Il talento e il genio di Walter Albini in mostra a Prato

Sono particolarmente felice di annunciare che, dal 23 marzo al 22 settembre 2024, il Museo del Tessuto di Prato celebra lo stilista Walter Albini (1941-1983) con una grande mostra curata da Daniela Degl’Innocenti ed Enrica Morini.

Walter Albini. Il talento, lo stilista è il risultato di un intenso lavoro di studio e ricerca condotto sull’intera vicenda professionale di Albini, assoluto protagonista della moda italiana tra la fine degli Anni Sessanta e i primi Ottanta del Novecento. L’omaggio a questo professionista eccezionale è assolutamente doveroso ed è questo il motivo per cui sono felice di annunciare la mostra.

L’attività di ricerca alla base del progetto espositivo (e del catalogo che lo accompagna) nasce in seguito a una cospicua donazione (oltre 1700 pezzi!) che il Museo ha ricevuto a più riprese tra il 2014 e il 2016. Si tratta di un ricco fondo di bijou, bozzetti, disegni, fotografie, documenti, libri, appartenuti proprio ad Albini e che documentano la sua grande capacità creativa e progettuale, dal periodo giovanile fino alla sua scomparsa. Leggi tutto

Francesca Liberatore FW 2024-25, viaggio tra opera d’arte totale e punk

Era il lontano settembre 2011 quando mi venne data la possibilità di assistere per la prima volta a una sfilata di Francesca Liberatore.

All’epoca, ovvero quasi 13 anni fa, Francesca era davvero giovanissima. Eppure, dopo la laurea in una delle università di moda più prestigiose, la Central Saint Martins di Londra, aveva già avuto diverse esperienze negli uffici stile di alcune maison altrettanto prestigiose. Cito Viktor & Rolf ad Amsterdam e Jean Paul Gaultier a Parigi. E aveva anche già vinto il concorso Next Generation (promosso dalla Camera Nazionale della Moda Italiana) grazie alla sua prima collezione individuale.

Quel giorno di settembre 2011, Francesca mi colpì e mi conquistò immediatamente con la sua visione della moda. Lo stesso accadde quando ebbi l’opportunità di vedere nuovamente dal vivo un’altra sua collezione, in febbraio 2014.

Da allora, purtroppo, ammetto di averla persa di vista. Un po’ perché, grazie al concorso mondiale DHL Exported vinto in settembre 2014, Francesca ha sfilato per sette stagioni a New York. E un po’ perché, da quando è tornata sulle passerelle milanesi, altri impegni lavorativi non mi hanno consentito di poter essere presente alle sue sfilate. Leggi tutto

Stato di salute e futuro della moda in tempi di coronavirus

Da tempo, ormai, si parla di quanto sia necessario rivedere il sistema attraverso il quale la moda viene presentata, prodotta, distribuita.

Per quanto riguarda la presentazione e soprattutto le sfilate, si discute animatamente soprattutto circa tempistiche e modalità.
Continuare a sfilare mesi prima come accade ora oppure adottare la modalità cosiddetta ‘see now, buy now’ con la vendita immediata di ciò che sfila? Far sfilare le collezioni moda e uomo separatamente oppure adottare la modalità co-ed, ovvero congiunta?
E poi… quanto servono le sfilate-spettacolo? Si punta troppo sul clamore a discapito dei capi?
E ancora: chi è seduto in prima fila (e sono sempre più influencer e nuove celebrità) distoglie l’attenzione facendo parlare – anche in questo caso – di chi è ospite più di quanto si parli della collezione?

Per quanto riguarda la produzione, si discute invece di delocalizzazione a discapito di produzioni specializzate, di produzione in Paesi dove non vengono rispettati i diritti umani, di filiere fuori controllo e non più sostenibili per il nostro pianeta.

Per quanto infine riguarda la distribuzione, si discute della crisi profonda dei negozi fisici, della crisi delle grandi catene storiche, dell’esasperazione che vuole che merce nuova sia messa in vendita a ciclo continuo senza durare nemmeno una stagione secondo il modello fast fashion che, ormai, influenza fortemente tutto il sistema e tutte le fasce della moda, indistintamente.
Senza parlare poi del discorso delle rimanenze di stagione, problema oneroso non solo economicamente ma anche dal punto di vista ambientale (leggere stock distrutti o meglio bruciati e anche in questo caso da tutti, brand del lusso inclusi).

Insomma, riassumendo: il sistema moda era in crisi da tempo. Tutto il sistema.
Stilisti costretti a sfornare una nuova collezione dietro l’altra (per soddisfare la smania di soldi delle holding finanziarie dalle quali sempre più spesso vengono inglobati) mentre modelle, giornalisti, compratori, fotografi girano il mondo senza sosta, vanificando gli appelli a una moda ecosostenibile; merce che approda nei negozi a ciclo continuo, tra sovrapproduzione di capi e mancato allineamento tra stagione commerciale e stagione climatica, con il risultato di restare spesso invenduta e generare pericolosi scarti da gestire.

Non è un mistero come molti (Giorgio Armani in testa) condannino da tempo tutto ciò, un sistema che fagocita ogni cosa, con ritmi sempre più serrati e insostenibili e nuova merce da dare in pasto a un mercato sempre più saturo.
Perfino lusso, alto di gamma e alta moda hanno spesso dimenticato i propri valori (qualità, durabilità, esclusività) per avvicinarsi – come ho detto – a un modello fast fashion nella speranza (o meglio nell’illusione) di vendere di più.

