MFW: I’M Isola Marras FW 15-16, poesia e incontri (im)possibili

Cosa rispondereste se vi chiedessero di dare una definizione efficace del concetto di arte?

A me, per esempio, su due piedi, viene subito in mente “una delle più alte espressioni dell’ingegno umano”: mi sembra però troppo stringata, quindi ho pensato di andare a curiosare su Treccani e Wikipedia.

Wikipedia esordisce così: “L’arte, nel suo significato più ampio, comprende ogni attività umana – svolta singolarmente o collettivamente – che porta a forme di creatività e di espressione estetica, poggiando su accorgimenti tecnici, abilità innate o acquisite e norme comportamentali derivanti dallo studio e dall’esperienza. Nella sua accezione odierna, l’arte è strettamente connessa alla capacità di trasmettere emozioni e messaggi soggettivi. Tuttavia non esiste un unico linguaggio artistico e neppure un unico codice inequivocabile di interpretazione.”

Ecco, Wikipedia va esattamente nella direzione in cui speravo: per me la moda è una forma di creatività, è espressione estetica, poggia su accorgimenti tecnici e abilità sia innate sia acquisite, trasmette emozioni e messaggi. Leggi tutto

Giorà by Giovanna Raspini, amore e gioielli

Mi sono sempre ingegnata in tanti modi per soddisfare il mio amore verso il bello.

Anni fa, per esempio, quando mi occupavo d’altro e la moda non era la mia occupazione principale, consumavo tonnellate di riviste: il verbo consumare non è usato a sproposito, era proprio così, consumavo le pagine a furia di sfogliarle innumerevoli volte.

Avevo anche un’altra piccola mania, ritagliavo le foto che mi piacevano di più e conservavo quei pezzi di carta (o di sogno) con cura: sono certa del fatto che la cartelletta dove riponevo il tutto sia ancora da qualche parte, nascosta tra libri e riviste, e un giorno la cercherò.

Tra i gioielli che colpivano maggiormente il mio immaginario c’erano quelli firmati Giorà, il brand creato dalla designer Giovanna Raspini: ero affascinata dal loro stile molto particolare e infatti quei pezzi guadagnavano spesso spazi su pubblicazioni prestigiose come Vogue Accessory. Leggi tutto

Chimajarno, aggregare ricordi sotto forma di bottoni

Bottoni.
Piccoli, grandi, bianchi, colorati, di tante forme e materiali diversi.
Tutti con un unico scopo: unire ciò che nasce diviso. E lo fanno da molto prima che nascesse la zip.
Ricordo la scatola dei bottoni di mia mamma: quand’ero piccina, mi incuriosiva indicibilmente e non perdevo occasione di sbirciarci all’interno e di toccare con delicatezza quelli che mi apparivano come piccoli tesori.
Quella scatola mi affascinava a tal punto che oggi ne possiedo a mia volta una tutta mia, nonostante io non sia particolarmente incline al cucito: all’interno, i bottoni sono suddivisi per colore – è una mia piccola mania quella di fare la suddivisione per colori, la faccio anche negli armadi.
Ma, evidentemente, quella per i bottoni non è solo una mia passione.
Tra i tanti libri che hanno accompagnato la mia fanciullezza, ne rammento distintamente uno, La guerra dei bottoni (La Guerre des boutons), romanzo dello scrittore francese Louis Pergaud nel quale i bottoni diventano il bottino della guerra tra due gruppi di bambini in un piccolo paese.
In tempi recenti, sono rimasta colpita dall’esistenza di un Museo del Bottone a Vigorovea, in provincia di Padova, e di un altro a Santarcangelo di Romagna, in provincia di Rimini.
Esistono modi di dire, come attaccare bottone.
E poi ci sono persone come Chiara Trentin, una creativa che ha fatto dei bottoni la materia prima della propria arte.
Chiara ha dato vita al brand Chimajarno e fa gioielli o meglio aggregazioni indossabili di bottoni, come le chiama lei, come quella che potete ammirare qui sopra.
Sono attratta dalle creazioni di Chiara fin dalla prima volta in cui ho potuto ammirarle da vicino: ora, resto incantata davanti a un suo progetto al quale ha dato il nome di Aggregare ricordi sotto forma di bottoni.
Ecco come lo racconta lei stessa: “Ci sono percorsi, passi… Ci sono incontri, occhi… Ci sono racconti, storie… Ci sono sensazioni, emozioni… Ci sono idee, sogni, oggetti… E  ci sono forme differenti per tenere legato il nostro vissuto e i ricordi che non vogliamo perdere… Mi ritrovo tra le mie scatole e i miei vasi colmi di tutto ciò che ha suscitato qualcosa in me, piccole cose, sassi, conchiglie, oggetti trovati a terra e, dopo 10 anni dalla nascita di Chimajarno, provo a mettere assieme ricordi che prendono forma nella mia familiarità: il bottone”.
Il progetto di Chiara mira a coinvolgere gli altri: “Provo a chiedere il vostro intervento/partecipazione per aggregare quanti più ricordi possibili: vi chiederei di consegnarmi un bottone o più e se volete aggiungete una parola, una storia, un aneddoto, una cosa o quant’altro legato o meno al bottone”.
“A fine anno tutto ciò che avrò raccolto – assieme a bottoni, oggetti e ricordi già da tempo “catalogati” – sarà esposto in una prima mostra presso un museo: mi piacerebbe poi che tutto ciò continuasse e trovasse spazio in altri luoghi”, conclude Chiara.
A me è sembrato un progetto meraviglioso e così ho deciso di parlarne nella Pillola di oggi: amo l’idea di aggregare ricordi in questo modo perché – come ho scritto in principio – il bottone nasce proprio per unire e poi trovo splendida l’idea di ricavarne una mostra.
E voi? Volete far parte di questo progetto condiviso?
Io sto già pensando a quale bottone e a quale ricordo consegnare a Chiara.

