di Alba Cappellieri, il Glamour Italiano nel Gioiello Moda

Rosso: non riesco a pensare a un colore più adatto (il colore della passione – e non solo) come sfondo per la copertina di Diva! Il Glamour Italiano nel Gioiello Moda, libro di Alba Cappellieri.

Aggiungo che a trionfare su quel rosso è l’immagine di Sophia Loren, la diva italiana per eccellenza, naturalmente con rossetto abbinato.

Don’t judge a book by its cover, dicono gli anglosassoni soprattutto in senso metaforico ma, in questo caso, fatelo pure. Il libro è bellissimo. Fin dalla copertina, appunto, che ben rappresenta e introduce i contenuti.

Di Alba Cappellieri ho scritto spesso: è Professore Ordinario di Design del Gioiello e dell’Accessorio Moda al Politecnico di Milano dove è direttore del Master Internazionale in Jewellery & Fashion Accessories Design; è direttore del Museo del Gioiello in Basilica Palladiana a Vicenza.

È membro del Comitato Scientifico dell’École Van Cleef & Arpels a Parigi, della fondazione Gijs Bakker ad Amsterdam, della Fondazione Cologni a Milano. Leggi tutto

Le gemme in Dante, l’omaggio che mancava va in mostra a Casalmaggiore

Ricevo e volentieri condivido – È stata inaugurata lo scorso venerdì 24 settembre Dolce color d’orïental zaffiro – Le gemme in Dante e nei bijoux americani, una mostra a cura di Maria Teresa Cannizzaro e Fiorella Operto presso il Museo del Bijou di Casalmaggiore (CR).

Quando a scuola si studia Dante Alighieri, nato a Firenze nel 1265 e morto a Ravenna nel 1321, non siamo forse in grado di apprezzare fino in fondo la magnificenza di un poeta che tutto il mondo ha ammirato e ammira, colui che insieme a Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio compone le tre Corone Fiorentine ed è considerato un pilastro della lingua italiana; eppure, quasi chiunque ricorda a memoria, anche a distanza di tanti anni, almeno qualche terzina della sua opera più famosa, il poema la Divina Commedia.

Le celebrazioni che ricorrono quest’anno in occasione dei 700 anni dalla morte del poeta hanno toccato le più erudite e approfondite declinazioni possibili in un tributo più che doveroso: si aggiunge ora un tassello – prezioso, è proprio il caso di dirlo – grazie appunto al Museo del Bijou.

È così che le gemme citate in diversi passaggi della Divina Commedia prendono vita nei più iconici e originali bijou americani dagli Anni Quaranta ai Settanta, firmati da nomi prestigiosi quali Kenneth Jay Lane, Miriam Haskell, Pell, Trifari, Krementz: ne è nato un racconto inedito e un curioso incrocio tra i gioielli e i versi di Inferno, Purgatorio e Paradiso. Leggi tutto

BE A SWEETHEART, il cuore nel gioiello moda è in mostra a Milano

Mostra ‘BE A SWEETHEART’ (photo courtesy HOMI)

Varie volte, in passato, ho parlato del salone HOMI e torno oggi a parlare molto volentieri di HOMI Fashion&Jewels, il nuovo format esclusivamente dedicato all’accessorio moda, gioiello e bijou in programma dal 15 al 18 febbraio a Fiera Milano: in particolare, desidero parlare di una delle iniziative connesse alla manifestazione, ovvero la mostra ‘BE A SWEETHEART – Il cuore nel gioiello moda’.

‘BE A SWEETHEART’ è appunto una mostra dedicata al cuore nel gioiello moda: il progetto nasce dall’incontro tra l’esperienza fieristica di HOMI Fashion&Jewels e l’autorevolezza e la conoscenza di POLI.design, la struttura sviluppata dal prestigioso Politecnico di Milano come centro di eccellenza nel campo del design.

Ospitata all’interno delle suggestive sale di Palazzo dei Giureconsulti a Milano, la mostra è aperta al pubblico con ingresso libero fino al 18 febbraio (orario 10-18.30) e presenta circa 150 creazioni che indagano il profondo simbolismo del cuore nel gioiello moda.

Cuori trafitti da frecce, sormontati da corone, uniti dall’edera o irti di spine: il cuore è il simbolo più rappresentato nella storia del gioiello ed è racconto di amore, amicizia, fedeltà, lealtà, senza perdere i suoi riferimenti al sacro.

I molteplici significati del cuore vengono esplorati in mostra dai gioielli realizzati da giovani designer, maison internazionali, stilisti, artigiani e artisti attraverso tre accezioni: il cuore come messaggio, come dono e come simbolo sacro.

La sezione ‘Messaggio’ considera il cuore come immagine sociale e di denuncia, scelto in gioielli pensati per combattere la violenza contro le donne, in quelli che riflettono l’essenza effimera del mondo contemporaneo come anche nelle creazioni che rimandano alle ferite d’amore.

La sezione ‘Dono’ racchiude amore ed emozione: indagato in ogni sua sfumatura amorosa e amorevole, il cuore si fa messaggero di buoni sentimenti da indossare, ricchi di significati e di rimandi che caratterizzano gioielli immaginifici e intensi.

L’accezione metafisica caratterizza invece la sezione ‘Simbolo Sacro’ nella quale il cuore gioiello ricorda il simbolismo religioso, indagandone le virtù propiziatorie – come negli ex voto – e il valore di amuleto: si tratta di un’interpretazione spesso portata alla ribalta dalla moda e che accessorio e gioiello hanno indagato con proposte affascinanti. Leggi tutto

La storia delle fibbie in un libro e in una mostra a cura di Bianca Cappello

Che cosa accade quando una grande professionista e un prestigioso museo uniscono le loro forze? Beh, non può che nascere un valido progetto espositivo, bello quanto interessante.

