Live Store, apre a Milano il format che unisce moda, creatività e cultura

Ha da poco aperto Live Store by Soldout District, nuovo spazio multiforme situato a Milano in Corso Buenos Aires 56.

Perché lo definisco multiforme? Perché è un negozio ma è stato concepito per essere anche un vero e proprio contenitore trasformista di proposte e tendenze. È un luogo vitale in cui moda, creatività e cultura trovano terreno fertile per dar vita a nuove espressioni artistiche.

All’interno del negozio è possibile trovare prodotti di numerosi brand moda a prezzi anche accessibili. E il mix di brand viene rinnovato ogni settimana.

Situato all’angolo tra Corso Buenos Aires e Via Ponchielli, il format Live Store nasce grazie all’esperienza di Corrado Alota, fondatore dei negozi Jdc, e Andrea Pezzali di 2Leaders, agenzia con oltre trent’anni di esperienza che ha aperto Sold Out District, store online e fisico con insegne ubicate a Como, Monza, Bergamo e Varese.

«Il retail sta vivendo un momento molto difficile – spiega Andrea Pezzali – e la corsa al prezzo è diventata dominante. Per questo abbiamo pensato di tornare a un concetto di negozio più legato all’intrattenimento, all’esperienza e alla scoperta, seguendo l’esempio di grandi visionari come Elio Fiorucci il cui store ha fatto storia ispirando generazioni di creativi e imprenditori». Leggi tutto

Francesca Liberatore FW 2024-25, viaggio tra opera d’arte totale e punk

Era il lontano settembre 2011 quando mi venne data la possibilità di assistere per la prima volta a una sfilata di Francesca Liberatore.

All’epoca, ovvero quasi 13 anni fa, Francesca era davvero giovanissima. Eppure, dopo la laurea in una delle università di moda più prestigiose, la Central Saint Martins di Londra, aveva già avuto diverse esperienze negli uffici stile di alcune maison altrettanto prestigiose. Cito Viktor & Rolf ad Amsterdam e Jean Paul Gaultier a Parigi. E aveva anche già vinto il concorso Next Generation (promosso dalla Camera Nazionale della Moda Italiana) grazie alla sua prima collezione individuale.

Quel giorno di settembre 2011, Francesca mi colpì e mi conquistò immediatamente con la sua visione della moda. Lo stesso accadde quando ebbi l’opportunità di vedere nuovamente dal vivo un’altra sua collezione, in febbraio 2014.

Da allora, purtroppo, ammetto di averla persa di vista. Un po’ perché, grazie al concorso mondiale DHL Exported vinto in settembre 2014, Francesca ha sfilato per sette stagioni a New York. E un po’ perché, da quando è tornata sulle passerelle milanesi, altri impegni lavorativi non mi hanno consentito di poter essere presente alle sue sfilate. Leggi tutto

Un occhio alla collezione Mario Valentino FW 2024 – 25

Non è la prima volta che parlo di Mario Valentino.

Ne ho parlato con particolare piacere nel 2018, l’anno in cui è uscito il bellissimo libro intitolato Mario Valentino – Una storia tra moda, design e arte.

Il volume di Ornella Cirillo, edito da Skira, ricostruisce la lunga e intensa avventura dello stilista Mario Valentino (1927 – 1991), protagonista indiscusso della moda italiana del Novecento e in particolare del periodo che va dagli Anni Cinquanta agli Ottanta. La ricostruzione passa attraverso la lettura del prezioso patrimonio documentario raccolto nell’archivio dell’azienda avviata agli inizi del XX secolo dal padre di Mario, Vincenzo, nel cuore di Napoli.

Oggi, la Mario Valentino prosegue il suo cammino. E, in occasione della Milano Fashion Week da poco terminata, l’azienda ha presentato le sue proposte per la prossima stagione fredda.

La collezione Mario Valentino FW 2024-25 nasce da un’armoniosa fusione tra estetica minimalista e stile glam, con l’intento di esaltare la femminilità e trasmettere un senso di grinta e audacia.

