Cartoline virtuali da Milano al tempo di Instagram / PARTE 4

A volte ritornano: capita con le persone, coi ricordi e perfino coi post. Come in questo caso.

Per la prima, la seconda e la terza puntata di questo post, occorre tornare rispettivamente al 30 luglio 2014, al 24 dicembre 2013 e al 30 dicembre 2014. È passato un po’ di tempo, dunque.

L’idea è nata da una riflessione: da ragazzina, soprattutto quando andavo alle medie, partivo per le vacanze estive con una lunga lista di indirizzi, lista che serviva a ricordarmi a chi dovessi mandare le cartoline. Guai a non mandarle e guai a non riceverle, era una sorta di rito.

A mio avviso, oggi è Instagram a svolgere in modo virtuale parte della funzione che avevano le cartoline: Instagram non serve forse a condividere, attraverso immagini e fotografie, ciò che ci piace, ciò che facciamo e i posti in cui andiamo? Le stesse cose che facevamo mandando una cartolina.

E così, visto che le cartoline – poverette – sembrano non andar più di moda, ho pensato di fare dei post raccogliendo le foto che scatto e poi pubblico su Instagram, soprattutto quelle che riguardano la città nella quale vivo: cartoline virtuali da Milano via Instagram. Leggi tutto

Mr. David Bowie, you will be our hero forever

Trasformismo, cambiamento, metamorfosi.
Artista a 360°, uomo camaleontico, poliedrico, innovatore e innovativo, allergico ai cliché.
Sono solo alcune delle espressioni e delle definizioni che hanno accompagnato David Bowie per tutta la vita, caratterizzando le sue incursioni tra musica, cinema, arte e moda.
Ci sono parole abusate, incredibilmente abusate, e una di queste è icona: David Bowie lo era, davvero, lo è e lo resterà.
Ci sono persone che andandosene lasciano un vuoto indescrivibile, persone che fanno sentire tutti quanti orfani.
In tantissimi sentiremo il vuoto lasciato da David Bowie e dai suoi numerosi personaggi e alter ego nati da quel suo essere camaleontico: Ziggy Stardust, Aladdin Sane, Halloween Jack, Nathan Adler, The Thin White Duke (il Duca Bianco), giusto per citarne alcuni.
Ci mancherà, ci mancheranno. Tanto. Tantissimo. Troppo.
«La celebrità non serve assolutamente a nulla, è solo un impedimento per tutto quello che vuoi fare. Avrei voluto fare tutto ciò che ho fatto ed essere completamente senza volto.»
Così aveva dichiarato tempo fa e sono parole delle quali comprendo il senso profondo: eppure, noi non dimenticheremo tanto facilmente né il suo volto né quello sguardo asimmetrico dato dagli occhi di colore diverso, risultato di un pugno ricevuto da adolescente.
Siamo felici che la libertà di essere chi si è, cambiando anche ogni giorno, abbia avuto il volto di David Bowie.
Il volto di chi ci ha raccontato come ognuno di noi possa essere non solo sé stesso ma anche un eroe, magari per un giorno: lui, invece, sarà il nostro eroe per sempre.

Though nothing, will keep us together
We could steal time,
Just for one day
We can be Heroes, for ever and ever
What d’you say?

What d’you say?, Che ne dici? – cantava e chiedeva.
Cosa dico? Io dico solo che, un giorno, ci si vedrà di nuovo oltre le stelle, Mr. Bowie.

Manu

Se cercate tracce di lui, qui trovate il suo sito e qui il profilo Instagram ufficiale.

La foto in altro mostra David Bowie a Parigi nel 1977 (© Christian Simonpietri/Sygma/Corbis via The Guardian).
Concludo con una piccola gallery di altre meravigliose foto (cliccate sulle immagini per ingrandirle e scorrerle)

Fatima Val SS 2016, metamorfosi ed evoluzione

Giorni fa, scambiando alcuni messaggi con un’amica, mi sono trovata a esporle una mia convinzione: sapersi adeguare al tempo in cui si vive è un’esigenza, oggi più che mai, pena la scomparsa, esattamente com’è accaduto ai dinosauri.