Non vi tengo con il fiato in sospeso e vi rivelo subito i due nomi: la grande professionista è Bianca Cappello, preparatissima storica del gioiello, mentre il prestigioso museo è Palazzo Morando, l’istituzione meneghina dedicata al racconto di tutto ciò che è Costume, Moda e Immagine.

Lunedì 8 luglio, sono stata all’anteprima stampa della nuova mostra ‘Fibbie! Moda, Arte e Gioiello’ curata da Bianca insieme a Luca Ghirardosi: a ospitare la mostra è appunto Palazzo Morando e lo farà fino al 15 settembre 2019 con un progetto promosso dall’Accademia di Belle Arti di Brera.

Considerata sin dall’antichità un gioiello funzionale in grado di completare ogni outfit e rappresentare un fondamentale indicatore di status symbol, la fibbia porta con sé una straordinaria e affascinante storia: è, insomma, un vero e proprio oggetto parlante e narrante.

Dopo aver pubblicato un libro su tale argomento insieme a Samuele Magri (storico dell’arte e della moda), Bianca è ora la curatrice insieme a Ghirardosi (docente di Brera) di un progetto che mette in mostra tante splendide fibbie da scarpa, da cintura e da cappello, in un percorso che dal Settecento porta alla contemporaneità e ne racconta la storia, l’evoluzione e le diverse valenze tra Moda, Arte, Design e Gioiello. Leggi tutto

Le Gocce di Gioia – di nome e di fatto – di Irene, gioielli per il cuore

Quando sento parlare del web come quintessenza dei mali del mondo, francamente resto un po’ perplessa.
Ripeto sempre un concetto agli studenti di Accademia del Lusso ai quali tengo corsi di editoria e comunicazione della moda con focus specifico sulla loro evoluzione via web: il web è solo un mezzo, è solo uno strumento.
Non ha un’anima in quanto non è un essere vivente, pertanto non è di suo buono o cattivo, intelligente o stupido, onesto o disonesto, ingenuo o furbo.
Siamo noi a conferirgli un’anima a seconda dell’uso che ne facciamo, a seconda di ciò che da lui ci aspettiamo: per esempio, in qualità di nativa analogica e immigrata digitale (ovvero persona nata e cresciuta prima dell’avvento delle tecnologie), io ho dovuto conquistare il mio spazio poco a poco e mi aspettavo che, da curiosa di natura quale sono sempre stata, il web contribuisse ad annullare quelle barriere di qualsiasi tipo che ho sempre detestato e che mi facevano sentire limitata.
E questo ho avuto: ho ritrovato persone, ne ho conosciute altre che molto probabilmente non avrei potuto incontrare in altro modo, ho imparato tantissime cose, ho avuto accesso a molte informazioni e conoscenze.
Se dovessi dunque mettere sui due piatti di una bilancia positività e negatività avute dal web, il primo piatto sarebbe molto, molto, molto più pesante del secondo. Godrebbe di una superiorità schiacciante.

Nel piatto della positività, trovano decisamente posto i designer, i creativi, gli stilisti, gli artigiani e gli artisti che ho conosciuto proprio grazie al web: in questo folto gruppo, figura una giovane donna che si chiama Irene e che è la fondatrice di Gocce di Gioia, un progetto che mi ha trasmesso belle vibrazioni dal primo istante.

Quando ho intercettato Irene attraverso Instagram, non è servito molto tempo perché rimanessi affascinata dal suo lavoro: crea gioielli – anelli, collane, pendenti, spille – ricavati da francobolli rari o antichi, da frammenti di porcellane tra le quali quelle cinesi e danesi, da elementi naturali forniti dalla sua bella regione, la Toscana.

Poi, Irene ha pubblicato le foto di alcuni pendenti ricavati da un vecchio mazzo di carte da gioco: «quando le ho trovate – ha scritto – avevano un leggero odore di tabacco e mi hanno fatto pensare a serate fra amici di una vita».
Ho confessato tante volte che, nell’ambito dei monili, amo in modo particolare quelli vintage e quelli che vengono definiti gioielli contemporanei (ovvero quei gioielli che non sono più espressione di status symbol come un tempo e che non mettono necessariamente al centro la preziosità economica bensì il valore dell’idea e del progetto, diventando quasi oggetti d’arte): non è un caso se gioiello vintage e gioiello contemporaneo sono legati dal fatto di valorizzare ciò che a me più interessa, ovvero proprio il valore morale, il significato, il fatto di rappresentare un ricordo o un’idea o un concetto.
Alla luce di tutto ciò, mi sono immediatamente innamorata delle parole di Irene e dell’immagine che con esse ha saputo evocare, poi mi sono innamorata del risultato da lei ottenuto con quelle carte: così, il pendente con la donna di picche è ora parte della mia collezione (lo potete vedere qui indossato qui e qui).
Non poteva restare tutto solo e dunque, ben presto, ha avuto la compagnia di un anello anch’esso con il seme di picche (qui indosso la coppia). Leggi tutto

Cara Maria Vittoria Albani… questo è solo un arrivederci…

Stamattina, al mio risveglio, ho ricevuto una notizia per me scioccante, ovvero la scomparsa di Maria Vittoria Albani, colei che è stata giustamente definita la signora del gioiello moda italiano dalla professoressa Alba Cappellieri in un bellissimo articolo per Preziosa Magazine.