Io stessa, naturalmente nel mio piccolo, ho parlato varie volte di dette questioni, dalla delocalizzazione (qui) alla crisi di catene e negozi storici (qui) passando per l’illusione che alto di gamma sia sempre meglio di fast fashion (qui), dalle condizioni socialmente e ambientalmente insostenibili (qui) al gender gap (qui) passando per le sfilate-clamore che vanno oltre ogni limite di decenza (qui), giusto per citare alcuni argomenti dei quali ho provato a parlare negli anni.

Il problema, dunque, esisteva: il coronavirus ha spinto sull’acceleratore, facendo definitivamente esplodere le varie questioni in tutta la loro evidenza e gravità.

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Savini Milano presenta ‘Callas mai vista, Maria re-interpreta Medea’

Siamo ormai arrivati alla metà del mese di settembre che in molti definiscono fashion month.

Il perché è presto detto: settembre è il mese in cui si svolgono le principali settimane della moda, occasione in cui si presentano le collezioni donna della stagione estiva successiva. E ora, dopo New York e Londra, tocca a Milano che sarà poi seguita da Parigi.

Come dicevo, ad aprire le danze è stata New York.

«Negli ultimi anni, la rilevanza della New York Fashion Week è diminuita. Tom Ford e il CFDA hanno promesso che ciò sarebbe cambiato a partire da quest’anno grazie a un programma abbreviato e punteggiato da una serie di spettacoli esperienziali e imperdibili. Alla fine, anche se non ci sono stati abiti straordinari di cui parlare, c’è stata eccitazione. E questo, almeno, è un inizio.»

CFDA è l’acronimo di Council of Fashion Designers of America, l’equivalente della nostra Camera Moda, e lo stilista Tom Ford ne è l’attuale presidente: l’affermazione che ho riportato suona come una sentenza non molto positiva, esce dalla pungente penna della giornalista americana Lauren Sherman ed è contenuta in un articolo per il prestigioso The Business of Fashion.

Ma se la Sherman e Bof trovano che – cito testualmente – «this season there were no extraordinary clothes to speak of», vi confesso che, francamente, spero si potrà invece dire diversamente di Milano e che, entusiasmo, fermento ed eccitazione a parte, si potrà parlare anche di abiti straordinari o quanto meno belli.

Non solo: mi fa piacere sostenere che l’imminente edizione di Milano Moda Donna (o se preferite Milano Fashion Week, 17-23 settembre) «nasce all’insegna di sostenibilità, inclusione e apertura anche al pubblico visto che tanti eventi saranno accessibili a tutti».

A dichiararlo, ben prima di me e in occasione della conferenza stampa, è stato Carlo Capasa, presidente di Camera Nazionale della Moda Italiana: MMD non sarà dunque esclusivo appannaggio di fashion editor, buyer e vari addetti ai lavori e, durante la settimana, vi saranno alcuni appuntamenti aperti al pubblico, allestiti da vari brand e maison. Leggi tutto

Come la sfilata Iulia Barton Inclusive Fashion ha testato la mia coerenza

È proprio vero.
È facile, tutto sommato, fare bei discorsi in linea teorica.
È facile scrivere che si è a favore della moda inclusiva – ovvero di quella moda che sia davvero rappresentativa della società in cui viviamo e di tutte le persone che la compongono.
È facile parlare di uguaglianza, di accettazione, di superamento e abbattimento di qualsiasi barriera, limitazione, ostacolo.
È facile riportare una frase bella come «la diversità è un attributo privo di fondamento».
Ma – come disse saggiamente qualcuno – tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.
E c’è di mezzo il mare perfino per chi è fondamentalmente una persona coerente. Una persona che davvero crede in ciò che dice e scrive, come la sottoscritta.

Perché esordisco così?

Perché, così come avevo annunciato in un post precedente, martedì 27 febbraio, a chiusura della Milano Fashion Week, sono stata alla sfilata Iulia Barton Inclusive Fashion Industry, il progetto creato da Giulia Bartoccioni.

Alla presenza di Carlo Capasa, presidente della Camera Camera Nazionale della Moda Italiana, sono andati in passerella sei stilisti rappresentativi del Made in Italy: a indossare le loro creazioni sono stati chiamati modelli e modelle, uomini e donne, scelti senza alcuna limitazione o barriera.
E scrivendo senza alcuna limitazione o barriera, mi riferisco alla scelta di far sfilare modelle e modelli con e senza disabilità. Leggi tutto

Pillole dalla mia #MFW: Mario Valentino FW 2018 – 19

Dalla presentazione della collezione Mario Valentino FW 2018 – 19 © Marco Scarpa

Qualche settimana fa, precisamente il 6 febbraio, sono stata in Triennale dove è stato presentato uno splendido volume attraverso il quale viene ricostruita l’intensa avventura di Mario Valentino, uno dei protagonisti della moda italiana tra gli Anni Cinquanta e gli Ottanta: la ricostruzione avviene grazie alla lettura del prezioso patrimonio documentario raccolto nell’archivio della sua azienda avviata sin dagli inizi del Novecento dal padre Vincenzo nel cuore di Napoli.

Dopo aver raccontato parte della storia meravigliosa di Mario Valentino in un mio precedente post, ho avuto l’opportunità di assistere a un nuovo capitolo del percorso della maison durante la Milano Fashion Week appena terminata: il 23 febbraio, è stata lanciata la nuova collezione di calzature e abiti in pelle, complice un nuovo ufficio stile che ha lavorato sempre partendo dal ricchissimo archivio, riuscendo a creare una collezione classico e innovativa al contempo.

