Libri e Natale: 9 titoli su moda & costume da mettere sotto l’albero

Amo leggere. E amo i libri. Appassionatamente e da sempre.

Li amo fin da piccina, dai primi anni delle elementari. Leggevo così tanto, letteralmente bevendo ogni libro acquistato, che i miei mi fecero l’abbonamento alla biblioteca di zona. Pochi anni dopo, feci io stessa quello alla Sormani, la bellissima biblioteca centrale sede del sistema bibliotecario comunale milanese.

Ora che si avvicina Natale e tutti noi pensiamo ai regali per coloro che amiamo, io ho pensato ai libri.

Libri e Natale: trovo sia un binomio meraviglioso in quanto credo che regalare conoscenza sia uno dei regali d’amore più belli che si possano fare. Perché conoscere aiuta a essere liberi. E a spiccare il volo.

Nel tempo, la mia passione per la lettura si è estesa a tutti i settori di mio interesse. Non fa eccezione la moda, per due motivi.

Il primo è perché la moda è diventata il mio lavoro e quindi ho bisogno di formazione continua. Il secondo è perché alla base di questo mondo – che a tanti sembra superficiale – c’è in realtà tanta cultura. La moda vive di conoscenza e di approfondimento. Se si desidera conoscerla davvero ed essere in grado di interpretarla correttamente, occorre indagarne codici e significati.

Ho dunque pensato di selezionare nove libri di recentissima pubblicazione da mettere sotto l’albero per nutrire la conoscenza in ambito moda e costume. E per indagare le molteplici e reciproche relazioni che la moda intrattiene con mondi come cinema, spettacolo e musica. Leggi tutto

Piccolo omaggio al Maestro Issey Miyake, da Pleats Please a Bao Bao

Quanto dispiacere ho provato lo scorso agosto, quando si è diffusa la notizia della scomparsa di Issey Miyake.

Quanto sono onorata di essere stata invitata, lo scorso 16 novembre, al press day per la presentazione delle collezioni SS 2023 della Maison che il Maestro Miyake aveva fondato più di cinquant’anni fa (se volete qui trovate il post che ho pubblicato in Instagram).

Miyake era nato a Hiroshima il 22 aprile 1938 ed era sopravvissuto alla bomba atomica sganciata sulla sua città durante la Seconda Guerra Mondiale, quando era solo un bambino, un’esperienza alla quale io non so nemmeno attribuire un aggettivo e che lui si è portato dentro per sempre trasformandola però in bellezza e gentilezza.

Dopo la laurea, dopo aver girato il mondo e lavorato a Parigi e a New York, era ritornato a Tokyo per fondare il Miyake Design Studio: alla fine degli Anni Settanta, insieme a Rei Kawakubo e a Yohji Yamamoto, aveva contribuito all’onda di rinnovamento della moda europea e mondiale.

Durante la sua fertile carriera nella moda, ha disegnato capi genderless, ha applicato la tecnologia ai materiali, ha introdotto argomenti quali sostenibilità e riciclo molto prima che diventassero un trend sulla bocca di tutti (e talvolta, in certi casi e su certe bocche, del tutto a sproposito…).

Tra i miracoli sartoriali che ha realizzato, figura anche una tecnica fra le più impegnative – ovvero il plissé – che lui ha applicato a capi di uso quotidiano.

E su questo lasciatemi fare un piccolo approfondimento.

Chi conosce e ama la storia della moda sa che, quando si parla di plissettatura, non si può non menzionare, anzi, si devono menzionare Mariano Fortuny y Madrazo (1871 – 1949) e la moglie Henriette Negrin (1877 – 1965): figura assolutamente eclettica, Fortuny è stato pittore, scenografo e designer, spagnolo di nascita ma naturalizzato italiano, e ha costantemente lavorato a stretto contatto con la moglie, francese, con la quale ha concepito numerose innovazioni. Leggi tutto

Valentina Bellotti e V.Bell, il lusso della personalità

Il motivo per cui ho un account in Instagram è l’immenso amore per la condivisione, amore che tra l’altro ha dato origine alla professione che ho scelto (comunicazione a 360 gradi).
Instagram mi dà l’opportunità di condividere pensieri, riflessioni, idee, sogni, desideri, speranze e – visto che sono completamente sincera e poco incline alla finzione – mi dà anche l’opportunità di condividere talvolta preoccupazioni, tristezze, delusioni, ansie.

E poi, soprattutto, mi permette di condividere visioni e progetti che mi piacciono, mi catturano, mi stimolano, mi affascinano.

Ma oltre a chiacchierare di tutto ciò, dai pensieri personali ai progetti in cui credo, una parte particolarmente emozionante è quando – di persona o via social – si ha l’impressione di essere ascoltati e compresi proprio in ciò che si desidera condividere, perché ascolto e comprensione sono due dei doni più belli che ci si possa fare a vicenda.

Quando amo un progetto, quando amo la visione di un creativo, quando questo creativo a sua volta si ferma ad ascoltarmi, quando decide di includermi nella sua visione e di fare qualcosa ad hoc per me… beh, la mia gioia e la mia gratitudine arrivano alle stelle.

