Libri e Natale: 9 titoli su moda & costume da mettere sotto l’albero

Amo leggere. E amo i libri. Appassionatamente e da sempre.

Li amo fin da piccina, dai primi anni delle elementari. Leggevo così tanto, letteralmente bevendo ogni libro acquistato, che i miei mi fecero l’abbonamento alla biblioteca di zona. Pochi anni dopo, feci io stessa quello alla Sormani, la bellissima biblioteca centrale sede del sistema bibliotecario comunale milanese.

Ora che si avvicina Natale e tutti noi pensiamo ai regali per coloro che amiamo, io ho pensato ai libri.

Libri e Natale: trovo sia un binomio meraviglioso in quanto credo che regalare conoscenza sia uno dei regali d’amore più belli che si possano fare. Perché conoscere aiuta a essere liberi. E a spiccare il volo.

Nel tempo, la mia passione per la lettura si è estesa a tutti i settori di mio interesse. Non fa eccezione la moda, per due motivi.

Il primo è perché la moda è diventata il mio lavoro e quindi ho bisogno di formazione continua. Il secondo è perché alla base di questo mondo – che a tanti sembra superficiale – c’è in realtà tanta cultura. La moda vive di conoscenza e di approfondimento. Se si desidera conoscerla davvero ed essere in grado di interpretarla correttamente, occorre indagarne codici e significati.

Ho dunque pensato di selezionare nove libri di recentissima pubblicazione da mettere sotto l’albero per nutrire la conoscenza in ambito moda e costume. E per indagare le molteplici e reciproche relazioni che la moda intrattiene con mondi come cinema, spettacolo e musica. Leggi tutto

DressYouCan ospita House of Mua Mua: a Milano, moda e charity per YPAC Bali

Quest’anno, per Natale, ho deciso di dare un taglio particolare ai miei consigli / non consigli per regali diversi: così, dopo aver parlato del progetto YOUth (qui) e di Una Culla per la Vita by Buzzi Onlus (qui) nonché de Il Mondo di Allegra (qui – via Instagram), oggi chiudo il cerchio tornando nuovamente a parlare di impegno sociale con l’iniziativa intrapresa da DressYouCan insieme a House of Mua Mua.

Fino al 24 dicembre, l’atelier milanese di DressYouCan, interessante realtà di fashion renting, ospita infatti una speciale vendita natalizia in collaborazione con House of Mua Mua, il brand fondato da Ludovica Virga: niente noleggio, stavolta, ma acquisti per una buona causa, ovvero sostenere l’associazione YPAC di Bali, scuola residenziale per bambini con disabilità fondata nel 1975.

Nel negozio di via Gian Giacomo Mora, a due passi dalle Colonne di San Lorenzo, oltre alle irriverenti creazioni moda del brand di Ludovica, sarà possibile acquistare anche le sue Mua Mua Dolls (che vedete qui sopra), creazioni che nascono dalle mani di donne e anziani balinesi: sono simpatiche (e ironiche) bambole, fatte all’uncinetto e cucite a mano, che rappresentano volti noti e icone della moda come Coco Chanel, Anna Wintour, Franca Sozzani e Karl Lagerfeld.

Da sempre House of Mua Mua ha a cuore Bali ed è proprio lì che, nel 2006, è nato il marchio: Ludovica, designer e mente creativa, decide di produrre bamboline realizzate all’uncinetto dagli abitanti dell’isola rimasti senza lavoro a causa di un turismo sempre più in crisi dopo lo tsunami del 2004.

Oggi House of Mua Mua è diventato un brand di ready-to-wear e accessori donna rivenduto nei più importanti concept store ed e-commerce di tutto il mondo e ha conquistato anche numerose celebrità internazionali per il suo spirito ironico e irriverente e – non ultimo – per il risvolto umanitario.

È dunque un’ottima occasione per fare del bene e anche per scegliere un dono natalizio che farà sicuramente piacere a tutte le appassionate di moda: DressYouCan è l’unica realtà milanese a ospitare House of Mua Mua, proponendo sconti fino all’86% e parte del ricavato sarà devoluto a sostegno di YPAC.

Io ci faccio un salto…

Manu

 