Il progetto di Enzo Valentino (figlio del visionario fondatore e attuale amministratore delegato) è infatti quello di creare un ponte tra passato e futuro attraverso le nuove proposte, ricche di spunti appartenenti a una solida tradizione ma contemporanee nelle forme e nello stile: se nel libro – che come ho avuto modo di raccontare raccoglie gli esiti di un’appassionata quanto meticolosa ricerca condotta da Ornella Cirillo, docente di Storia della Moda –  si racconta Mario Valentino e la sua storia articolata, attraverso la collezione appena presentata si ritrovano le impronte di chi sa lavorare il pellame in tutte le sue varianti.

Il re della pelle (colui che «usava la pelle come tessuto», come veniva definito il fondatore che oggi avrebbe 90 anni) viene omaggiato nella collezione per il prossimo autunno / inverno, composta da forme estremamente femminili e da tomaie che si illuminano di colori vivaci tra cui brilla quello delle buganville in fiore.

La collezione Mario Valentino FW 2018 – 19 è impostata su tre forme di punta (sfilata, quadrata, a mandorla) e su innumerevoli tipologie di tacchi che abbracciano varie altezze: ogni tacco presenta una propria peculiarità e io segnalo in particolare quello scultura a base ottagonale (che abbina la sensualità del tacco alto alla portabilità del tacco grosso) e quello con gabbia (una reinterpretazione dello storico tacco del brand, diventato un’icona grazie all’inserimento di una rete in metallo).

I materiali utilizzati sono molteplici: si parte dai camosci presentati in diverse sfumature di colore (dal classico nero fino al viola passando per tinte sobrie come il testa di moro e tinte forti come il rosso fuoco) fino ad arrivare al camoscio stretch accompagnato dalla nappa anch’essa stretch, soffice ma decisa. La nappa viene declinata nelle varianti soffiata (una pelle granulosa dall’aspetto più sportivo) e laminata, presentata anche in una versione dorata con effetto craccato (quella che vedete anche nella foto qui sopra a destra).

È presente il vitello lucido e nero che dona un tocco decisamente rock ad alcuni modelli ed è importante anche l’inserimento del pitone che viene utilizzato in varie versioni inclusa un’eccentrica variante fluo: immancabile qualche bordo in visone nonché le fodere in montone che compongono anche il sottopiede di alcuni modelli.

Per quanto riguarda i tessuti, è stato inserito il raso stretch come nei modelli cosiddetti a calza.

Tra le lavorazioni spiccano gli intarsi di pelle che vanno a costruire tomaie moderne ma legate alle lavorazioni storiche della Mario Valentino nonché il fiocco morbido ricavato anch’esso dall’archivio storico del brand e utilizzato come accessorio contemporaneo dalla duplice anima, visto che nasconde talvolta al proprio interno un contrasto di colore o di materiale.

Per quanto riguarda gli accessori, il focus è sull’oro che è il colore delle fibbie, dei morsetti, della lavorazione a gabbia del tacco e delle borchie della collezione Mario Valentino FW 2018 – 19.

Oltre al nero, al testa di moro e agli altri colori che ho già menzionato, tra le tinte predominanti non mancano il bordeaux e i riferimenti alla terra con toni che spaziano dal fango fino al ruggine. Risaltano, come accennavo, il rosso, il viola e il buganville nonché accenni di blu notte: il tutto è sottolineato dall’oro presente anche su pelli e tessuti.

Mi fa piacere sottolineare che le creazioni di Mario Valentino fanno anche parte della mostra Italiana, l’Italia vista dalla moda 1971 – 2001 a cura di Maria Luisa Frisa: aperta a Palazzo Reale fino al 6 maggio 2018, la mostra nasce con lo scopo di evidenziare la progressiva affermazione del sistema italiano della moda in uno straordinario trentennio di relazioni e scambi tra gli esponenti di quella generazione (artisti, architetti, designer, intellettuali) che ha impostato le rotte della cultura internazionale e ha affermato il concetto di Made in Italy. Abito, arte contemporanea, oggetti di moda e di design, fotografie, riviste, schizzi danno vita a un magnifico ritratto del quale fanno parte, appunto, anche le belle creazioni di Mario Valentino.

Attraverso la mostra e attraverso la collezione Mario Valentino FW 2018 – 19 (qui, sul sito di Camera Moda, potete vederla tutta, inclusi gli abiti, mentre qui trovate la pagina Facebook di MV), la storica azienda italiana vive un nuovo percorso e, grazie a un heritage solido e a una forte consapevolezza stilistica, inaugura una stagione di rinnovamento a livello internazionale.

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Manu

Con la sfilata Iulia Barton Inclusive Fashion Industry, la moda è inclusiva

Quand’ero una ragazzina, l’aggettivo esclusivo mi affascinava.
Non mi soffermavo sul suo significato profondo, mi sembrava semplicemente che celasse un mondo misterioso al quale anch’io, piena di sogni, desideravo appartenere.
Crescendo, però, ho sviluppato una passione per il significato e l’origine delle parole e così esclusivo mi si è rivelato per ciò che è: quel fascino che avvolgeva e ammantava l’aggettivo si è piano piano dissolto, lasciando d’un tratto nudo il significato più autentico.
E non credo che tale significato risulti ai miei occhi tanto appetibile e desiderabile come allora.