Ed è proprio ciò che è capitato con Valentina Bellotti alias V.Bell.

V.Bell si pronuncia esattamente come il francese ‘vie belle’ che significa ‘vita bella’.
Un nome, una pronuncia, un destino per Valentina Bellotti, classe 1983, che si forma come accessories designer grazie ad anni di gavetta e ruoli importanti in aziende del calibro di Dolce & Gabbana e Costume National.

Matura in lei la voglia di spingersi oltre e crescere ancora di più e, parallelamente al lavoro di consulenza in ambito accessori, decide di fondare un marchio che rispecchi appieno i suoi principi e l’insieme di tutte le esperienze vissute: V.Bell muove i primi passi nel 2015.
Basato su alcune parole chiave che sono diventate un vero mantra per Valentina, V.Bell punta sull’interattività del prodotto grazie all’unione che nasce tra le capacità della designer (creatività e saper fare) e i desideri di ogni cliente.
E diciamolo pure, in un frangente storico e sociale in cui il mercato è saturo, il fatto di creare qualcosa in cui una persona possa riconoscersi fortemente – perché rispecchia completamente la sua personalità, il suo stile di vita, i suoi gusti, le sue esigenze – può essere visto come una nuova forma di lusso, la forma di lusso definitiva, direi.

Le nostre strade si sono incrociate tempo fa (novembre 2019, come testimoniato qui) e da allora non ci siamo più perse di vista.
Quando Valentina ha notato che adoro le micro bag, visto che lei ne propone alcune che funzionano anche da porta mascherina, ha deciso di assecondare la mia passione proponendomi di lavorare a una creazione tutta per me: naturalmente ho accettato con entusiasmo.

Io ho scelto alcune caratteristiche, lei ha fatto tutto il resto.
Adoro che un creativo segua la sua visione tarandola su di me (è un immenso onore!) e allo stesso modo Valentina adora lavorare a prodotti personalizzati, non convenzionali e non di massa, il più possibile unici, oltre a mettere al centro concetti nobilissimi quali upcycling, sostenibilità e lavorazioni rigorosamente handmade, come le preziose cuciture manuali appositamente in bella vista.
Upcycling è un termine (meraviglioso) che indica quei processi e quei progetti in cui si utilizzano materiali di scarto per creare oggetti di un valore maggiore del materiale di origine (quasi sempre destinato a essere gettato): è il termine perfetto per la filosofia V.Bell!

«Mi piace fare creazioni ad hoc per ogni persona – mi ha detto un giorno Valentina – perché così posso enfatizzare le caratteristiche della sua personalità.»

Quello che vedete qui sopra è il risultato di questa sua visione ed è il risultato di come sia riuscita ad ascoltarmi.
Il modello si chiama Selma mask case e può essere personalizzato quanto a pellami e colori secondo il proprio gusto.

Se anche voi amate il lusso della personalità e dell’unicità e volete quindi seguire Valentina Bellotti, vi lascio molto volentieri i suoi dettagli.

Qui trovate il suo sito, qui la sua pagina Facebook e qui il suo account Instagram.

Buona esplorazione.

Manu

Galleria Gorza, la casa del bello di Rimini è adesso anche online

In questo 2020 – che definire anno particolare è un eufemismo – sono tante le cose che sono mancate a ognuno di noi, tante e diverse.

A me, per esempio, sono mancati gli abbracci e il contatto fisico con le persone che amo. E poi i viaggi.
Sì, sono queste le cose che mi mancano di più, ovvero conoscenza e bellezza declinate tra esperienza umana ed esperienza del mondo.
Mi mancano la varietà, la ricchezza, le diversità e le sfaccettature delle persone e dei luoghi.

La pandemia ci ha spinto a rivedere i nostri rapporti sociali.
Niente più abbracci, pacche sulla spalla, baci, strette di mano.
Questi sono stati i mesi del distanziamento, delle mascherine, della chiusura dei luoghi di aggregazione.
Per la nostra sicurezza e per quella degli altri, abbiamo dovuto ridurre al minimo il numero delle persone incontrate, azzerando completamente il contatto fisico.
E a me tutto ciò manca – inutile fingere il contrario…

Viaggiare mi manca, follemente, che sia per diletto e piacere oppure per lavoro. O tutto insieme, perché no, come mi è capitato spesso. Leggi tutto

Clara Woods, “take your passion & make it happen!”

Bellissima, bionda, sorridente: Clara Woods

C’era una volta…

No, scusate, ho sbagliato l’incipit.
Perché quella che sto per raccontarvi non è una favola.
Prima di tutto perché non è accaduta in tempi lontani, ma accade oggi: in parte è stata già scritta e in parte lo sarà.
E poi perché non è qualcosa di inventato, frutto della fantasia, bensì è una storia vera fatta di persone concrete e reali.

La storia inizia il 10 marzo 2006 a Firenze quando viene alla luce una bambina di nome Clara, Clara Woods.
Purtroppo, però, un anno dopo, i dottori fanno un annuncio terribile ai genitori: la piccola ha avuto un ictus prenatale e per lei viene prospettata un’esistenza da vegetale.

