Se Instagram nasconde i like… è un’opportunità o una penalizzazione?

È stato un argomento che ha creato non poco scompiglio quest’anno nel web: dopo una fase sperimentale, Instagram ha deciso di nascondere definitivamente (?) il numero dei like.

Se metto il punto interrogativo è perché con Mark Zuckerberg, fondatore e proprietario di Facebook nonché proprietario di Instagram dal 2012, non si può mai sapere se e quanto una decisione sia definitiva.
A ogni modo: il test, iniziato il 17 luglio, aveva inaugurato una fase di prova allo scopo di sondare il parere degli utenti.
«Vogliamo aiutare le persone a porre l’attenzione su foto e video condivisi e non su quanti like ricevono. Stiamo avviando diversi test in più Paesi per apprendere dalla nostra comunità globale come questa iniziativa possa migliorare l’esperienza su Instagram.»
Così aveva dichiarato Tara Hopkins, Head of Public Policy EMEA di Instagram.

Attorno a fine settembre, la prova è diventata appunto ‘definitiva’ ed estesa a tutti gli utenti.
Il tasto like non è stato rimosso, tuttavia non è più visibile il numero dei ‘mi piace’; solo l’utente che ha condiviso il post su Instagram può avere accesso a tale informazione.
L’informazione è in realtà ancora visibile se, al posto di usare la app via smartphone, apriamo Instagram via pc – stranezze non facilmente comprensibili…

A ogni modo: prima in luglio e poi in settembre, ho letto molti post preoccupati e ho notato parecchia agitazione circa questa faccenda dei like.
Io, invece, non sono stata mai minimamente preoccupata, sebbene con i social ci lavori (anche).
Non ho finora scritto nulla riguardo questo cambiamento, credo forse di aver twittato condividendo il link di qualche articolo da una delle tante riviste che leggo: ho preferito aspettare e pormi in ascolto con tutti i sensi allertati, lasciando passare qualche mese allo scopo di poter osservare sviluppi e risultati e potermi fare un’opinione più chiara e, spero, fondata su basi più solide.
Adesso l’anno sta per chiudersi e, come sempre avviene in simili frangenti, è giunto il momento di un piccolo e personale bilancio: inizio allora dicendo perché non mi sono mai agitata.

Il primo motivo per il quale non mi agito è perché sono fermamente convinta del fatto che le evoluzioni siano del tutto naturali, in ogni ambito. E quindi è naturale che anche i social si evolvano.
Il secondo motivo è perché so bene che i social – quelli attuali – esistono da nemmeno 20 anni: parlando di alcuni tra i più celebri e diffusi, Facebook è nato nel 2004, Twitter nel 2006, Instagram nel 2010, Snapchat nel 2011, TikTok nel 2016.
Vivevamo (bene) prima di loro, continueremo a vivere (bene) anche se cambiano e si evolvono, detto da una che – ripeto – con i social ci lavora.
Il terzo motivo per cui non mi sono preoccupata (e non mi preoccupo) è che non ho mai puntato alla quantità anche perché, causa algoritmi (in parole molto spicce, le formule con le quali vengono determinati i criteri con i quali viene deciso quali contenuti mostrarci), è ormai quasi impossibile (ho scritto quasi) crescere organicamente e naturalmente e la quantità sui social si ottiene quasi esclusivamente in tre modi: se si è una vera celebrità, nel bene o nel male; se si investe in pubblicità; se si è disposti a usare sistemi che non sempre sono ‘naturali’ (diciamo così per restare soft).
Non rientro in nessuno dei tre casi e dunque ho semplicemente puntato a qualità e autenticità dei contenuti che produco.

E, per inciso, a me sembra (uno) che parlare a diverse migliaia di persone (numero che cresce se metto insieme tutti i miei canali social) sia cosa tutt’altro che trascurabile e (due) che sia importante, sempre nell’ottica della qualità, ciò che comunichiamo e condividiamo, sia che si parli a dieci persone sia che si parli a circa 5000.
Così, almeno, suggeriva il buonsenso prima che tante persone perdessero il senso della misura… Leggi tutto

Le Nuove Gallerie Leonardo al Museo Scienza e Tecnologia da Vinci di Milano

Da martedì 10 dicembre, il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano ha aperto al pubblico le Nuove Gallerie Leonardo, la più grande esposizione permanente al mondo dedicata a Leonardo da Vinci ingegnere, umanista e indagatore della natura.