Esclusivo viene spesso usato con un’accezione positiva, per sottolineare e dare enfasi, appunto, a qualcosa che si considera speciale e che si vuole far apparire come un sogno eppure, in realtà, deriva dal latino medievale exclusivus, derivato di excludĕre ovvero escludere.
Dunque esclusivo delinea un piccolo mondo, traccia un recinto ed esclude tutto il resto o tutti gli altri, in modo assoluto: ripeto, non sono più così sicura che oggi questo significato mi rappresenti, che rappresenti la mia visione, la mia voglia di comunicare, di condividere, di includere gli altri in ciò che amo.
A parte il rapporto di coppia che per me deve essere esclusivo (sono irrimediabilmente monogama e concedetemi il piccolo gioco volto a sdrammatizzare e a non rendere assoluta nemmeno me), non mi piace immaginare cose e situazioni che escludano a priori la possibilità di accesso.

Mi tocca ammetterlo: uno degli ambiti che maggiormente amo – la moda – si fonda spesso sul concetto di esclusività intesa come esclusione.
Ma, soprattutto negli ultimi anni, la musica sta cambiando e sempre più spesso si parla del concetto di moda inclusiva, ovvero di moda che non escluda qualcuno a priori.

Da esclusivo (che esclude) a inclusivo (che include) ed è proprio di questo che desidero parlarvi oggi, di un bel progetto di moda inclusiva che si chiama Iulia Barton Inclusive Fashion Industry e che avrà un nuovo capitolo durante l’imminente Milano Fashion Week.

Un’idea di moda inclusiva volta alla raccolta fondi e alla comunicazione no profit: è ciò a cui mirano Fondazione Vertical (organizzazione senza scopo di lucro creata per raccogliere risorse per finanziare la ricerca scientifica sulla lesione spinale e sulla cura della conseguente paralisi) e Iulia Barton Inclusive Fashion Industry (un’agenzia specializzata in un nuovo concetto di moda senza confini), ponendosi lo scopo di portare sulle passerelle internazionali contesti sociali da sempre tenuti fuori dall’industria moda.
Il risultato? Una sfilata che vede coinvolte anche indossatrici in carrozzina e con amputazione per dimostrare che la cosiddetta diversità è un attributo privo di fondamento.
In questa sfilata, protesi e carrozzine diventano estensioni dell’abito, un valore aggiunto grazie alla collaborazione con l’azienda Able to enjoy che è stata incaricata di personalizzare le carrozzine in base ai colori degli outfit.

Dopo il successo degli anni scorsi, i riflettori si accendono nuovamente sulla moda inclusiva martedì 27 febbraio 2018 alle ore 18 presso il Teatro Vetra di Piazza Vetra 7 a Milano.
L’evento prevede la presenza di alcune maison del Made in Italy che si uniranno con il preciso obiettivo di abbattere le barriere sociali e sostenere la ricerca.
Sfileranno in passerella volti conosciuti tra cui Tiphany Adams (atleta, modella e attrice che vive e lavora in carrozzina) e Shaholly Ayers (modella con amputazione al braccio): seguitissime sui social, Tiphany su Instagram e Shaholly su Facebook, sono entrambe impegnate sul fronte del cambiamento del modo in cui noi tutti percepiamo la disabilità.

L’evento è stato insignito della Medaglia al Valore Civile e Sociale dal Presidente Giorgio Napolitano: è stato sostenuto e patrocinato dal Consiglio dei Ministri, Dipartimento delle Pari Opportunità, e dal 2016 ha ottenuto il patrocinio di Camera Nazionale della Moda Italiana (la foto che vedete in apertura è riferita proprio all’evento 2016, con la presenza di wheelchair & standing model, per usare le parole di Giulia Bartoccioni, fondatrice del progetto Iulia Barton).

La sfilata è pubblica e il biglietto di ingresso, acquistabile sul posto oppure online qui, prevede una donazione minima di euro 19.
I proventi della serata verranno devoluti ai laboratori delle strutture Niguarda Ca’ Granda e San Paolo Hospital a sostegno della ricerca nel campo della rigenerazione dei danni al midollo spinale attraverso le nanotecnologie e l’utilizzo di cellule staminali.
I fondi raccolti saranno destinati anche all’acquisto di nuove strumentazioni di laboratorio e verranno impiegati per il sostegno dei giovani ricercatori all’interno dei team di studio.

Martedì 27 febbraio, io sarò lì perché credo fermamente che i grandi sogni non abbiano barriere di alcun tipo.
Perché credo fermamente che la moda debba essere inclusiva, ovvero essere rappresentativa della società in cui viviamo e di tutte le persone che la compongono, così come ho raccontato in varie occasioni, usando anche me stessa e le mie cicatrici.
E perché Inclusive is Exclusive – stavolta nel miglior senso possibile, però.

Vi aspetto?

Manu

Piccione.Piccione FW 17-18, il bosco magico che rende omaggio alla vita

È arrivato l’autunno.

Lo so, non c’è bisogno che sia io a sottolinearlo in quanto è un fatto evidente a tutti noi: le temperature si sono abbassate, le giornate si stanno facendo più corte, le sfumature di grigio si moltiplicano preannunciando l’arrivo dell’inesorabile Generale Inverno.

Aumentano le mattinate all’insegna di una leggera nebbiolina spesso persistente e, nelle vie del centro città, i banchetti degli ambulanti vendono già cartocci pieni di caldarroste profumate.

