Adalgisa De Angelis, i Sogni d’Arte di un’anima bella

Sono molto felice, oggi, di scrivere questo post.
Volete sapere perché?
Perché racconta di una persona che stimo: stimo molto Adalgisa De Angelis – questo è il suo nome – e sono incuriosita e attratta da lei, dai suoi progetti e dal suo lavoro.
Per me le persone sono più importanti di ogni cosa e sono il nucleo di tutto: sono inoltre fermamente convinta del fatto che i bei progetti si sviluppino attorno alle belle persone e Adalgisa lo è, è una bella persona
Avere l’opportunità di parlare di una persona interessante mi dà dunque gioia.

Tra l’altro, racchiudere Adalgisa De Angelis nello spazio di un post è un’impresa alquanto ardua (vedrete quanto sfaccettata sia la sua creatività), ma ci provo.

È un’impresa perché Adalgisa, fondatrice di un progetto artistico e creativo che si chiama Sogni d’Arte, è una persona davvero poliedrica che non ha mai avuto paura di sperimentare in ambiti che – al momento! – comprendono la moda, il gioiello, il design e l’arte.

Dopo studi artistici, Adalgisa ha iniziato la sua avventura nel 1994 aprendo uno spazio nel centro storico della sua città, Salerno, ridando nuova vita a tutto ciò che la ispirava (vecchi mobili inclusi), mentre da vecchi tessuti ha iniziato a creare borse, gioielli e cappelli.
Poco tempo dopo, ha iniziato a portare le sue creazioni in varie fiere tra cui il Macef di Milano, vendendo in tutto il mondo: i suoi accessori sono stati immortalati su tante riviste di moda tra le quali Elle, Glamour, Vogue, Gioia, Donna Moderna, Grazia.
Ha anche iniziato a creare accessori e costumi per vari spot, film, spettacoli teatrali, programmi e serie televisive; alcune sue creazioni sono in vendita anche presso i book shop di vari musei.

Nel 2013 è diventata Maestro Artigiano e dal 2016 ha ripreso la sua grande passione: l’arte.
Ha già esposto le sue opere – quadri, arazzi, installazioni – in varie mostre ed eventi tra cui la Biennale di Venezia e Paratissima a Torino: ha esposto a Milano, Padova, Parma, Modena e anche a Siviglia, in Spagna.

Nel lavoro di Adalgisa De Angelis identifico l’utilizzo di diversi materiali (tra i quali la carta e il tessuto), diverse tecniche (tra le quali gli arazzi e le lavorazioni con la 3D pen) e diverse tematiche (tra le quali il viaggio in ogni sua sfumatura): cercherò di raccontarvi tutto (o quasi) procedendo con ordine.

Partiamo dai materiali, ovvero la carta e il tessuto.
Con la carta, Adalgisa costruisce delle barchette, quelle a origami che tutti noi abbiamo probabilmente fatto o provato a fare da bambini.
Quella adoperata da Adalgisa è carta alla quale lei dona una seconda vita: fumetti vintage e libri antichi oppure biglietti del tram, da Salerno (la sua città di nascita) fino a Milano (la sua città d’adozione).

Perché la carta? Leggi tutto

Curiel SS 19 Haute Couture: dai fogli di carta ai fogli di chiffon, tulle, seta

Sono innumerevoli gli autori, dagli scrittori fino ai cantanti, che hanno paragonato il tempo a un foglio, usando la metafora del libro.

Il passato viene paragonato a un libro già scritto, mentre presente e futuro sono libri ancora da scrivere, fogli bianchi da riempire.

Stavolta, a lasciarsi guidare da questa bella metafora, è una maison di moda e così la collezione Curiel SS 19 Haute Couture diventa una storia di fogli.