«Quando arriva Clara – racconta mamma Betina – è bellissima e io e mio marito Carlo siamo pazzi di gioia, ma poi, piano piano, arrivano le prime paure, perché una mamma capisce, una mamma intuisce.
Il nostro angelo biondo ha qualcosa che non va. Mi dicono che sono ansiosa, che non mi devo preoccupare, che ogni bambino ha i suoi tempi, ma quando Clara ha un anno arriva la diagnosi e mi consegnano un foglio che dà un nome al mio incubo: ictus prenatale.
Assieme arriva anche la sentenza: mia figlia è destinata a una vita da vegetale. Ci dicono che non potrà mai parlare, camminare, scrivere e capire, che l’ictus le ha mangiato una parte del cervello impedendone lo sviluppo.
Credo di aver pianto tutte le mie lacrime, ma quando la disperazione sembrava aver preso il sopravvento io e Carlo ci siamo guardati e abbiamo giurato che avremmo dato a nostra figlia tutte le possibilità che i medici non erano disposti a darle.»

Clara inizia così un programma di riabilitazione volto a insegnarle a camminare, ad alzarsi, a vivere e i suoi progressi stupiscono tutti così come la sua forza di volontà e la sua determinazione. Ottiene le sue prime vittorie e, giorno dopo giorno, si trasforma in una ragazza solare e capace di affrontare ogni evento esternando le sue emozioni.

«La sua storia – racconta ancora Betina – ricorda quella del calabrone che, secondo la fisica, non potrebbe volare, ma lui non lo sa e vola lo stesso.» Leggi tutto

Valier Venetia, la borsa che sa essere indispensabile

Le borse Valier Venetia

Tra me e il web è amore – l’ho dichiarato più volte.

Del web amo la meravigliosa possibilità di costruire ponti virtuali che diventano anche reali, di instaurare conoscenze, di essere tramite di scoperte, di essere garante della possibilità di continuare a esplorare il mondo anche in un momento in cui siamo stati obbligati a rimanere a casa, per ottime quanto giustificatissime motivazioni. Ma la testa no, lei può viaggiare ed è anche il web, appunto, a consentirglielo.

È in questo scenario che è maturata la conoscenza tra me e Valier Venetia, una conoscenza nutrita da una parte dal desiderio di aprirsi, raccontarsi e donarsi e, dall’altra, dal desiderio di accogliere e ascoltare per poi condividere.

Al centro di questa storia ci sono due donne, due sorelle che si chiamano Antonia e Gunilla e che hanno dedicato la prima parte delle loro vite all’azienda che il nonno aveva fondato negli anni Trenta del Novecento e che i loro genitori hanno poi mandato avanti per tanti anni.

In quegli anni, Antonia ha viaggiato in qualità di export manager e ha comprato decine di borse senza che mai nessuna soddisfacesse completamente le sue esigenze, ritrovandosi costretta a portare con sé una borsa da lavoro più una personale. Nel frattempo si confrontava con tante amiche tutte ugualmente sorprese dalla stessa mancanza, dal fatto che non esistesse una borsa da lavoro funzionale quanto piacevole e pensata per donne multitasking.

Gunilla è un’esteta e una perfezionista, ha studiato Belle Arti e ha una specializzazione come make-up artist: è ossessionata dalla cura per i dettagli, è perennemente alla ricerca di abiti e accessori di manifattura pregiata, ama i cappelli, i turbanti, i ventagli e gli occhiali. Mi ritrovo in queste sue passioni così come mi ritrovo nella sua insofferenza verso «le mode passeggere e le sbornie modaiole di corto respiro». Leggi tutto

Hope vs COVID-19: Benedetta Bruzziches supporta l’Ospedale Belcolle di Viterbo

Da anni, ogni volta in cui ho il piacere di andare a una delle sue presentazioni, resto affascinata dal lavoro di Benedetta Bruzziches. E ammirata.

Benedetta Bruzziches è un’azienda che produce e vende borse speciali e preziose, ma è anche la capitana di un team di artigiani che, consapevoli del valore potente del Made in Italy, si sono imbarcati nella folle avventura di riscoprire le artigianalità in via d’estinzione attraverso l’accessorio che è il grande amore di noi donne, ovvero la borsa.

La filosofia Bruzziches è nata nel 2009 a Caprarola, in provincia di Viterbo e nel cuore del Lazio, grazie ai fratelli Agostino e Benedetta: oggi il marchio è distribuito da oltre 70 boutique di lusso sparse per il mondo.

Le lavorazioni vengono sviluppate a Caprarola nella casa familiare di campagna dove le borse nascono in un rilassato clima d’amicizia e possono… respirare l’aria buona (vi prego, permettetemi di scherzare un po’…).

Ora, in questo momento che sarebbe un eufemismo definire particolare, Benedetta Bruzziches ha deciso di supportare la lotta contro il virus COVID-19: fino al termine della quarantena, il 100% (ripeto, il 100%) del ricavato dalle vendite realizzate attraverso l’e-commerce del brand sarà devoluto al potenziamento della terapia intensiva dell’Ospedale Belcolle di Viterbo.

«Stare a casa è la cosa migliore che possiamo fare e non è la sola. La nostra goccia si aggiunge all’oceano di generosità che in questo momento sta inondando il mondo.»