Manu

Qui trovate il blog e qui la pagina Facebook di Chimajarno.
Per partecipare ad Aggregare ricordi sotto forma di bottoni, trovate tutte le informazioni e i dettagli qui e qui.

Per curiosità: se vi capita, fate visita al Museo del Bottone di Vigorovea (qui e qui) oppure al Museo di Santarcangelo di Romagna (qui, qui e qui).

Per dire ciao a Elio Fiorucci firmiamo la petizione

Il dolore non chiede permesso: bussa prepotente alla porta del cuore e si intrufola senza lasciarci il tempo di sprangarci all’interno.
E la morte non va per il sottile, miete umili e arroganti, poveri e ricchi, giovani e anziani.
Solo pochi giorni fa, piangevo la morte di un mio giovanissimo amico: la sofferenza non accenna a diminuire e anzi viene riaccesa dalla scomparsa di uno dei miei idoli, Elio Fiorucci.
Fiorucci aveva compiuto da poco 80 anni ma pare non avesse problemi di salute: forse è stato un malore improvviso a portarlo via.
La morte inaspettata unisce così due vite agli antipodi, una – quella del mio amico Emanuele – appena sbocciata, l’altra – quella di Fiorucci – lunga e piena di successi; unisce due persone che sono state molto amate e che lasciano un vuoto mancando esattamente a una sola settimana di distanza l’una dall’altra.
Sono talmente scioccata dalla morte di Emanuele che avevo promesso a me stessa che non avrei più scritto della scomparsa di nessuno, ma la vita è impertinente e la morte lo è ancora di più e spesso fa di noi dei bugiardi, come in questo caso.
Elio Fiorucci ha incarnato uno dei miei primi approcci alla moda: il suo splendido negozio in San Babila, innovativo e diverso da qualsiasi altro, colpiva così tanto la mia fantasia di adolescente che credo lo porterò nel cuore per tutta la vita.
Nei cassetti della biancheria ho almeno tre magliette coi suoi famosissimi angeli: due sono recentissime, regali ricevuti tramite il suo ufficio stampa da quando la moda è diventata non solo una passione ma anche un lavoro. Non so se avrò più il coraggio di indossarle, credo che resteranno conservate come reliquie.
Veneravo Fiorucci a tal punto che, pur avendolo incontrato parecchie volte negli ultimi anni in occasione di vari eventi, non ho mai avuto il coraggio di rivolgergli la parola per dirgli cosa rappresentasse per me. Ora me ne pento.
Ciò che mi ha fatto decidere di scrivere questo piccolo post infrangendo i miei propositi è una notizia che ho letto ieri: sul sito change.org è partita una petizione per trasformare Galleria Passarella, il luogo in cui si affacciava l’iconico store milanese, in un luogo dedicato allo stilista-imprenditore.
La richiesta nasce dal fatto che Fiorucci “ha rappresentato la moda, il design, la creatività ed è stato testimonial assoluto della nostra città: un uomo di grande sensibilità e di grande coerenza umana e progettuale, oltre che figura di spicco a livello internazionale”.
Non c’è nulla da aggiungere se non che io ho già firmato: al momento, mi sembra l’omaggio migliore.
Un paio di anni fa, in un post dedicato a Ottavio Missoni, scrissi di non avere il coraggio di dare del tu a un signore di 92 anni che non era un parente né un amico: ecco, chiamatemi incoerente ma oggi riesco a dire solo ciao Elio.
Grazie per i primi semi (quelli dell’amore per moda, design e bellezza) che hai piantato nella mia testa e nel mio cuore. Sono poi fioriti, sai.