Nell’anno delle celebrazioni per il V centenario della morte di Leonardo, dopo oltre quattro anni di intenso lavoro, il Museo presenta il progetto che rivoluziona la storica Galleria con cui inaugurò la propria vita e la propria storia nel 1953.

Sotto l’egida del Comitato Nazionale per le Celebrazioni 2019 e del Comitato Territoriale di Milano e della Lombardia, le Nuove Gallerie Leonardo godono della curatela di Claudio Giorgione (curatore Leonardo – Arte & Scienza del Museo), si avvalgono della collaborazione scientifica di Pietro Marani (Professore di Storia dell’Arte Moderna del Politecnico di Milano) e vantano il sostegno culturale di quattro prestigiose istituzioni: i Musei Reali di Torino, la Soprintendenza Castello di Milano – Musei Archeologici e Musei Storici di Milano, l’Institut de France, il Royal Collection Trust.

L’esposizione presenta la figura di Leonardo da Vinci sottolineandone i tratti realmente unici, in un serrato confronto con i suoi contemporanei: emerge così la reale grandezza del suo pensiero che è quello di un eccezionale uomo del suo tempo.

«Leonardo da Vinci, cui è intitolato il nostro Museo, è una icona, simbolo di curiosità e conoscenza multidisciplinare e interdisciplinare, di attenzione a soggetti specifici e principi globali, anche per questo testimone assoluto di contemporaneità – racconta Fiorenzo Galli, Direttore Generale del Museo – e dunque le Nuove Gallerie Leonardo segnano un momento importante nella storia della nostra istituzione, un progetto ambizioso che per il suo valore culturale, la sua ampiezza e l’investimento economico rientra nelle maggiori realizzazioni delle celebrazioni 2019 a livello internazionale. A oggi è infatti la più grande esposizione permanente dedicata a Leonardo, un traguardo di cui siamo particolarmente orgogliosi anche per il particolare e positivo connubio con i nostri partner pubblici e privati.» Leggi tutto

La perfezione è donna? Trucchi e rituali per essere (quasi sempre) al top…

Ci sono donne che riescono a essere chic in qualsiasi occasione, anche solo indossando una tuta o una felpa.
Questo – a mio avviso – avviene perché ciò che rende una donna sempre e davvero impeccabile è il sentirsi bene con sé stessa, l’amarsi e il coccolarsi: faccio molta fatica a parlare di perfezione e preferisco dire invece che dedicare del tempo al benessere del proprio corpo (l’involucro che ci accompagna per tutta la nostra esistenza) è la chiave per guadagnare quell’impeccabilità.
Ogni tanto ricordo di aver riposto in un cassetto una specializzazione in consulenza di immagine – o meglio è chi mi conosce bene a rammentarmelo, chiedendomi qualche spunto o consiglio: ne sono onorata e, anche se ho deciso di non occuparmene, credo tuttavia che compito di una consulente di questo tipo sia accompagnare le persone non verso la perfezione ma verso il benessere e l’equilibrio tra mente e corpo.
E per mantenere tale equilibrio e riuscire pertanto a essere al top – diciamo così – ci sono dei trucchi semplici o meglio dei piccoli rituali da portare avanti ogni giorno per poter rendere favoloso il nostro aspetto.
Ciò non significa che noi donne dobbiamo sempre e comunque essere impeccabili, perché possiamo benissimo concederci qualche défaillance: vale però la pena capire quali sono i passi da intraprendere per avere un aspetto curato senza dover passare troppe ore a prepararci.