Se volete approfondire…

Come vi ho già raccontato, House of Mua Mua nasce nel 2006: Ludovica Virga, designer e mente creativa, decide di produrre bamboline realizzate all’uncinetto dagli abitanti dell’isola rimasti senza lavoro a causa di un turismo sempre più in crisi dopo lo tsunami del 2004. La prima creazione di Ludovica, per tutti Luvilu, nasce come regalo per un caro amico.
Il successo arriva nel 2009 quando, durante una sfilata Chanel a Venezia, Ludovica incontra Karl Lagerfeld e gli fa dono di una Mua Mua doll con le fattezze del Kaiser della Moda il quale inizia poi una collaborazione con la designer italiana: nel 2012, le commissiona più di 500 bambole da vendere nei negozi Lagerfeld.
Il  successo è immediato e Mua Mua diventa un marchio conosciuto dagli addetti ai lavori: la famiglia di bamboline all’uncinetto si arricchisce di nuovi personaggi tra i quali Anna Wintour, Coco Chanel, Franca Sozzani, Lady Gaga.
Oggi, grazie alla creatività di Luvilu e alla sua visione ironica del mondo della moda, House of Mua Mua è diventato un marchio venduto nei concept store ed e-commerce di tutto il mondo: le creazioni spaziano dalle iconiche bambole a divertenti t-shirt oltre a una linea di accessori che ha conquistato celebrità e it-girl internazionali.
Ma House of Mua Mua continua a essere anche una realtà con uno spiccato aspetto umano: ogni bambola viene infatti realizzata a Bali in zone rurali dove abitano donne e anziani che vivono in condizioni difficili, mentre parte del ricavato della vendita della collezione viene donato a una scuola a Sumbawa per aiutare e sostenere l’istruzione femminile.
Qui trovate il sito e qui trovate l’account Instagram.

Lo showroom DressYouCan ha sede a Milano a due passi dal Duomo, davanti alle Colonne di San Lorenzo e precisamente in Corso di Porta Ticinese angolo Via Mora.
La fondatrice è Cristina che lo gestisce insieme a Priscilla e Gloria: il negozio, con ingresso libero, è aperto 6 giorni su 7 (lunedì 13.30-19.30; martedì-sabato 10.30-13-30; 14.30-19.30).
È come se fosse un armadio infinito poiché è possibile noleggiare abiti, scarpe e borse per comporre outfit per occasioni speciali, da un cocktail party a un matrimonio, inclusa la possibilità di noleggiare un abito da sposa!
Qui trovate il sito, qui trovate l’account Instagram.

YPAC è una scuola residenziale per bambini con disabilità: è stata fondata nel 1975 da Nyonya Sukarmen, moglie dell’allora governatore di Bali.
Nel 1981 la scuola è stata ufficialmente riconosciuta dal governo indonesiano: ospita bambini e ragazzi di entrambi i sessi, di età varia e con vari tipi di disabilità.
Qui trovate il gruppo Facebook che fa capo alla scuola e qui trovate l’account Instagram.

Gender gap vs women empowerment: la moda non è un lavoro per donne?

È da un bel po’ (precisamente da qualche mese) che medito sul contenuto di un articolo di Pambianco.

Dovete sapere che detta rivista è una delle mie preferite e che non manca mai tra le letture quotidiane: dunque, se intitola un articolo ‘Allarme gender gap, la moda non è un lavoro per donne’, ecco che Pambianco attira immediatamente la mia attenzione anche perché si tratta di un argomento che mi sta particolarmente a cuore.

Cosa sostiene l’autorevole magazine nell’articolo datato 22 maggio?

Viene citato uno studio intitolato ‘The glass runway’, redatto dal Council of Fashion Designers of America (CFDA), Glamour e McKinsey & Company: in questo studio si afferma che, sebbene le donne rappresentino l’85% delle laureate presso i principali istituti di moda americani, i ruoli chiave ricoperti da nomi femminili sono ben pochi.

Il mondo della moda – rincara la dose Pambianco – ha recentemente mostrato interesse per le diversità di orientamento sessuale e di taglia, ma non abbastanza per il gender gap.

Con gender gap si intende l’insieme di tutte quelle differenze che si riscontrano a livello di condizioni economiche e sociali (dall’istruzione fino all’accesso al lavoro) e che influenzano la vita degli esseri umani in base al loro genere di appartenenza: in parole povere, parliamo di disparità di condizione tra uomini e donne.
E generalmente, quando si parla di gender gap, si tende (purtroppo) a osservare l’esistenza di maggiori penalizzazioni a sfavore delle donne rispetto agli uomini.

«Non ne parliamo molto perché c’è la sensazione che tutti ne siano già a conoscenza, ma a volte è necessario dire qualcosa affinché le persone non facciano finta sia un problema inesistente», ha dichiarato Diane von Fürstenberg, presidente dello stesso CFDA.

I dati contenuti nello studio ‘The glass runway’ sono alquanto desolanti. Leggi tutto

Pillole di #PFW: Poiret FW 18 – 19, Le Magnifique rivive 100 anni dopo

Si chiude oggi il mese dedicato alle quattro principali Settimane della Moda (in ordine di tempo New York, Londra, Milano e Parigi) e alla presentazione delle collezioni donna per l’autunno / inverno 2018 – 19: prima che il lungo tour de force iniziasse, la mia attenzione era stata attirata da una notizia riguardate la Paris Fashion Week le cui passerelle sarebbero state calcate anche dalla maison Poiret.

Perché la notizia ha catturato la mia attenzione?

In primo luogo, perché Paul Poiret è una delle mie icone in ambito moda, uno di quei couturier che sono stati protagonisti di grandi cambiamenti e grandi innovazioni.