Io rabbrividisco – e non solo per le temperature più basse nonché per la mia abitudine di fare a meno dei collant il più a lungo possibile: è la prospettiva dell’inverno a preoccuparmi, visto il mio pessimo rapporto con il grande freddo, con il colore grigio e con l’assenza di luce. Sono tra coloro che soffrono della sindrome meteoropatica, lo ammetto, e l’inverno non è certo la mia stagione preferita.

Come ogni anno, dunque, cerco di trovare buoni motivi per arrivare a un compromesso con la stagione che detesto cordialmente e, tra le altre cose, trovo conforto nel presentarvi le collezioni autunno / inverno dei miei stilisti prediletti, perché la bellezza e la creatività rappresentano – secondo me – un rimedio perfetto per ogni situazione di disagio: a maggior ragione, mi piace parlare degli stilisti che inseriscono colore e vivacità nelle loro collezioni.

Esattamente in questa ottica, oggi ho deciso di parlarvi della collezione Piccione.Piccione autunno / inverno 2017 – 2018 e desidero prima di tutto spiegarvi i motivi di tale scelta.

Seguo Salvatore Piccione, lo stilista che è l’anima del brand, da diverso tempo: ho sempre riconosciuto in lui una grande maestria nelle lavorazioni, eppure c’era qualcosa che mi impediva di essere completamente soddisfatta. Leggi tutto

Milan Fashion Week, con le collezioni SS 2018 va in scena molto di più…

Lunedì è stato l’ultimo giorno della Milan Fashion Week e dell’edizione dedicata alle collezioni primavera / estate 2018 o SS 2018, come dicono gli addetti ai lavori.
Volete sapere se sono triste per la fine della MFW, visto che la moda è un po’ il mio pane e un po’ la mia malattia?
Certo, un po’ mi dispiace che termini perché amo ciò che faccio.
Però penso anche che ci siano belle cose da fare in tanti ambiti interessanti, non solo nella moda, quindi no, non sono affatto triste.

Chi legge più o meno abitualmente A glittering woman (non guasta mai ripetere il mio sentito e sincero grazie ) sa che, al termine delle settimane dedicate alla moda, pubblico un mio reportage con le riflessioni scaturite da sfilate e presentazioni alle quali ho assistito nonché da tutto ciò che fa da contorno.

Ho scritto di certe cattive abitudini dell’ambito in cui mi muovo, ho parlato della questione accrediti alle sfilate (e in verità l’ho fatto più di una volta), ho raccontato di metatarsi malconci e di sciocchi luoghi comuni.
Al termine della scorsa edizione, quella di febbraio 2017, ho scritto di una messa (sì, una messa) che mi ha lasciato tanta tristezza nonché di un importante salone e della completa cecità nel gestire gli ingressi.

E questa volta?

Beh, tralasciando il fatto che né le cattive abitudini né i luoghi comuni sono morti (purtroppo…) e sorvolando sul fatto che la gestione spesso incomprensibile degli accrediti prosegue pressoché senza miglioramenti, a parte tutto ciò, in verità devo ammettere che questa edizione è andata piuttosto bene – se non altro a livello personale.
Non ho cioè vissuto particolari disagi o incidenti di percorso, forse perché in alcuni casi ho deciso di rinunciare proprio in partenza – e non è una cosa bella, lo so.

Eppure, cari amici, vi devo dire che a volte perfino gli spiriti più tenaci (e io lo sono) si stancano di combattere contro i mulini a vento e decidono di fare un passo indietro.
Non è una rinuncia o una resa definitiva, sia ben chiaro: è solo una tregua in attesa di capire come riorganizzare le forze, è una pausa che mi serve a riprendere fiato, è un mettermi alla finestra in attenta osservazione.

Mai rinuncerò a combattere contro i luoghi comuni e la maleducazione (perché è questa una delle cattive abitudini alle quali mi riferisco), ma al momento sono stanca di continuare a scriverne.
Mi limito a prendere in prestito le parole della brava giornalista Lucia Serlenga che, nel suo reportage post-MFW SS 2018, rivolgendosi agli addetti ai lavori, scrive le seguenti testuali parole: «andrebbe ricordato a tutti quelli che fanno parte di un mondo ritenuto raffinato che prima vengono le persone». Leggi tutto

Situationist FW 17-18 e il vento di novità che viene dalla Georgia

Al termine di ogni edizione di Milano Moda Donna, ho in genere due diverse e quasi contrapposte reazioni.

Da un lato, sento il bisogno di creare una distanza allo scopo di riuscire a godere di un punto di vista complessivo, di un panorama completo.

È un po’ come se si guardasse un quadro o un arazzo: da vicino si possono vedere bene i dettagli, ma è solo allontanandosi un po’ che si può godere dell’opera nel suo insieme e comprenderne tutta la portata.

Qualcuno si scandalizzerà, forse, per il paragone con un’opera d’arte, ma in realtà il mio non vuole essere un paragone blasfemo: è esattamente il sentimento che provo dopo una settimana che si trasforma in un’overdose di stimoli. Sento il bisogno di regalarmi tempo e distanza per comprendere bene ciò che ho visto e per scegliere quelle che per me sono le collezioni davvero interessanti.

Subito dopo, però, nasce la seconda esigenza: dopo essermi regalata un po’ di tempo per la mia analisi, sento di non poter aspettare oltre e provo il desiderio di condividere ciò che ho amato con voi che mi fate il dono di frequentare questo spazio. Senza aspettare il prossimo autunno, in questo caso.

