Dalla lite Veronesi-Clio a Winnie Harlow e Jamie Brewer

Mi sorprendo ogni volta in cui mi capita di avere la testimonianza evidente di quanto ancora oggi siamo assurdamente schiavi di certi luoghi comuni.

Noi esseri umani siamo riusciti a compiere imprese grandiose, siamo andati sulla Luna e abbiamo combattuto malattie che erano autentici flagelli, eppure ciò che ci riesce tuttora difficile è abbattere quei limiti e quelle barriere che costruiamo dentro le nostre teste.

Vi chiederete il perché di un esordio tanto diretto: forse avete sentito parlare della polemica nata da un’infelice esternazione di Giovanni Veronesi, sceneggiatore, regista e attore, ai danni di Clio Zammatteo, truccatrice famosa con lo pseudonimo di Clio Make Up, titolo della trasmissione televisiva che conduce con successo e nome di un seguitissimo blog.

Veronesi conduce invece insieme a Massimo Cervelli Non è un paese per giovani, noto programma radiofonico della Rai, precisamente di Radio 2.

Erano i giorni dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica e i due conduttori avevano lanciato il quesito “Quale donna vorresti in quel ruolo?”: sentendo nominare proprio Clio, Veronesi ha risposto: “Non sapevo neanche chi era se non me lo spiegavano adesso. È una cicciona.”

Naturalmente, dopo questa affermazione, sono stati versati fiumi di inchiostro e oggi mi aggiungo anch’io: il fatto si commenta da solo talmente è – a mio avviso – tristemente evidente, una figuraccia epica, tuttavia desidero esprimere un quesito e un rammarico.

Partiamo dal quesito: cosa passa per la mente di una persona con un ruolo pubblico per riuscire a dire una cosa del genere, stupida, insensata, volgare, becera, triste, banale e inutile?

Mai sentito il saggio detto “don’t judge a book by its cover”?

E cosa significa cicciona per lui? E vogliamo anche dire che se Clio è cicciona… povere noi donne italiane medie!

Sono quasi certa che il commento sia stato fatto senza premeditazione e senza accanimento, in definitiva senza pensarci troppo e forse con un filo di spirito goliardico: scusate, ma per me questa leggerezza e questa superficialità non fanno che peggiorare le cose, non costituiscono un’attenuante bensì un’aggravante.

Veronesi non ha 6 anni, non è un bambino vivace e un po’ insolente al quale si perdona tutto, è un adulto ed è un adulto che parla in radio. La sua battuta non fa ridere: fa venire i brividi.

L’ipotesi dello scherzo, poi, non voglio nemmeno sentirla pronunciare, perché queste parole irresponsabili rischiano di avere pessima influenza rispetto a cose serie e gravi come il bullismo. Immaginate di rimproverare vostro figlio perché ha detto cicciona a una compagna: e se lui vi rispondesse “perché mi rimproveri, lo dicono anche in radio”?

Clio Zammatteo in arte <em>Clio Make Up</em>
Clio Zammatteo in arte Clio Make Up
Giovanni Veronesi
Giovanni Veronesi

Occorre mettersi in testa che, prima di parlare, occorre pensare, a maggior ragione se si ha un ruolo pubblico, appunto. E attenzione, oggi quel ruolo pubblico, in un certo senso, l’abbiamo tutti, quando scriviamo qualcosa su Facebook, su Twitter o su un blog, l’azione che sto compiendo io in questo preciso istante.

Avere un ruolo pubblico, prima ancora che vantaggi, comporta responsabilità.

C’è una bellissima canzone che amo molto: si chiama Pensa, è di Fabrizio Moro e dice “Pensa prima di sparare / Pensa prima di dire e di giudicare prova a pensare / Pensa che puoi decidere tu”.

È una canzone importante dedicata a uomini che hanno combattuto la corruzione a costo della propria vita e contiene una verità valida per tutto e per tutti: possiamo decidere noi quali parole fare uscire dalle nostre labbra e quella decisione è importante perché le parole possono essere più taglienti della lama di un coltello.

Lo dice anche la sapienza popolare: avete mai sentito parlare della regola delle 10 P detta anche le 10 P della saggezza? È un proverbio che dice così: “Prima pensa, poi parla, perché parole poco pensate portano pena”. Dieci parole che iniziano con P e che danno lo stesso consiglio della canzone di Fabrizio Moro.