Un look personalizzato

Curare il look dovrebbe partire da un principio fondamentale: abiti e accessori devono rispecchiare il nostro modo di essere e farci sentire a nostro agio – non mi stancherò mai di sottolinearlo!
Nella scelta di un outfit non dobbiamo dimenticare di mettere in risalto i punti di forza del nostro fisico: non si tratta dunque di nascondere i difetti (o presenti tali), bensì di evidenziare i pregi perché non c’è sensazione migliore (e più potente) del sentirci sicure di noi stesse indossando un outfit che ci faccia sentire bene.
Altro aspetto importante è l’abbinamento dei colori: enfatizzare e valorizzare il nostro incarnato, il colore dei nostri occhi e delle chiome con un colore che ci faccia risplendere è cosa molto importante. Le consulenti che stimo chiamano questa pratica armocromia.
Non dimentichiamo poi che il nero non passa mai di moda, che sia un cappotto, un blazer o un tacco a stiletto.
«Il nero è allo stesso tempo modesto e arrogante, pigro e facile, eppure sempre misterioso»: a parlare è Yohji Yamamoto, stilista giapponese che io adoro e che ha saputo imporsi con le sue creazioni concettuali e minimaliste, spesso proposte proprio in total black.
Infine, non devono mai mancare gli accessori che valorizzano un outfit e lo rendono unico. E personale.
Gli accessori possono donare al nostro stile quel tocco in più, però se calibrati bene: per esempio, se decidiamo di indossare un paio di orecchini molto vistosi, sarebbe meglio evitare di mettere anche una collana altrettanto impegnativa – o così, almeno, vorrebbero le regole dell’equilibrio.
Se poi magari ci si chiama Iris Apfel, inossidabile interior designer statunitense classe 1921, ci si può far beffe perfino delle regole; non capita tuttavia spesso di essere (a ragione) riconosciute dalle cronache specializzate come un’icona di stile.

Una pelle pulita e radiosa

Avere una pelle del viso (quasi) perfetta, liscia e morbida, richiede cura e dedizione.
Innanzitutto, ogni mattina appena sveglie, dovremmo imparare a rilassare i muscoli facciali massaggiandoli o eseguendo l’apposita ginnastica.
Con il passare del tempo, la pelle del volto perde purtroppo la sua naturale luminosità: ciò accade per ragioni che possono dipendere dall’ossidazione (gli agenti esterni scatenano effetti ossidanti nel nostro organismo, ne ho parlato in varie occasioni in passato) oppure dai pori che si dilatano, soprattutto se ostruiti dal sebo in eccesso o dal trucco applicato quotidianamente e non correttamente rimosso.
Risulta quindi fondamentale rimuovere le cellule morte attraverso l’utilizzo del giusto scrub: ci sono tantissimi tipi di esfolianti e l’importante è sceglierne uno adatto al nostro tipo di pelle.
Abbiamo poi bisogno di idratazione costante: occorre bere (c’è chi parla di circa due litri di acqua al giorno e c’è chi, invece, parla di fabbisogno personale in base a stile di vita, clima e altri fattori) e occorre non tralasciare l’utilizzo di creme idratanti per il viso.
Nella daily routine di una donna non dovrebbe mai mancare il make up: bastano anche pochi gesti, una base, un tocco di mascara per sottolineare lo sguardo e poi uno di rossetto e il gioco è fatto.
Mi raccomando, ricordiamo sempre di struccarci prima di andare a dormire: è essenziale per far respirare la pelle ed evitare la comparsa di nuove imperfezioni.

Capelli curati e in ordine

Una cosa che ogni donna nota di sé stessa quando si specchia sono i capelli: una chioma in salute e ordinata è motivo di vanto e, allo stesso tempo, è sinonimo di cura di sé e di eleganza perché – subito dopo di noi – a farci caso sono anche gli altri.
Prendersi cura dei propri capelli richiede passione e conoscenza per poter scegliere lo shampoo e gli altri prodotti più adeguati alle nostre chiome, inclusi gli integratori se e quando servono.
Qualunque sia il tipo di capello, c’è una regola fondamentale: per restituire un’immagine curata, a maggior ragione in ambito lavorativo, mai uscire di casa con testa sporca o in disordine, evitando possibilmente soluzioni un po’ approssimative come pinze comode magari in casa ma meno adatte in pubblico.
Per raccogliere i capelli non proprio freschi di parrucchiere o di shampoo, optiamo piuttosto per una coda di cavallo oppure per uno chignon che risulteranno decisamente più chic.

Look personalizzato, pelle radiosa, capelli in ordine: se vi domandate se la perfezione esiste, possiamo dire che con un po’ di attenzione e amor proprio ci si può avvicinare… sempre che la perfezione ci interessi, si intende!
D’altro canto, molti stilisti (Yohji Yamamoto incluso) hanno condannato o bollato la perfezione come noiosa: io concordo con loro ed è proprio uno dei motivi per i quali non ho interesse a occuparmi di consulenza d’immagine.
Ribadisco tuttavia che una cosa è fondamentale: stare bene con noi stessi per sentirci a nostro agio con gli altri – e questo passa, inevitabilmente, anche attraverso trucchi o rituali come questi di cui vi ho parlato oggi e che, in fondo, non sono soggetti a mode o trend.