Manu

Per firmare la petizione su change.org: qui

Uno dei miei incontri silenziosi con Elio Fiorucci: qui. Un post in cui raccontavo una piccola parte della sua storia: qui.

Fausto Colato experience: io artigiana per un giorno

Vi è mai capitato, guardando un oggetto, di pensare “ma sì, potrei essere capace di farlo anch’io”?

Lo confesso, a me è capitato di fare pensieri di questo tipo e non per arroganza, ve l’assicuro: credo capiti con quegli oggetti che fanno talmente parte della nostra quotidianità da portarci a considerarli non dico scontati, ma comunque piuttosto normali e semplici.

Faccio un esempio pratico: la cintura.

Chi di noi non la usa? Per gli uomini, poi, è fondamentale.

Ecco, fino a dieci giorni fa, avrei giurato che fare una cintura fosse un’operazione non particolarmente difficile o complicata: per carità, non immaginavo fosse una cosa alla portata di tutti (e soprattutto non alla mia portata, visto la mia manualità non eccelsa), ma – onestamente – non pensavo nemmeno che per fabbricarne una a regola d’arte, rigorosamente fatta a mano, di ottima qualità e destinata a durare nel tempo, fossero necessari addirittura una trentina di diversi passaggi. Leggi tutto

Ciao Emanuele ♥

Esiste un modo corretto di porsi davanti alla morte?
Esiste qualcosa di giusto da fare per affrontare la morte di qualcuno che ci è caro?
Se esiste un modo, uno giusto e univoco, buono e uguale per tutti, io non lo conosco.

Più volte ho espresso rammarico davanti alla dipartita di persone che consideravo modelli o icone; oggi, con immenso e inaspettato dolore, lo faccio per una persona che aveva un ruolo reale e concreto nella mia vita.
Un ragazzo, un amico e un collega che aveva solo 27 anni.

In questi giorni, davanti alla morte di Emanuele che era una persona molto conosciuta e molto apprezzata, ho visto reazioni di tutti i tipi: ognuno ha trovato la propria strada per esprimere dolore, rabbia, incredulità.
Non so se scrivere sia un modo giusto, ma so che è il mio modo e che è sincero.
Non potevo certo far andare via una persona per me importante nel silenzio: ecco, questo sì mi sarebbe sembrato proprio ingiusto perché le parole sono il mezzo attraverso il quale esprimo gioia, ma anche quello attraverso il quale cerco di gestire i sentimenti che mi soffocano. Leggi tutto

Macaron e rivoluzione, il 14 luglio firmato Ladurée

Considerazione numero uno: il mio amore per la Francia non è un mistero.
Considerazione numero due: dicasi la stessa cosa per i macaron in generale e per Ladurée nello specifico.
Considerazione numero tre: mi è sempre piaciuta la storia e uno dei miei periodi preferiti è quello della Rivoluzione francese.
Ebbene sì, sono sempre stata intrigata dai suoi protagonisti, Luigi XVI, Maria Antonietta, le loro esagerazioni, le frasi crudeli che sono poi costate loro la testa (soprattutto la famigerata “Se non hanno più pane, che mangino brioche!” riferita al popolo e attribuita alla regina), i rivoluzionari come Marat, Danton e Robespierre.
E ho sempre sognato di vestire i panni di una popolana sulle barricate, intenta a puntare il dito contro Maria Antonietta strillando “Tagliatele la testaaaaa!!!”.
(Sempre strana io, scommetto che la maggior parte delle ragazze a modo sogna invece di incarnare la raffinatissima regina che, tra l’altro, ha fortemente influenzato la moda e non solo quella dell’epoca…)
Per me non è dunque insolito festeggiare il 14 luglio e la presa della Bastiglia: l’anno scorso lo feci qui sul blog con un post che era la mia piccola e personale rivoluzione. Leggi tutto

Milano Fashion Week: Grinko FW 15 – 16

Sono una persona decisamente estroversa e per questo motivo molti credono che sia facile guadagnare la mia simpatia.