Facendo tesoro di questi consigli, non voglio esprimere un giudizio su Giovanni Veronesi: mi guardo bene dal cadere nello stesso tranello. Il mio giudizio va solo ed esclusivamente alle sue parole ed è quello che ho espresso qui sopra: lo ripeto, sono state stupide, insensate, volgari, becere, tristi, banali e inutili.

E a questo punto, passo ad esprimere il rammarico: ancora una volta, non si è persa l’occasione per formulare un giudizio superficiale e insensato basato esclusivamente sull’aspetto fisico e inoltre questo giudizio ha fatto del male anche a chi l’ha espresso, pesando oggi sulla sua testa come un macigno.

Una volta qualcuno mi ha detto: “Non prendertela per un’opinione affrettata, perché un giudizio superficiale qualifica più chi lo esprime che chi lo riceve”.

Mi auguro per Giovanni Veronesi che non sia così, che quelle sue parole non equivalgano al suo animo così come l’epiteto cicciona non descrive Clio Zammatteo.

Mi auguro che dentro la sua testa non esistano davvero limiti di questo tipo, limiti che lo portano a liquidare una persona – e una professionista – etichettandola semplicemente come cicciona.

Mi auguro che per il futuro voglia far tesoro di quella massima di Albert Einstein che invita a dare il giusto valore a ogni essere umano: “Ogni persona è un genio. Ma, se giudichi un pesce dalla sua capacità di scalare un albero, passerà tutta la sua vita pensando di essere stupido.”

Non è essere magri o in carne che qualifica una persona né determina le sue competenze e capacità.

Trovo sia un autentico peccato che un professionista qual è Veronesi, uno che ha scritto sceneggiature per Francesco Nuti (ricordate Tutta colpa del paradiso?), che ha recitato in un film di Pupi Avati (Una gita scolastica) e che oggi è un affermato regista, rischi di essere ricordato, almeno prossimamente, per una simile e imperdonabile affermazione.

Andate a cercare il suo nome su Wikipedia: dopo una presentazione generale, troverete la frase “Nel febbraio del 2015 durante la messa in onda del programma Non è un paese per giovani definisce cicciona la blogger Clio Make Up scatenando la feroce reazione della rete nei suoi confronti”.

Ecco, capite cosa intendo quando affermo che è un enorme peccato non sapere come gestire una posizione pubblica?

Tuttavia, visto che a me piace cercare sempre un lato positivo, più che continuare a soffermarmi su questo episodio, preferisco guardare avanti e raccontarvi due notizie diametralmente opposte a questa.

Ho letto tali notizie a pochi giorni di distanza dal fatto che ha coinvolto Giovanni Veronesi e Clio: considero siano piccoli segnali che, se vogliamo, quei famosi (o meglio famigerati) limiti dentro la nostra testa si possono abbattere.

La prima notizia riguarda l’ascesa di una modella di nome Winnie Harlow, in arte Chantelle.

Direte: e che notizia sensazionale sarà mai? Il fashion system sforna di continuo nuovi volti e nuovi talenti.

Il punto è che Chantelle è affetta da vitiligine.

La vitiligine è un’alterazione cutanea caratterizzata da aree di depigmentazione: può interessare qualsiasi regione del corpo e si manifesta con chiazze in corrispondenza delle quali manca la normale colorazione cutanea.

Non è contagiosa, ma spesso è progressiva: il danno è puramente estetico.

Winnie Harlow <em>(tutte le immagini provengono dal suo portfolio da modella)</em>
Winnie Harlow (tutte le immagini provengono dal suo portfolio da modella)

Winnie Harlow rompe dunque il muro della perfezione imposta dal fashion system (e più in generale dalla società): ha faticato moltissimo per arrivare dove è oggi e ha vissuto un passato di pregiudizi e porte chiuse in faccia.

Aveva 4 anni quando le hanno diagnosticato la vitiligine e per questo è anche stata vittima di bullismo: i compagni di scuola la prendevano in giro paragonandola a una mucca e facendole il verso (ulteriore motivo per il quale la frase di Veronesi mi fa venire i brividi).