Manu

DressYouCan ospita House of Mua Mua: a Milano, moda e charity per YPAC Bali

Quest’anno, per Natale, ho deciso di dare un taglio particolare ai miei consigli / non consigli per regali diversi: così, dopo aver parlato del progetto YOUth (qui) e di Una Culla per la Vita by Buzzi Onlus (qui) nonché de Il Mondo di Allegra (qui – via Instagram), oggi chiudo il cerchio tornando nuovamente a parlare di impegno sociale con l’iniziativa intrapresa da DressYouCan insieme a House of Mua Mua.

Fino al 24 dicembre, l’atelier milanese di DressYouCan, interessante realtà di fashion renting, ospita infatti una speciale vendita natalizia in collaborazione con House of Mua Mua, il brand fondato da Ludovica Virga: niente noleggio, stavolta, ma acquisti per una buona causa, ovvero sostenere l’associazione YPAC di Bali, scuola residenziale per bambini con disabilità fondata nel 1975.

Nel negozio di via Gian Giacomo Mora, a due passi dalle Colonne di San Lorenzo, oltre alle irriverenti creazioni moda del brand di Ludovica, sarà possibile acquistare anche le sue Mua Mua Dolls (che vedete qui sopra), creazioni che nascono dalle mani di donne e anziani balinesi: sono simpatiche (e ironiche) bambole, fatte all’uncinetto e cucite a mano, che rappresentano volti noti e icone della moda come Coco Chanel, Anna Wintour, Franca Sozzani e Karl Lagerfeld.

Da sempre House of Mua Mua ha a cuore Bali ed è proprio lì che, nel 2006, è nato il marchio: Ludovica, designer e mente creativa, decide di produrre bamboline realizzate all’uncinetto dagli abitanti dell’isola rimasti senza lavoro a causa di un turismo sempre più in crisi dopo lo tsunami del 2004.

Oggi House of Mua Mua è diventato un brand di ready-to-wear e accessori donna rivenduto nei più importanti concept store ed e-commerce di tutto il mondo e ha conquistato anche numerose celebrità internazionali per il suo spirito ironico e irriverente e – non ultimo – per il risvolto umanitario.

È dunque un’ottima occasione per fare del bene e anche per scegliere un dono natalizio che farà sicuramente piacere a tutte le appassionate di moda: DressYouCan è l’unica realtà milanese a ospitare House of Mua Mua, proponendo sconti fino all’86% e parte del ricavato sarà devoluto a sostegno di YPAC.

Io ci faccio un salto…

Manu

 

Se volete approfondire…

Come vi ho già raccontato, House of Mua Mua nasce nel 2006: Ludovica Virga, designer e mente creativa, decide di produrre bamboline realizzate all’uncinetto dagli abitanti dell’isola rimasti senza lavoro a causa di un turismo sempre più in crisi dopo lo tsunami del 2004. La prima creazione di Ludovica, per tutti Luvilu, nasce come regalo per un caro amico.
Il successo arriva nel 2009 quando, durante una sfilata Chanel a Venezia, Ludovica incontra Karl Lagerfeld e gli fa dono di una Mua Mua doll con le fattezze del Kaiser della Moda il quale inizia poi una collaborazione con la designer italiana: nel 2012, le commissiona più di 500 bambole da vendere nei negozi Lagerfeld.
Il  successo è immediato e Mua Mua diventa un marchio conosciuto dagli addetti ai lavori: la famiglia di bamboline all’uncinetto si arricchisce di nuovi personaggi tra i quali Anna Wintour, Coco Chanel, Franca Sozzani, Lady Gaga.
Oggi, grazie alla creatività di Luvilu e alla sua visione ironica del mondo della moda, House of Mua Mua è diventato un marchio venduto nei concept store ed e-commerce di tutto il mondo: le creazioni spaziano dalle iconiche bambole a divertenti t-shirt oltre a una linea di accessori che ha conquistato celebrità e it-girl internazionali.
Ma House of Mua Mua continua a essere anche una realtà con uno spiccato aspetto umano: ogni bambola viene infatti realizzata a Bali in zone rurali dove abitano donne e anziani che vivono in condizioni difficili, mentre parte del ricavato della vendita della collezione viene donato a una scuola a Sumbawa per aiutare e sostenere l’istruzione femminile.
Qui trovate il sito e qui trovate l’account Instagram.