Ci sono i fogli di carta ingialliti dal tempo e ritrovati per caso in uno scomparto segreto della libreria, un tesoro di disegni e appunti firmati da Gigliola Curiel (nipote della fondatrice Ortensia Curiel) a partire dagli Anni Quaranta; e ci sono invece i fogli di chiffon, tulle oppure seta, virtuosamente assemblati uno sull’altro in sartoria per creare volumi, strati di colore e… tocchi di poesia.

Nasce così un’alta moda senza precedenti perfino nella poetica di questo pregiato atelier: una vera e propria scatola del tempo che contiene passato, presente e futuro.

Si comincia dall’omaggio proprio a Gigliola Curiel, incredibile signora di Trieste che, verso la metà degli Anni Quaranta, arriva a Milano: apre una prima sartoria in via Durini e, nel giro di tre anni, si ritrova con 128 lavoranti a tempo pieno. Leggi tutto

Il meraviglioso mondo della natura in una mostra (particolare) a Milano

«Il mondo non languirà mai per mancanza di meraviglie, ma soltanto quando l’uomo cesserà di meravigliarsi.»

Sono parole di Gilbert Keith Chesterton (1874-1936), celebre scrittore, giornalista e aforista britannico: mi ritrovo tantissimo in questo suo pensiero poiché è ciò che sento esattamente anch’io.

Il mondo è colmo di meraviglie tutte da scoprire: c’è e ci sarà sempre qualcosa da imparare e di cui sorprendersi eppure a volte temo che possa invece esaurirsi il desiderio di scoperta di noi esseri umani, distratti, fuorviati, assuefatti, illusi e perfino viziati da cose che, in realtà, poco o nulla hanno a che vedere con la vera meraviglia.

Il ritmo della vita moderna, la facilità di accesso a un enorme flusso di informazioni, l’incapacità di soffermarci, il continuo bombardamento di stimoli che, spesso, ottengono solo di farci fruire di ogni cosa in modo troppo veloce e superficiale: ecco, è tutto ciò a spaventarmi.

Così, quando questo aforisma di Chesterton è stato ricordato alla conferenza stampa di presentazione della mostra della quale desidero parlarvi oggi, ho pensato che sì, è esattamente così e che quella fosse proprio l’occasione giusta per menzionarlo: non sono né il mondo né la natura a tradirci, ma piuttosto potrebbe essere una nostra mancanza di curiosità a farlo e allora ben vengano mostre che raccontano la meraviglia del mondo e che lo fanno con un taglio innovativo e attuale, tanto da sperare di mantenere viva quella nostra curiosità che, talvolta, appare oggi un po’ in pericolo o a rischio, esattamente come il pianeta stesso e come le specie in via di estinzione.

A quale mostra mi riferisco?

Mi riferisco a “Il meraviglioso mondo della natura. Una favola tra arte, mito e scienza”, mostra allestita a Palazzo Reale di Milano fino al 14 luglio 2019 e curata dagli storici dell’arte Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa con le scenografie di Margherita Palli: come suggerisce il titolo stesso, a costituire il cuore della mostra è la natura nella sua complessa varietà.

La mostra è uno degli appuntamenti pensati in occasione delle celebrazioni per i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci (1519-2019, qui e qui parlo di altre due mostre connesse alla ricorrenza) e consente a noi visitatori di dare uno sguardo particolare alla rappresentazione artistica della natura lungo un arco cronologico che va dal Quattrocento al Seicento, con un focus sullo scenario lombardo. Leggi tutto

Alexander McQueen – Il genio della moda: emozione e verità di un docufilm

Sembro (e sono) un’eterna entusiasta verso molte persone, cose, situazioni e questo si riflette nel linguaggio con il quale mi esprimo, ricco di termini positivi; eppure, in realtà, doso bene le parole – in generale e in alcuni casi specifici ancora di più.
Una delle parole che doso e quasi centellino è icona e mi piace dosarla con parsimonia soprattutto quando la accosto alla dimensione che più mi è congeniale tra le varie di cui mi occupo: mi riferisco alla moda.