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Ho fatto Love Therapy con Floria Fiorucci, la sorella di Elio

Elio Fiorucci ha scritto un gran capitolo della storia del costume, a livello italiano e internazionale.

Ha fatto cose da autentico pioniere, molto tempo prima che diventassero comuni, a partire dall’apertura del suo negozio a Milano nel 1967, primo concept store in Italia.

Il suo denim ha fatto storia così come i suoi celeberrimi angeli.

Indimenticabile la commistione che ha saputo creare con l’arte e con artisti del calibro di Keith Haring. Era il 1983 quando Fiorucci ha affidato all’artista statunitense la decorazione del negozio in San Babila, precisamente in Galleria Passarella, completamente svuotato per l’evento.

E se non credete a me, se non credete se vi dico che Elio Fiorucci è stato importante ben oltre moda e costume, vi chiedo di leggere questo bellissimo articolo di Gianmarco Gronchi pubblicato in un sito che parla di storia dell’arte.

Non mi vergogno a raccontare che, nel 2015, quando è scomparso improvvisamente per un malore, ho pianto.
Perché Elio Fiorucci, oltre a essere un pezzo di storia (non manca mai nelle lezioni ai miei studenti), è uno dei motivi per cui mi sono innamorata della moda quando ero solo un’adolescente. Leggi tutto

Endelea, bellezza e concretezza di un brand davvero etico e sostenibile

Durante la MFW, ho avuto modo di incontrare Francesca De Gottardo, fondatrice di Endelea:
vi racconto perché questo è un brand davvero etico e sostenibile.

Si è da poco conclusa l’edizione di Milano Moda Donna con cui stilisti e marchi hanno presentato le loro proposte per la prossima primavera / estate 2023.

Devo fare una confessione: a parte i marchi emergenti, non ho visto gran cose che mi abbiano fatto venire voglia di investire tempo per raccontarle oppure cose che mi abbiano fatto nascere il desiderio di possederle.

È vero, sono stata contenta di aver potuto osservare che (finalmente) è tornata l’atmosfera frizzante che caratterizzava la fashion week prima della pandemia (e la mia città ne aveva bisogno), ma sono altrettanto scontenta di dover prendere nota del rovescio della medaglia, ovvero di un’occasione perduta: dopo un intero mese di sfilate (il discorso non vale quindi solo per Milano) si è vista sicuramente tanta ricchezza, a volte al limite dell’ostentazione, ma pochissima creatività intesa come reale innovazione e cambiamento.

Insomma, dopo le sperimentazioni (se vogliamo imperfette e in alcuni casi anche abbastanza azzardate) delle stagioni di pandemia, la moda si sta nuovamente richiudendo in sé stessa, tra clienti super facoltosi e occhio costantemente (se non unicamente) puntato al fatturato. Leggi tutto

Gentile Catone SS 2022, il floreale in chiave decisamente contemporanea

È da poco terminata una nuova Milano Fashion Week, un’edizione che, si dice, ha riportato il settore moda a una certa normalità rispetto all’inizio della pandemia, anche se ormai questa parola, normalità, è sempre più priva di una definizione universalmente valida.

In passato ho spesso scritto post scomodi a mo’ di sunto di tante cattive abitudini e di tanti pessimi comportamenti che riscontravo (e riscontro) durante le settimane della moda (l’ultima volta lo feci un anno e mezzo fa, marzo 2020, a proposito di Philipp Plein e del suo discutibile omaggio a Kobe Bryant); ho poi smesso di farlo, per diversi motivi.

Questa volta, però, torno ad andare controvento nel momento di questo cosiddetto ritorno alla normalità perché ho da dire una cosetta o due nonostante il mio spirito ribelle e controcorrente sia stato ultimamente un po’ domato dagli eventi e sfiancato da un sistema decisamente più grande di me.