Si è spenta a 89 anni, per un brutto male.
«È stata creativa e combattiva, lucidissima fino a pochi giorni fa.»
Così ha scritto la persona che mi ha dato la notizia: vi confesso che, avendo avuto l’immenso onore di conoscere questa donna straordinaria, minuta di fisico ma vulcanica quanto a testa e cervello, non sono affatto sorpresa della vitalità che ha dimostrato fino all’ultimo.

Ho incontrato Maria Vittoria Albani per la prima volta quattro anni fa, in marzo 2015, quando il Museo del Bijou di Casalmaggiore, in collaborazione con Bianca Cappello, storica e critica del gioiello, ha allestito un’importante e bellissima mostra interamente dedicata a Ornella Bijoux, l’azienda fondata nel lontano 1944 da Maria Vittoria e dalla mamma Piera.

Anno dopo anno, la loro creatura si è trasformata in una griffe di costume jewellery mondialmente riconosciuta e che viene considerata una tra le più ricercate e apprezzate da intenditori e appassionati.

All’epoca, nel 1944, Maria Vittoria aveva solo 14 anni e la mamma, Piera Albani, era rimasta vedova: rilevare un campionario di bigiotteria fu per loro l’inizio di una nuova avventura – che continua ancora oggi con Simona e Marta, rispettivamente figlia e nipote di Maria Vittoria – e di una nuova vita.

I primi tempi furono all’insegna di grandi sacrifici: il campionario era sistemato in bauli e portato in giro in bicicletta per essere mostrato ai vari rivenditori e, in un’Italia in gran parte distrutta, le due donne si avventurano fino al sud, spesso ottenendo fortuiti passaggi.

Nonostante la giovanissima età, Maria Vittoria mostrò una straordinaria attitudine al disegno e alla composizione creativa e, già agli inizi degli Anni Cinquanta, divenne ufficialmente la disegnatrice di Ornella Bijoux: nel 1957, vinse il “Primo Concorso Nazionale Sorelle Fontana per l’Accessorio nell’Alta Moda”.

La storia di Ornella Bijoux si fonde dunque con le vicissitudini italiane: parla di coraggio, di autentico spirito imprenditoriale in un momento difficilissimo come quello del secondo dopoguerra, parla di due donne straordinarie e coraggiose che sono state artefici del proprio destino in un’epoca in cui nemmeno esisteva l’espressione women empowerment.

Quel pomeriggio del 21 marzo 2015, a Casalmaggiore, mi sono innamorata immediatamente di Maria Vittoria: a folgorarmi è stato proprio il suo carattere, un mix di vitalità, energia, entusiasmo, tenacia, volontà, talento, carisma, verve, competenza, il tutto condito da un’immensa gentilezza.

Le uniche cose che Maria Vittoria Albani non possedeva erano infatti la spocchia e l’arroganza: sono sempre stati gli altri a riconoscerle l’indiscussa importanza e grandezza.

Tornata a casa, ho scritto un post raccontando della mostra e narrando tutta la lunga e gloriosa storia di Ornella Bijou, Piera e Maria Vittoria, una storia costellata di successi e grandi realizzazioni: il titolo eloquente che ho scelto, “Ornella Bijoux, un’autentica icona italiana”, racconta tutta la mia ammirazione.

Un paio di mesi dopo, sono andata a trovare Maria Vittoria nel suo laboratorio di Milano: ricordo come fosse ieri la mia enorme emozione nel poter entrare nel suo mondo, quanto fossi onorata del fatto che lei avesse accettato di accogliermi nel suo regno.
La foto che vedete qui in alto è stata scattata proprio quel giorno: il sorriso racconta la mia felicità meglio di mille parole e, al collo, porto una delle creazioni di Maria Vittoria, una delle tante che lei mi ha permesso di provare nonché la mia preferita.
Anche quella volta, dai racconti e dalle scoperte, è nato un post intitolato “Maria Vittoria Albani, vorrebbe adottarmi?”.

Non me ne voglia la mia mamma – che adoro – né Simona, la vera figlia: quel titolo affettuosamente scherzoso voleva esprimere tutta la mia stima per una donna la cui creatività mi faceva desiderare di poter essere una figlia adottiva, io che ho scelto il nomignolo glittering woman.

Di quel pomeriggio nel suo laboratorio conservo anche un paio di ricordi nitidi e inediti che oggi condivido.

Il primo è che mi confessò di non indossare gioielli, con la sola eccezione delle spille: questa cosa mi incuriosì molto, mi incuriosì il fatto che la signora del gioiello moda non fosse anche un’utilizzatrice.

Il secondo ricordo è relativo a quando, prima di andare via, mi invitò a scegliere un suo pezzo: voleva farmi un regalo e il suo pensiero così gentile e delicato mi fece emozionare.
Non dimenticherò mai il suo sguardo intenerito davanti alla mia emozione che credo le avesse fatto comprendere quanto la ammirassi.

Da allora, negli anni, ci siamo incontrate tante volte, soprattutto in occasione degli eventi culturali legati a moda e gioiello: ci salutavamo sempre con grande entusiasmo e simpatia, una simpatia che sentivo essere reciproca.

In tali incontri, non mancavo di ammirare la sua innata eleganza senza fronzoli, ricordando ciò che mi aveva confessato quel pomeriggio in laboratorio: è vero, non portava gioielli se non qualche spilla eppure, per tutta la sua vita, ha sempre saputo con estrema precisione cosa noi donne amiamo indossare.
Tutto ciò grazie a un fiuto istintivo e infallibile, a un gusto squisito, a una curiosità inarrestabile e infinita: ed ecco perché, a 89 anni, Maria Vittoria è scomparsa essendo ancora giovane e vitale.