D’altro canto, tale mia convinzione non è certo innovativa: l’idea di evoluzione è molto antica e fu elaborata in modo scientifico nell’800, grazie all’opera di studiosi come Charles Darwin e Alfred Russel Wallace.

Darwin e Wallace si basarono su concetti quali la variabilità dei caratteri ereditari, la selezione naturale e la lotta per l’esistenza giungendo alle teorie evolutive che sono oggi le basi fondamentali della biologia: in maniera del tutto analoga, tali teorie possono essere traslate all’evoluzione del modo di pensare. Chi non è capace di far evolvere i propri pensieri e le proprie idee rischia di restare ai margini.

Ecco perché amo il lavoro dei giovani stilisti ed ecco perché amo, per esempio, quello di Fatima Val: il loro pensiero e la loro visione sono in costante evoluzione.

“La trasformazione è uno dei principali processi naturali nonché il più importante principio dell’evoluzione. È una legge generale grazie alla quale la vita stessa esiste: è questa la chiave dello sviluppo che dà origine alla diversità.”

È il pensiero che ho trovato aprendo la cartella stampa che mi è stata consegnata lo scorso 28 settembre, quando ho assistito alla sfilata della collezione primavera / estate 2016. Leggi tutto

SvegliatItalia poiché è giunta l’ora di essere civili

A volte sono ingenua esattamente come e quanto potrebbe esserlo una bambina.
Lo sono quando penso che non dovrebbe esistere il bisogno di parlare di cose che io vedo naturali come il sole che ci scalda e come l’aria che respiriamo.
Che bisogno dovrebbe mai esserci, per esempio, di spiegare che non esistono graduatorie quando si parla di amore?
Che bisogno dovrebbe mai esserci di specificare che l’amore non conosce razza, classe sociale, provenienza geografica e che non è eterosessuale né omosessuale? E che nessuna di queste può essere una discriminante tale da rendere un amore inferiore, di serie B, illegittimo oppure meno puro o meno giusto?
Eppure, ce n’è bisogno, eccome, anche se mi sembra così assurdo, mi sembra assurdo che esista la necessità di discuterne in un Paese che crede di essere civile, che crede di essere libero. Mi sembra assurdo che questo accada nell’anno 2016.
È così, purtroppo: il mondo ideale disegnato dai miei pensieri di bambina (o di idealista) non esiste, non oggi, non qui. E quindi, mi ritrovo a scrivere questo post.
Che pizza – penserà qualcuno – ora attacca una delle sue filippiche.
Vedete, in realtà sono stata indecisa se scrivere o no queste righe, ma poi è successo che un allenatore di calcio (Maurizio Sarri) ne abbia offeso un altro (Roberto Mancini) usando parole che mai avrebbe dovuto usare: “frocio” e “finocchio”.
Ancora una volta, una scelta d’amore è stata oggetto di scherno; ancora una volta, un modo di vivere la propria vita e la propria sessualità è stato usato a mo’ di insulto come se un uomo che ama un altro uomo – o una donna che ama un’altra donna – sia da discriminare, sia un’infamia. Nel 2016 – lo ripeto per l’ennesima volta.
E il tutto è partito non da un ragazzetto, ma da un uomo adulto.
E allora ho sospirato e ho detto a me stessa “povera illusa creatura, scrivi un post e fai la tua parte, prova a dare un contributo concreto a ciò in cui credi”. Leggi tutto

L’anticonformista, la collezione Grinko SS 2016

È inutile, non ce la faccio proprio: provo a restare fredda e asettica, provo a frenare la spontaneità, ma è qualcosa che proprio non mi riesce.

O almeno non mi riesce con la moda: in questo ambito sono come quando ero ragazzina e avevo poche mezze misure.