Così racconta Benedetta stessa che dà rassicurazioni anche circa la modalità con la quale verrà attuato tutto l’iter.

«Saremo chiusi in questo periodo ed effettuerò io stessa le spedizioni, così che nessuno dei miei collaboratori debba spostarsi per farlo. Insomma, per chi desidera una mia borsa magari da tempo, questa è una buona occasione per un’ottima ragione

Qual è il vostro desiderio? Per quale creazione di Benedetta batte il vostro cuore?

Per Venus, la clutch realizzata in una scintillante maglia di cristalli (la foto qui in alto)? Per Ariel, la borsa in plexiglas riciclabile al 100% e che richiede una gestazione di 33 ore per vedere la luce? Per BB, la crossbody con il manico annodato, realizzata in pelle di vitello con interni in Alcantara?

O magari il vostro cuore (come il mio…) batte per Carmen, la borsa in pelle di nappa morbidissima, artigianalmente lavorata capitonné? Carmen è bella fuori e dentro – e mi riferisco non solo all’interno in Alcantara, ma proprio al suo cuore, ovvero all’idea che è alla base.

«Carmen è stata creata in un momento delicato della mia vita quando, dopo una delusione d’amore, volevo realizzare una borsa che fosse in grado di consolare.»

Questa è Benedetta Bruzziches, questa è la filosofia Bruzziches.

Le sue non sono solo semplici borse: come piace dire a lei, sono piuttosto «contenitori di storie» e allora sono felice di parlarne proprio ora.

E con autentico entusiasmo vi lascio il link dello shop online.

Manu

Hope vs COVID-19: Yosono lancia la limited edition Fuckovid-19

Quando lo scorso 21 febbraio, durante la Milano Fashion Week, sono andata alla presentazione della collezione autunno – inverno 2020/21 di Yosono, non potevo certo immaginare quanto sarebbe cambiata la situazione di tutti noi da lì a breve.

Conosco Silvia Scaramucci dal 2016 e nutro grande stima per questa giovane donna, tenace e piena di talento, direttore creativo dapprima di Demanumea Unique Artbags e poi di Yosono: oggi, però, non vi parlerò della collezione FW 2020/21 che ho visto quel 21 febbraio bensì di un altro progetto che Silvia ha messo in piedi confermando (caso mai ce ne fosse bisogno) l’opinione positiva che ho di lei.

Dovete sapere che la collezione che Yosono ha lanciato per questa primavera si chiama Dreamers ovvero Sognatori (chissà, una sorta di premonizione): il sogno di Silvia e di tutto il suo staff è oggi quello di riuscire ad aiutare medici, infermieri e volontari che operano nelle strutture sanitarie e che, senza sosta, affiancano chi in questo momento sta affrontando la dura battaglia contro il COVID-19.

Yosono dà il proprio contributo concreto attraverso la creazione di una special edition: si chiama Fuckovid-19 e il ricavato sarà totalmente devoluto a favore del reparto di terapia intensiva dell’Ospedale C. e G. Mazzoni di Ascoli Piceno, città natale del brand.

La vendita è in corso da lunedì 23 marzo: tutte le persone che desiderano unirsi alla Yosono Dreamers Gang possono pre-ordinare online qui una delle borse Fuckovid-19 create ad hoc.

La consegna è garantita in 6 settimane; inoltre, per ringraziare i propri clienti del supporto offerto al progetto, Yosono offre uno sconto del 20% da spendere in stagione in occasione del prossimo acquisto.

La borsa è in pelle di vitello con coste tinte a mano e ricamo in micropaillette e, come tutte le creazioni del brand, è rigorosamente Made in Italy.

Se state pensando a modi in cui dare una mano a fronte dell’emergenza creata dalla pandemia; se volete dare supporto alle piccole aziende di casa nostra mantenendo vivo il loro lavoro anche se non con un guadagno diretto per loro, come in questo caso; se credete nel valore della solidarietà, credo di non dover aggiungere altro se non che la limited edition consiste in soli 100 pezzi.

Assicuratevi una di queste borse e regalatevi una soddisfazione morale, facendo qualcosa di bello per la comunità, e anche una soddisfazione personale, gratificandovi con un oggetto ben fatto.

Manu

 