Niente di più sbagliato: in realtà, giovialità a parte, sono severa, prima di tutto con me stessa e poi anche con gli altri. Diverse persone mi definiscono impegnativa (qualcuno anche rompiscatole).

Non è facile né guadagnare la mia amicizia (sebbene io parli volentieri con tutti e abbia rapporti cordiali con moltissime persone) né il mio apprezzamento dal punto di vista lavorativo e, tra l’altro, non permetto che l’amicizia offuschi un giudizio professionale.

Quindi, quando nei miei post leggete del mio personale innamoramento per stilisti e designer, sappiate che prima di tutto c’è l’apprezzamento del loro lavoro: se li giudicassi solo brave e simpatiche persone, mi limiterei a cercare di guadagnarmi la loro amicizia e andare a bere un caffè insieme.

Purtroppo, esistono poi casi di persone bravissime dal punto di vista professionale che però non mi piacciono dal lato umano. Se lavoro per altri, diciamo che abbozzo e faccio prevalere la professionalità; se scrivo qui, però, decido io e allora pretendo il pacchetto completo, ovvero semaforo verde su umanità e professionalità. Lo so, sono una rompiscatole – ve l’avevo detto.

Sergei Grinko è tra coloro che mi piacciono a 360°, come persona e come stilista, per questo lo seguo assiduamente attraverso A glittering woman. Ho imparato a conoscerlo stagione dopo stagione, mi piace osservarlo e cercare di leggere qualcosa di lui attraverso ciò che fa. Leggi tutto

Il gioiello crea dialoghi tra Italia e Giappone

Progetto Dialoghi: due creazioni e le rispettive ispirazioni degli artisti

L’amicizia è un ponte, mi disse una persona tanti anni fa.
Allora ero giovanissima e non so quanto in quel momento veramente compresi il significato profondo dell’affermazione: comunque mi colpì, tanto che me la ricordo con precisione ancora oggi, fase della mia vita in cui – credo – sono più pronta a coglierne la verità nonché le profonde sfumature.
Sì, l’amicizia crea ponti importanti e fa in modo che persone diverse tra loro per educazione, cultura e tradizioni possano costruire un dialogo: lo fa attraverso molti strumenti e stavolta è il gioiello contemporaneo a creare un nuovo legame tra Oriente e Occidente.
Talvolta, quando ci si trova a dialogare con persone di lingua diversa, viene spontaneo usare le mani muovendole in gesti riconoscibili: un maestro orafo spinge la propria gestualità ben oltre, le sue mani si muovono e creano oggetti capaci di parlare, abbattere barriere e gettare ponti. È da questa idea che è nato il progetto Dialoghi.
Frutto di anni di lavoro tra i direttivi di AGC (Associazione Gioiello Contemporaneo) e JJDA (Japan Jewellery Designers Association), il progetto riesce a legare due realtà apparentemente lontane – l’italiana e la giapponese – attraverso il potenziale artistico intrinseco nel gioiello contemporaneo.
Quaranta autori italiani (membri di AGC) e quaranta giapponesi (membri di JJDA) sono stati selezionati e gemellati: ogni coppia ha prodotto due pezzi e ciascun membro si è ispirato alla cultura del paese del proprio collega. Gli autori si sono dunque conosciuti e confrontati, si sono scambiati immagini d’arte e hanno avviato il processo creativo che culmina ora in una serie di eventi espositivi tra Italia e Giappone.
Al termine delle varie esposizioni, all’interno di ogni coppia ci sarà uno scambio: ogni partner donerà all’altro la propria creazione allo scopo di sottolineare ulteriormente l’intrecciarsi di una nuova conoscenza, di un legame intimo, di una nuova amicizia.
E a proposito di amicizia, mi piace sottolineare che il prossimo anno ricorrerà l’anniversario dei 150 anni di quella esistente proprio tra Italia e Giappone: il primo Trattato di Amicizia e Commercio fra il Regno d’Italia e l’Impero del Giappone fu infatti firmato nel 1866 e Dialoghi è anche uno splendido modo per portare avanti questo ormai storico rapporto.
Il progetto è stato inaugurato ufficialmente il 3 luglio presso l’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo: sarà poi il Museo d’Arte di Kofu a ospitare la mostra dal 19 al 28 settembre, mentre a ottobre ci sarà la prima tappa italiana al Museo d’Arte Orientale di Roma.
Nel 2016, i lavori si sposteranno tra il Museo del Bijou di Casalmaggiore (del quale ho già parlato precedentemente), il Museo del Mediterraneo di Livorno e la Fondazione Cominelli di Cisano di San Felice, in provincia di Brescia: l’itinerario si chiuderà infine a Padova nella cornice dell’Oratorio di San Rocco.
Sono entusiasta di tutto ciò: il Giappone mi incuriosisce enormemente (e sogno di andarci) e sapete quanto io ami il gioiello e quanto apprezzi la sua dimensione contemporanea, quindi non vedo l’ora di avere l’occasione di visitare una o più delle tappe italiane. Sono curiosa di conoscere le ispirazioni e i riferimenti suggeriti dagli scambi e di vedere ciò che ne è nato.
E infine, concedetemi un piccolo moto d’orgoglio: tra gli artisti italiani selezionati, ce ne sono alcuni che conosco personalmente e qualcuno che è già apparso qui sul blog. Un applauso particolare ad Anna Maria Cardillo, Clara Del Papa, Lucilla Giovanninetti, Chiara Scarpitti e Silvia Valenti nell’attesa di conoscere presto tutti gli altri, di persona o attraverso i loro lavori che, sicuramente, saranno in grado di creare nuovi ponti. E nuova amicizia.