E così, oggi desidero parlarvi di Situationist, stilista georgiano che lo scorso febbraio ha catturato la mia attenzione per molti buoni motivi. Leggi tutto

Alberto Zambelli FW 16 – 17, la moda tra Klimt e The Danish Girl

Oggi è uno di quei giorni in cui ho particolarmente bisogno di credere nella bellezza e di credere che essa salverà il mondo; è uno di quei giorni in cui ho bisogno di rifugiarmi nella gioia rappresentata dalla presenza di un talento certo.

Non vi tedierò raccontando perché tali bisogni siano tanto impellenti, ma vi racconterò come e dove ho trovato il rifugio al quale anelavo: nella collezione Alberto Zambelli FW 16 – 17.

Quella di Alberto è una presenza costante qui in casa A glittering woman in quanto è una persona e un professionista che stimo molto e che dunque amo seguire, stagione dopo stagione: lo scorso febbraio, lo stilista ha catturato ancora una volta la mia attenzione presentando la collezione dedicata all’inverno attualmente in corso.

Oggi vi parlo proprio di ciò che ho visto partecipando alla sfilata del 28 febbraio 2016 con i capi che ho poi potuto toccare e osservare da vicino in occasione della presentazione fatta nei giorni seguenti al White, il salone milanese della moda contemporanea.

L’ispirazione di Alberto viene stavolta dalle figure di Maria Viktoria Altmann e di Lili Elbe (pseudonimo di Einar Mogens Andreas Wegener), due persone dalla vita assai avventurosa e particolare nonché protagoniste di due film, Woman in Gold e The Danish Girl. Leggi tutto

Dee di Vita, un progetto importante per tutte le donne

Ci sono questioni che toccano profondamente le mie corde più intime.
Tra tali questioni figura la malattia e, in particolare, l’approccio alla malattia e al dolore fisico.
Ho conosciuto il dolore in più occasioni e l’ho provato sulla mia pelle, letteralmente, soprattutto a causa di un grave incidente subito da bambina: tutt’oggi porto le cicatrici indelebili, i segni di un’ustione che quasi mi privò della vita.
Credetemi se dico che, nonostante fossi piccolissima, il trauma è stato tanto forte che piccoli frammenti di quella terribile esperienza sono impressi nella mia memoria. Sprazzi di dolore e momenti di angoscia (ero stata ricoverata in camera asettica e avevo paura, ero solo una bambina) che sono perfino più profondi delle cicatrici fisiche che, da adulta, non ho infine voluto togliere.
Sostengo (sorridendo) di essere stata ricompensata per quel tragico incidente attraverso la fortuna di un’ottima salute; eppure, ho conosciuto la malattia attraverso tante (troppe…) persone care che fanno parte della mia vita. Alcune non ci sono più, purtroppo, ma sono presenti più che mai nel mio cuore.
L’ustione non ha solo segnato la mia pelle, ha anche forgiato il mio animo: la mia soglia del dolore è abbastanza alta e sopporto piuttosto bene la sofferenza fisica.
Ma, per paradosso, se sono disposta a sopportarla su me stessa, mi è invece difficile accettarla in coloro che amo: un conto è soffrire in prima persona, un altro è veder soffrire coloro che amiamo. Per quanto mi riguarda, preferisco di gran lunga essere io a provare dolore. Non so, forse così ho l’illusione di poterlo controllare e di poterlo vincere ancora, così come è già stato…
Naturalmente, detesto vedere soffrire i bambini, mi fa stare male quasi fisicamente proprio perché sono stata una bambina sofferente; lo stesso mi accade quando a soffrire sono in generale le donne, soprattutto a causa delle malattie tipicamente femminili.

È per tutti questi motivi che, ogni volta in cui c’è la possibilità di dare il mio piccolo aiuto alla lotta contro la malattia, mi metto in gioco volentieri e cerco di dare il mio sostegno con tutto il cuore.
So che quel che faccio non è altro che aggiungere una piccola goccia, ma sono convinta che il mare – soprattutto se inteso in senso metaforico – sia fatto da tante, tantissime microscopiche gocce.

Sono particolarmente orgogliosa di dare un contributo quando è la moda – la dimensione nella quale mi muovo quotidianamente – a scendere in campo.
Perché da sempre credo nella moda come forma di linguaggio.
E sono altrettanto felice di poter affermare che ci sono realtà che, oltre ad amare la moda, amano i messaggi che essa può contribuire a dare, grazie all’enorme cassa di risonanza sulla quale può contare.

È il caso di La Tenda Milano che si è innamorata del progetto Dee di Vita e che ha voluto fortemente partecipare all’iniziativa solidale nata dalla collaborazione tra Mantero e l’Ospedale San Raffaele di Milano.