In secondo luogo, perché lo storico marchio nato nel 1903 era stato chiuso nel 1929 per essere poi resuscitato in tempi recenti sotto la guida della business woman Anne Chapelle, già fautrice della rinascita di brand di moda tra i quali Ann Demeulemeester e Haider Ackermann.
Nel nuovo corso intrapreso, Anne Chapelle, in qualità di CEO, ha affidato la direzione creativa e stilistica alla designer cinese Yiqing Yin, classe 1985, nata a Pechino ma di stanza a Parigi fin dalla più tenera età, vincitrice di prestigiosi premi.
Non solo: visto che in Francia la moda è presa con grande serietà e che le viene riconosciuta estrema importanza, l’appellativo Haute Couture viene giuridicamente protetto e può essere accordato esclusivamente dalla Fédération de la Haute Couture et de la Mode alle case che figurano in una lista stabilita ogni anno insieme al Ministero dell’Industria. Ebbene, da luglio 2011, dopo aver presentato la sua seconda collezione, Yiqing Yin è stata invitata come membro ospite; nel 2015, è diventata uno dei pochissimi membri ufficiali e permanenti e, da allora, può fregiarsi dell’appellativo di grand couturier.
Tutto ciò per dirvi che quella di Yiqing Yin è stata una scelta di grande qualità.

Alla luce di tutto ciò, curiosità, attesa e aspettativa da parte di tutti – sottoscritta inclusa – erano enormi, insieme a una certa dose di timore.
Il tentativo di rilanciare brand analoghi quanto a storia e glorioso passato (cito per esempio Vionnet) è un’operazione assai rischiosa che, spesso, non dà gli esiti sperati tuttavia, forte anche della presenza di Yiqing Yin, Anne Chapelle era molto positiva.
«Sono sicura che i social media e il digital marketing faranno risorgere Poiret», aveva dichiarato la manager alla prestigiosa testata Business of Fashion, concludendo con la frase «è come leggere un libro alle giovani generazioni». Già, un libro di storia nell’era del digitale.

Tant’è che, nelle mie lezioni in Accademia del Lusso, non manco mai di citare Paul Poiret (1879 – 1944) ai miei studenti, raccontando loro chi sia stato l’uomo al quale si deve la liberazione della donna dalla costrizione del corsetto, colui che è universalmente considerato il primo creatore di moda in senso moderno, tanto che i suoi contributi alla moda del ventesimo secolo sono stati paragonati a quelli di Picasso nell’ambito dell’arte.

Poiret fondò la propria casa di moda nel 1903: le vetrine del suo negozio, a differenza di quello che era il costume dell’alta moda dell’epoca, erano ampie e appariscenti anche perché ciò che maggiormente contraddistinse Poiret rispetto agli altri stilisti fu l’istinto per il marketing.
Non per nulla, fu il primo a pubblicare a scopo promozionale i propri bozzetti e a organizzare défilé itineranti per promuovere i propri lavori in giro per l’Europa.
Attorno al 1910, Paul Poiret decise di rivoluzionare il campo sartoriale abolendo decisamente il corsetto, proponendo una linea stile impero, con la vita alta e la gonna stretta e lunga: «ho dichiarato guerra al busto», scrisse nelle sue memorie.
La produzione della maison Poiret ben presto si allargò all’arredamento e ai complementi d’arredo; fu il primo a dedicarsi alla realizzazione di profumi, lanciando una consuetudine che sarebbe stata poi seguita dai maggiori stilisti del XX secolo (tra i quali Coco Chanel).

Oltre che per alcuni suoi abiti stravaganti (gonne asimmetriche, pantaloni alla turca e tuniche velate in stile harem nonché fantasiose creazioni per donne del calibro della marchesa Luisa Casati Stampa, come potete vedere in questo mio precedente post), il maggiore contributo al mondo della moda da parte di Poiret fu lo sviluppo di un approccio incentrato sul drappeggio che rappresentava un cambiamento radicale rispetto alle strutture in voga in quegli anni.
Le maggiori fonti di ispirazione di Poiret provenivano dalle tradizioni folcloristiche regionali e la struttura delle sue creazioni rappresentò «un momento fondamentale nella nascita del modernismo e fissò i paradigmi della moderna moda, cambiando irrevocabilmente la direzione della storia del costume», citando dal catalogo della mostra Poiret King of Fashion tenuta nel 2007 al Metropolitan Museum of Art di New York.

Negli anni della Prima Guerra Mondiale, Poiret dovette abbandonare le sue attività: nel 1919, quando poté far ritorno, la maison era sull’orlo della bancarotta.
Durante la sua assenza, nuovi stilisti come la già menzionata Coco Chanel si erano accaparrati una buona fetta della clientela grazie a creazioni dalle linee semplici e sobrie in linea con le tendenze moderniste: in breve tempo, le elaborate e sontuose creazioni di Poiret furono considerate fuori moda e lui fu costretto a ritirarsi.
Nel 1929, la maison stessa fu chiusa, mentre lui morì nel 1944, ormai dimenticato da tutti.