Manu

AGC Associazione Gioiello Contemporaneo: qui il sito e qui la pagina Facebook.
JJDA Japan Jewellery Designers Association: qui il sito e qui la pagina Facebook.
Tutti i dettagli del progetto Dialoghi: qui.
Per chi ha la fortuna di poter andare in Giappone: qui il sito Museo d’Arte di Kofu.
Per le tappe italiane: qui il Museo d’Arte Orientale di Roma, qui il Museo del Bijou di Casalmaggiore, qui il Museo del Mediterraneo di Livorno, qui la Fondazione Cominelli e qui l’Oratorio di San Rocco di Padova.

Qui trovate il mio incontro con Anna Maria Cardillo, qui quello con Chiara Scarpitti, qui quello con Lucilla Giovanninetti e qui trovate un guest post scritto da Silvia Valenti.

L’unico frutto dell’ironia è sempre la banana

Immagino che mi attirerò qualche antipatia, ma devo confessare che il calcio non mi appassiona granché e non perché io non sia una sportiva.
Ho un autentico amore per il nuoto, per esempio, e mi piace moltissimo l’atletica leggera: sono sinceramente ammirata davanti ad atleti che compiono imprese epiche tipo le attraversate del deserto a piedi.
E mi piacciono gli sport un po’ ruvidi, come il rugby o l’hockey sul ghiaccio. Ruvidi solo in campo, però: trovo che il cosiddetto terzo tempo del rugby, il momento conviviale in cui compagni di squadra e avversari vanno a farsi una birra insieme, sia espressione di grande civiltà.
Al contrario, il calcio è talvolta collegato a episodi negativi: disordini negli stadi, episodi di becera intolleranza e perfino morti.
Non capirò mai tutto questo né come si passi da quello che dovrebbe essere un momento di svago e festa a momenti di bassissima umanità: fin da piccola, mi è stato insegnato il valore assoluto dell’impegno e del riconoscere la propria sconfitta. Lavorare sodo, ma anche divertirsi, perché non c’è vittoria onorevole senza un onorevole avversario.
L’anno scorso, mi sembra fosse aprile del 2014, rimasi colpita dall’ennesimo fattaccio avvenuto in uno stadio: il calciatore Dani Alves si apprestava a battere un calcio d’angolo quando dagli spalti volò una banana diretta verso di lui.
Il brasiliano, però, non fece una piega: raccolse la banana, la sbucciò e ne mangiò un pezzo.
L’episodio ha fatto il giro del mondo amplificato dal web: Alves ha dato la migliore risposta possibile a coloro che volevano dargli della scimmia mangiabanane solo perché è di colore. Per questo ha tutta la mia ammirazione: bisogna ridere delle persone ridicole e i razzisti lo sono, sono ridicoli e tristi.
Si sa che il sistema moda è sempre pronto a captare le tendenze della nostra società rivelandosi un buon termometro dei fatti che colpiscono l’immaginario collettivo e così ha fatto suo il periodo di celebrità vissuto dal giallo frutto e l’ha piazzato ovunque: la banana ha invaso capi di abbigliamento e si è impossessata degli accessori più svariati.
Ebbene sì, dopo i meravigliosi turbanti e i copricapi con fiori e frutta di Carmen Miranda, la banana torna oggi in auge, anzi, torna di moda.
Nonostante io non sia un’amante dei trend – lo sapete – ammetto che questo mi diverte per via del suo lato altamente ironico: quello che voleva essere un gesto di disprezzo si è trasformato in un allegro sberleffo.
E, tra le varie proposte, scelgo un brand che seguo da un po’, ovvero Maison About.
La loro collezione primavera / estate è ricca di capi divertenti: la banana è proposta in tanti colori – dal classico giallo al rosa, verde e viola – e ci sono gonne danzanti e maglie per noi donne nonché felpe e costumi taglio boxer per gli uomini.
Visto che ho dichiarato più volte quanto mi diverta il fatto di pescare nell’armadio maschile, per illustrare questo post ho scelto non pezzi femminili bensì maschili: come interpreterei i boxer qui sopra?
Li farei diventare degli ironici e comodi bermuda aggiungendo una semplicissima t-shirt bianca, un paio di sandali rasoterra, un cappello anch’esso bianco e un paio di orecchini colorati. Non serve altro.
Può essere un outfit carino per passeggiare sul lungomare o per lanciarsi in un giro di shopping al mercato con le amiche: saremo fresche, carine, allegre e con quel tocco di ironia che non dovrebbe mai abbandonarci.