Lo showroom DressYouCan ha sede a Milano a due passi dal Duomo, davanti alle Colonne di San Lorenzo e precisamente in Corso di Porta Ticinese angolo Via Mora.
La fondatrice è Cristina che lo gestisce insieme a Priscilla e Gloria: il negozio, con ingresso libero, è aperto 6 giorni su 7 (lunedì 13.30-19.30; martedì-sabato 10.30-13-30; 14.30-19.30).
È come se fosse un armadio infinito poiché è possibile noleggiare abiti, scarpe e borse per comporre outfit per occasioni speciali, da un cocktail party a un matrimonio, inclusa la possibilità di noleggiare un abito da sposa!
Qui trovate il sito, qui trovate l’account Instagram.

YPAC è una scuola residenziale per bambini con disabilità: è stata fondata nel 1975 da Nyonya Sukarmen, moglie dell’allora governatore di Bali.
Nel 1981 la scuola è stata ufficialmente riconosciuta dal governo indonesiano: ospita bambini e ragazzi di entrambi i sessi, di età varia e con vari tipi di disabilità.
Qui trovate il gruppo Facebook che fa capo alla scuola e qui trovate l’account Instagram.

Un motivo speciale per sostenere Buzzi Ospedale dei Bambini Milano…

Dalla pagina Fb dell’Associazione OBM Ospedale dei Bambini Milano – Buzzi Onlus

Ci sono questioni che toccano profondamente le mie corde più intime.
Tra tali questioni figura la malattia e, in particolare, l’approccio alla malattia e al dolore fisico.
Ho conosciuto il dolore in più occasioni e l’ho provato sulla mia pelle, letteralmente, soprattutto a causa di un grave incidente che ho subito da bambina: tutt’oggi porto le cicatrici indelebili, i segni di un’ustione che quasi mi privò della vita.
Credetemi se dico che, nonostante fossi piccolissima, il trauma è stato tanto forte che piccoli frammenti di quella terribile esperienza sono impressi nella mia memoria, sprazzi di dolore e momenti di angoscia (ero stata ricoverata in camera asettica e avevo paura) che sono perfino più profondi delle cicatrici fisiche che, da adulta, non ho infine voluto togliere.
Sostengo (sorridendo) di essere stata ricompensata per quel tragico incidente attraverso la fortuna di un’ottima salute; eppure, ho conosciuto la malattia attraverso tante (troppe…) persone care che fanno parte della mia vita. Alcune non ci sono più, purtroppo, ma sono presenti più che mai nel mio cuore.
L’ustione ha segnato la mia pelle e ha anche forgiato il mio animo: la mia soglia del dolore è abbastanza alta e sopporto piuttosto bene la sofferenza fisica ma, per paradosso, se sono disposta a sopportarla su me stessa, mi è invece difficilissimo accettarla in coloro che amo.
Un conto è soffrire in prima persona, un altro è veder soffrire coloro che amiamo: per quanto mi riguarda, preferisco di gran lunga essere io a provare dolore… non so, forse così ho l’illusione di poterlo controllare e di poterlo vincere ancora, così come è già stato.
Naturalmente, detesto vedere soffrire specialmente i bambini (non solo quelli che conosco e amo) e il loro dolore mi fa stare male quasi fisicamente proprio perché sono stata una bambina che ha conosciuto la sofferenza.
Dovete sapere che il luogo in cui mi salvarono la vita è il Buzzi di Milano, quello che allora come oggi è chiamato l’Ospedale dei Bambini: qualche settimana fa, mentre guardavo un programma in televisione, ho visto una pubblicità che parlava di Una Culla per la Vita, progetto nato in seno all’Associazione OBM Ospedale dei Bambini Milano – Buzzi Onlus.
La pubblicità raccontava come alcuni bambini, quando nascono, hanno bisogno di un aiuto in più per partire per quell’affascinante viaggio che è la vita: si tratta di neonati critici, magari nati prima del termine e sottopeso oppure con malformazioni o patologie. Grazie a interventi tempestivi, alcuni possono riprendere subito il loro viaggio, altri hanno bisogno di continuare a ricevere cure speciali.
Una Culla per la Vita
collabora con i professionisti dell’Ospedale Buzzi accanto ai bambini e alle mamme per accompagnarli verso una cura più serena, in un ambiente a loro misura: quando ho visto quella pubblicità… mi sono commossa fino alla lacrime.
Perché mi sono sentita di nuovo piccina.
Perché so cosa vuol dire avere bisogno di un ambiente a misura dei più piccoli visto che ho sperimentato cosa sia l’angoscia della degenza in ospedale per un bambino.
Perché anch’io ho avuto bisogno di un aiuto per proseguire il mio viaggio che sì, poi è stato meraviglioso.
Perché, come vi ho detto, non sopporto il dolore dei bambini.
Perché, per tutti questi motivi, ogni volta in cui c’è la possibilità di dare un aiuto, mi metto in gioco volentieri e cerco di dare il mio sostegno con tutto il cuore: so che quel che faccio non è altro che aggiungere una piccola goccia, ma sono convinta che il mare – soprattutto se inteso in senso metaforico – sia fatto da tante, tantissime microscopiche gocce.
Dunque, scrivere questo post è stata una decisione semplice quanto spontanea.
E ora chiedo a voi: volete fare un dono, non solo a qualcuno, ma prima di tutto a voi stessi?
Prendetevi un attimo per guardare il sito dell’Associazione OBM Ospedale dei Bambini Milano – Buzzi Onlus (qui) o la loro pagina Facebook (qui): trovate tutti i progetti e le iniziative per migliorare sia la cura dei bambini ricoverati al Buzzi sia il sostegno alle loro famiglie.
Oppure potete andare sul sito del progetto Una Culla per la Vita (qui): troverete i traguardi del progetto e alcune storie…
Se volete saperne di più, potete anche chiamare il numero 02 57995359 oppure andare direttamente in via Castelvetro 28 a Milano.
Non vi chiedo nulla, credo non ve ne sia bisogno: vi chiedo solo di guardare e informarvi e in questo consiste il regalo che propongo di fare a voi o meglio a noi stessi – ben oltre il Natale ormai imminente.
Poi, se volete (e sottolineo se)… si può per esempio anche donare il 5×1000 a OBM Onlus – C.F. 97376440158.
Da anni e ogni anno, scelgo con attenzione e cura un’associazione alla quale devolvere il mio 5×1000: so a chi lo donerò nei prossimi anni…
È ora di restituire (e non solo amandola e onorandola ogni giorno) l’opportunità che mi è stata data tanti anni fa: quella di una seconda vita, una chance che ho anche grazie all’Ospedale Buzzi.