Così com’è accaduto a molti uomini e donne geniali, la storia di Poiret è piena di luci e ombre, grandezze e debolezze, momenti di genio assoluto alternati a cadute e contraddizioni: per questo lo amo, perché la sua è una storia estremamente ricca di umanità e perché il suo apporto alla moda è stato davvero fondamentale, tanto da essersi guadagnato il titolo di Le Magnifique.
Per questo tifavo per Yiqing Yin così come, allo stesso tempo, avevo timore che nessuno – nemmeno lei – avrebbe potuto far rivivere l’unicità di un uomo decisamente sopra le righe: forse, dovremmo adeguarci all’idea che certe avventure non possono proprio continuare oltre il proprio creatore.

Siete curiosi? Volete sapere com’è andata? Se sono stata delusa o meno?

Diciamo che la brava e intelligente stilista cinese ha fatto l’unica cosa che – secondo me – poteva fare: non ha aperto gli archivi storici della maison semplicemente reinterpretandoli, come molti si aspettavano, bensì ha pensato a ciò che un visionario come Poiret avrebbe probabilmente fatto oggi, nel 2018, più di cento anni dopo e in uno scenario molto diverso.

Lui che, a inizi Novecento, ebbe il coraggio di proporre capi e fogge considerate scandalose e irriverenti, oggi non avrebbe replicato sé stesso ma avrebbe invece trovato il modo di rompere ancora una volta gli schemi ricorrenti: nella nostra epoca, in un momento di proposte stilistiche cariche di ridondanza e di massimalismo (avete notato, per esempio, le paillette presenti su molte passerelle nonché il ritorno delle spalle esagerate e dei colori accesi se non fluo nonché le sovrapposizioni e le stratificazioni sempre più abbondanti?), tale rottura può essere rappresentata dalla pulizia.

Quindi niente pantaloni alla turca – ciò che tutti si sarebbero aspettati in casa Poiret – e plissettature presenti in abiti fluidi che danzano attorno alla figura.
Movimento è una delle parole chiave e gli abiti oversize offrono spazio alla libertà: la donna di Poiret mantiene il suo lato misterioso che non viene mai completamente rivelato al primo sguardo.

Definirei tutto ciò un debutto cauto e intelligente, lo sottolineo nuovamente, forse privo dei colpi di scena tanto cari a Paul Poiret eppure libero da qualsiasi spiacevole sensazione di flop.
Non è poco e, a questo punto, aspetto fiduciosa di vedere come la storia di Poiret potrà proseguire nell’epoca del digitale quando, se non dal corsetto, donne – e uomini – hanno bisogno di liberarsi ancora da molte gabbie, fisiche e mentali, liberando il corpo, risvegliando i sensi, abbandonando gli stereotipi per emancipare finalmente e veramente i propri pensieri.

Manu

Se anche voi volete seguire la maison Poiret: qui il sito e qui l’account Instagram dal quale viene anche l’immagine che ho scelto per illustrare il post. Qui, qui, qui e qui trovate alcune foto e brevissimi video dall’account Instagram di Suzy Menkes, una delle mie giornaliste preferite, sulla collezione e il backstage.

Rosa Genoni, la moda di domani calata nella storia di ieri

So di rischiare di risultare noiosa, eppure non posso fare a meno di iniziare questo post ribadendo ancora una volta il mio immenso amore per la moda.

Si tratta di un amore talmente antico da essere diventato come la questione dell’uovo e della gallina: chi è nato prima? Io oppure l’amore per la moda era contenuto già nel mio DNA?

Scommetto di essere altrettanto noiosa se ribadisco che tale amore non è solo per la parte estetica e di apparenza, ma anche per le storie, i significati e i valori dei quali la moda sa farsi veicolo.

Con il passare del tempo, mi rendo conto che della moda amo soprattutto questo, la capacità di essere linguaggio, potente e immediato, di essere specchio formidabile dei tempi e della società.

Per questo, da anni, studio con passione la storia del costume e della moda.

Sono fermamente convinta che il passato possa fornirci la chiave per conoscere e interpretare il presente e anche gli strumenti per iniziare a immaginare il futuro: non sono una nostalgica, al contrario, vivo proiettata verso ciò che verrà, ma penso che senza passato siamo come colossi dai piedi d’argilla.

Più vado avanti a studiare la moda e più sono affamata e curiosa; più ne so e più mi rendo conto che c’è ancora tanto, anzi, tantissimo da sapere.

Per esempio, qualche anno fa, ho iniziato a sentir parlare di Rosa Genoni, figura importantissima per la moda e per il Made in Italy: è importante, già, eppure è poco conosciuta perfino tra gli addetti ai lavori, tanto che il materiale che circola su di lei è poco. Leggi tutto

Palazzo Reale a Milano ospita gli Incantesimi del Teatro alla Scala

Tra i tanti ricordi della mia infanzia, ci sono quelli legati alla musica.