Manu

Qui trovate il sito di Maison About (e qui l’e-shop con la linea P/E 2015), qui la pagina Facebook, qui Twitter e qui Instagram. Qui il mio articolo sulla collezione A/I 2015-16.

P.S.: A proposito del gesto dello sciocco tifoso. Pochi giorni fa, ho scritto un post su eleganza e volgarità sostenendo che la massima volgarità è quella dei cattivi pensieri: ecco, questo tifoso ha perfettamente dimostrato la mia teoria.

Zu Zu Zoo Collection, lo zoo felice firmato Tout Court Moi

Negli ultimi anni, ho sviluppato una certa allergia verso tutti quei posti in cui gli animali selvatici sono tenuti in cattività, prigionieri dell’uomo e obbligati a vivere fuori dal proprio habitat: l’allergia comprende gli zoo (inclusi gli zoo safari, un recinto è sempre un recinto per quanto grande possa essere), gli acquari, i parchi acquatici e i circhi.

Non metto in dubbio che in molti di questi posti gli animali siano trattati con attenzione: ciò che non sopporto è il fatto che creature che dovrebbero essere libere siano invece piegate al volere dell’uomo, soprattutto quando vengono soggiogate a certi nostri stupidi capricci, come far fare loro giochetti per divertirci.

Un paio di settimane fa, mi sono ritrovata in un parco acquatico: non citerò il nome né troppi particolari per rispetto, perché istruttori e biologi che vi lavorano mi sono sembrati animati da una grande passione. E poi la mia non vuole essere una crociata, è solo un punto di vista.

Beh, insomma, ero in questo parco ed ero triste per i delfini, ma quando siamo arrivati alla vasca delle orche ho toccato l’apice del dispiacere: ho rischiato di mettermi a piangere perché vedere una creatura tanto grande e fiera fare mosse e versi a comando è stato straziante. Altro che divertimento. Leggi tutto

MFW, Stella Jean Uomo SS 16 e le mie riflessioni

È da poco terminata la kermesse di Milano Moda Uomo e a me tocca ammettere che, stavolta, ho accettato pochissimi inviti.

Credo sia dipeso dal fatto che preferisco stare un po’ alla finestra come spettatrice perché, francamente, devo ancora digerire la nuova direzione che la moda maschile sta prendendo.

Ma come – direte voi – ti occupi di moda e non comprendi i nuovi trend? Ebbene sì, nonostante dovrebbero essere il mio pane quotidiano, come si suol dire, in certe cose in realtà sono lenta come un bradipo – con tutto il rispetto per i bradipi, ovviamente.

