Donne e politica: Hillary Clinton & Co… la moda è una cosa seria?

Donne.

Donne, politica.

Donne, politica, potere.

Donne, politica, potere, moda.

È così che, molto spesso, mi metto in testa certe idee. Parto da una parola, ne aggiungo un’altra e poi un’altra ancora. Nasce una fila (quasi) ordinata e, infine, metto a fuoco un pensiero.

In genere, c’è qualcosa che, in principio, cattura la mia attenzione, magari un fatto che sembra piccolo e isolato. Poi ne metto vicino un altro. Un altro ancora. Ed ecco che nasce un post per il blog, uno di quelli che di solito chiamo pensieri in ordine (quasi) sparso.

Credo che la suggestione alla base della sequenza donne, politica, potere, moda sia iniziata quando ho scritto il post sulla Brexit e sul referendum dello scorso 23 giugno, quello che sta conducendo all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

Tra i tanti personaggi presenti in quel post, ho citato Margaret Thatcher e il primo referendum che ci fu nel 1975 nel Regno Unito per decidere se continuare a far parte dell’UE: il 67,2% per cento dei partecipanti votò per restare. Quell’anno, la Lady di Ferro, che divenne poi primo ministro nel 1979, sostenne la campagna per la permanenza della Comunità Europea: per correttezza e completezza d’informazione, occorre precisare che le sue posizioni europeiste cambiarono nel corso dei suoi mandati.

L’episodio che mi ha fatto pensare al suo rapporto con la moda accadde proprio in quel periodo.

A una manifestazione a favore del sì, la Thatcher indossò infatti un maglione diventato famoso come la maglia “9 bandiere”: di lana e a maniche lunghe, nero sulle maniche e sulla schiena, recava sul davanti le bandiere dei Paesi che facevano parte della Comunità Europea nel ’75, ovvero Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Italia, Germania Ovest, Lussemburgo, Paesi Bassi e Regno Unito.

Margaret Thatcher aveva ricevuto la maglia in regalo da un lanificio scozzese e i ben informati sostengono che la indossò in pubblico solo in quell’occasione: tuttavia, deve aver particolarmente colpito l’immaginario se Common Market, marchio creato da due stilisti londinesi, ha rimesso in commercio una maglia identica ben 40 anni dopo.

La loro versione 2016 (che potete vedere qui e qui) è del tutto identica a quella del 1975, tant’è che mancano le bandiere dei Paesi entrati nella Comunità e poi nell’Unione Europea dopo quell’anno.

La maglia, che si può ordinare online anche dall’Italia, è ora scontata a 45 sterline e direi che – considerata l’uscita del Regno Unito – potrebbe diventare un cimelio…

Sopra: Margaret Thatcher indossa la maglia “9 bandiere” a una manifestazione per la permanenza del Regno Unito nell’UE, Londra, 4 giugno 1975 (photo credit P. Floyd/Daily Express/Hulton Archive/Getty Images) | Sotto: la maglia “9 bandiere” nella versione 2016 di Common Market, foto dal sito
Sopra: Margaret Thatcher indossa la maglia “9 bandiere” a una manifestazione per la permanenza del Regno Unito nell’UE, Londra, 4 giugno 1975 (photo credit P. Floyd/Daily Express/Hulton Archive/Getty Images) | Sotto: la maglia “9 bandiere” nella versione 2016 di Common Market, foto dal sito

Guardando la foto in cui la Thatcher indossa quel maglione, ho iniziato a pensare alle donne in politica e al peso che hanno avuto in molte trasformazioni storiche; ho pensato a come un capo di abbigliamento possa diventare un simbolo; ho pensato a come le donne e la moda siano spesso unite nel comune modo di pensare; ho pensato a come la moda sia spesso considerata una cosa futile; ho pensato a quanto sia bizzarro che, nonostante questo pensiero vada per la maggiore, si dedichi poi invece molta attenzione a come i politici si vestono, soprattutto se sono donne.