Nella moda ci sono cose che mi piacciono e cose che non mi piacciono; cose che mi appassionano e cose che mi lasciano del tutto indifferente. Cercare di convincermi è inutile, in un senso o nell’altro, perché lo ammetto, soffro di un’imperdonabile presunzione, quella di voler pensare con la mia testa.

Scelgo le cose che mi piacciono e che mi appassionano e dedico loro tutto il mio entusiasmo; al contrario, non sono interessata a uniformarmi al pensiero che va per la maggiore né sono interessata a unirmi ai cori osannanti gli stilisti più in voga. Allo stesso modo, non ho timore di dire “piace anche a me” se ciò è la verità, ma il punto è questo: deve essere la verità.

D’altro canto, l’ho dichiarato fin dall’inizio: in questo spazio web entra solo ciò che mi piace attraverso una selezione fatta alla fonte. Una piccola dittatrice? Direi piuttosto che è una garanzia di sincerità.

Propongo e non impongo; propongo ciò che mi piace, spiego perché mi piace e poi lascio la decisione finale a chi guarda e legge. Tutto qui.

Nel caso in cui chi guarda e legge approva a sua volta ciò che ho accuratamente selezionato, questa persona gode di una garanzia: sa che la mia opinione è sincera.

Ecco, è questa la mia presunzione. E se, alla fine, sia perdonabile o no, lo lascio decidere a voi. Leggi tutto

Pensando alla primavera: Sunrise, l’aurora di Giulia Marani

Pare che, dopo un inverno finora mite, sia ora in arrivo il grande freddo: spero sia contento chi lo aspettava con tanta ansia. Non io, non sentivo affatto la mancanza del freddo rigido e non sono affatto contenta del suo arrivo: nel dubbio – e nel timore – che in effetti la previsione sia corretta, cerco di attrezzarmi con metodi di vario tipo.

Tra i più banali: mi sono comprata un delizioso cappellino con pompon oversize. Tra i più seri: dirigo i pensieri in direzioni per me piacevoli, per esempio verso l’idea della primavera.

Non potrebbe dunque esistere momento migliore per continuare a parlarvi delle collezioni per la prossima bella stagione: quella che ho scelto oggi ha un nome che è tutto un programma. Si chiama Sunrise, ovvero alba, aurora, sorgere del sole: un momento di rinascita, insomma, come quello che corrisponde all’arrivo della primavera.

Sunrise è la collezione primavera / estate 2016 della brava e talentuosa Giulia Marani, giovane stilista che seguo ormai da diversi anni e che, con grande gioia, vedo in costante crescita ed evoluzione.

Ciò che caratterizza fin dal principio il suo lavoro è la volontà di fondere moda e arte, un po’ come avveniva in un glorioso passato: cito come esempio supremo la mia adorata Elsa Schiaparelli e le sue collaborazioni con tanti artisti surrealisti. Giulia concretizza tale volontà scegliendo a sua volta di collaborare, stagione dopo stagione, con vari artisti tra i quali pittori e fotografi. Leggi tutto