Ai miei genitori è sempre piaciuta e rammento bene quando, la domenica mattina, durante la bella stagione, mia mamma amava aprire tutte le finestre di casa lasciando entrare l’aria fresca: in quelle mattinate gioiose, non mancava mai la musica diffusa attraverso un giradischi e a riecheggiare di stanza in stanza erano spesso le opere liriche e le note delle arie di Giuseppe Verdi, di Gioacchino Rossini e di molti altri ancora.

È da allora che Madama Butterfly di Giacomo Puccini è una delle mie opere preferite e non dimenticherò mai il libretto che sfogliavo con avidità in cerca di immagini e dettagli né la profonda impressione che la storia di quella e di molte altre opere esercitavano sulla mia fervida fantasia di bambina. Un’impressione, un fascino e un incantesimo tanto forti che, quando qualche anno fa fui invitata dalla contessa Pinina Graravaglia alla festa intitolata Teatro dell’Opera, passai un intero mese a prepararmi per il personaggio che scelsi di interpretare, ovvero Medora, la protagonista femminile de Il Corsaro di Giuseppe Verdi.

Vi racconto tutto ciò per darvi la misura dell’emozione che ho provato settimana scorsa, quando mi sono ritrovata a visitare la mostra Incantesimi – I costumi del Teatro alla Scala dagli Anni Trenta a oggi.

Ve lo confesso, non è stata una visita programmata: in realtà, ero a Palazzo Reale, la sede, per la meravigliosa mostra dedicata a Caravaggio e ho scoperto che, al termine del percorso, si passa attraverso le Sale degli Arazzi che attualmente ospitano l’esposizione Incantesimi.

In cosa consiste tale mostra?

In ventiquattro straordinari costumi che sono stati selezionati e restaurati tra i numerosi abiti di scena custoditi nei magazzini della Scala, ventiquattro costumi che si devono ad alcune delle firme più celebri nella storia del teatro. Leggi tutto

Coco Chanel: la donna oltre il mito e oltre le geniali intuizioni

Domenica ero troppo stanca anche solo per pensare di uscire.
Dopo il mio consueto allenamento mattutino in palestra, sono tornata a casa e ho deciso di regalarmi un tranquillo pomeriggio di relax casalingo.
Ho scelto alcuni libri e delle riviste, ho preso i miei fidi (e immancabili) amici elettronici (smartphone e tablet) e mi sono avventurata verso il divano.
Giusto per curiosità, ho acceso la televisione, già pronta a spegnerla nel giro di pochi attimi, certa che non avrei trovato nulla di mio gradimento: non sono una grande fan di tale mezzo, sono più i programmi che mi annoiano di quelli che mi entusiasmano.
Ma in quel caso mi sbagliavo: su Canale 5, trasmettevano infatti un film che amo particolarmente e che rivedo con piacere ogni volta in cui ne ho occasione.
Si tratta di Coco avant Chanel, film biografico del 2009 diretto da Anne Fontaine con la brava Audrey Tautou nel ruolo della protagonista.
L’avete mai visto?
Racconta la storia della grande stilista francese Coco Chanel, dalla povertà e dai primi lavori come cantante fino alla nascita della sua casa di alta moda. E, in parallelo, viene raccontata la sua più grande storia d’amore, quella con Arthur ‘Boy’ Capel, dopo la parentesi con Étienne de Balsan, primo amante e primo finanziatore.

Coco avant Chanel.
Ovvero Coco prima di Chanel.
Ovvero Coco prima di diventare Chanel.
Ovvero la donna prima ancora del mito. Prima ancora che il suo lavoro, la sua vita e di conseguenza il suo nome diventassero un mito.
Lo ammetto, è un film che mi commuove profondamente perché – appunto – racconta la donna Coco, colei che è riuscita a concretizzare il disegno che aveva in sé, testarda, ostinata, talentuosa, con una sua visione personale che ha portato avanti con forza, senza aver paura di essere diversa.
E ha pagato, Coco, eccome se ha pagato. In prima persona. Perché se a livello professionale ha realizzato la sua visione, a livello personale non è stata altrettanto fortunata, perdendo precocemente l’unico uomo che abbia mai veramente amato. Leggi tutto

We Wear Culture, dal little black dress di Coco allo street style di Tokyo

We Wear Culture: la cover della sezione dedicata al virtual tour del Metropolitan Museum of Art

Tra i tanti vantaggi del web, uno dei miei preferiti è senza dubbio quello di aver ridotto i limiti fisici e geografici.

Per esempio, possiamo stare comodamente seduti alla nostra scrivania e contemporaneamente fare ricerche grazie a luoghi virtuali, biblioteche e librerie, archivi e musei. Oppure, possiamo rilassarci sul divano mentre chiacchieriamo in live chat con persone che si trovano dall’altra parte del mondo. O ancora, possiamo fare acquisti in pochi click.