Ed ecco che mi è venuta l’idea di questo post che unisce moda e politica: mi sono venute in mente alcune donne in particolare e, partendo dalla Thatcher, ho scelto la Regina Elisabetta II, Imelda Marcos, Hillary Clinton e infine Theresa May.

Elisabetta II, classe 1926, sovrana del Regno Unito, gode di così tanti titoli che ci vorrebbe un post solo per nominarli tutti.

Cito il suo ruolo di Capo del Commonwealth, governatore supremo della Chiesa d’Inghilterra, comandante in capo delle forze armate: è salita al trono il 6 febbraio 1952, alla morte del padre re Giorgio VI, e il suo regno è il più lungo di tutta la storia britannica.

Circa 125 milioni di persone nel mondo sono suoi sudditi: il suo regno ha visto 13 primi ministri di cui due donne entrambe citate in questo post, ovvero Margaret Thatcher e Theresa May, eletta nel 2016 post uragano Brexit e della quale parlerò a breve.

Ma se Elisabetta II è spesso sui giornali non è solo per il suo importante ruolo pubblico e politico oppure per il gossip che vede la British Royal Family tra i protagonisti più amati: è infatti famosa anche per i suoi abiti colorati con tanto di accessori abbinati, soprattutto i cappelli.

La Regina ha un’enorme passione per i colori pastello e per le tinte vivaci: nel 2012, in occasione delle celebrazioni per i 60 anni del suo regno (il cosiddetto Diamond Jubilee), la rivista Vogue ha raccolto in una bellissima grafica (quella che vedete qui sotto) i colori che Sua Maestà aveva indossato nelle apparizioni pubbliche nell’arco di un anno, scoprendo che il colore più frequentemente indossato era stato il blu (indossato il 29% delle volte).

Sempre in occasione del Diamond Jubilee, Pantone (agenzia internazionale che stabilisce lo standard internazionale dei colori per la grafica) e Leo Burnett (agenzia pubblicitaria londinese) hanno realizzato una mazzetta in edizione limitata dedicata ai vestiti indossati dalla Regina: ogni colore è abbinato a un riferimento Pantone e riporta la data e il luogo in cui il corrispondente vestito è stato indossato da Elisabetta. Se siete curiosi, potete vedere il tutto qui.

I colori vivaci sono utili anche per ragioni di sicurezza, perché la sovrana deve sempre distinguersi tra la folla; inutile infine specificare che Sua Altezza ha un’ottima memoria e che mai indosserebbe due volte lo stesso capo nella stessa occasione. La aiutano in questo i cosiddetti Quaderni della Regina, sui quali vengono catalogati e registrati con un nome in codice tutti gli abiti portati.

Ma se il rapporto tra la moda ed Elisabetta II è allegro e se ha contribuito a renderla più simpatica, divertendo e incuriosendo, non si può certo affermare la stessa cosa per Imelda Marcos.

Classe 1929, Imelda è la vedova di Ferdinand Marcos, decimo presidente delle Filippine: eletto nel 1965, governò sotto un regime di legge marziale dal 1972 al 1981 e fece del Paese il più corrotto del sudest asiatico (triste primato).

Imelda stessa ebbe un ruolo molto attivo ottenendo varie funzioni tra le quali quella di ministro degli insediamenti umani; occupò anche posizioni di rilievo in molte aziende ed entità governative o pubbliche.

La Marcos si distinse come figura piuttosto controversa, all’interno e all’esterno delle Filippine: accumulò una collezione di 4.000 abiti e oltre 2.700 paia di scarpe rinvenute quando, nel 1986, il governo fu rovesciato e lei e il marito furono costretti all’esilio. Nel 1998, la sua inestimabile collezione di scarpe fu dichiarata patrimonio universale e una buona parte finì in un museo.