Quando la moda incontra la televisione: la nuova campagna di Moschino

Il web è in costante e continuo fermento e sono tanti i cambiamenti che stanno investendo la dimensione digitale e, conseguentemente, le nostre vite reali.
Un cambiamento, per esempio, riguarda Instagram: dopo l’esperimento in Canada, il social nasconde il numero dei ‘like’ anche in Italia per quanto il test, iniziato il 17 luglio, non è una decisione definitiva bensì una prova.
Lo scopo? «Vogliamo aiutare le persone a porre l’attenzione su foto e video condivisi e non su quanti ‘like’ ricevono»: così dice Tara Hopkins, Head of Public Policy EMEA di Instagram.
Da tempo, poi, si parla di bitcoin e criptovalute: pare che, nel 2020, Facebook lancerà la sua che si chiama Libra.
Si parla anche di blockchain nonché di maggior consapevolezza di noi consumatori circa sostenibilità ambientale e sociale, tutto spinto proprio dai maggiori strumenti offerti dal digitale.
Probabilmente, i pessimisti metterebbero invece sul piatto della bilancia argomenti come hater, stalker, cyber bullismo, hacker: tutto vero, per carità, tutto esistente.
Eppure, da eterna ottimista quale sono, da buona immigrata digitale nata nell’era dell’analogico ma oggi a tutti gli effetti residente digitale (quasi al pari dei nativi digitali ovvero Millennials e Generazione Z), nel web io vedo da sempre un’immensa opportunità; dunque, il mio piatto propende inesorabilmente dalla parte dell’ottimismo.
Non credo che il mio ottimismo mi porti a essere ingenua: proprio in questi giorni leggevo che, per la prima volta nella storia, nel 2021 la pubblicità via Internet rappresenterà oltre la metà di quella totale.
A dirlo è lo studio Advertising Expenditure Forecasts di Zenith (fonte illustre) secondo cui gli adv sul web, entro due anni, rappresenteranno il 52% della spesa pubblicitaria globale, contro il 44% del 2018 e il 47% previsto per il 2019.
Da anni spiego ai miei studenti come proprio pubblicità e comunicazione si stiano progressivamente e sempre più velocemente spostando, passando da offline (stampa, radio, tv, affissioni) a online (tutto il sistema del web).
La moda è tra i settori all’avanguardia in tale migrazione: per sua stessa essenza, quella di interpretare e raccontare i tempi strizzando l’occhio al futuro, la moda è sempre stata capace di cavalcare e spesso anticipare cambiamenti ed evoluzioni. Leggi tutto

Yosono, borse belle e di qualità che solleticano la mia sincerità

Ho l’abitudine di dire e scrivere ciò che penso con grande sincerità, nel bene e nel male, naturalmente usando tutto il garbo e il rispetto necessari.

Non c’è verso di farmi dire cose che non penso e, se proprio esistono ragioni per le quali non posso essere sincera, allora preferisco tacere.

Tale mia sincerità è considerata da alcune persone un pregio, mentre altre la considerano un difetto e credo che abbiano ragione tutti: d’altro canto, io stessa ho sperimentato il lato negativo pagando in prima persona proprio per questo vizio.

Se ho fatto tale preambolo è perché, recentemente, si è svolto il periodo dei press day (ovvero quei giorni in cui le collezioni di abiti e accessori per la stagione successiva vengono presentate a stampa e blogger) e io devo dirvi con grande sincerità che, purtroppo, non capita spessissimo che mi vengano presentati progetti e prodotti coinvolgenti al punto tale da far scattare la voglia di scriverne immediatamente, senza aspettare la stagione giusta (in questo caso la primavera / estate 2019) e coinvolgendo subito chi mi fa il dono di leggere questo spazio web o di frequentare i miei canali social (e il grazie è sempre doveroso).

Durante i recenti press day, però, ho adocchiato un nuovo brand di borse del quale desidero raccontare e che desidero condividere con voi senza indugio: il nome è Yosono.

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E come Emanuela o egocentrica? Viaggio dalle iniziali al monogramma

Ricordo perfettamente un episodio della mia adolescenza e lo ricordo perfettamente come se risalisse a ieri e non, invece, a molti anni fa.
Eravamo all’inizio dell’anno scolastico e, forse per rompere un po’ il ghiaccio dei primi giorni di studio dopo le lunghe vacanze estive, la professoressa di letteratura ci diede da fare un tema nel quale dovevamo parlare di noi stessi.
Ne ero intrigata e ricordo come iniziai: «amo parlare di me stessa con i miei difetti e i miei pregi».
Ricordo perfettamente il foglio protocollo a righe diviso in due colonne, quella di sinistra dove scrivevamo noi e quella di destra che serviva per le correzioni della professoressa; ricordo il mio orgoglio nel portare a casa quel foglio da far vedere alla mia mamma, come si faceva allora; ricordo l’orgoglio per il bel voto vergato in rosso; ricordo le parole di mia mamma che mi raggelarono.
«È davvero un bel tema, ma iniziare con quelle parole è decisamente un po’ egocentrico.»
Ci rimasi malissimo.
Perché tenevo al suo parere e mi dispiaceva che potesse pensare che io fossi egocentrica.
E perché mi sentivo incompresa.
Non volevo certo essere egocentrica e non avevo minimamente pensato che quelle parole («amo parlare di me stessa») potessero dare (giustamente…) una simile idea di me: ero in buona fede e, abituata da sempre a tenere un diario, volevo semplicemente dire che ero felice di poter condividere me stessa e i miei pensieri. Ma mi spiegai malissimo, me ne rendo conto, e mi vergognai anche pensando a come doveva aver sorriso la mia professoressa (che tanto stimavo) leggendo quelle mie parole che, sul foglio, risultavano tanto differenti dalle mie reali intenzioni…

Quel giorno, imparai un’importante lezione, anzi, due.
La prima è quanto sia grave una cattiva comunicazione e quanto sia importante scegliere con estrema cura le parole che usiamo. La verità, infatti, non è che non ero stata compresa: ero io che non avevo saputo spiegarmi.
La seconda lezione è che dovevo fare del mio meglio per tenere a bada quel certo ego che (quasi) tutti noi abbiamo, perché tutto desideravo tranne che diventare una di quelle persone che si sentono al centro del mondo, poiché in me, da sempre, esiste una volontà più forte: aprirmi al mondo e condividere.