E per dire tali cose userò la collezione del brand Gentile Catone come esempio virtuoso nella piccola polemica che innesco. Leggi tutto

Rinascere, una mostra per ripartire alla Galleria Rossini di Milano

Era il 10 gennaio quando ho pubblicato il post precedente qui nel blog.
Ebbene sì, è passato un mese e mezzo e, nei miei tanti anni di blogging, è la prima volta che accade.
Mai avrei creduto a un’ipotesi simile se me l’avessero detto tempo fa perché il blog è il mio piccolo spazio sacro, la mia creatura, la finestra sul mondo più cara che ho e l’ultima alla quale rinuncerei.

Ma la (triste) verità è che da mesi faccio sempre più fatica a scrivere perché mi sento sospesa, un po’ svuotata e… inaridita.
Per creare (e scrivere è creazione), per riuscire a dare forma ai pensieri, è necessario che la vita possa scorrere liberamente.

E, in questo momento, non è così, le nostre vite non scorrono liberamente.
Siamo in attesa, siamo un po’ sospesi – appunto.
Per questo, a parte i pensieri che esprimo o provo a esprimere in Instagram, mi viene invece difficile creare nuovo materiale per il blog.

Sono stanca, stanca di questa nostra vita diventata tanto (troppo…) virtuale e digitale.
Io che ho sempre creduto nel digitale, che l’ho sempre amato in quanto convinta che sia un’immensa possibilità aggiuntiva, continuo a credere altrettanto fermamente che non possa però sostituire in toto la nostra vita reale.
Certo, in questo anno segnato dalla pandemia il digitale è stato il modo (l’unico) per continuare a fare cose senza fermarci, ma – francamente – inizio a essere stufa di eventi in Zoom, riunioni in Zoom, incontri in Zoom, didattica in Zoom…
Oggi più che mai ho sete di vita reale e ho desiderio di concretezza e di cose da vivere, toccare, annusare… Leggi tutto

Mario Dice e il suo sguardo a Marsha P. Johnson per la SS 2021

Avete mai sentito parlare di Marsha P. Johnson?

Scomparsa nel 1992 in circostanze tuttora non del tutto certe, è stata un’attivista per i diritti LGBTQI+ ed è nota per aver partecipato alle rivolte dello Stonewall Inn del 1969, quelle che hanno poi dato inizio al Pride Month.

Era nata il 24 agosto del 1945 a Elizabeth, nel New Jersey, con il nome di Malcolm Michaels Jr.: dopo aver ottenuto il diploma, si trasferì a New York con pochi dollari in tasca, andando a vivere nel Greenwich Village dove iniziò a lavorare in un locale come performer.
A New York cambiò legalmente il suo nome in Marsha P. Johnson: la lettera P era una risposta, secondo il suo stesso racconto, a coloro che chiedevano quale fosse il suo genere sessuale, ovvero stava per «pay it no mind», «non pensarci».
Da drag queen iniziò ad allestire spettacoli che, date le sue ristrettezze economiche, non erano caratterizzati né da grandi costumi né da trovate scenografiche: molti ricordano però come si adornasse spesso il capo con fiori freschi.

Arrivò il 28 giugno 1969, quando alcuni poliziotti fecero irruzione nello Stonewall Inn, bar del Greenwich Village la cui clientela era composta soprattutto da gay, lesbiche e transgender.
Le irruzioni della polizia nel locale non erano una novità ed erano abbastanza frequenti: era infatti un’epoca in cui l’omosessualità era considerata diffusamente come un comportamento deviato ed era illegale in 49 stati americani.
Quella sera, però, molte persone si opposero all’arresto e, in poco tempo, fuori dal locale si riunì una folla e dalle urla si passò agli scontri fisici.
Sul posto arrivò un gruppo più numeroso di agenti, ma anche la folla aumentò fino a raggiungere migliaia di persone: lo scontro continuò fino alle prime ore del mattino e poi a intermittenza per altre cinque notti. Leggi tutto

Pensieri sul futuro delle sfilate dopo una stagione di fashion week… anomale

MFW & sfilate nella locandina di CNMI (Fonte pagina Facebook)

Agli studenti dei miei corsi racconto come il concetto di sfilata sia cambiato nel tempo, con particolare attenzione a ciò che è successo alle sfilate in Italia.