Dopo la morte di Ferdinand, Imelda ha dovuto affrontare moltissime cause legali: la maggior parte riguardava l’accusa di corruzione, accusa da lei sempre respinta.

«Aprirono i miei armadi in cerca di scheletri – dichiarò in un’intervista – ma, grazie a Dio, tutto quello che trovarono furono gioielli e scarpe. Scarpe bellissime». Non voglio commentare queste (squallide) parole (bellissime, certo… 2.700 paia… peccato che molti filippini stentassero a sopravvivere!), si tratta pur sempre di una donna anziana e starò zitta giusto per rispetto ai suoi 87 anni. Sono una persona educata, io.

Mi duole segnalare che, nel 2010, la signora Marcos ha ripreso la sua carriera politica ed è stata nuovamente eletta deputata: nel 2013 e nel 2016 è stata rieletta rispettivamente per un secondo e terzo mandato. Cose che non comprendo, ma forse le persone, in qualsiasi Paese, tendono a dimenticare…

Ma se le persone dimenticano, il destino è invece spesso spietato e implacabile: qualche hanno fa, si è saputo che molti esemplari dell’ex tesoro della Marcos si stanno avviando a distruzione a causa delle termiti e di alcune alluvioni (guardate qui e qui).

In molti hanno urlato allo scandalo per tanta incuria, ma io non so se provo rimpianto per le tristi e polverose vestigia di una dittatura che ha ridotto tanta gente alla fame.

Sopra: alcune delle scarpe di Imelda Marcos e un suo ritratto (photo credit Ted Aljibe, AFP – Getty Images, through NBC News) | Sotto: alcune delle scarpe danneggiate (photo credit Bullit Marquez, AP Photo, through NBC News)
Sopra: alcune delle scarpe di Imelda Marcos e un suo ritratto (photo credit Ted Aljibe, AFP – Getty Images, through NBC News) | Sotto: alcune delle scarpe danneggiate (photo credit Bullit Marquez, AP Photo, through NBC News)

Dalle Filippine agli Stati Uniti: Hillary Clinton, già senatrice e Segretario di Stato nonché first lady dal 1993 al 2001 a seguito dell’elezione del marito Bill alla carica di presidente, è oggi la candidata ufficiale del Partito Democratico per le prossime elezioni presidenziali che si terranno l’8 novembre.

Lo scorso 28 luglio, la Clinton, dopo aver conseguito il maggior numero di delegati nelle elezioni primarie, ha accettato la nomination ed è così diventata la prima donna a correre per la presidenza degli Stati Uniti per un grande partito.

Come ho detto in occasione del post sulla Brexit, non sono un’esperta di politica ma penso che l’elezione di Hillary Clinton potrebbe (sottolineo potrebbe) essere una buona cosa, soprattutto dopo quella di Barack Obama, attuale presidente e primo afroamericano a ricoprire tale carica.

Ma la candidatura della Clinton ha riaperto la discussione sulle donne al potere e su come decidono di vestirsi.

Come deve vestirsi una donna che vuol fare il presidente? E parlarne è sessista?

A tal riguardo, ho letto un interessante articolo de Il Post.

L’articolo sostiene che tra le ragioni per le quali gli americani scelgono il loro presidente non ci sono solo i progetti e i programmi, bensì anche le qualità personali del candidato: il suo carisma, il suo carattere, la sua capacità di presentarsi credibilmente come simbolo del Paese. La campagna elettorale dura due anni e fa venire fuori i tratti caratteriali dei candidati oltre che le loro idee e anche l’aspetto è parte di questo racconto: come ogni candidato, anche la Clinton deve convincere gli elettori della sua capacità incluso l’atteggiamento e il modo di fare, cose che passano inevitabilmente per la sua immagine.

Dunque, nessun atteggiamento sessista.