Considero icone solo i più grandi e rivoluzionari sarti, couturier e stilisti e riservo l’appellativo solo a pochi (pochissimi) di quelli attuali.
Perdonate questa severità, ma icona ha un immenso valore ed è dunque qualcosa che ci si guadagna nel tempo e attraverso il duro lavoro, altrimenti tutto perde di significato, tutto viene svilito.
Tra gli stilisti ai quali accosto senza indugio il prezioso appellativo figura Lee Alexander McQueen.

Faccio parte di coloro che, alla notizia del suicidio di Lee, come semplicemente lo chiamavano tutti, hanno perso un pezzo di cuore.
E divento tuttora indicibilmente triste ogni volta in cui penso al fatto che, quel maledetto 11 febbraio 2010, poco prima di compiere 41 anni, uno dei più grandi e visionari talenti mai esistiti nella moda si sia tolto la vita, fatalmente provato dall’abnorme carico di tensione, pressione, aspettativa sul fronte lavorativo nonché dai tormenti personali.

Lee era prima di tutto un sarto ed era poi uno stilista, aveva una personalità dirompente e sapeva essere disturbante come pochi, un vero sabotatore soprattutto dell’omologazione: davanti al suo lavoro era ed è impossibile rimanere indifferenti e impassibili e lui voleva esattamente questo.
Che fosse divertimento o disgusto, Lee voleva far provare un’emozione.

E, proprio come avrebbe voluto lui, è stata un’emozione forte e intensa poter assistere mercoledì sera alla proiezione di Alexander McQueen – Il genio della moda, il docufilm girato da Ian Bonhôte e Peter Ettedgui per raccontare la vita e il genio di Lee.
È un appuntamento che avevo messo in agenda da tempo e, nel buio e nel silenzio quasi irreale della sala di uno dei cinema più interessanti di Milano (Anteo Palazzo del Cinema dove avevo già visto il film dedicato ad Anna Piaggi), ho assistito con grande coinvolgimento alla ricostruzione minuziosa e veritiera del percorso e dei tormenti di Lee: posso assicurarvi che, in alcuni momenti, la tensione di tutti noi del pubblico era quasi palpabile.
Difficilmente mi è capitato di essere testimone di un silenzio così intenso come quello che ha segnato la fine di questa proiezione, mentre lasciavamo la sala, a testimonianza di quanto emotivamente impegnativo sia stato ciò che abbiamo visto poiché sì, è doloroso pensare che una persona così speciale sotto diversi punti di vista sia arrivata a sentirsi tanto disperata.

Il docufilm è davvero un pugno allo stomaco e fa capire fin troppo bene come genio e talento si siano pian piano quasi trasformati in una condanna aggravata da un costante senso di solitudine e vuoto affettivo (sentimenti tragicamente legati alla scomparsa della madre e alla scomparsa di Isabella Blow, amica e musa); fa capire come quei doni che privilegiano pochi esseri umani si siano trasformati in un vortice inarrestabile che ha poi inevitabilmente condotto Lee verso l’abisso, verso il baratro.

Per come si è sviluppata la sua vita, per Lee non esisteva epilogo diverso, molto probabilmente, ma questo mi fa sentire ancora più arrabbiata e quasi orfana. Leggi tutto

Les Georgettes by Altesse e i suoi gioielli intercambiabili e reversibili

Mi piacciono le novità e, possibilmente, le belle sorprese.

Ho bisogno di progetti che stuzzichino costantemente il mio amore per il bello, il talento, l’originalità, il coraggio; mi piace che un brand sappia sorprendermi, in positivo, dimostrandomi di saper giocare con tali elementi per dare luogo a novità, cambiamenti, evoluzioni.

E sono profondamente convinta del fatto che tutto ciò possa essere offerto da nomi freschi ed emergenti quanto da brand storici e già affermati: credo che l’innovazione possa arrivare da un nome nascente ma anche da uno consolidato poiché credo nella concretezza e credo invece ben poco (per niente, in verità) nei luoghi comuni e negli stereotipi.