Ed eccomi qui, parecchi anni dopo, a ricordare e a raccontare un piccolo episodio che è in realtà è diventato un monito importante del quale credo di aver fatto tesoro.
Nel frattempo, la comunicazione è diventata il mio mestiere e non ho mai smesso di controllare costantemente che il mio ego (indubbiamente forte ma credo e spero non a livello patologico…) non prenda mai il sopravvento su alcuna delle cose di cui mi occupo, nel privato e nel lavoro.
Prendete questo blog: l’ho aperto proprio per condividere tutto ciò che amo con gli altri e certo non per un mio personale tornaconto bensì per l’amore sincero verso persone e progetti che stimo. Ho voluto appositamente che il centro e la protagonista di tutto ciò non fossi io, ma persone, cose, marchi, progetti che sono sì visti con i miei occhi ma che restano (e devono restare) i protagonisti. Per questo, molto raramente, i post si incentrano su di me: me lo concedo in occasione del mio compleanno e poche altre volte (come in un ciclo che ho scherzosamente denominato Manie vs mio archivio).

Non solo, come altre persone che desiderano tenere a bada i propri difetti, anch’io adotto piccoli trucchi in tal senso: una strategia molto comune è quella di lasciare che il difetto in questione si espanda in una piccola mania tutto sommato innocente.

Volete sapere la mia? La personalizzazione di oggetti con il mio nome o iniziali o monogramma o, ultimamente, con Agw, ovvero l’acronimo del nome del blog.

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Si vede il marsupio? Ricordi Anni Ottanta – Novanta alla riscossa!

Io e il marsupio in un ritratto firmato da Valentina Fazio – grazie

Se, come me, avete vissuto in prima persona gli Anni Ottanta e gli Anni Novanta, sicuramente ricorderete anche voi un accessorio che riporterà subito alla mente quel periodo, nel bene e nel male: il marsupio.

Già, se siano ricordi positivi o negativi, se fosse successo oppure flop, lascio che siate voi a deciderlo: io mi limito a confermarvi ciò che sicuramente avrete già notato da soli.
Ebbene sì, la moda si è innamorata del marsupio ed è grande amore tra un accessorio sicuramente controverso e i marchi dell’industria moda, da quelli più blasonati a quelli del fast fashion.

Ed era controverso soprattutto il marsupio dei già citati Anni Ottanta – Novanta: era un aggeggio un po’ ingombrante e goffo, pensato più per assolvere a una funzione pratica che non per averne una estetica e dunque veniva spesso proposto in tessuti tipo nylon non esattamente accattivanti nonché in colori spesso esageratamente vistosi…

Cosa sia il marsupio è del tutto superfluo spiegarlo così com’è piuttosto scontato spiegare il motivo del suo successo e della sua diffusione: è comodissimo, lascia libere le mani e soddisfa anche i requisiti di sicurezza in quanto consente di portare addosso, in posizione comoda e ben accessibile, i nostri effetti personali. È quasi impossibile da scippare, contrariamente alla borsa appoggiata alla spalla o portata a mano; rispetto allo zaino, indossato sulle spalle almeno nel suo uso più classico, offre invece la possibilità di posizionare il carico in posizione frontale, sempre a favore del senso di sicurezza.

D’altro canto, come in molti altri casi, anche in questo l’essere umano non ha inventato nulla, ma ha piuttosto tratto ispirazione dalla Natura visto che esiste una classe di mammiferi che prende il nome di marsupiali e comprende simpatiche bestiole quali i canguri e i koala.

Ma se nella femmina del canguro è presente una tasca addominale dove i piccoli, che nascono precocemente a causa della scarsa funzionalità della placenta, completano il loro sviluppo sotto la protezione materna, l’essere umano – che spesso cede a tentazioni più utilitaristiche e meno poetiche, diciamo così – ha pensato di copiare il marsupio per portare oggetti quali soldi, documenti, chiavi di casa e via discorrendo. Ah, cellulare!

Ma dicevo che il problema del marsupio umano (e forse anche il motivo della sua sparizione per quasi due decenni) è la goffaggine nonché l’essere ingombrante: ecco che i marsupi di nuova generazione risolvono anche questi problemi, diventando più piccoli pur restando capienti e soprattutto diventando più aggraziati e accattivanti poiché scelgono di strizzare l’occhio anche alla funzione estetica. Uno di quei casi, insomma, in cui funzione e forma si prendono amichevolmente a braccetto, evviva!

Il marsupio 2018 risulta così vincente per due caratteristiche principali: versatilità e, appunto, estetica.