Scopo di Dee di Vita è quello di sostenere le attività di Salute allo Specchio, organizzazione non lucrativa che si occupa di supportare psicologicamente le donne con patologie oncologiche con l’intento di aiutarle a ritrovare bellezza, vitalità, sicurezza e femminilità.
Fulcro dell’iniziativa è Vita, un turbante speciale creato da Mantero, azienda storica fondata a Como nel 1902 e specializzata nella seta: Vita è semplice da indossare e può essere annodato con pochi gesti. È un morbido abbraccio di seta, una vera e propria carezza che non irrita la cute delicata di chi affronta terapie farmacologiche molto impegnative.
Con il desiderio di creare una serie limitata di turbanti, La Tenda, celebre boutique meneghina di prêt-à-porter, ha scelto rose acquerellate che sbocciano con sapienti colpi di pennello: sono declinate in cromie calde che ricordano i colori della terra e scenari esotici, con tocchi di indigo e fucsia. Potete vederlo in anteprima nella foto qui sopra.
Grazie al prezioso contributo di La Tenda Milano e all’impegno profuso da Mantero, una parte del ricavato delle vendite dei turbanti – prezzo al pubblico 80 euro – sarà devoluto alla Onlus Salute allo Specchio.

I turbanti limited edition Mantero per La Tenda verranno presentati a Milano in occasione dell’edizione di Milano Moda Donna che sta per iniziare, con il patrocinio della Camera Nazionale della Moda Italiana.
L’allestimento all’esterno della Boutique di via Solferino 10, nel cuore di Brera, trasformerà la via in una vera e propria galleria d’arte: dal 21 al 23 settembre, sarà infatti aperta al pubblico la mostra Donne ConTurbanti del fotografo Guido Taroni, mostra il cui obiettivo poetico fa emergere, attraverso 16 ritratti di donne, tutta la personalità di ognuna di loro. Donne che, pur non avendo affrontato in prima persona la malattia, si sono dimostrate uniche e speciali nel modo di indossare i turbanti Vita.
La mostra sarà arricchita da un nuovo esclusivo scatto che interpreta il turbante Vita nella fantasia realizzata in esclusiva per La Tenda: lo scatto verrà svelato il 20 settembre, in occasione della serata dedicata alla Vogue Fashion’s Night Out e all’inaugurazione della mostra.
E per raccontare il dietro le quinte della creazione della nuova fantasia svelandone il lato più squisitamente artistico, proprio in occasione della VFNO, La Tenda accoglierà, a partire dalle 18:30, una performance di live painting durante la quale una textile designer di Mantero mostrerà come prendono vita le fantasie che ritroviamo sul pregiato twill di seta di Vita.
L’evento proseguirà poi alle 19:30 con Lisa La Pietra, giovane soprano e ideatrice di Argia, progetto che prevede l’utilizzo della vocalità come tramite di emozioni. Attraverso alcuni brani tratti dalla tradizione operistica, una speciale performance di musica dal vivo accompagnerà tutti i presenti alla scoperta di quella che è la grande forza insita in ogni donna, in linea con il vero significato di Argia.
Sapete qual è il significato di questa parola? Illuminata.

Parola perfetta.
Perché è riuscire a vedere la luce ciò di cui ha bisogno chi affronta le patologie oncologiche.
E la luce passa anche attraverso la nuova estetica oncologica nonché attraverso tutto ciò che può trasmettere i valori della bellezza e della forza delle donne, sostenendo concretamente coloro che sono in cura e facendo ritrovare il desiderio di prendersi cura di sé.

Per questo Vita è un prodotto volutamente allegro e colorato, perché interpreta l’energia di tutte le donne, ne celebra la bellezza e ne valorizza la femminilità.

Bando al dolore e alle lacrime. Siamo Dee di Vita.

Manu

 

Qui trovate il sito di La Tenda Milano; qui il sito di Mantero; qui il sito del fotografo Guido Taroni; qui il sito del soprano Lisa La Pietra; qui il progetto Dee di Vita; qui la Onlus Salute allo Specchio con approfondimenti interessanti e importanti, per esempio a proposito dell’estetica oncologica.

 

 

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La Moda aiuta il Duomo e instaura un dialogo tra apparenza ed essenza

Ho espresso più volte, qui e in altre sedi, il mio entusiasmo per il fermento che sta animando Milano.

Sono felice di cogliere e sottolineare tutta una serie di elementi concreti che mi fanno ben sperare che la mia città torni a essere una delle protagoniste della vita culturale e sociale italiana: talvolta, mi sono spinta fino a esprimere il sogno di un nuovo Rinascimento.

Non mi pento di queste parole e di queste speranze, anzi, le riconfermo proprio ora: in questi giorni, la città è piacevolmente invasa dal movimento generato dal Salone del Mobile e dalla Design Week e devo dire che si respira un’atmosfera bellissima, allegra, vivace e vitale. Come se ciò non bastasse, giovedì mattina ho partecipato all’inaugurazione di un evento che ha dato ancor più senso al mio entusiasmo in quanto unisce due dei miei grandi amori, quello per Milano – appunto – e quello per la Moda (questa è una delle occasioni in cui il termine va scritto con la M maiuscola).

Da buona milanese, quando parlo di amore per la mia città non posso non pensare al Duomo, una delle più grandi cattedrali gotiche in Italia e in Europa.

Il Duomo è il simbolo che rappresenta il capoluogo lombardo nel mondo grazie a una straordinaria architettura frutto di una storia secolare: generazione dopo generazione, epoca dopo epoca, lo scorrere del tempo ha scolpito e plasmato il marmo della Cattedrale, unendo tecniche e soluzioni ideate e realizzate da sapienti artisti e artigiani. Leggi tutto

Alberto Zambelli SS 16 e l’Africa di Seydou Keïta

Qualche settimana fa, una persona mi ha fatto un’osservazione: parlando di una mia intervista ad Alberto Zambelli, mi ha fatto notare che lo stilista “è uno sconosciuto per il grande pubblico”.

Sarà. Forse è vero, forse no.