Oggi la Clinton sta cercando di rimediare all’errore della sua prima candidatura e della sua campagna del 2008, quando era stata battuta proprio da Obama (che oggi le ha dato il suo appoggio): allora aveva sottovalutato l’aspetto immagine e si era presentata come una donna che non bada a frivolezze quali vestiti e accessori.

Tra gli errori di allora, Il Post ricorda il rifiuto di Hillary ad apparire sulla copertina dell’edizione americana di Vogue per il timore di «apparire troppo femminile».

La direttrice Anna Wintour rispose con un editoriale che, tra l’altro, sosteneva che «l’idea che una donna contemporanea debba sembrare maschile per essere presa sul serio nella sua corsa al potere è francamente sconcertante»: terminava chiedendosi «com’è arrivata a questo punto la nostra cultura?».

Le scelte e le dichiarazioni della Wintour non mi trovano sempre d’accordo (qui trovate un esempio di dissenso), ma devo dire che, in questo caso, le sue affermazioni riscuotono invece il mio caloroso e convinto applauso.

Ma le cose, evidentemente, sono cambiate: il numero di marzo 2016 di Vogue è uscito con uno speciale di dieci pagine (qui la versione web) dedicato a Hillary Clinton fotografata da Mario Testino.

Non solo: la Wintour ha sfoggiato una delle magliette della campagna pro-Hillary firmate dallo stilista Marc Jacobs e negli ultimi mesi ha invitato più volte la stessa Hillary alle sue cene con altri famosi stilisti americani, a Manhattan, a casa di Vera Wang, e a Long Island, nella villa di Tory Burch (la quale, a sua volta, ha disegnato un’altra t-shirt di sostegno alla Clinton).

Pare, insomma, che Mrs. Wintour si stia impegnando perché il mondo del quale è l’indiscussa imperatrice – quello della moda – riconosca il proprio appoggio alla ex first lady. E pare (pare) che quest’ultima abbia rivisto certe sue posizioni francamente poco condivisibili.

Sopra: Hillary Clinton sulla copertina di Vogue quand’era First Lady, nel dicembre del 1998 | Sotto: Hillary Clinton e il suo staff fotografati da Mario Testino per Vogue, marzo 2016
Sopra: Hillary Clinton sulla copertina di Vogue quand’era First Lady, nel dicembre del 1998 | Sotto: Hillary Clinton e il suo staff fotografati da Mario Testino per Vogue, marzo 2016

Lasciati gli Stati Uniti, vi porto infine di nuovo nel Regno Unito perché, dopo la Thatcher ed Elisabetta II, oggi i britannici hanno un nuovo leader donna che ha qualcosa in comune con la moda: mi riferisco a Theresa May, il neo primo ministro.

Eletta lo scorso 13 luglio dopo le dimissioni di David Cameron, la nuova premier Theresa May (colei che dovrà, tra l’altro, traghettare il Regno Unito fuori dall’Unione Europea) viene già considerata l’anello di congiunzione tra Margaret Thatcher (unica altra donna a essersi insediata al 10 di Downing Street fino a oggi) e Angela Merkel, la potente cancelliera tedesca.

Ma nello stile – molto personale, curato e con una certa verve – la May assomiglia solo a sé stessa, in realtà.