Certo, a volte tutto ciò non basta: io, in questo periodo, mi struggo per il fatto di non poter essere a New York fisicamente, precisamente al Metropolitan Museum of Art dove si sta svolgendo la mostra Rei Kawakubo / Comme des Garçons: Art of the In-Between.

Non so cosa darei per visitare l’esposizione dedicata a una delle più importanti stiliste del Novecento, colei che nel 1969 ha fondato il brand Comme des Garçons e che insieme a Yohji Yamamoto e Issey Miyake forma l’eccezionale triade giapponese che, alla fine degli Anni Settanta, ha portato un grandissimo rinnovamento nella moda.

Qui, però, torna in ballo Internet e la sua capacità di essere un mezzo che ci dà infinite possibilità che sta a noi saper sfruttare al meglio: non posso teletrasportarmi a New York, è vero, ma grazie al web posso consultare il sito del Metropolitan, godere di filmati e gallery, leggere articoli, consultare reportage.

Ed è proprio in nome di tutto ciò che, oggi, sono molto felice di parlarvi di un progetto che si chiama We Wear Culture.

We Wear Culture ovvero Indossiamo la Cultura, in quanto ben tremila anni di storia del costume e della moda confluiscono in una sorta di sfilata (o vetrina, chiamatela come preferite) che debutta online in questi giorni.

Disponibile attraverso la piattaforma Google Arts & Culture, il progetto consente di esplorare stili e look di epoche diverse nonché le storie che sono alla base degli abiti che indossiamo oggigiorno: inoltre, pezzi iconici che hanno cambiato il modo di vestire di intere generazioni vengono letteralmente fatti vivere grazie alla realtà virtuale.

L’iniziativa è frutto di una collaborazione con oltre 180 istituzioni culturali di fama mondiale: tra i nomi italiani, figura il Museo del Tessuto di Prato e una selezione di tessuti proveniente proprio dalle collezioni antiche di tale Museo è ora disponibile online. Leggi tutto

Chanel Haute Couture primavera / estate 2016 tra sogno e realtà

Mi trovo in un gran bel posto, sebbene non sappia dargli un nome; in realtà, non saprei nemmeno dire come io sia arrivata qui.
C’è tanta luce e, proprio davanti a me, un prato perfetto assomiglia a un tappeto verde: in fondo, vedo una bella casa in legno. L’atmosfera è tranquilla, serena.
D’un tratto, vedo una figura uscire dalla casa: avanza verso di me, si avvicina con passo leggero e senza fretta, dunque ho tutto il tempo di mettere a fuoco i vari dettagli.
È una giovane donna: indossa una giacca in tweed e una pencil skirt lunga fino al polpaccio. Noto anche i capelli, elegantemente raccolti in uno chignon molto particolare, e le sue scarpe, delle zeppe in sughero con tomaia bicolore. Da grande estimatrice di gioielli, non posso fare a meno di notare la meraviglia che indossa, ovvero un’ape graziosamente appuntata sulla giacca: sembra viva tanto è vibrante di luce e colore.
Non riconosco la giovane donna così come continuo a non riconoscere il luogo.
Eppure, tutta la situazione ha qualcosa di così familiare… Leggi tutto