Non dimenticherò mai la sua energia e il suo entusiasmo.
Incontrarla e conoscerla, ascoltarla, visitare il suo laboratorio, aprire con lei cassetti e vetrine scoprendo infinite meraviglie: considero tutto ciò uno dei grandi regali che la vita mi ha fatto.

Ho scritto tanti post dedicati alle mie icone scomparse, uomini e donne che tanto hanno fatto nell’ambito dell’ingegno e della creatività.
In alcuni casi, ho avuto la fortuna di stringer loro la mano almeno una volta, come accadde con Krizia; in altri casi, nonostante la possibilità di vari incontri, non ho mai avuto l’ardire di farmi avanti, come accadde con Elio Fiorucci; in due casi, quelli di Angelo Marani e Maria Vittoria Albani, il dolore della scomparsa è aggravato dal fatto di aver avuto l’onore di intrattenermi e chiacchierare con loro in varie occasioni.

Ecco perché, oggi, mi sento un po’ orfana: sento di aver perso quella mamma adottiva per affinità elettiva.
Naturalmente, con tutto il mio più grande rispetto per il dolore della vera famiglia alla quale mi unisco in un affettuoso abbraccio.

Manu

Postilla del 30 aprile…
Ieri sono stata alla funzione in onore di Maria Vittoria Albani e il parroco della Chiesa di Santa Maria Segreta ha detto tante cose che hanno colpito il mio cuore, come quando ha parlato di lei come di una persona nella quale molti riconoscevano una figura di confidente e di riferimento all’insegna di una maternità diffusa (non ero poi folle a percepirla come una sorta di mamma adottiva per affinità elettiva…) o come quando l’ha descritta come persona capace di un’ironia leggera (specificando che è cosa ben diversa dalla superficialità e che, al contrario, è la rara capacità di saper distinguere le cose davvero serie riuscendo a ironizzare con leggerezza) o come quando ha raccontato di come si era inventata le spillette per il gruppo scout…
Che donna!
«Commemoriamo con la testa e ricordiamo con il cuore»: così ha concluso e non c’è dubbio che Maria Vittoria sarà ricordata con tanto cuore

Adalgisa De Angelis, i Sogni d’Arte di un’anima bella

Sono molto felice, oggi, di scrivere questo post.
Volete sapere perché?
Perché racconta di una persona che stimo: stimo molto Adalgisa De Angelis – questo è il suo nome – e sono incuriosita e attratta da lei, dai suoi progetti e dal suo lavoro.
Per me le persone sono più importanti di ogni cosa e sono il nucleo di tutto: sono inoltre fermamente convinta del fatto che i bei progetti si sviluppino attorno alle belle persone e Adalgisa lo è, è una bella persona
Avere l’opportunità di parlare di una persona interessante mi dà dunque gioia.

Tra l’altro, racchiudere Adalgisa De Angelis nello spazio di un post è un’impresa alquanto ardua (vedrete quanto sfaccettata sia la sua creatività), ma ci provo.

È un’impresa perché Adalgisa, fondatrice di un progetto artistico e creativo che si chiama Sogni d’Arte, è una persona davvero poliedrica che non ha mai avuto paura di sperimentare in ambiti che – al momento! – comprendono la moda, il gioiello, il design e l’arte.

Dopo studi artistici, Adalgisa ha iniziato la sua avventura nel 1994 aprendo uno spazio nel centro storico della sua città, Salerno, ridando nuova vita a tutto ciò che la ispirava (vecchi mobili inclusi), mentre da vecchi tessuti ha iniziato a creare borse, gioielli e cappelli.
Poco tempo dopo, ha iniziato a portare le sue creazioni in varie fiere tra cui il Macef di Milano, vendendo in tutto il mondo: i suoi accessori sono stati immortalati su tante riviste di moda tra le quali Elle, Glamour, Vogue, Gioia, Donna Moderna, Grazia.
Ha anche iniziato a creare accessori e costumi per vari spot, film, spettacoli teatrali, programmi e serie televisive; alcune sue creazioni sono in vendita anche presso i book shop di vari musei.

Nel 2013 è diventata Maestro Artigiano e dal 2016 ha ripreso la sua grande passione: l’arte.
Ha già esposto le sue opere – quadri, arazzi, installazioni – in varie mostre ed eventi tra cui la Biennale di Venezia e Paratissima a Torino: ha esposto a Milano, Padova, Parma, Modena e anche a Siviglia, in Spagna.

Nel lavoro di Adalgisa De Angelis identifico l’utilizzo di diversi materiali (tra i quali la carta e il tessuto), diverse tecniche (tra le quali gli arazzi e le lavorazioni con la 3D pen) e diverse tematiche (tra le quali il viaggio in ogni sua sfumatura): cercherò di raccontarvi tutto (o quasi) procedendo con ordine.

Partiamo dai materiali, ovvero la carta e il tessuto.
Con la carta, Adalgisa costruisce delle barchette, quelle a origami che tutti noi abbiamo probabilmente fatto o provato a fare da bambini.
Quella adoperata da Adalgisa è carta alla quale lei dona una seconda vita: fumetti vintage e libri antichi oppure biglietti del tram, da Salerno (la sua città di nascita) fino a Milano (la sua città d’adozione).

Perché la carta? Leggi tutto

Couturier Maestri d’Arte, un concept store dalla Sicilia a Milano e oltre

Un bozzetto della location di Couturier Maestri d’Arte

Credo che, grazie a questo sito e attraverso tutti i miei canali social, sia ormai nota quella che è la mia più grande passione: il talento.
Sostenere la capacità in ogni sua declinazione e contribuire a far conoscere e circolare le varie forme che il talento può assumere; tutto ciò è quasi una missione che mi dà gioia, lo confesso.