Manu

*** Un immenso grazie di cuore a chiunque vorrà condividere questo post ***

YOUth, le felpe belle e virtuose create dagli adolescenti dell’Istituto Tumori

Il dottor Andrea Ferrari insieme ad alcuni dei ragazzi del progetto YOUth

(Photo credit Veronica Garavaglia)

Tutto l’anno, costantemente, attraverso questo spazio web e attraverso i miei vari canali social, non faccio altro che parlare del talento, dando voce, supporto (e spero aiuto) a tutti quei progetti che secondo me profumano di capacità, di positività, di bellezza e di ben fatto.

Penso che, a Natale, questo possa e debba sposarsi perfino con qualcosa di più, qualcosa che profumi di solidarietà e di nuove possibilità.

In fondo, parlare di solidarietà, di nuove possibilità, di impegno sociale (e nello specifico di lotta al tumore) è qualcosa che ho fatto più volte proprio attraverso blog e canali social poiché credo profondamente nel fatto che chi vuole occuparsi di comunicazione debba prestare la propria voce anche per agevolare il progresso della società nei suoi vari aspetti e bisogni.

Ecco perché oggi ho deciso di parlarvi di YOUth, la prima collezione di felpe realizzate dagli adolescenti del Progetto Giovani del reparto di pediatria dell’Istituto Nazionale dei Tumori coordinati da Gentucca Bini con il sostegno dell’associazione Bianca Garavaglia.

Il Progetto Giovani è parte integrante della Struttura Complessa di Pediatria Oncologica dell’INT (Istituto Nazionale dei Tumori) ed è Centro di Eccellenza per la cura dei tumori dell’età pediatrica e degli adolescenti: le felpe e il marchio YOUth sono il frutto di sei mesi di lavoro di 32 giovani tra i 15 e i 24 anni, di cui 20 attualmente ancora in cura, coordinati dalla stilista Gentucca Bini. Il ricavato dell’iniziativa sarà destinato al Progetto Giovani dell’INT sostenuto dall’Associazione Bianca Garavaglia ONLUS.