Il 12 febbraio 1951 fu una sfilata a sancire ufficialmente la nascita della moda italiana, precisamente la sfilata organizzata dall’imprenditore Giovanni Battista Giorgini per i buyer americani a Firenze.
L’intraprendenza di Giorgini, la qualità dei capi presentati, la reputazione dei compratori invitati, l’appoggio di alcuni giornalisti tra i quali la nostra Irene Brin che lavorava in quegli anni per la prestigiosa rivista americana Harper’s Bazaar: furono questi gli elementi che contribuirono a decretare il grande successo dell’evento soprattutto oltreoceano, negli Stati Uniti.
Giorgini intitolò l’evento First Italian High Fashion Show e lo ospitò presso Villa Torrigiani, la sua residenza privata di Firenze: la seconda sfilata si tenne sempre nel 1951 a luglio, stavolta nei saloni del Grand Hotel di Firenze, mentre dal 1952 fu la Sala Bianca di Palazzo Pitti a ospitare due stagioni di sfilate ogni anno, una a gennaio e l’altra a luglio.

Fu necessario aspettare quasi vent’anni perché le sfilate si spostassero definitivamente a Milano e ciò avvenne precisamente nel 1969, quando nacque Milanovendemoda.
La manifestazione venne varata dagli agenti e dai rappresentanti commerciali del settore abbigliamento consociati in Assomoda: il proposito era quello di aprire un dialogo diretto con i buyer a Milano ovvero la città in cui, in quegli anni, cominciavano a moltiplicarsi le sedi degli stilisti e dove di conseguenza si respirava una grande vitalità in ambito moda.

Vi racconto una curiosità.
La prima sede della manifestazione fu quella del circo Medini e dunque i marchi si unirono «ai clown e ai giocolieri» in quella che un documento ufficiale di Assomoda stessa definì «un’allegrissima e ironica festa della moda».
Certo, occorre ammettere che – rispetto alla Sala Bianca di Palazzo Pitti voluta negli Anni Cinquanta da G.B. Giorgini – il contrasto risultava alquanto stridente…

Nel giro di qualche anno, Milanovendemoda trovò la propria sede in un nuovo quartiere della città, precisamente a Milano Due presso il Jolly Hotel, un quartiere realizzato da un imprenditore allora emergente (Silvio Berlusconi…): fra circhi e imprenditori rampanti, emergeva all’orizzonte il profilo di quella che un celebre slogan avrebbe poi definito la «Milano da bere». Leggi tutto

Stato di salute e futuro della moda in tempi di coronavirus

Da tempo, ormai, si parla di quanto sia necessario rivedere il sistema attraverso il quale la moda viene presentata, prodotta, distribuita.

Per quanto riguarda la presentazione e soprattutto le sfilate, si discute animatamente soprattutto circa tempistiche e modalità.
Continuare a sfilare mesi prima come accade ora oppure adottare la modalità cosiddetta ‘see now, buy now’ con la vendita immediata di ciò che sfila? Far sfilare le collezioni moda e uomo separatamente oppure adottare la modalità co-ed, ovvero congiunta?
E poi… quanto servono le sfilate-spettacolo? Si punta troppo sul clamore a discapito dei capi?
E ancora: chi è seduto in prima fila (e sono sempre più influencer e nuove celebrità) distoglie l’attenzione facendo parlare – anche in questo caso – di chi è ospite più di quanto si parli della collezione?

Per quanto riguarda la produzione, si discute invece di delocalizzazione a discapito di produzioni specializzate, di produzione in Paesi dove non vengono rispettati i diritti umani, di filiere fuori controllo e non più sostenibili per il nostro pianeta.