È dunque con estremo piacere che condivido la notizia dell’inaugurazione a Milano di un progetto che ha tutto il potenziale per cambiare le attuali logiche del mercato per quanto riguarda cultura e moda (e io lo spero vivamente).

Il progetto al quale mi riferisco si chiama Couturier Maestri d’Arte e non è un negozio e nemmeno una casa di moda: tra mecenatismo contemporaneo e incubatore d’impresa, quello che l’imprenditrice siciliana Raffaella Verri ha ufficialmente presentato alla stampa lo scorso 28 febbraio nel concept store posto tra Largo Donegani e via della Moscova è piuttosto un progetto imprenditoriale che, dando voce a creativi emergenti, mira a rilanciare il concetto di lusso.

Si punta infatti su due elementi – unicità e valore dell’esperienza – per contrastare l’omologazione, vendere manufatti unici, esportare genialità italiana e – perché no – creare un nuovo fermento creativo: protagonisti del concept store e del racconto sono giovani stilisti, artisti, fotografi e creativi.

Couturier Maestri d’Arte propone prodotti e servizi di elevato livello qualitativo e, se la cifra stilistica del progetto è l’eleganza della Sicilia di una volta, il linguaggio è invece molto attuale.

«Eccellenze dell’arte, della moda, della fotografia, del gioiello, dell’architettura, ma non solo: attraverso una selezione accurata di artisti e brand vorrei raccontare l’infinito patrimonio culturale e artistico siciliano. I veri protagonisti saranno talenti capaci di lavorare sull’unicità che caratterizza ogni persona»
Così racconta la Verri ed ecco perché parlo di mecenatismo contemporaneo. Leggi tutto

Dolores Bacchi + Simonetta Martini = DuElle, bijou che sfidano il tempo

Voi credete alle coincidenze e al caso?
Io non molto, se devo essere sincera.
Credo piuttosto al fatto che i nostri sogni e i nostri desideri possano essere trasformati in azioni concrete e dunque possano portare a situazioni e incontri che sembrano il frutto di “coincidenze” ma che, in realtà, abbiamo appunto agevolato o creato noi stessi proprio attraverso quelle azioni.
E credo al fatto che esistano delle cosiddette “affinità elettive” ovvero delle somiglianze di vario genere che possiamo percepire quando conosciamo qualcuno: a quel punto, scatta un riconoscersi a vicenda e il desiderio di rafforzare un legame nato da un’intesa istintiva o basato su un comune sentire.

La storia che desidero raccontarvi oggi nasce proprio da queste “non coincidenze”, nasce da energie messe in moto da persone accomunate da grandi affinità, che si assomigliano e che credono negli stessi valori.
Il punto di partenza è Stefano Guerrini, persona che ho nominato in tante occasioni: fashion editor e stylist, maestro e mentore, amico.
Stefano è originario di Lugo di Romagna, in provincia di Ravenna, luogo che potrebbe sembrare lontano da quella Milano considerata la capitale della moda ma che sa invece riservare chicche e perle preziose che sfuggono magari a occhi distratti e frettolosi, ma certo non sfuggono all’occhio attento e competente di chi quel territorio lo conosce, lo ama e lo sa valorizzare.

E così, tra le perle di Lugo e provincia, Stefano ha puntato i riflettori anche su Dolores Bacchi e Simonetta Martini, creatrici di un brand di bijou al quale hanno dato il nome DuElle.

Leggi tutto

E come Emanuela o egocentrica? Viaggio dalle iniziali al monogramma

Ricordo perfettamente un episodio della mia adolescenza e lo ricordo perfettamente come se risalisse a ieri e non, invece, a molti anni fa.
Eravamo all’inizio dell’anno scolastico e, forse per rompere un po’ il ghiaccio dei primi giorni di studio dopo le lunghe vacanze estive, la professoressa di letteratura ci diede da fare un tema nel quale dovevamo parlare di noi stessi.
Ne ero intrigata e ricordo come iniziai: «amo parlare di me stessa con i miei difetti e i miei pregi».
Ricordo perfettamente il foglio protocollo a righe diviso in due colonne, quella di sinistra dove scrivevamo noi e quella di destra che serviva per le correzioni della professoressa; ricordo il mio orgoglio nel portare a casa quel foglio da far vedere alla mia mamma, come si faceva allora; ricordo l’orgoglio per il bel voto vergato in rosso; ricordo le parole di mia mamma che mi raggelarono.
«È davvero un bel tema, ma iniziare con quelle parole è decisamente un po’ egocentrico.»
Ci rimasi malissimo.
Perché tenevo al suo parere e mi dispiaceva che potesse pensare che io fossi egocentrica.
E perché mi sentivo incompresa.
Non volevo certo essere egocentrica e non avevo minimamente pensato che quelle parole («amo parlare di me stessa») potessero dare (giustamente…) una simile idea di me: ero in buona fede e, abituata da sempre a tenere un diario, volevo semplicemente dire che ero felice di poter condividere me stessa e i miei pensieri. Ma mi spiegai malissimo, me ne rendo conto, e mi vergognai anche pensando a come doveva aver sorriso la mia professoressa (che tanto stimavo) leggendo quelle mie parole che, sul foglio, risultavano tanto differenti dalle mie reali intenzioni…

Quel giorno, imparai un’importante lezione, anzi, due.
La prima è quanto sia grave una cattiva comunicazione e quanto sia importante scegliere con estrema cura le parole che usiamo. La verità, infatti, non è che non ero stata compresa: ero io che non avevo saputo spiegarmi.
La seconda lezione è che dovevo fare del mio meglio per tenere a bada quel certo ego che (quasi) tutti noi abbiamo, perché tutto desideravo tranne che diventare una di quelle persone che si sentono al centro del mondo, poiché in me, da sempre, esiste una volontà più forte: aprirmi al mondo e condividere.