Ed è solo un luogo comune che giovane (di età o di fondazione, di persona o di brand) sia sinonimo di innovazione quanto non è vero che storico sia sinonimo di una qualità maggiore: è vero, la freschezza della gioventù e l’esperienza della maturità sono (quasi sempre) dati di fatto, ma è comunque tutto da dimostrare all’atto pratico e concreto e io, allora, do uguali chance a tutti e mi baso esclusivamente sul risultato di un lavoro o di un percorso.

È proprio alla luce di tutto ciò che, oggi, vi parlo di un brand francese che possiamo considerare storico ma che ha uno spirito estremamente giovane quanto cosmopolita: il nome di tale brand è Les Georgettes by Altesse.

È nel 1905 a Parigi, precisamente nel cuore del Marais (il quartiere che è sempre stato il più anticonformista della città), che Marius Legros, giovane e talentuoso artigiano, decide di creare una propria linea di bijou: nel 1912, il gioielliere raggiunge la sua famiglia a Saint-Martin-De-Valamas (comune francese situato nel dipartimento dell’Ardèche della regione dell’Alvernia-Rodano-Alpi) e qui apre il suo stabilimento. Leggi tutto

Couturier Maestri d’Arte, un concept store dalla Sicilia a Milano e oltre

Un bozzetto della location di Couturier Maestri d’Arte

Credo che, grazie a questo sito e attraverso tutti i miei canali social, sia ormai nota quella che è la mia più grande passione: il talento.
Sostenere la capacità in ogni sua declinazione e contribuire a far conoscere e circolare le varie forme che il talento può assumere; tutto ciò è quasi una missione che mi dà gioia, lo confesso.

È dunque con estremo piacere che condivido la notizia dell’inaugurazione a Milano di un progetto che ha tutto il potenziale per cambiare le attuali logiche del mercato per quanto riguarda cultura e moda (e io lo spero vivamente).

Il progetto al quale mi riferisco si chiama Couturier Maestri d’Arte e non è un negozio e nemmeno una casa di moda: tra mecenatismo contemporaneo e incubatore d’impresa, quello che l’imprenditrice siciliana Raffaella Verri ha ufficialmente presentato alla stampa lo scorso 28 febbraio nel concept store posto tra Largo Donegani e via della Moscova è piuttosto un progetto imprenditoriale che, dando voce a creativi emergenti, mira a rilanciare il concetto di lusso.

Si punta infatti su due elementi – unicità e valore dell’esperienza – per contrastare l’omologazione, vendere manufatti unici, esportare genialità italiana e – perché no – creare un nuovo fermento creativo: protagonisti del concept store e del racconto sono giovani stilisti, artisti, fotografi e creativi.

Couturier Maestri d’Arte propone prodotti e servizi di elevato livello qualitativo e, se la cifra stilistica del progetto è l’eleganza della Sicilia di una volta, il linguaggio è invece molto attuale.

«Eccellenze dell’arte, della moda, della fotografia, del gioiello, dell’architettura, ma non solo: attraverso una selezione accurata di artisti e brand vorrei raccontare l’infinito patrimonio culturale e artistico siciliano. I veri protagonisti saranno talenti capaci di lavorare sull’unicità che caratterizza ogni persona»
Così racconta la Verri ed ecco perché parlo di mecenatismo contemporaneo. Leggi tutto

Dolores Bacchi + Simonetta Martini = DuElle, bijou che sfidano il tempo

Voi credete alle coincidenze e al caso?
Io non molto, se devo essere sincera.
Credo piuttosto al fatto che i nostri sogni e i nostri desideri possano essere trasformati in azioni concrete e dunque possano portare a situazioni e incontri che sembrano il frutto di “coincidenze” ma che, in realtà, abbiamo appunto agevolato o creato noi stessi proprio attraverso quelle azioni.
E credo al fatto che esistano delle cosiddette “affinità elettive” ovvero delle somiglianze di vario genere che possiamo percepire quando conosciamo qualcuno: a quel punto, scatta un riconoscersi a vicenda e il desiderio di rafforzare un legame nato da un’intesa istintiva o basato su un comune sentire.