Per quanto infine riguarda la distribuzione, si discute della crisi profonda dei negozi fisici, della crisi delle grandi catene storiche, dell’esasperazione che vuole che merce nuova sia messa in vendita a ciclo continuo senza durare nemmeno una stagione secondo il modello fast fashion che, ormai, influenza fortemente tutto il sistema e tutte le fasce della moda, indistintamente.
Senza parlare poi del discorso delle rimanenze di stagione, problema oneroso non solo economicamente ma anche dal punto di vista ambientale (leggere stock distrutti o meglio bruciati e anche in questo caso da tutti, brand del lusso inclusi).

Insomma, riassumendo: il sistema moda era in crisi da tempo. Tutto il sistema.
Stilisti costretti a sfornare una nuova collezione dietro l’altra (per soddisfare la smania di soldi delle holding finanziarie dalle quali sempre più spesso vengono inglobati) mentre modelle, giornalisti, compratori, fotografi girano il mondo senza sosta, vanificando gli appelli a una moda ecosostenibile; merce che approda nei negozi a ciclo continuo, tra sovrapproduzione di capi e mancato allineamento tra stagione commerciale e stagione climatica, con il risultato di restare spesso invenduta e generare pericolosi scarti da gestire.

Non è un mistero come molti (Giorgio Armani in testa) condannino da tempo tutto ciò, un sistema che fagocita ogni cosa, con ritmi sempre più serrati e insostenibili e nuova merce da dare in pasto a un mercato sempre più saturo.
Perfino lusso, alto di gamma e alta moda hanno spesso dimenticato i propri valori (qualità, durabilità, esclusività) per avvicinarsi – come ho detto – a un modello fast fashion nella speranza (o meglio nell’illusione) di vendere di più.

Io stessa, naturalmente nel mio piccolo, ho parlato varie volte di dette questioni, dalla delocalizzazione (qui) alla crisi di catene e negozi storici (qui) passando per l’illusione che alto di gamma sia sempre meglio di fast fashion (qui), dalle condizioni socialmente e ambientalmente insostenibili (qui) al gender gap (qui) passando per le sfilate-clamore che vanno oltre ogni limite di decenza (qui), giusto per citare alcuni argomenti dei quali ho provato a parlare negli anni.

Il problema, dunque, esisteva: il coronavirus ha spinto sull’acceleratore, facendo definitivamente esplodere le varie questioni in tutta la loro evidenza e gravità.

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La moda che NON mi piace: a proposito di Philipp Plein e di limiti (valicati)

La sera di giovedì 20 febbraio, nel pieno della Milano Fashion Week, terminate le lezioni con i miei studenti, mi trovavo a camminare lungo via Palestro per raggiungere la location di una presentazione.
All’altezza della Galleria d’Arte Moderna, ho notato un gruppetto di fuoristrada estremamente vistosi: li ho notati perché il contrasto tra le vetture chiassosamente dorate e la bellissima Villa Reale, capolavoro del Neoclassicismo milanese che ospita la GAM, risultava particolarmente… stridente, diciamo così.
Nella mia testa si è fatto immediatamente strada un nome: «è lo stile Philipp Plein», ho pensato.
Non mi sbagliavo: quando ho superato i fuoristrada, ho visto proprio il nome dello stilista tedesco tratteggiato a lettere cubitali sugli sportelli. Ho scosso la testa, ho sorriso e sono passata oltre, dimenticando ben presto l’episodio.

Mi è tornato in mente solo alla fine di Milano Moda Donna, quando ho letto un articolo di Fashion Network: ‘Philipp Plein suscita indignazione per il raffazzonato omaggio a Kobe Bryant’, titolava la testata online, l’unica (che a me risulti) in ambito moda ad aver fatto un dettagliato reportage critiche incluse dello show svoltosi a Milano il 22 febbraio.
Perché quel titolo?
Perché, per presentare la sua collezione autunno-inverno 2020/21, lo stilista ha organizzato uno show fastosissimo e dorato (ecco spiegati i fuoristrada visti quel giorno), rendendo omaggio (almeno nel suo intento) alla leggenda del basket Kobe Bryant, recentemente scomparso insieme alla figlia primogenita Gianna e ad altre sette persone a causa di un tragico incidente d’elicottero: è stato invece ampiamente criticato attraverso i social media per almeno due motivi.
Il primo: l’accusa di voler sfruttare l’immagine di Bryant a nemmeno un mese dalla scomparsa avvenuta il 26 gennaio.
Il secondo: l’inclusione nel set dello show (nel suo caso il termine è molto più adatto rispetto a sfilata) di elicotteri dorati oltre a varie supercar, motoscafi e aerei altrettanto lucenti.
Elicotteri, sì, avete letto bene, come quelli del mortale incidente.