Ed eccomi qui, parecchi anni dopo, a ricordare e a raccontare un piccolo episodio che è in realtà è diventato un monito importante del quale credo di aver fatto tesoro.
Nel frattempo, la comunicazione è diventata il mio mestiere e non ho mai smesso di controllare costantemente che il mio ego (indubbiamente forte ma credo e spero non a livello patologico…) non prenda mai il sopravvento su alcuna delle cose di cui mi occupo, nel privato e nel lavoro.
Prendete questo blog: l’ho aperto proprio per condividere tutto ciò che amo con gli altri e certo non per un mio personale tornaconto bensì per l’amore sincero verso persone e progetti che stimo. Ho voluto appositamente che il centro e la protagonista di tutto ciò non fossi io, ma persone, cose, marchi, progetti che sono sì visti con i miei occhi ma che restano (e devono restare) i protagonisti. Per questo, molto raramente, i post si incentrano su di me: me lo concedo in occasione del mio compleanno e poche altre volte (come in un ciclo che ho scherzosamente denominato Manie vs mio archivio).

Non solo, come altre persone che desiderano tenere a bada i propri difetti, anch’io adotto piccoli trucchi in tal senso: una strategia molto comune è quella di lasciare che il difetto in questione si espanda in una piccola mania tutto sommato innocente.

Volete sapere la mia? La personalizzazione di oggetti con il mio nome o iniziali o monogramma o, ultimamente, con Agw, ovvero l’acronimo del nome del blog.

Leggi tutto

Alba Cappellieri e i gioielli dall’Art Nouveau al 3D printing

La passione per la lettura mi ha sempre caratterizzata, fin da piccina, e credo sia perché mi ha costantemente permesso di saziare la mia immensa curiosità, peraltro temporaneamente e mai definitivamente. Fino al libro successivo, insomma.

Scherzando, mia mamma racconta di non sapere se da bambina le costassi più in libri oppure in cibo, altra grande passione per la sottoscritta: ricordo quando, preoccupata per il ritmo con il quale doveva acquistare nuovi volumi, mi iscrisse prima alla biblioteca di zona e poi alla splendida Sormani, sede principale del sistema bibliotecario milanese. Ricordo altrettanto bene l’impressione che mi faceva quel luogo così storico e per me un po’ magico.

So anche per certo che è stata la lettura a peggiorare la mia miopia già congenita: sempre da bambina, infatti, avevo la pessima abitudine di leggere in condizioni di luce spesso sfavorevoli, ovunque mi trovassi e qualsiasi fosse il pezzo di carta stampato.
Più di una volta, mamma mi beccò a leggere perfino i fogli di vecchi quotidiani che lei stendeva sul tappeto della cucina per proteggere il pavimento le rare volte in cui friggeva…

Naturalmente, è stata la lettura a influenzare ciò che faccio ora e a consolidare l’amore per la comunicazione.
Leggere non è solo una passione ma è anche parte integrante e fondamentale del mio lavoro: spesso, oggi, devo optare per gli strumenti digitali (web, supporti elettronici, formati pdf e quant’altro) ma, ovviamente, la carta è rimasta la mia preferita. Aprire un quotidiano appena acquistato piuttosto che un libro intonso e tuffarvi il naso resta per me uno tra i piaceri più grandi che esistano.
Ho smesso, invece (per fortuna!), di leggere i quotidiani stesi in terra…

Devo dire che, tra lavoro e svago, raramente mi capita di fare letture che risultino in contemporanea piacevoli, interessanti e istruttive quanto riescono a esserlo i libri di Alba Cappellieri, illustre professore ordinario di Design del Gioiello e dell’Accessorio Moda al Politecnico di Milano.

Seguo ormai da tempo e con attenzione il suo lavoro (qui il mio post più recente) perché Alba – mi permetto di chiamarla per nome – soddisfa in aggiunta un altro mio appetito infinito: quello per il mondo del gioiello e delle sue molteplici sfaccettature e declinazioni e sono dunque felice di annunciare l’uscita della sua nuova fatica letteraria intitolata Gioielli dall’Art Nouveau al 3D Printing.

Il volume propone uno straordinario repertorio di gioielli, orafi e grandi maison internazionali che, a partire dagli inizi del Novecento a oggi, hanno interpretato le evoluzioni del gusto in forme preziose.
Propone dunque un viaggio senza confini, dalla Francia all’Asia, dagli Stati Uniti all’Italia, dall’Inghilterra alla Germania, dall’Olanda ai paesi del Nord e si va dai capolavori dell’Art Nouveau di Lalique, Vever e Fouquet all’eleganza dell’Art Déco con le meraviglie di Cartier, Boucheron, Tiffany, Mario Buccellati e Fabergé; dalle invenzioni di Van Cleef & Arpels (maison della quale ho parlato spesso come qui e qui nei post più recenti) e di Bulgari negli Anni Cinquanta alle avanguardie olandesi e al gioiello d’artista degli Anni Sessanta per arrivare, infine, alle proposte dei designer e degli stilisti della contemporaneità.
Esattamente come io stessa sono passata dall’analogico al digitale (dal libro in carta al web), parallelamente il nuovo millennio è rappresentato nel volume dall’introduzione della manifattura digitale come la stampa 3D e le tecnologie indossabili (anche in questo caso, discorsi che mi sono cari e che sto pian piano affrontando anch’io, nel mio piccolo, ovviamente, come feci qui nel 2016): c’è spazio anche per i nuovi processi creativi, produttivi, distributivi e comunicativi (determinati dal modello open source, ovvero sorgente aperta, che si riferisce a tutte quelle tecnologie di cui i creatori favoriscono il libero studio, lo sviluppo, l’utilizzo), processi che stanno definendo gli scenari del gioiello del futuro.