Versatilità perché, adesso, si può indossare in tanti modi diversi: come dicevo, il marsupio classico si portava in vita o sui fianchi, mentre i modelli più attuali conservano la caratteristica di essere portati a corpo ma si possono portare anche crossbody (ovvero a tracolla in modo trasversale) oppure, nella posizione classica, assolvono alla funzione che appartiene anche alle cinture, ovvero possono creare un punto vita laddove non c’è e perfino su giacche e cappotti. Ancora, si possono agganciare ai passanti di gonne, pantaloni e jeans oppure possono essere dotati di una cinghia che diventa tracolla e li trasforma in piccole borse, rendendoli così accessori dalla doppia anima.

Estetica perché i marsupi non sono più da nascondere, anzi, al contrario, sono da esibire con disinvoltura perché, oltre a essere utili, sono diventati visivamente piacevoli e dunque completano l’outfit: insomma, l’accessorio un po’ trash e un po’ kitsch della moda Anni Ottanta – Novanta diventa invece un oggetto desiderabile e non importa che sia di una grande firma o di un marchio low cost. Ciò che conta è che abbia un’impronta contemporanea per colori, materiali e dettagli.

A proposito… ma com’è tornato in auge il marsupio?
Anche se l’estate che stiamo vivendo pare essere il suo momento di trionfo, in realtà le prime avvisaglie risalgono almeno al 2017.
Tra i primi a proporlo c’è stato Kim Jones, all’epoca designer di Louis Vuitton (e oggi creative director di Dior Homme): a gennaio dello scorso anno, Jones ha riproposto il marsupio da uomo in una versione logata in collaborazione con Supreme, uno dei marchi culto più amati dai giovanissimi.
Da quel momento, il marsupio è apparso di nuovo in molte sfilate uomo e donna: a proporlo, nomi del calibro di Valentino, Armani, Gucci e poi Kenzo, Stella McCartney, DKNY, Marni, ognuno dando una propria interpretazione.

In fondo, la storia del marsupio non è recente e varie forme sono rintracciabili dalla preistoria lungo tutto il Medioevo fino ad arrivare alle tenute militari, incluse quelle delle due Guerre Mondiali del Novecento: occorreva arrivare all’epoca di Instagram perché il marsupio, accessorio amato per esempio da turisti e viaggiatori quanto finora odiato dal fashion system, conquistasse a sorpresa le passerelle di moda e, contemporaneamente, i cosiddetti influencer, prendendosi la propria grande rivincita, sebbene al costo di cedere anch’esso a velleità estetiche e non più solo puramente funzionali.

Come sempre, però, attenzione agli eccessi: in tempi moderni, rischiamo spesso di estremizzare capi e accessori che dimostrano di avere successo.
Sto pensando, per esempio, alla ciabatta marsupio: ebbene sì, il colosso Nike ha annunciato l’intenzione di reinterpretare il suo classico modello di ciabatta, la Benassi, in una nuova versione che fonde due degli accessori più desiderati del momento e che – fino a non molto tempo fa –  non erano certo considerati tra i più cool…

Immaginate una ciabatta (o slider) tipo piscina e immaginate che la striscia che fascia il piede abbia una zip e che nasconda una piccola tasca per riporre monete, chiavi o magari un badge.
Nelle ultime stagioni, la moda ha ridato mordente a ciabatte e marsupi e, complici gli stilisti che li hanno proposti sulle loro passerelle, li ha attualizzati: eccoli ora di nuovo in auge e, con un colpo di genio (genio del bene o del male?), Nike annuncia l’unione dei due accessori, fusi in un unico nuovo dirompente oggetto che sembrava pronto a conquistare (o colonizzare…) l’estate 2018.
E invece, a oggi, nonostante annuncio e vari articoli (perfino da parte del blasonatissimo Vogue…), sul sito ufficiale di Nike non se ne trova traccia: che siano rinsaviti (ehm…), cioè, che abbiano cambiato idea?

Ai posteri l’ardua sentenza, mentre io confesso il mio peccato: ebbene sì, da brava teenager di fine Anni Ottanta – inizi Novanta, non ho potuto che gioire del ritorno del marsupio dal look rifatto.

E l‘ho adottato abbondantemente: già quest’inverno, il primo è stato un marsupio nero con piccole borchie color oro (qui, qui, qui).
Subito dopo, ne è arrivato uno rosso, piatto, con macro borchie argento (qui, qui, qui, qui, qui).
Ne ho anche uno azzurro in pelle che ha doppia funzione, marsupio e borsa (qui), e ne ho un altro nero, piccolo quanto una sorta di tasca (qui, qui, qui).
E infine ne è arrivato un ultimo, il quinto (per ora…), molto simile a quelli dei miei anni adolescenziali, ma con due differenze fondamentali: lo vedete nella foto qui sopra, si porta crossbody, proprio come vuole la tendenza più contemporanea, ed è tutto glitterato (qui, qui, qui) come piace a me, piccola glittering woman 😀 😀 😀

In tutto ciò, mi viene in mente una cosa: qualcuno ha pensato di intervistare Giorgio Panariello chiedendogli il suo parere circa il ritorno del marsupio?
Nella galleria degli ironici personaggi caricaturali inventati dal famoso attore toscano (e inseriti anche nel suo film Bagnomaria del 1999), figura infatti anche Pierre, animale da discoteca tutto marsupio e poco cervello, dotato di un look eccessivo e diventato famoso per lo slogan «Si vede il marsupio???».
E bravo Panariello che, con grande ironia, ha fatto del marsupio un punto cruciale, comprendendo il suo ruolo di oggetto sintomo di un micro fenomeno di moda e dunque anche sociale: nel mio piccolo, non potevo che rendergli omaggio con il titolo di questo post a sua volta sospeso tra serio e faceto 😉 🙂