Bellissima e determinata, Ladybug – ovvero Coccinella, il nome datole dai suoi fan – ha deciso che la mancata pigmentazione non avrebbe cambiato il corso dei suoi sogni: l’ex modella Tyra Banks ha creduto in lei e l’ha convinta a partecipare al concorso America’s Next Top Model. Le parole di Tyra sono chiare: “La bellezza di Winnie è innegabile e la sua pelle rompe ogni barriera di ciò che viene normalmente considerato bello”.

Desigual e Diesel l’hanno scelta come testimonial per le loro nuove campagne pubblicitarie nelle quali non c’è censura: i chiaroscuri della sua pelle sembrano quasi dipinti ad arte.

“Crediamo che la bellezza si manifesti in modi diversi. Con questa nuova campagna vogliamo trasmettere un messaggio di inclusione e di positività”, ha detto Nicola Formichetti, direttore artistico di Diesel.

Nonostante ci siano alcuni trattamenti a cui le persone affette da vitiligine possono sottoporsi, nessuno di questi interessa Chantelle: la seguo da un po’ su Instagram dove moltissimi le dichiarano la sua ammirazione mentre qualcuno prova a riversare contro di lei la propria frustrazione.

A una donna che le ha sgarbatamente consigliato di usare il fondotinta per coprirsi, la modella ha risposto per le rime: “Questa è la mia vita e sono contenta delle scelte che faccio. Gonfiatevi le labbra, tagliatevi i capelli, fate una liposuzione, è una vostra scelta. Io sono orgogliosa della mia pelle. E sono a favore di tutto ciò che abbia come fine l’essere felici”.

E se non fosse chiaro, ecco il suo motto: “concentrati su quello che pensi tu di te e non su quello che pensano gli altri di te”.

Anche la seconda notizia che voglio condividere con voi riguarda una donna.

Se Winnie Harlow tenta di abbattere i pregiudizi attorno a un’alterazione cutanea che le provoca solo danni estetici, Jamie Brewer è invece la prima modella affetta da sindrome di Down a essere stata chiamata a sfilare su una passerella della New York Fashion Week.

Jamie Brewer sulla passerella di Carrie Hammer <em>(photo credit Getty Images)</em>
Jamie Brewer sulla passerella di Carrie Hammer (photo credit Getty Images)
Jamie Brewer nel backstage della sfilata <em>(dal suo account Twitter)</em>
Jamie Brewer nel backstage della sfilata (dal suo account Twitter)

Jamie, trentenne, prima di essere una modella è in realtà un’attrice ed è nota per un ruolo in American Horror Story: a chiederle di mettersi in gioco sulla passerella è stata Carrie Hammer, stilista per la quale è importante che a sfilare siano esempi di vita piuttosto che semplici modelle.

Tutto parte dalla campagna Role Models Not Runway Models: invece di usare le tradizionali modelle, la designer americana invita a sfilare le sue clienti perché secondo lei le donne in passerella devono portare il pubblico a riflettere.

“È bello poter essere una fonte di ispirazione per le donne e incoraggiarle ad essere e a mostrare chi sono”, ha raccontato Jamie.

Jamie ha studiato teatro, danza e arte sin da giovanissima ed è impegnatissima nella difesa dei diritti dei disabili: è la prima portatrice di handicap membro della commissione dello stato del Texas per gli Affari Governativi e molto probabilmente non ha nessuna intenzione di continuare a calcare le passerelle.

Ora, ognuno di voi è libero di pensare ciò che vuole circa Winnie Harlow e Jamie Brewer e circa la loro presenza sulle passerelle.

Qualcuno – lo so – penserà anche che Diesel, Desigual e Carrie Hammer sono molto furbi.

Vi dico come la vedo io.

Per prima cosa, sarò una scema o un’illusa ma non vedo una malizia da marketing nella decisione dei tre brand: la strada che hanno scelto può essere rischiosa e in salita perché i pregiudizi sono duri a morire e perché secondo la visione comune una modella è solo apparenza. Non voglio addentrarmi ora nella questione di quelle scheletriche (e il mio non è un insulto teso a denigrare, anzi, al contrario, è una constatazione piuttosto dolorosa), costrette a sparire per far risaltare gli abiti né voglio parlare dell’ipocrisia che regna su questo fronte, nel senso che tutti criticano (o fanno finta di criticare) ma quasi tutti continuano a farle sfilare (le vogliono e le chiedono così).

A me piace pensare che esista una controtendenza, piccola, ma che ci sia. E che ci sia spazio per tornare a modelle con personalità, con qualcosa da dire, come le top model degli anni ’80.