〈Inciso: ho appena nominato la Merkel che, come avete visto, non è inclusa nella lista che sto componendo. Prima di tutto, questa mia chiacchierata non vuole certo essere esaustiva, in quanto esistono molte altre donne che hanno o hanno avuto ruoli politici, in Italia – per esempio, Virginia Raggi, neo sindaco di Roma dal 22 giugno – e all’estero – per esempio, Yuriko Koike, prima donna a essere eletta governatore della città di Tokyo il 31 luglio. Ho deciso di concentrarmi su quelle donne il cui rapporto con la moda è o è stato molto evidente e/o determinante, ovvero l’aspetto che mi premeva mettere in luce nelle sue diverse sfumature, positive o negative, come nel caso Marcos. Direi che nel caso della Merkel manca del tutto un rapporto con la moda e questo, forse, poteva essere uno spunto interessante: tuttavia, credo che di questo si sia già dibattuto a sufficienza su moltissimi giornali e non mi andava di aggiungere la mia voce. Molto probabilmente, alla Merkel non interessa proprio nulla della moda e dunque non si pone il problema, giustamente; a me, però, interessa dimostrare proprio il contrario, ovvero l’importanza della moda rispetto a qualsiasi mestiere e anche in un settore serio e austero quanto la politica. Quanto a Virginia Raggi e a Yuriko Koike, non conosco a sufficienza le loro figure – per quanto sia affascinata dalla seconda e stia ora cercando di informarmi su di lei – e dunque preferisco non pronunciarmi, al momento. Mi piace, però, sottolineare un altro fatto: Hillary Clinton, Virginia Raggi e Yuriko Koike mi fanno felicemente pensare che, in molti Paesi, qualcosa si stia muovendo per quanto riguarda le donne e i posti chiave della politica.〉

Dicevo di Theresa May.

Classe 1956 (compirà 60 anni il 1° ottobre), la May non ha mai nascosto la sua passione per la moda: ho letto che, durante una trasmissione televisiva, ha rivelato che, se mai finisse su un’isola deserta e potesse esprimere un desiderio, l’unico lusso che si concederebbe sarebbe l’abbonamento a Vogue (Mrs. Wintour sarà felice).

Tra i suoi marchi preferiti, figurano Vivienne Westwood e Anja Hindmarch, due glorie britanniche molto amate – e conosciute – in tutto il mondo.

Gli scatti che la raffigurano – in completi blu scuro, neri o gessati contraddistinti da silhouette particolari nonché da dettagli quali scarpe animalier, leopardate o zebrate, slipper borchiate oppure sneaker con la bandiera britannica – hanno già fatto il giro del mondo. Alla sua collezione, non mancano anche dei cuissardes.

Per il suo primo giorno da premier, ha scelto un soprabito con dettaglio color lime, della designer britannica Amanda Wakeley: è andato esaurito in breve tempo, esattamente come succede quando Kate Middleton indossa qualcosa.

Il quotidiano Daily Mail l’ha definita “Imelda Marcos della politica britannica”, ma lei non si scompone: «Non sono preoccupata se le mie scarpe si fanno notare: è capitato che servissero per rompere il ghiaccio». Uno a zero per lei.

Anche perché, dopo la bella Kate, pare che ci sia una nuova ambasciatrice in grado di far impennare le quotazioni della moda britannica: pensate che esiste un sito chiamato Fashion Moments with Theresa May che non si perde un suo outfit, fin da quando la May occupava il ruolo di Segretario di Stato per gli affari interni.

La dichiarazione sul sito è molto chiara: «Her most important work is in single-handedly revolutionising the way female politicians look. This is a humble homage to her activities», ovvero «Il suo lavoro più importante è quello di rivoluzionare, da sola, il modo in cui i politici donna appaiono. Questo è un umile omaggio alle sue attività».

Sopra: il sito dedicato a Theresa May | Sotto: Theresa May in una foto presa dallo stesso sito
Sopra: il sito dedicato a Theresa May | Sotto: Theresa May in una foto presa dallo stesso sito

Cosa dire?

Sono d’accordo con quel sito.

E sono d’accordo con Anna Wintour quando afferma che «l’idea che una donna contemporanea debba sembrare maschile per essere presa sul serio nella sua corsa al potere è francamente sconcertante»: sono quindi contenta se donne come Hillary Clinton e Theresa May tentano di dimostrare come si possa detenere il potere senza rinunciare alla propria femminilità.

La verità è che uomini e donne non sono uguali e questo non è un problema, non è qualcosa che deve sminuire l’uno o l’altro sesso: anzi, è qualcosa in più, è un valore aggiunto. Le differenze non devono spaventare o separare o essere negate: devono essere considerate una ricchezza.