Si tratta dunque di un approfondito saggio storico-critico che introduce un’eccezionale selezione di immagini (che è costata molto lavoro, come racconta la stessa Cappellieri), pensata come una galleria ideale dei capolavori dell’arte orafa dal XX secolo a oggi: le immagini sono accompagnate da un ricco glossario sulle tecniche e i materiali, tradizionali e innovativi.

Non pensate, però, a un volume noioso: ho usato il termine saggio perché è la definizione corretta ma – come dicevo in principio – Alba Cappellieri ha il dono (dono prezioso quanto raro) di rendere piacevolissimo e fruibilissimo anche un volume particolarmente ricco dal punto di vista dei contenuti storici e critici. E il libro risulta infatti bello sia da leggere sia da sfogliare.

Ho avuto il piacere di assistere alla (gremitissima!) conferenza che, giusto un paio di giorni fa, si è tenuta presso la Pinacoteca di Brera a Milano: in tale occasione, Alba Cappellieri ha presentato il libro dialogando anche con Gabriele Aprea (presidente di Chantecler e del Club degli Orafi ) e Vincenzo Castaldo (direttore creativo di Pomellato), in un tavolo moderato da Federica Frosini, direttore del magazine VO+.

Ho molto amato come il tavolo di discussione è stato condotto partendo dalla domanda di apertura di Alba Cappellieri: qual è la definizione di gioiello?
Le risposta non è univoca, naturalmente, e le definizioni possono essere diverse in base a chi risponde: per esempio, la definizione è sicuramente diversa tra uomo e donna, ma anche tra orafo e artista (interessante, in tal caso, come per quest’ultimo il corpo diventi perfino una superficie espositiva).
Ognuno di noi attribuisce al gioiello un significato diverso, un’accezione diversa, una declinazione diversa.
Per diversità di età, esigenze, professione, attitudine, interesse e per mille altri motivi ancora.

Gioielli dall’Art Nouveau al 3D Printing si propone come punto di incontro tra i diversi punti di vista, i diversi significati e i diversi mondi, senza pretesa di graduatorie o classifiche perché – come ben dice Alba Cappellieri – «è ora di ragionare per assonanza e non per divisioni».

Questo desiderio di unire e non dividere è per me un motivo più che sufficiente per acquistare il volume, un motivo che si aggiunge alla piacevolezza e alla preziosità evidenti dal primo istante.
Senza dimenticare che, com’è stato ricordato, il gioiello è anche gioco, fin dalla sua etimologia: il termine gioiello deriva infatti dal latino iocalis da iocus ovvero «scherzo, gioco».

Non potrei essere più d’accordo sulla dimensione anche ludica e gioiosa del gioiello e allora permettetemi di concludere con una battuta scherzosa: spero di non perdere qualche altra diottria tra le pagine scintillanti (e per me particolarmente golose) del tuo meraviglioso volume, cara Alba.

Manu

 

Gioielli dall’Art Nouveau al 3D Printing
2018, edizione italiana, inglese e francese
24 x 28 cm, 264 pagine, cartonato, Euro 60 (qui sul sito dell’editore Skira)
ISBN 978-88-572-3736-7 I, -3737-4 e ISBN 978-2-37074-091-5 F

Alba Cappellieri è professore ordinario di Design del Gioiello e dell’Accessorio Moda al Politecnico di Milano dove dirige i corsi di laurea triennale e magistrale in Design della Moda.
È direttore del corso di alto perfezionamento in Design del Gioiello, del Master internazionale in Accessory Design
e del Master in Fashion Direction – Brand & Product Management presso il Milano Fashion Institute.
Dal 2013 al 2016 ha insegnato Design for Innovation alla Stanford University.
È membro del Comitato Scientifico dell’École Van Cleef & Arpels a Parigi e della Fondazione Cologni a Milano.
Nel 2017 è stata nominata ambassador del Design Italiano per l’Italian Design Day a Osaka.
Dal 2014 è direttore del Museo del Gioiello in Basilica Palladiana a Vicenza.

Immagine in alto: la copertina del libro Gioielli dall’Art Nouveau al 3D Printing e pendente Sylvia pubblicato a pag. 73 (1900, Vever su disegno di Henri Vever, oro, smalti, agata, rubini, diamanti. Parigi, Musée des Arts Décoratifs, credito fotografico: © ADAGP, Paris 2018: Les Arts décoratifs, Paris. Photo Jean Tholance, All right reserved).

Alba Cappellieri, le Catene (come gioiello) narrate in un libro (meraviglioso)

Tra le tante fiere e i tanti saloni del settore moda, accessori e gioiello, cerco di non perdere mai Homi, evento espositivo milanese che ruota intorno alla persona, ai suoi stili, ai suoi spazi.

Due volte all’anno, Homi rappresenta una buona occasione per incontrare designer dalle grandi capacità: inoltre, ogni edizione è caratterizzata da una mostra e ricordo molto bene quella di gennaio 2017 intitolata Scatenata, con sottotitolo La catena tra funzione e ornamento.