Ciò che devo ancora digerire è la moda genderless o no sex, chiamatela come preferite, quella che propone capi neutri (neutri si fa per dire) indossabili sia da uomini sia da donne, senza grosse distinzioni.

Durante i cinque giorni dedicati alle tendenze uomo per la prossima primavera / estate 2016 si sono visti capi che spesso sembrano usciti più dal guardaroba femminile (per questo scrivo “neutri si fa per dire”): mi domando se e quanto tutto ciò sia una provocazione. Leggi tutto

Coco Chanel e la lotta (continua) contro la volgarità

È un giorno qualunque di mezza estate.
Sono felice: faccio parte di una commissione d’esame e sto ascoltando ragazzi in gamba, pieni di talento e passione.
Sfoglio le loro tesi una dopo l’altra e trovo tanti spunti interessanti, nuove idee che si posano come semi nel terriccio fertile della mia testa.
Poi, d’un tratto, leggo una frase, quella della foto qui sopra: scatto velocemente col mio iPad, affascinata.
Abitualmente, non sono il tipo di persona che condivide su Instagram o su Facebook le frasi celebri, eppure questa mi colpisce con forza.
Tutto ciò è successo pochi giorni fa e oggi mi ritrovo a pensare ancora a quelle parole, alla loro forza e alla verità che per me rappresentano.
Penso da sempre che il lusso non risieda in ciò che è materiale; purtroppo, però, oggi si confondono molto spesso le cose e molti ricercano il lusso proprio nella sfacciata ostentazione di fasti e ricchezze.
Un errore grossolano: così si scivola nella volgarità, mentre – come affermava saggiamente Coco Chanel – il lusso esiste solo dove la volgarità è assente e solo dove c’è invece eleganza.
Usando il termine eleganza, mi riferisco al suo senso puro: non dimentichiamo che tale parola deriva dal latino eligere, cioè scegliere.
L’eleganza più autentica, dunque, sgorga da un’azione esatta: il sapere scegliere, l’eleggere. È un’arte di vivere e di pensare che va ben oltre ciò che indossiamo.
Diana Vreeland, altra importantissima icona della moda e figura autorevole che aveva dimestichezza col concetto di eleganza, non credeva, per esempio, necessariamente nel cosiddetto buon gusto. “Abbiamo tutti bisogno di un po’ di cattivo gusto. È la mancanza totale di gusto che non condivido”, era solita ripetere.
La volgarità non è (o non è solo) un vestito di poco gusto, qualche parolaccia, un’esternazione o una battuta poco felice: è un concetto molto più sottile, strisciante, subdolo, insinuante. Per questo spesso ci imbroglia e ci distrae.
La volgarità peggiore è quella d’animo, dei cattivi pensieri, dei cattivi sentimenti e tale volgarità – ahimè – ha un’ampia gamma di sfumature.
Si nasconde nell’esibizionismo, nell’ostentazione, nell’eccesso.
Nell’arroganza, nella prepotenza, nella tracotanza, nella superbia, nella presunzione.
Nella disonestà, nella scorrettezza, nella mediocrità, nella maldicenza, nella meschinità, nell’invidia.
Quanto aveva (e ha) ragione Mademoiselle Coco, la volgarità è una gran brutta cosa e va combattuta, senza sosta, senza arrendersi.
Nel mio piccolo, ci provo: come dice lei, rimango in gioco per combatterla e provo a tenere lontani dal mio animo quei sentimenti, provo a tenere lontane le persone che ne sono portatrici.
Non è facile, ma almeno ci provo. Con tutta me stessa.