E se il qualcosa da dire fossero anche i messaggi di Winnie e Jamie?

Maria Chiara, io e le nostre cicatrici per un progetto speciale che ho raccontato in un post di un anno fa <em>(trovate il link qui in fondo)</em>
Maria Chiara, io e le nostre cicatrici per un progetto speciale che ho raccontato in un post di un anno fa (trovate il link qui in fondo)

E poi, da donna imperfetta quale io sono, gioisco: non posso che augurare loro di realizzare i sogni ai quali aspirano e gli obiettivi che si sono poste.

Quando l’anno scorso ho raccontato di me e delle mie cicatrici in un post qui sul blog, ho scritto queste parole: “Io – imperfetta e con queste cicatrici – ho sempre avuto una passione: la moda. Anzi, è una malattia che ho dentro. E in questa dimensione che molti credono essere basata esclusivamente sull’apparenza, ho deciso di lavorarci e di ritagliarmi il mio spazio, portando testardamente avanti la mia visione basata sui contenuti. Per me i vestiti non sono fatti per farci apparire più giovani o più magri né per nascondere le cicatrici: i vestiti sono sogni tradotti in stoffa e noi, a nostra volta, possiamo sceglierli affinché ci rappresentino, attraverso la nostra interpretazione e personalizzazione, attraverso sottrazioni o aggiunte, per comunicare con gli altri e per raccontare chi siamo.”

Penso tutto ciò oggi più che mai, continuo a pensare che la moda sia un linguaggio e una forma di comunicazione e che possa rivendicare un ruolo importante nel processo di cambiamento ed evoluzione della società: Winnie Harlow e Jamie Brewer danno un senso profondo a queste mie speranze e mi fanno credere che quei maledetti limiti dentro alla nostra testa si possano abbattere.

Un’ultima cosa, un piccolo consiglio rivolto direttamente a Giovanni Veronesi: qualora tu volessi esprimere un giudizio anche su queste due donne oltre a quello già espresso su Clio, mi permetto di ricordarti la regola delle 10 P.

Non prendertela, caro Giovanni (permettimi un confidenziale tu, siamo entrambi grandicelli), sto solo cercando di sdrammatizzare augurandoti che presto quella frase che ti macchia perfino su Wikipedia possa essere cancellata da eventi più costruttivi che dimostrino che il tuo exploit è stato solo un black out che può capitare.

Abbattere i pregiudizi significa anche dare una seconda chance a chi ha sbagliato.

Manu 

 

 

 

Per saperne di più:

Qui trovate il giusto sfogo di Clio Zammatteo sulla sua pagina Facebook con tanto di file audio che testimonia l’infelicissima e poco edificante uscita di Giovanni Veronesi.

Qui trovate l’articolo secondo me migliore circa la questione: è stato scritto da Alessandra Pepe, collega che stimo nonché amica.

Se vi va, qui trovate il post nel quale parlo di me e del rapporto con le mie cicatrici.

Se volete seguire Winnie Harlow, qui trovate il suo sito, qui la pagina Facebook, qui l’account Twitter e qui il profilo Instagram.

Se volete seguire Jamie Brewer, qui trovate il suo account Twitter.

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

Glittering comments

V
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Uno dice cicciona, il mio ex-capo (italiano, imprenditore di successo, sotto sessantina) parlando su FB con i suoi amici del prossimo viaggio in Russia chiama le donne del posto “fauna locale”.
Su questo ho una sola osservazione – la cultura o ce l’hai, o non ce l’hai. Nemmeno la notorietà o soldi fanno di te una persona educata.
Amen.

Manu
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Immagina questa scena: sono qui, da sola, davanti al pc a lavorare, mi arriva la notifica di un nuovo commento, apro e lo leggo.
Scatto in piedi mentre sto applaudendo: ecco, questa standing ovation è tutta per te.
Sottoscrivo in pieno le tue parole, “Amen” incluso.
Grazie davvero per questa tua lucidissima osservazione,
Manu
P.S.: sono felice del fatto che la persona della quale parli sia il tuo “ex” capo e sottolineo “ex”, ovvero sono felice che non lo sia più. Incrocio le dita per te per un nuovo capo migliore. Donne del posto = fauna locale? Che qualcuno lo illumini.

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