Classe 1978, re dello stile opulento e volutamente eccessivo, il designer ha spiegato che tale ‘arredo’ era stato ideato e progettato a novembre 2019 (prima, dunque, della tragica morte di Bryant) e che era troppo tardi per sostituire gli elicotteri.
Davvero, Mr. Plein? Leggi tutto

Martino Midali FW 2020-21, capi per sentirsi elegantemente seduttive H24

L’amore per la moda mi accompagna da sempre.

Credo sia parte del mio DNA e credo che un grande ruolo l’abbia giocato mia mamma che ha vestito me e mia sorella non solo pulite e in ordine ma anche carine, pur non sperperando i soldi, così come l’ho sempre vista a sua volta ben vestita, pettinata e con un filo di rossetto anche quando doveva restare in casa.

Ci si alza, si fa colazione, ci si mette in ordine e poi si iniziano le attività giornaliere: questa è sempre stata – ed è tuttora – la sua filosofia.

Negli album della nostra famiglia ci sono foto in cui lei è una giovanissima ragazza dal bel sorriso e dai maglioncini perfetti per gli Anni Sessanta e Settanta; gli stessi album proseguono poi con le foto nelle quali io e mia sorella Cinzia siamo piccine, sempre con qualcosa di carino addosso. Ricordo certi foulard legati sotto il mento e qualche piccola borsetta fiorata in cui magari mettevo anche i coriandoli per il Carnevale…

Quando dunque scrivo che per me la moda è una sorta di malattia, non parlo certo di una malattia maligna bensì di qualcosa che, al contrario, mi ha sempre tenuto compagnia, una sorta di febbre leggera che un po’ stordisce: per me la moda è allegria, espressione personale, gioia di prendersi cura di sé e di chi amiamo (come la mia mamma faceva con noi piccine), è colore, è sogno, è gioco come quando alle elementari sempre io e mia sorella disegnavamo figurini e modelli (outfit, come diciamo oggi) fingendo anche di essere fidanzate con gli stilisti in auge in quegli anni…

Sapete una cosa? Io non voglio che questa febbre leggera passi.

Ed ecco perché, ora che mi muovo lavorativamente parlando nell’ambito moda, mi reputo una persona fortunata: perché ho trasformato una cosa che ho sempre amato in una professione.

Ecco perché, ogni volta in cui ho il piacere e l’onore di conoscere dall’interno un brand o uno stilista che ho sempre ammirato, sento di vivere un privilegio.

Ecco perché desidero condividere tutto ciò con chi mi fa il dono di leggermi: non per vantarmi, ma per rendere partecipi gli altri portandoli a bordo della mia passione e restituendo, dividendo e moltiplicando quella che mi sembra una fortuna della quale non voglio essere gelosa perché – al contrario – desidero che il bello possa appartenere a tutti. Leggi tutto

Galleria&Friends Milano, guida al meglio delle Antiche Botteghe in città

Scorcio sull’ingresso della Galleria Vittorio Emanuele dal Duomo
e un dettaglio della mappa con le Antiche Botteghe di Galleria&Friends Milano

«Two is a coincidence, three is a trend.»

Così recita un aforisma in lingua inglese: spesso riassunto semplicemente in «three is a trend», sta a indicare come un evento possa essere diversamente considerato e interpretato in base al numero di volte in cui si verifica.

Un fatto che si verifichi due volte potrebbe (anche) essere una coincidenza ma – come diremmo in italiano – tre indizi fanno invece una prova.