Anteprima del Capitolo 14 di Inside Chanel

Penso con convinzione autentica che, per essere liberi di correre verso il futuro, sia necessario conoscere il passato senza averne paura.
Non vedo né ho mai visto storia e passato come catene che ci legano o ci imprigionano: preferisco invece vederli come preziosi valori. Mi piace pensare di poter custodire e tramandare esperienze, insegnamenti e tradizioni affinché possano dare un senso a ciò che è stato.
Se la viviamo così, come un valore, la storia non è affatto polverosa. E, oggi, vive non solo attraverso i libri, ma anche grazie al web: proprio Internet – mezzo che per sua stessa natura guarda avanti – è al tempo stesso un ottimo modo per rendere il passato quanto mai vivo, vivace, interessante e brillante.
Ecco perché, qui su A glittering woman, mi piace dare spazio ai due aspetti della moda: da una parte, amo raccontare le vicende di coloro che hanno scritto la storia; dall’altra, amo presentare coloro che stanno provando a scriverne nuovi capitoli.
Ed ecco perché sono particolarmente orgogliosa di essere tra coloro ai quali è stata data l’opportunità di presentare in anteprima il video The Vocabulary of Fashion, il Capitolo 14 di Inside Chanel.
Attraverso una serie di cortometraggi, il sito web Inside Chanel (presente all’interno del sito ufficiale della Maison) ripercorre la storia di Gabrielle Chanel e delle sue iconiche creazioni capaci di dare origine a una leggenda.
Il quattordicesimo capitolo invita a scoprire gli elementi che costituiscono l’identità Chanel, elementi creati da Coco e costantemente rivisitati da Karl Lagerfeld.
Grazie allo spirito ribelle e alle scoperte, all’audacia e all’inventiva, ai ricordi d’infanzia legati all’orfanotrofio e alle storie d’amore, Mademoiselle ha creato un nuovo linguaggio della moda e uno stile che ancor oggi continua a perpetuarsi attraverso la creatività di Karl Lagerfeld.
“Mademoiselle Chanel ci ha tramandato uno stile. Ed è uno stile, il suo, che non passa mai di moda. Il successo di Chanel consiste nell’aver saputo trasmettere gli elementi della sua identità. Una musica senza tempo fondata su note nelle quali ogni donna riconosce all’istante l’essenza di Chanel: lusso e raffinatezza.”
Quali sono le note citate da Monsieur Lagerfeld? La borsa trapuntata, il tubino nero, i bijoux couture (o costume jewelry per chi preferisce l’inglese), la camelia, la catena, la scarpa bicolore, le perle e il tweed: sono queste le voci che fanno ormai parte integrante del vocabolario Chanel.
Ultimamente, parlo spesso di Chanel sia qui sul blog sia su altre testate per le quali ho la fortuna di scrivere: è perché penso che nessuno meglio di Mademoiselle Coco possa aiutarmi a rendere evidente il concetto che mi preme portare avanti. Nessuno più di lei dimostra infatti che un passato di valore è argomento quanto mai attuale.
Godetevi il video: io ne ho assaporato ogni singolo fotogramma e spero, con questa anteprima, di farvi un regalo gradito.

Amo molto il progetto Inside Chanel perché sta portando avanti nel modo migliore ciò in cui io stessa credo: usare il web per diffondere la giusta idea di passato, quel passato che insegna e si rinnova anche grazie a chi è stato capace di raccogliere e portare avanti l’eredità.
Il video è naturalmente presente sul sito Inside Chanel andando a unirsi ai 13 capitoli precedenti.
La storia continua.

Manu

Qui trovate il sito Inside Chanel

Io & Chanel: qui trovate il mio sogno di possedere una 2.55; qui trovate il mio omaggio alla storia di Coco Chanel in un articolo per SoMagazine; qui trovate la mia riflessione su lusso e volgarità partendo da una frase di Mademoiselle; qui trovate alcune foto relative alla mostra N°5 Culture Chanel che ho visitato a Parigi in maggio 2013; qui trovate il mio incontro con alcune 2.55 vintage all’edizione di aprile 2013 di Next Vintage Belgioioso.

Grazie all’ufficio stampa Chanel

Volevo (e voglio) una 2.55 (Chanel, naturalmente)

C’è chi, durante l’infanzia, ha sognato di poter un giorno diventare ballerina, infermiera, pompiere o astronauta; c’è chi, durante l’adolescenza, ha sognato di sposare Simon Le Bon (ricordate il famoso film?).
E c’è chi, invece, da bambina, da adolescente e da adulta, ha coltivato e continua a coltivare imperterrita un sogno: possedere una 2.55, precisamente una 2.55 Chanel.
È un sogno che sembra materiale e terreno ma, in realtà, è utopico (o almeno lo è per me e le mie finanze) quasi quanto desiderare di fare l’astronauta, viste le quotazioni di questa celeberrima borsa.
Ebbene sì, lo confesso: perfino una come me, innamorata delle nuove leve e del made in Italy, sogna di possedere una borsa non nuova come concetto (è nata nel febbraio 1955, come simboleggiato dal nome stesso) e per giunta made in France.
Il perché è presto detto.
Prima di tutto, tale borsa soddisfa un’altra mia passione che affianca quella per nuove leve e made in Italy: amo il talento qualsiasi forma esso abbia e la 2.55 è uno dei segni tangibili del talento, della capacità e del genio di una donna per la quale nutro immensa stima, ovvero Coco Chanel.
Se poi riuscissi ad accaparrarmi una 2.55 vintage sarebbe il massimo, visto che il vintage è l’altro cardine della mia grande passione per la moda: sarebbe soddisfare due criteri su quattro (in alto in foto, una 2.55 Classic Flap detta anche 2.88, il restyling voluto da Karl Lagerfeld negli anni ’80).
Dunque, il mio non è semplice desiderio di uno status symbol: amo la donna che ha inventato questa borsa, amo Coco e la sua storia che, ancora oggi, è in grado di insegnare molte cose. Leggi tutto