La mostra era curata da Alba Cappellieri, stimatissima esperta dell’ambito gioiello, professore ordinario al Politecnico di Milano, autrice di numerose pubblicazioni, direttore del Museo del Gioiello di Vicenza: il suo curriculum ricco e interessante non finisce qui e prosegue, ben testimoniando come il suo nome rappresenti garanzia di qualità, cura e passione.

Perché la mostra era intitolata Scatenata?

Il nome è un abile e divertente gioco che fa naturalmente riferimento alla catena, il manufatto più versatile nella storia del gioiello, l’elemento fortemente presente tanto nei monili antichi quanto in quelli contemporanei: le maglie, i motivi, la struttura, i meccanismi e gli incastri della catena hanno infatti costantemente ispirato orafi, artisti e designer di tutto il mondo. Leggi tutto

Un anello anzi mille: perché amo tanto gli anelli / seconda parte

Era il 22 dicembre 2016, quasi un anno fa, quando ho pubblicato un post dedicato a una parte della mia enorme collezione di anelli.

L’anello è un monile che mi affascina a tal punto che, per esempio, ho scritto un articolo per SoMagazine raccontando alcune delle tante declinazioni possibili perché, tra tutti gli oggetti che hanno funzione ornamentale, gli anelli sono forse i più ricchi di significati, sia quelli che scegliamo per noi sia quelli che regaliamo.

Ma né un anno fa nel mio primo post fa né tanto meno oggi ho alcuna intenzione di fare un trattato serio attorno agli anelli (non che quel mio articolo per SoMagazine avesse la pretesa di essere ciò, era solo un piccolo excursus tra storia e curiosità che, tra l’altro, un giorno mi piacerebbe riprendere, approfondire e sviluppare).
Comunque, oggi desidero piuttosto parlarvi del mio rapporto emozionale con gli anelli e ancor di più condividere semplicemente ulteriori foto.

I gioielli in generale e gli anelli in particolare sono pezzi di noi, della nostra vita, del nostro cuore, di momenti speciali e significativi, di chi ce li ha donati e, in alcuni casi, di chi li ha fatti per noi, così come mi capita con alcuni dei designer dei quali ho avuto la fortuna e l’onore di scrivere.

Un anello, per esempio, è spesso veicolo di ricordi e di legami. Leggi tutto

Mario Giansone, se l’arte si trasforma in gioielli da indossare

Mercoledì 11 ottobre sono stata a Torino per un viaggio stampa che mi ha dato l’opportunità di assistere all’anteprima della mostra dedicata al Maestro Gianfranco Ferré e ai suoi gioielli presso Palazzo Madama (qui trovate il mio racconto e tutti i dettagli).

Oltre a tale mostra (meravigliosa!), il viaggio mi ha dato la possibilità di visitare una seconda esposizione ospitata nella stessa sede e dedicata ancora una volta al gioiello: ho potuto così rimediare a una mia precedente assenza (nonostante avessi ricevuto il gentile invito anche per quell’anteprima non ero infatti riuscita ad andare) e ne sono stata felice poiché tale mostra mi incuriosiva molto, visto che presenta il lavoro di un artista e designer che – lo confesso – non conoscevo.

E così, Palazzo Madama conferma ancora una volta la sua vocazione: essere un Museo di Arte Antica interessato a documentare il nesso stringente esistente tra scultura e pittura da una parte e le cosiddette Arti Decorative o Applicate dall’altra (tra le quali il gioiello), mai considerando queste ultime quali arti minori, come ha ben spiegato lo stesso direttore Guido Curto proprio in occasione della presentazione della mostra dedicata a Ferré.

Detta vocazione viene confermata presentando fino al 29 gennaio 2018, al secondo piano in Sala Atelier, un’esposizione dedicata ai gioielli in oro forgiati dall’artista torinese Mario Giansone (1915-1997), uno dei più valenti scultori italiani del Novecento: i suoi erano capolavori concepiti per essere indossati dalle tante signore che Giansone frequentava e ammirava, ricambiato grazie al suo fascino un po’ misterioso. Leggi tutto

Gioielli e Ornamenti di Gianfranco Ferré visti Sotto un’altra Luce

È grazie ai miei genitori che ho avuto una bella infanzia, felice al punto tale che le esperienze di quegli anni si sono poi trasformate in splendidi ricordi e sono diventate le basi delle mie odierne sicurezze di persona adulta.

Tra i tanti ricordi pieni di tenerezza, calore e divertimento, figurano anche i primissimi approcci con la moda: per esempio, ricordo la mia prima borsetta (ero davvero piccina e a testimoniarlo ci sono alcune foto negli album di famiglia) e ricordo altrettanto bene quando mia sorella e io trascorrevamo interi pomeriggi a disegnare figurini, immaginando anche di frequentare gli stilisti che erano famosi in quegli anni, Maestri del calibro di Giorgio Armani, Valentino, Gianni Versace, Ottavio Missoni, Franco Moschino, Gianfranco Ferré.

Ebbene sì, eravamo due bambine dotate di grande fantasia e di idee già chiare ed ecco perché affermo che la moda è una malattia con la quale sono nata.

Immaginate dunque la gioia che provo oggi ogni volta in cui ho la possibilità, il piacere e l’onore di essere testimone di eventi che celebrano la vita e il lavoro di coloro che – da sempre – sono per me modelli e icone.

Immaginate l’emozione che ho provato mercoledì mentre, seduta in una delle meravigliose sale di Palazzo Madama a Torino, ascoltavo con estrema attenzione grandi professionisti impegnati a presentare una mostra importantissima che si intitola Gianfranco Ferré – Sotto un’altra Luce: Gioielli e Ornamenti. Leggi tutto

error: Sii glittering... non copiare :-)