E io, oggi, vorrei menzionare tre fatti (o tre indizi) che conducono a una teoria che desidero dimostrare.

Primo fatto: ottobre 2019, viene lanciato il progetto Galleria&Friends Milano il cui scopo è creare una rete tra una trentina di Botteghe Antiche della città attraverso una serie di eventi culturali.

Secondo fatto: novembre 2019, il sindaco di Milano Giuseppe Sala nomina 60 nuove Botteghe Storiche, portando il totale in città a quota 549 insegne. Nota che considero importante: per ottenere il riconoscimento di Bottega Storica un esercizio deve essere attivo da almeno 50 anni nel medesimo comparto merceologico (a prescindere da eventuali cambi di titolarità) e deve conservare totalmente o in parte i caratteri costruttivi, decorativi e di interesse storico o architettonico.

Terzo fatto: gennaio 2020, viene presentato a Milano il logo che identifica il Marchio Storico d’interesse nazionale. Obiettivo di questo nuovo strumento che il Governo mette a disposizione alle imprese italiane è «quello di tutelare la proprietà industriale delle aziende storiche italiane, le nostre eccellenze, nella sfida verso la valorizzazione del Made in Italy, l’innovazione, la sostenibilità, la competitività internazionale», così come si legge nel sito del Mise, il Ministero dello Sviluppo Economico.

A quale teoria conducono questi tre fatti? Cosa desidero sostenere e provare? Leggi tutto

SS 2020 cosa ho visto, vissuto, amato / 3° parte: Simona Marziali e MRZ

Esistono persone, cose, luoghi, situazioni – o collezioni – delle quali è facile innamorarsi in un istante: è ciò che mi è successo lo scorso 19 settembre, quando ho assistito alla sfilata con la quale Simona Marziali ha presentato la sua collezione primavera / estate 2020 al Circolo Filologico nell’ambito della Milano Fashion Week.

Per Simona Marziali la passione per la moda è arrivata presto e, dopo il diploma al liceo scientifico, si è laureata a Roma presso l’Accademia Internazionale di Alta Moda e Arte del Costume Koefia: ha poi conseguito un master in maglieria a Firenze.

A soli 21 anni, Simona ha iniziato la sua carriera professionale lavorando come knitwear designer per diverse aziende (fra le quali Gilmar e Diesel): lo ha fatto per oltre 12 anni e, grazie alla sua incessante voglia di affrontare nuove sfide, ha percorso varie tappe fino a creare nel 2012 il suo brand MRZ, in partnership con l’azienda di famiglia, il maglificio Tomas che vanta 40 anni di esperienza produttiva nel settore.

Nel 2018, Simona è stata la vincitrice del concorso Who Is On Next, promosso da Vogue Italia e AltaRoma, e a gennaio 2019 ha presentato la sua collezione proprio nell’ambito della prestigiosa manifestazione nella capitale.

Il suo MRZ è un brand capace di interpretare le tendenze più attuali in una dimensione originale e raffinata: introduce una proposta (e una visione) estremamente contemporanea nella quale gli elementi sportswear incontrano il femminile e il sartoriale, insieme a un inedito uso della maglieria che è il DNA e l’essenza del brand.

Qualità, dettagli, colori, forme, Made in ltaly in chiave internazionale, capacità di parlare al presente con lo sguardo rivolto verso il futuro: queste sono le caratteristiche di MRZ. Leggi tutto

SS 20 alla Milano Fashion Week, cosa ho visto, vissuto, amato / 2° parte

Oggi è il 7 dicembre, ovvero Sant’Ambrogio.

Per Milano è una ricorrenza particolarmente importante e sentita: Aurelio Ambrogio è stato una delle personalità più importanti del IV secolo e la Chiesa cattolica lo annovera tra i quattro massimi dottori della Chiesa d’Occidente, insieme a san Girolamo, sant’Agostino e san Gregorio I papa. Assieme a san Carlo Borromeo e a san Galdino è patrono del capoluogo meneghino del quale fu vescovo dal 374 fino alla morte.