La storia che desidero raccontarvi oggi nasce proprio da queste “non coincidenze”, nasce da energie messe in moto da persone accomunate da grandi affinità, che si assomigliano e che credono negli stessi valori.
Il punto di partenza è Stefano Guerrini, persona che ho nominato in tante occasioni: fashion editor e stylist, maestro e mentore, amico.
Stefano è originario di Lugo di Romagna, in provincia di Ravenna, luogo che potrebbe sembrare lontano da quella Milano considerata la capitale della moda ma che sa invece riservare chicche e perle preziose che sfuggono magari a occhi distratti e frettolosi, ma certo non sfuggono all’occhio attento e competente di chi quel territorio lo conosce, lo ama e lo sa valorizzare.

E così, tra le perle di Lugo e provincia, Stefano ha puntato i riflettori anche su Dolores Bacchi e Simonetta Martini, creatrici di un brand di bijou al quale hanno dato il nome DuElle.

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Perché a qualcuno potrebbe o dovrebbe «fregare» di andare a Lione

Sì, lo so: si parla da moltissimo tempo della ferrovia Torino – Lione, generalmente definita TAV (da treno ad alta velocità sebbene sarebbe in realtà una linea mista) e che andrebbe ad affiancare la linea storica già esistente tra la città italiana e quella francese.
Se ne parla spesso, tra infinite polemiche e malintesi, tra pro e contro, tra favorevoli e contrari; eppure confesso che, quando ho deciso di passare un paio di giorni proprio a Lione, non sapevo nulla della esternazione del nostro Ministro Toninelli.
Mi era sfuggito che, durante la trasmissione Coffee Break su La7, la mattina dello scorso 4 febbraio, il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti del Governo Conte avesse dichiarato «Chi se ne frega di andare a Lione, lasciatemelo dire».
L’ho scoperto solo quando, instagrammando foto delle mie giornate lionesi, una persona simpatica e sempre piacevolmente ironica ha commentato: «Toninelli ti chiederebbe ‘ma che ci fai mai a Lione’… tu la risposta ce l’hai».

A Lione ci sono andata per accompagnare mio marito che doveva partecipare a un concorso internazionale di modellismo: per la precisione, Enrico costruisce e dipinge figurini e miniature storiche e fantasy.
E ci sono andata, anzi, tornata volentieri in quanto serbavo un ottimo ricordo della città che avevamo già visitato nel 2014: l’ho riscoperta anche più piacevole di quanto già fosse nei miei ricordi, con un’atmosfera vitale e frizzante che mi piace molto.

Parrebbe quindi, caro Ministro Toninelli, che vi sia qualche folle al quale andare a Lione interessi e che trova addirittura varie motivazioni per farlo.

Ora – non ho alcuna intenzione di scendere nel merito della questione della ferrovia Torino – Lione.
Né voglio parlare di politica o – meglio ancora – non desidero schierarmi pro o contro nessun partito.
E non avevo minimamente pensato di scrivere un post sul mio breve soggiorno ma, riguardando le foto che ho scattato a Lione, mi sono detta che l’esternazione del Ministro Toninelli era davvero infelice e ingiusta quanto fuori luogo.
Di conseguenza, se avete voglia di venire con me, ho il desiderio di condividere con voi qualche parola e qualche foto, senza alcuna polemica ma solo per elencare i motivi (oltre a quelli personali e soggettivi che ho finora citato) per i quali a qualcuno (o a molti) potrebbe invece «fregare» – eccome! – di andare a Lione.

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