Comunque, ho sorriso – e sorrido – perché resta il fatto che, in ogni caso, questo risulta essere un modo piuttosto limitato e ristretto di vedere la faccenda che è molto più ampia e sfaccettata.

Primo: ho molta stima del “grande pubblico” e credo molto nelle persone in generale. Credo nel mio prossimo e in coloro i quali mi fanno il dono di leggere ciò che scrivo. Credo nella loro – nella vostra! – curiosità e voglia di conoscere. Cosa dite, sbaglio? Faccio male?

Secondo: penso che da un professionista o da un cosiddetto insider, ovvero da uno che sta dentro un certo ambiente, occorra aspettarsi (e pretendere) che presenti delle autentiche novità alle quali chi fa altro nella vita non ha modo o tempo di arrivare. Faccio un esempio pratico: se vado dal dentista, pretendo che sia in grado di presentarmi l’avanguardia e le tecniche più nuove ed efficaci, quelle che io non conosco ma che a lui devono essere note. Idem per la moda: se io fossi nel lettore da “grande pubblico”, da un editor o da un blogger pretenderei autentiche chicche e primizie da ricercatore.

Terzo: a me non è mai piaciuto vincere facile perché conquistare una vetta considerata ostica mi dà maggior soddisfazione che camminare su una frequentatissima pianura già largamente battuta. Non ho mai scelto la via più comoda, nemmeno quando ho potuto.

Aggiungete che sono ostinata al limite della cocciutaggine: difendo le mie opinioni con forza e perseveranza. Mi metto in discussione, sì, ma cerco, alla fine, di ragionare e scegliere sempre e comunque con la mia testa.

E, infine, amo la bellezza e il coraggio.

Mettete insieme il tutto e otterrete ciò che mi sono messa in testa: sono convinta che Alberto Zambelli e un manipolo di altri talentuosi stilisti sappiano portare avanti la bellezza dimostrando di avere il coraggio delle proprie idee.

Dunque, vale la pena di sostenerli e supportarli. Dunque, insisto e torno di nuovo a parlare di lui, di Alberto, scegliendo ancora una volta la strada meno facile, scontata e battuta. Leggi tutto

Fatima Val SS 2016, metamorfosi ed evoluzione

Giorni fa, scambiando alcuni messaggi con un’amica, mi sono trovata a esporle una mia convinzione: sapersi adeguare al tempo in cui si vive è un’esigenza, oggi più che mai, pena la scomparsa, esattamente com’è accaduto ai dinosauri.

D’altro canto, tale mia convinzione non è certo innovativa: l’idea di evoluzione è molto antica e fu elaborata in modo scientifico nell’800, grazie all’opera di studiosi come Charles Darwin e Alfred Russel Wallace.

Darwin e Wallace si basarono su concetti quali la variabilità dei caratteri ereditari, la selezione naturale e la lotta per l’esistenza giungendo alle teorie evolutive che sono oggi le basi fondamentali della biologia: in maniera del tutto analoga, tali teorie possono essere traslate all’evoluzione del modo di pensare. Chi non è capace di far evolvere i propri pensieri e le proprie idee rischia di restare ai margini.

Ecco perché amo il lavoro dei giovani stilisti ed ecco perché amo, per esempio, quello di Fatima Val: il loro pensiero e la loro visione sono in costante evoluzione.

“La trasformazione è uno dei principali processi naturali nonché il più importante principio dell’evoluzione. È una legge generale grazie alla quale la vita stessa esiste: è questa la chiave dello sviluppo che dà origine alla diversità.”

È il pensiero che ho trovato aprendo la cartella stampa che mi è stata consegnata lo scorso 28 settembre, quando ho assistito alla sfilata della collezione primavera / estate 2016. Leggi tutto

L’anticonformista, la collezione Grinko SS 2016

È inutile, non ce la faccio proprio: provo a restare fredda e asettica, provo a frenare la spontaneità, ma è qualcosa che proprio non mi riesce.

O almeno non mi riesce con la moda: in questo ambito sono come quando ero ragazzina e avevo poche mezze misure.

Nella moda ci sono cose che mi piacciono e cose che non mi piacciono; cose che mi appassionano e cose che mi lasciano del tutto indifferente. Cercare di convincermi è inutile, in un senso o nell’altro, perché lo ammetto, soffro di un’imperdonabile presunzione, quella di voler pensare con la mia testa.

Scelgo le cose che mi piacciono e che mi appassionano e dedico loro tutto il mio entusiasmo; al contrario, non sono interessata a uniformarmi al pensiero che va per la maggiore né sono interessata a unirmi ai cori osannanti gli stilisti più in voga. Allo stesso modo, non ho timore di dire “piace anche a me” se ciò è la verità, ma il punto è questo: deve essere la verità.

D’altro canto, l’ho dichiarato fin dall’inizio: in questo spazio web entra solo ciò che mi piace attraverso una selezione fatta alla fonte. Una piccola dittatrice? Direi piuttosto che è una garanzia di sincerità.

Propongo e non impongo; propongo ciò che mi piace, spiego perché mi piace e poi lascio la decisione finale a chi guarda e legge. Tutto qui.

Nel caso in cui chi guarda e legge approva a sua volta ciò che ho accuratamente selezionato, questa persona gode di una garanzia: sa che la mia opinione è sincera.

Ecco, è questa la mia presunzione. E se, alla fine, sia perdonabile o no, lo lascio decidere a voi. Leggi tutto

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