Milano Fashion Week: Heohwan Simulation SS 2015
Uno dei problemi dell’Italia di oggi è la fuga dei cervelli e dei talenti: non riesco a dare torto a chi, soprattutto tra i giovani, va a cercare fortuna all’estero, tuttavia sono molto felice quando accade il processo inverso.
Ebbene sì, dall’Italia non si fugge soltanto: per fortuna, c’è chi sceglie di venire nel nostro paese e di iniziare proprio da qui. Volete un esempio?
Dopo due anni in cui ha sfilato nel corso delle fashion week londinesi, il marchio Heohwan Simulation si è spostato approdando sul palcoscenico di Milano Moda Donna: ho avuto la fortuna di essere presente al debutto dello scorso febbraio, con la collezione autunno / inverno 2014 – 15, e ho potuto assistere anche alla presentazione della collezione primavera / estate 2015, andata in scena in settembre.
Hwan Heo, nato a Seoul e laureato al Royal College of Arts di Londra, ha fondato il marchio nel 2010: da subito, si è concentrato su un’estetica pulita e moderna che trae ispirazione dalla sartoria maschile e dal design, con una forte attenzione per i dettagli. La base di partenza nella progettazione di ogni sua collezione è la sperimentazione condotta ponendosi in modo critico verso i percorsi e la storia della moda: il suo è un approccio costruttivo e lo stilista cerca di comprendere e reinterpretare vari fenomeni creando novità e modernità.
Tutto questo suo progetto ha un nome: The Critique Collection.
La collezione per la primavera / estate 2015 si chiama Electric Sheep ed è il settimo capitolo di The Critique Collection Project. Il tema è quello di un viaggio in un tempo fatto di ombre e visioni di luce: non vi sembra un tema straordinariamente attuale?
L’ombra e il nero rappresentano l’ansia per il futuro, mentre la luce e il bianco simboleggiano la speranza.
Lo stilista individua la sua personale fonte di speranza nella moda degli anni ’60, quando grandi couturier tra i quali André Courrèges, Pierre Cardin e Paco Rabanne disegnarono capi e accessori figli di un decennio percorso dalla febbre della conquista dello spazio e dalle suggestioni create dallo sbarco sulla Luna.
Quella degli anni ’60 fu per molti versi una moda rivoluzionaria e di rottura.
I tagli di André Courrèges, puliti ed essenziali, suscitarono le critiche di quanti vedevano nel suo design uno svilimento della figura femminile: secondo costoro, le linee non si adattavano alle forme sinuose del corpo e non esaltavano la grazia del fisico.
Pierre Cardin fece dell’avanguardia il suo manifesto creando abiti in plexiglas, shorts in vinile, accessori di plastica, occhiali a fessura.
Anche le creazioni di Paco Rabanne furono altrettanto contraddistinte da virtuosismi futuribili e vennero spesso realizzate in materiali inusuali come le fibre ottiche e la carta crespa nonché in metallo, fatto che gli valse il soprannome di Le métallurgiste, attribuitogli da Gabrielle Chanel.
Hwan Heo guarda a questi stilisti, alle loro geometrie e alle loro sperimentazioni condotte tra tagli, volumi e materiali: fa un recupero di tutto ciò e a sua volta sperimenta.
Crea un’ulteriore contaminazione citando i Futuristi e aggiunge un tocco di attitudine sportiva.
Cappe e poncho diventano punti focali della collezione: le linee di gonne e abiti sono ad A e sbuffi di rafia diventano dettagli preziosi. I ricami con paillette e perline di cristallo diventano tridimensionali.
A questo punto, faccio un nome: Blade Runner e stavolta parliamo di cinema, dunque.
Nel film (che io adoro), Ridley Scott ha immaginato un futuro oggi non troppo lontano (il 2019) e una città perennemente avvolta dalla nebbia prodotta dall’inquinamento, una cortina in grado di offuscare il sole e produrre una pioggia continua: ombra e luce si inseguono in un gioco continuo tra ansia e speranza (e qui torniamo alle dichiarazioni iniziali dello stilista), sentimenti divisi da un confine sottile.
Non mi sono affatto meravigliata di trovare il riferimento a questo film nella cartella stampa.
Di solito, cerco di leggere i comunicati solo dopo aver visto le sfilate, per non farmi influenzare: è vero che sono scritti appositamente per diffondere ciò che lo stilista ha voluto esprimere, ma è altrettanto vero che è bello trovare i propri riferimenti.
Ho fatto così anche stavolta e, in effetti, in autonomia, nella sfilata di Heohwan Simulation ho ritrovato un po’ di André Courrèges, di Pierre Cardin, di Paco Rabanne e di Blade Runner, sì, soprattutto del finale del film che si apre alla speranza, quando i due protagonisti corrono verso un futuro non più scritto, nuovamente carico di speranze e aspettative, in corsa verso la luce, lasciandosi alle spalle la città claustrofobica.
A proposito, se vi è rimasta la curiosità circa l’origine del nome della collezione, Electric Sheep, vi svelo l’arcano: Blade Runner è liberamente ispirato al romanzo Do Androids Dream of Electric Sheep? di Philip K. Dick e a questo – secondo me – si riferisce lo stilista.
Nulla è casuale nella ricerca di Hwan Heo: e se non vi ho convinti, guardate il fashion film qui in fondo.
Manu
I miei scatti alla sfilata del 22 settembre 2014
Per maggiori informazioni e per approfondire:
Qui il sito e qui la pagina Facebook di Heohwan Simulation
Il mio precedente incontro col brand: qui l’articolo sulla collezione autunno / inverno 2014 – 2015
Vi lascio col fashion film Electric Sheep, diretto da Hobin Kim con la direzione creativa e i capi di Hwan Heo: ritrovate le atmosfere di Blade Runner?
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Manu
Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.