Au revoir Monsieur André Courrèges

Au revoir, ovvero arrivederci e non addio, Monsieur Courrèges, perché a me gli addii non sono mai piaciuti: mi mettono addosso grande malinconia e quel senso di insoddisfazione che non riesco più a scrollar via.
André Courrèges è morto lo scorso 7 gennaio: figura fortemente innovativa della moda e dello stile, avrebbe compiuto 93 anni il 9 marzo.
Non aveva studiato moda bensì ingegneria civile e la sua formazione da stilista avvenne nell’atelier di Cristobal Balenciaga a Parigi. Le sue creazioni, insieme a quelle di Pierre Cardin e di Paco Rabanne, sono considerate le più rappresentative della cosiddetta Space Couture, la moda caratteristica degli anni ’60 percorsa da suggestioni spaziali e lunari, fascinazioni extraterrestri e rivoluzioni geometriche.
Nel 1961, dopo il periodo da Balenciaga, André Courrèges aprì la sua maison con la moglie Coqueline Barrière: tantissime le novità delle quali fu fautore.
Per esempio, è considerato il probabile inventore di un capo cult come la minigonna e la paternità risulta ancora dibattuta tra lui e Mary Quant: in realtà, l’invenzione fu molto probabilmente della stilista inglese, ma divenne famosa grazie a Courrèges che la introdusse nelle sfilate di Haute Couture.
Altra sua novità furono i go-go boots, stivali in vernice con tacco basso, versatili e comodi.
Il 1964 fu l’anno della Moon Girl Collection: cinque anni prima che l’uomo mettesse davvero piede sulla Luna (Neil Armstrong nel 1969), Courrèges ci mandò le sue ragazze che, da quel momento, incarnarono il mito del futuro e della conquista dello spazio. I materiali divennero d’avanguardia, le cromie si fecero sempre più essenziali.
Anche le sfilate diventarono innovative: le modelle di Courrèges uscivano fuori da armadi andando ad assumere pose plastiche e accantonando passo felino e ammiccamenti vari. Propose anche modernissimi filmati girati nei luoghi-simbolo di Parigi o con scenari ispirati a film come 2001: Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick (con le hostess vestite di bianco dal designer inglese sir Edwin Hardy Amies).
Altra invenzione memorabile furono i suoi Lunettes Eskimo, lanciati sul mercato nel 1965, occhiali da sole con lenti enormi solcate da una fessura, quasi come fosse una palpebra socchiusa.
Pensate che Miley Cyrus ha indossato i famosi occhiali di André Courrèges – nonché un paio di stivali che ricordano proprio i go-go boots – agli MTV Video Music Awards dello scorso 30 agosto 2015 in un outfit piuttosto provocatorio. Insomma, esattamente 50 anni dopo, le creazioni dello stilista francese continuano ad apparire interessanti anche a una giovane star, ribelle e non certo nostalgica.
Uno dei suoi capi distintivi fu – e rimane – la petite robe blanche: il bianco, colore-non colore onnipresente nelle sue collezioni, divenne protagonista di un abito che lo stilista ripropose costantemente e che divenne comune tra le donne dell’epoca.
La purezza delle sue linee e i tagli essenziali suscitarono anche delle critiche da parte di coloro che vedevano in quel design ultramoderno uno svilimento della figura femminile in quanto i capi non evidenziavano le forme sinuose del corpo. “Un design tipicamente automobilistico”, dissero in diversi anche ricordando la formazione ingegneristica di Courrèges: lui rispondeva semplicemente che la sua moda ringiovaniva le signore senza la necessità di ricorrere al bisturi.
Smise di lavorare negli anni ’90 perché era malato: mi addolora il fatto che sia morto dopo una lunghissima battaglia contro il Parkinson.
Monsieur Courrèges è uno dei pionieri della moda futurista e sperimentale: le sue creazioni sono state talmente oltre i tempi che, ancora oggi, risultano attuali, moderne e contemporanee.
Non si poneva limiti né confini di competenza: a tal proposito, sono rimasta colpita da una sua frase. “Se il mio soggetto è una donna, probabilmente creo un abito. Ma talvolta succede che un abito non sia in grado di comunicare tutte le emozioni che desidero esprimere. Cerco di esprimere le mie idee attraverso altri mezzi come l’architettura.”
La trovate ad accompagnare la foto del suo atelier a Pau, in Francia, sua città natale.
Qualcuno ha scritto che con la sua morte si chiude un capitolo della storia della moda e del costume: non sono d’accordo, non del tutto.
È vero, è scomparso uno dei designer più originali di sempre, ma chi ama profondamente la moda – così come la amo io – non dimenticherà la sua geniale creatività: dunque, ciò che lui ha fatto e ciò che ha creato continuerà a vivere.
E questo è l’unico modo che noi esseri umani abbiamo per diventare immortali.