Vi ho incuriositi?

Volete saperne di più? Leggi tutto

SS 20 alla Milano Fashion Week, cosa ho visto, vissuto, amato / 2° parte

Oggi è il 7 dicembre, ovvero Sant’Ambrogio.

Per Milano è una ricorrenza particolarmente importante e sentita: Aurelio Ambrogio è stato una delle personalità più importanti del IV secolo e la Chiesa cattolica lo annovera tra i quattro massimi dottori della Chiesa d’Occidente, insieme a san Girolamo, sant’Agostino e san Gregorio I papa. Assieme a san Carlo Borromeo e a san Galdino è patrono del capoluogo meneghino del quale fu vescovo dal 374 fino alla morte.

Per noi milanesi Sant’Ambrogio è anche il giorno in cui si fa e si accende l’albero di Natale e infatti, mentre scrivo queste righe, il mio mini alberello illuminato mi fa compagnia e questo mi fa soffermare sul fatto che, esattamente tra 18 giorni, è Natale.

Solo 18 giorni a Natale? Di già? Ma com’è successo? E dov’è volato via il tempo?

Finora mi è sembrato che il tempo si prolungasse all’infinito grazie a un autunno particolarmente clemente: da qualche giorno, invece, è arrivato il freddo e, in un attimo, il ritmo è cambiato e ci siamo ritrovati a pensare al Natale.

Lo so, tutti i pensieri vanno ai regali da acquistare nonché ai vari eventi (pranzi, aperitivi, cene) organizzati per salutare e fare gli auguri ad amici, colleghi, parenti, compagni di calcetto, palestra eccetera eccetera: l’idea dell’estate si allontana sempre più dai nostri pensieri e dunque verrò forse tacciata come folle a parlarvi di SS 20 ovvero spring / summer 2020.

A Milano, dal 17 al 23 settembre, durante la Fashion Week, sono state presentate le collezioni donna per la primavera / estate del prossimo anno: io confido sulla curiosità insita in ciascuno di noi e scommetto che, in fondo, non dispiace dare un occhio alla moda che verrà, anche perché le giornate più lunghe, la luce e il tepore che accompagneranno il ritorno della bella stagione… non sono certo pensieri spiacevoli, giusto?

Anche perché desidero raccontare non dei ‘soliti noti’, chiamiamoli così, quei nomi ai quali sono naturalmente grata per aver fatto conoscere lo stile italiano in tutto il mondo ma ai quali tutti danno facilmente spazio; no, ecco, io vorrei parlare di ‘nomi più freschi’, nomi che fanno parte di un nuovo panorama, di un ricambio generazionale auspicabile poiché la moda italiana ha tanto bisogno di guardare verso il futuro.

E la mia speranza è che, magari, i ‘nomi freschi’ dei quali vi parlo possano offrire spunti proprio per i regali natalizi… perché no? Leggi tutto

Van Cleef & Arpels, il tempo, la natura, l’amore: la mostra-evento a Milano

«Stupóre s. m. [dal lat. stupor -oris, der. di stupēre «stupire»]. – 1. Forte sensazione di meraviglia e sorpresa, tale da togliere quasi la capacità di parlare e di agire.»

Questa è la definizione che si trova se si va a cercare il sostantivo stupore nel vocabolario Treccani.

Ma se non vi accontentate di ciò, se volete sentire vibrare in voi il senso più profondo di questa parola… beh, allora mi permetto di offrire un piccolo suggerimento: fino al 23 febbraio 2020, stupore, meraviglia, emozione, bellezza, maestria albergano in unico luogo a Milano e precisamente a Palazzo Reale che ospita la mostra “Van Cleef & Arpels – il tempo, la natura, l’amore” curata da Alba Cappellieri.

Allestita nell’Appartamento dei Principi e nelle Sale degli Arazzi della reggia milanese, la mostra è a ingresso gratuito e questo è un dato che tengo a sottolineare immediatamente poiché trovo meraviglioso che un evento così importante e significativo sia offerto a costo zero a tutti coloro che ne vogliano godere: dischiudere bellezza e cultura senza pretendere soldi in cambio… questa è reale condivisione, apertura, accessibilità! Leggi tutto

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