Manu

Gabriella Giuriato e le Geometrie di Vetro

Ipazia di Gabriella Giuriato nei suoi due lati

Amore per la vita e per la bellezza senza confini né fisici né mentali: è ciò che mi piacerebbe essere in grado di trasmettere attraverso questo spazio web.
La vita riesce sempre a sorprendermi attraverso le sue tante manifestazioni e forme: oggi, in questa nuova Pillola di mondo, assume quella delle opere di Gabriella Giuriato, artista nella quale mi sono imbattuta grazie a Claudia, compagna di un recente viaggio.
(E, come sempre, tengo a sottolineare l’importanza della complicità e del saper fare squadra tra noi donne.)
In concomitanza col famoso Festival dei Due Mondi di Spoleto, Gabriella Giuriato è ospite della Galleria POLID’ARTE: fino al 19 luglio, la mostra Geometrie di vetro presenta una nuova sfaccettatura della continua ricerca estetica di questa artista.
Gabriella, veneziana, si è fatta conoscere per le sue sculture sferiche lavorate a collage: ha deciso di estendere la tecnica a un materiale strettamente legato alla sua città, ovvero il vetro.
Dopo avere steso un disegno preparatorio, Gabriella ha disposto i motivi geometrici in tinte contrastanti in vetrofusione su una lastra anch’essa di vetro, tagliata a disco: il tutto è stato poi fuso in forno.
L’operazione, essendo sperimentale, ha richiesto tempo, energie, riflessioni e prove, ma ha infine dato ottimi risultati: a lavoro felicemente completato anche grazie all’abilità e all’esperienza dei maestri vetrai della ditta Ragazzi di Murano, i dischi si sono confermati una riuscita e inedita espressione della sensibilità artistica di Gabriella Giuriato e del suo particolare utilizzo del colore.
In queste sue creazioni, il monocolore dello sfondo fa risaltare l’imprevedibilità e l’armonia dei soggetti in rilievo: non solo, essi si propongono diversi per forma sulle due facce.
I dischi possono infatti essere visti da entrambi i lati, rivelando incastri di motivi geometrici nonché un riuscito effetto di cromie in una sorta di gioco positivo – negativo.
Per completare la mostra, Gabriella ha anche elaborato dei tondi in legno sulle cui superfici sono nati affascinanti collage in vetro.
I dischi di Gabriella portano nomi di famosi uomini di scienza – Euclide, Pitagora, Archimede, Talete: l’opera che ho deciso di mostrarvi per illustrare questo post porta il nome dell’unica donna tra loro, Ipazia.
La mia scelta è tutt’altro che casuale: sono stata colpita dal colore utilizzato, forte e pieno di vita, e la figura di Ipazia mi affascina fortemente.
Vissuta nell’Antica Grecia, Ipazia era una matematica, astronoma e filosofa che brillava per il suo intelletto e per le sue intuizioni: la barbara uccisione ad opera di un gruppo di fanatici ha fatto di lei una martire della libertà di pensiero e un eterno simbolo che nei secoli è stato celebrato in romanzi, poesie, opere teatrali, quadri e, ai giorni nostri, in un film (Agorà del regista Alejandro Amenábar).
Il libero pensiero, il fanatismo, le donne abusate: tanti argomenti attuali.
E pensate a quante donne ci sono in questa storia: Gabriella, Ipazia, Claudia, io che ho provato a raccontarvi il tutto e tutte coloro che leggeranno e che – spero – avranno voglia di saperne di più, di persona o attraverso il web.
Ovviamente, gli uomini sono più che benvenuti.

Manu

Mostra Geometrie di vetro di Gabriella Giuriato
POLID’ARTE Centro Culturale di Annamaria Polidori
Via Duomo 27 – Piazza della Signoria 5
A Spoleto (PG) fino a domenica 19 luglio 2015
Orari d’apertura: da mercoledì a domenica 10:30 – 13 e 16:30 – 20 (chiuso lunedì e martedì)
Qui trovate il sito POLID’ARTE e qui il sito di Gabriella Giuriato
Un grazie particolare a Claudia Sugliano per avermi introdotto Gabriella Giuriato

France Expo 2015, il cibo è piacere e salute

Finalmente, settimana scorsa sono andata anch’io a dare un’occhiata a Expo: l’occasione mi è stata fornita da un invito molto gradito.

Sono infatti stata ospite del Padiglione Francia e del Café des Chefs, il ristorante che offre una rappresentazione della cucina francese in tutte le sue sfaccettature: il compito è affidato ad alcuni chef prestigiosi, tutti premiati in occasione di grandi concorsi gastronomici nonché membri di Bocuse d’Or Winners, l’associazione che riunisce i vincitori di una delle manifestazioni internazionali più importanti.

L’invito che ho ricevuto coincideva col lancio del nuovo menù proposto da François Adamski, premio Bocuse d’Or 2001, ma la giornata è stata anche un’ottima occasione per ricordare uno dei concetti che guidano la presenza della Francia a Expo: l’intento è quello di presentare non solo l’eccellenza culinaria, ma anche la solidarietà.

Quest’ultima è infatti al centro del concetto del Café des Chefs, dato che l’1% di tutto il fatturato viene versato a Babyloan, il primo sito europeo di crowdfunding dedicato al micro-credito. Leggi tutto

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