Manu

I post nei quali ho fatto riferimenti e collegamenti al lavoro di André Courrèges: a proposito della collezione FW 2015-16 di Maison About ispirata anche alla Moon Girl Collection del 1964; a proposito della collezione FW 2015-16 di Chicca Lualdi ispirata ai tagli precisi e definiti creati dallo stilista durante tutta la sua carriera; a proposito della collezione SS 2015 di Heohwan Simulation ispirata al lavoro del trio Courrèges – Cardin – Rabanne; a proposito della collezione SS 2014 di Jo No Fui ispirata alla Space Couture della quale Courrèges fu uno dei maggiori esponenti sempre insieme a Pierre Cardin e Paco Rabanne.

Concludo con una piccola gallery di creazioni firmate da André Courrèges (cliccate sulle immagini per ingrandirle e scorrerle)

Bellezza e poesia nei gioielli di Chiara Lucato

Oggi concludo un viaggio, quello intrapreso per presentarvi alcune delle designer che ho incontrato grazie a Ridefinire il Gioiello, il bellissimo concorso curato da Sonia Catena, storica e ricercatrice d’arte esperta in design del gioiello contemporaneo.

Ridefinire il Gioiello è un progetto che si pone l’obiettivo di diffondere una nuova estetica del monile contemporaneo tramite la ricerca di materiali innovativi e sperimentali: edizione dopo edizione, il concorso ha coinvolto più di 2.000 creativi tra artisti, designer e orafi e per l’edizione 2015 si è posto una nuova sfida, ovvero riuscire a creare un Gioiello dell’Altrove in grado di racchiudere in sé l’esperienza del lontano e dello sconosciuto.

Anche per questa edizione, ho avuto il piacere e l’onore di essere media partner del progetto e ho analizzato i 51 progetti finalisti allo scopo di attribuire un premio a un vincitore da me scelto: come ho spiegato nei precedenti post dedicati a Loana Palmas e Alessandra Pasini, la qualità dei lavori presentati è stata tanto alta da indurmi a nominare tre vincitrici, tre giovani donne dotate di grande talento.

Loana è stata la prima ed è poi toccato ad Alessandra: completo il percorso con Chiara Lucato e col suo pendente Il Cantastorie.

La sua creazione ha saputo catturare la mia attenzione grazie a originalità, bellezza e poesia nonché grazie all’idea intrinseca di movimento e alla volontà di rappresentare una cultura diversa e solo apparentemente lontana: il Giappone. Leggi tutto

Se qualcuno augura la morte alle fashion blogger

Questo è un post di solidarietà e di orgoglio: sono una fashion blogger e ne sono orgogliosa.
Vi chiederete: perché questa dichiarazione? Ora ve lo racconto.

Lunedì 21 dicembre, il magazine online pizzadigitale.it ha pubblicato un articolo firmato da Andrea Batilla, un articolo dal titolo illuminato e illuminante: “A morte le fashion blogger”.
Tale titolo è tanto esaustivo da far passare in secondo piano l’articolo stesso se non per una frase altrettanto illuminata e illuminante: “Sappiamo bene che quelle ragazzine idiote si meritano tutte di tornare a passeggiare il sabato pomeriggio in qualche centro commerciale della provincia”.
Le “ragazzine idiote” sono le fashion blogger e sottolineo l’uso del “tutte”.
A questo punto, si è scatenato il caos, anche perché l’articolo era completo di foto di persone che non erano state interpellate.
Scrivo era perché tale articolo è stato poi cancellato: resta quello che ho copiato qui sopra.

Questo mio post è dunque di solidarietà verso la categoria fashion blogger della quale sento di fare parte ed è di orgoglio perché non mi vergogno affatto se e quando mi definiscono tale.

Mi risulta che una delle persone la cui foto è finita nell’articolo abbia sporto denuncia all’Ordine dei Giornalisti: pizzadigitale.it è una testata registrata presso il Tribunale di Milano con un direttore responsabile che dunque risponde in sede civile e penale di quanto pubblicato.
Lo stesso Andrea Batilla, tra l’altro, figura come co-direttore ed è menzionato con tale ruolo nella pagina dedicata alla redazione. Leggi tutto

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