Io spero che la Clinton e la May riescano e restare fedeli a loro stesse senza seguire pedissequamente le uniformi imposte da un ruolo come il loro. Spero che riescano a far passare il messaggio che trascurare il proprio aspetto non è garanzia di contenuto e serietà, perché l’aspetto è uno dei tanti modi di comunicare noi stessi.

Noi donne non dobbiamo assomigliare a tutti i costi agli uomini, non dobbiamo tentare di mimetizzarci tra loro pensando così di poter essere accettate in determinati ruoli. Non dobbiamo pensare di dover passare inosservate, come se fossimo delle imbucate a una festa.

Dobbiamo invece mantenere le nostre peculiarità e la nostra diversità ed esserne fiere, in ogni senso, dal pensiero all’abito.

E questo vale in politica così come per ogni ruolo di potere che pensiamo essere tradizionalmente riservato e destinato agli uomini. Noi donne per prime dobbiamo cambiare questa ottica.

Tra l’altro, mi è venuta in mente una cosa pensando alla storia e a Elisabetta I Tudor, figlia di Re Enrico VIII, una delle figure più conosciute e iconiche della storia e della cultura britannica (siamo di nuovo in Regno Unito, ebbene sì, occorre ammettere che lì le donne hanno spesso avuto accesso al potere, anche in passato).

Elisabetta occupò il trono d’Inghilterra e Irlanda dal 1558 fino alla sua morte nel 1603: coinvolta a più riprese nei conflitti religiosi della sua epoca, uscì vittoriosa dalla guerra contro la Spagna e, sempre durante il suo regno, furono poste le basi della futura potenza commerciale e marittima della nazione. La sua epoca, denominata età elisabettiana, fu anche un periodo di straordinaria fioritura artistica e culturale: per esempio, William Shakespeare visse durante il suo regno.

Fu dunque una donna estremamente potente e, naturalmente, fu ritratta da molti pittori: non solo, è la sovrana che ha avuto l’onore di comparire nel più alto numero di pellicole per il cinema e la televisione. L’interpretazione più nota resta probabilmente quella dell’attrice Cate Blanchett nel dramma in costume Elizabeth, avventurosa ricostruzione dell’ascesa al potere di una giovane Elisabetta, e nel sequel Elizabeth – The Golden Age.

Naturalmente, Elisabetta vestiva secondo la moda del tempo e come una regina, con abiti sontuosi, gioielli e complicate acconciature. E nessuno – credo – si sarebbe aspettato che si vestisse come un uomo, che sembrasse maschile, per dirla con le (giuste) parole della Wintour.

Parliamo di più di 400 anni fa…

Sopra: <em>The Ermine Portrait of Elizabeth I of England,</em> 1585, attribuito a William Segar (source Wikimedia Commons) | Sotto: Cate Blanchett interpreta Elisabetta I nel film <em>Elizabeth – The Golden Age</em>
Sopra: The Ermine Portrait of Elizabeth I of England, 1585, attribuito a William Segar (source Wikimedia Commons) | Sotto: Cate Blanchett interpreta Elisabetta I nel film Elizabeth – The Golden Age

Lo ribadisco: spero che Hillary Clinton continui sulla nuova strada intrapresa, portando (se le va) borse rosa acceso (ne ama una di Ferragamo) e che Theresa May continui a indossare scarpe animalier, perché capacità, serietà e impegno vanno molto oltre abiti e accessori.

Forma e contenuto, apparenza ed essenza possono convivere perché, come dice una donna che stimo molto, Maria Katia Doria, «Si può leggere un libro anche con le unghie laccate e il rossetto prescinde dalla cultura».

Con buona pace di chi continua a credere che la moda sia una cosa futile e che sia (solo) un passatempo per chi non ha nulla di serio (o di meglio) da fare.

Manu

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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