Coco Chanel e la lotta (continua) contro la volgarità

È un giorno qualunque di mezza estate.
Sono felice: faccio parte di una commissione d’esame e sto ascoltando ragazzi in gamba, pieni di talento e passione.
Sfoglio le loro tesi una dopo l’altra e trovo tanti spunti interessanti, nuove idee che si posano come semi nel terriccio fertile della mia testa.
Poi, d’un tratto, leggo una frase, quella della foto qui sopra: scatto velocemente col mio iPad, affascinata.
Abitualmente, non sono il tipo di persona che condivide su Instagram o su Facebook le frasi celebri, eppure questa mi colpisce con forza.
Tutto ciò è successo pochi giorni fa e oggi mi ritrovo a pensare ancora a quelle parole, alla loro forza e alla verità che per me rappresentano.
Penso da sempre che il lusso non risieda in ciò che è materiale; purtroppo, però, oggi si confondono molto spesso le cose e molti ricercano il lusso proprio nella sfacciata ostentazione di fasti e ricchezze.
Un errore grossolano: così si scivola nella volgarità, mentre – come affermava saggiamente Coco Chanel – il lusso esiste solo dove la volgarità è assente e solo dove c’è invece eleganza.
Usando il termine eleganza, mi riferisco al suo senso puro: non dimentichiamo che tale parola deriva dal latino eligere, cioè scegliere.
L’eleganza più autentica, dunque, sgorga da un’azione esatta: il sapere scegliere, l’eleggere. È un’arte di vivere e di pensare che va ben oltre ciò che indossiamo.
Diana Vreeland, altra importantissima icona della moda e figura autorevole che aveva dimestichezza col concetto di eleganza, non credeva, per esempio, necessariamente nel cosiddetto buon gusto. “Abbiamo tutti bisogno di un po’ di cattivo gusto. È la mancanza totale di gusto che non condivido”, era solita ripetere.
La volgarità non è (o non è solo) un vestito di poco gusto, qualche parolaccia, un’esternazione o una battuta poco felice: è un concetto molto più sottile, strisciante, subdolo, insinuante. Per questo spesso ci imbroglia e ci distrae.
La volgarità peggiore è quella d’animo, dei cattivi pensieri, dei cattivi sentimenti e tale volgarità – ahimè – ha un’ampia gamma di sfumature.
Si nasconde nell’esibizionismo, nell’ostentazione, nell’eccesso.
Nell’arroganza, nella prepotenza, nella tracotanza, nella superbia, nella presunzione.
Nella disonestà, nella scorrettezza, nella mediocrità, nella maldicenza, nella meschinità, nell’invidia.
Quanto aveva (e ha) ragione Mademoiselle Coco, la volgarità è una gran brutta cosa e va combattuta, senza sosta, senza arrendersi.
Nel mio piccolo, ci provo: come dice lei, rimango in gioco per combatterla e provo a tenere lontani dal mio animo quei sentimenti, provo a tenere lontane le persone che ne sono portatrici.
Non è facile, ma almeno ci provo. Con tutta me stessa.

Manu

Parigi senza fronzoli e senza lustrini…

Quanto amo viaggiare… Non solo mi piace scoprire posti nuovi, imparare, trovare ispirazioni diverse ma amo anche quella sensazione di sentirsi partecipi di qualcosa di più grande, quel sentimento che può definirsi come “essere cittadini del mondo”.

Nutro un sogno a questo riguardo: mi piacerebbe vivere le città che amo, siano esse in Italia o all’estero, come abitante e non come semplice turista. Mi piacerebbe fare la stessa vita di chi ci sta ogni giorno, guardare le cose attraverso la prospettiva di un abitante. Viverci per un po’ di tempo.

Questa primavera ho avuto un assaggio di questa possibilità con Parigi: Sara, una mia cara amica, si è trasferita nella capitale francese per una bella esperienza di lavoro e io l’ho raggiunta per qualche giorno. Sono stata ospite a casa dei suoi zii che vivono in una zona residenziale deliziosa, alle porte della città: bello essere ospite in famiglia, anziché in un hotel che per quanto chic possa essere non avrà mai il calore di persone che ti aprono la loro porta e che ti accolgono come fossi una di loro.

E con Sara abbiamo deciso di evitare la Parigi più turistica e i soliti itinerari per privilegiare aspetti più normali e quotidiani della città, per viverla un po’ come la vivono le persone che ci abitano. La domenica al mercato tra libri e dischi vecchi, la mostra imperdibile, il negozio dell’usato, il brunch in famiglia. Leggi tutto

Next Vintage Belgioioso edizione aprile 2013

Visitare la manifestazione Next Vintage di Belgioioso è un po’ come vivere la stessa esperienza che capita ad Ali Baba nella fiaba che lo vede protagonista insieme ai quaranta ladroni: si entra in una caverna piena di tesori. Peccato che non basti la formula “Apriti, Sesamo!” per portarli via tutti…

Ciò che mi attrae nel vintage è la storia che accompagna oggetti e capi nonché la possibilità di dar loro una seconda vita. La manifestazione che si tiene a Begioioso è una delle più importanti del settore: non me la perdo mai, ha per me lo stesso richiamo di una sirena ammaliatrice.

Pochi giorni fa si è conclusa l’edizione primaverile: vi racconto che cosa mi è piaciuto. Leggi tutto

error: Sii glittering... non copiare :-)