Per noi milanesi Sant’Ambrogio è anche il giorno in cui si fa e si accende l’albero di Natale e infatti, mentre scrivo queste righe, il mio mini alberello illuminato mi fa compagnia e questo mi fa soffermare sul fatto che, esattamente tra 18 giorni, è Natale.

Solo 18 giorni a Natale? Di già? Ma com’è successo? E dov’è volato via il tempo?

Finora mi è sembrato che il tempo si prolungasse all’infinito grazie a un autunno particolarmente clemente: da qualche giorno, invece, è arrivato il freddo e, in un attimo, il ritmo è cambiato e ci siamo ritrovati a pensare al Natale.

Lo so, tutti i pensieri vanno ai regali da acquistare nonché ai vari eventi (pranzi, aperitivi, cene) organizzati per salutare e fare gli auguri ad amici, colleghi, parenti, compagni di calcetto, palestra eccetera eccetera: l’idea dell’estate si allontana sempre più dai nostri pensieri e dunque verrò forse tacciata come folle a parlarvi di SS 20 ovvero spring / summer 2020.

A Milano, dal 17 al 23 settembre, durante la Fashion Week, sono state presentate le collezioni donna per la primavera / estate del prossimo anno: io confido sulla curiosità insita in ciascuno di noi e scommetto che, in fondo, non dispiace dare un occhio alla moda che verrà, anche perché le giornate più lunghe, la luce e il tepore che accompagneranno il ritorno della bella stagione… non sono certo pensieri spiacevoli, giusto?

Anche perché desidero raccontare non dei ‘soliti noti’, chiamiamoli così, quei nomi ai quali sono naturalmente grata per aver fatto conoscere lo stile italiano in tutto il mondo ma ai quali tutti danno facilmente spazio; no, ecco, io vorrei parlare di ‘nomi più freschi’, nomi che fanno parte di un nuovo panorama, di un ricambio generazionale auspicabile poiché la moda italiana ha tanto bisogno di guardare verso il futuro.

E la mia speranza è che, magari, i ‘nomi freschi’ dei quali vi parlo possano offrire spunti proprio per i regali natalizi… perché no? Leggi tutto

SS 2020 alla Milano Fashion Week, cosa ho visto, vissuto, amato / 1° parte

SS 2020 ovvero spring / summer 2020: a Milano, dal 17 al 23 settembre, durante la Fashion Week, sono state presentate le collezioni donna per la primavera / estate del prossimo anno.

Lo so, in questi giorni è infine arrivato l’autunno e tutti noi pensiamo a tazze di tè o cioccolata fumanti, al profumo delle caldarroste, alle foglie gialle e rosse, all’inverno che arriverà a breve dopo questa stagione intermedia in versione ridotta.

L’idea dell’estate si allontana sempre più dai nostri pensieri, anche se quest’anno abbiamo vissuto una bella stagione prolungata da sud a nord.

Io, però, confido sulla curiosità insita in ciascuno di noi: scommetto che, in fondo, non dispiace dare un occhio alla moda che verrà, anche perché le giornate più lunghe, la luce e il tepore che accompagnano il ritorno della bella stagione… non sono certo pensieri spiacevoli, no?

E poi mi piacerebbe raccontare non dei ‘soliti noti’, chiamiamoli così, quei nomi ai quali sono naturalmente grata per aver fatto conoscere lo stile italiano in tutto il mondo ma ai quali tutti danno facilmente spazio; no, ecco, io vorrei parlare di nomi più freschi, nomi che fanno parte di un nuovo panorama, di un ricambio generazionale auspicabile poiché la moda italiana ha tanto bisogno di guardare verso il futuro.

Inizio a presentarvi tre brand (Alcoolique, Francesco Paolo Salerno, Le Piacentini) tra i quali ho identificato un comune filo rosso: quello di una femminilità spiccata e molto ben definita ma lontana anni luce dall’essere esasperata e urlata. Questi brand raccontano piuttosto un carattere deciso ed estroso, sempre raffinato – esattamente come piace a me. Leggi tutto

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