Oggi più che mai, vale il suo tormentone «Si vede il marsupio???» e accertatevi che la risposta sia 😀

Manu

Portatelovunque, creazioni sorridenti per viaggiatori controcorrente

Vi va di venire con me?
Desidero raccontarvi una storia speciale che coniuga moda – etica e sostenibile – e impegno sociale attraverso un progetto di crowdfunding in grado di aiutare le donne.

La storia è quella di Portatelovunque​, un progetto che nasce da un’idea della giovane Chiara Di Cillo, designer e “viaggiatrice seriale”, come lei stessa si definisce.

Il nome è buffo, è quasi uno scioglilingua, e già solo a pronunciarlo scappa un sorriso – ciò che è capitato a me leggendolo e che spero sia capitato anche a voi.

Il verbo portare ha molti significati: indica spostare in altro luogo, prendere con sé durante un viaggio, fare un dono, accompagnare e anche indossare.
Il progetto Portatelovunque è esattamente tutto ciò ed è creare oggetti artigianali che propongono un connubio tra etica ed estetica; Chiara ha così immediatamente conquistato la mia attenzione, visto che da tempo immemore auspico e ricerco proprio tale genere di connubio.

Estetica, apparenza, etica, contenuti, sostanza ed essenza per me possono – e devono – convivere, come nel progetto di Chiara che ha scelto di utilizzare tessuti e materiali dismessi: la designer dà loro una nuova forma, trasformando in risorse quelli che per altri sono semplici rifiuti. Leggi tutto

Brandina The Original, il mare è felicità e si può mettere in una borsa

Questa settimana, precisamente lunedì, sono stata alla presentazione della nuova campagna pubblicitaria di Brandina The Original, un marchio di borse e accessori tutti realizzati con il tessuto dei lettini da mare.

L’idea alla base di questo marchio nasce durante la realizzazione da parte di Marco Morosini di un libro fotografico dedicato alla Riviera Adriatica, pubblicato nel 2004 da Electa Mondadori.

Visto che si parla di Riviera Adriatica, il designer e fotografo Morosini decide di fare qualcosa che evochi immediatamente uno dei tratti più caratteristici del luogo: pensa dunque di utilizzare il materiale di cui sono composti i tradizionali lettini (o brandine) da mare per realizzare delle originali sovraccoperte per il libro e, nel fare ciò, scopre le potenzialità del tessuto, tanto da decidere di utilizzarlo per creare borse e accessori attraverso una produzione rigorosamente artigianale.

Così, dal 2005, il marchio Brandina unisce il fascino dell’omonima seduta da spiaggia della solare Riviera Italiana con la creatività di Marco Morosini e della sua compagna, l’architetto Barbara Marcolini che cura e disegna tutti i modelli.

E questo è il primo motivo per il quale ho scelto di parlarvi del marchio: mi piacciono le idee fuori dagli schemi e mi piace che un materiale venga estrapolato dal contesto abituale (fare lettini da spiaggia) per essere portato in un altro mondo (quello delle borse).
Mi piace chi sa vedere oltre e, se di tanto in tanto leggete A glittering woman, avrete ormai capito che nutro questo tipo di passione. Leggi tutto

La ricetta delle borse MamaMilano, fatte a mano in Italia in vera pelle

Da diversi anni, sono cliente di un’azienda a conduzione familiare che si chiama MamaMilano.

Perché ve lo racconto? Chi è e che cosa fa questa azienda?
Ve lo dico subito, senza preamboli o giri di parole, anche perché scommetto che catturerò in un attimo la vostra preziosa attenzione, soprattutto quella del pubblico femminile: MamaMilano produce borse in vera pelle e totalmente Made in Italy.

Le formula magica e le parole chiave sono dunque queste: se sono diventata una loro affezionata cliente è perché amo le borse e perché le loro sono tutte in pelle, fatte a mano rigorosamente qui in Italia, anzi, in provincia di Milano.

Devo però anche confessarvi che, ormai da tempo, mi ponevo un interrogativo, visto che l’ulteriore caratteristica di MamaMilano è che le creazioni hanno prezzi abbordabili, adatti a tutte le tasche.
Non servono investimenti stratosferici per appropriarsi di una delle loro borse e – giusto per intenderci – sarò estremamente diretta e maledettamente sincera, come al mio solito: le cifre equivalgono grosso modo a quelle delle borse in pura plastica in vendita nelle varie grandi catene di fast fashion (diretta, sincera e anche un filino scomoda, mi ero dimenticata di aggiungere, e tanto per cambiare mi attirerò qualche antipatia).
Dunque, essendo persona curiosa di natura (in senso buono) e che ama andare in fondo alle questioni, ciò che mi chiedevo è come MamaMilano riesca a vendere borse in pelle a prezzi tanto contenuti. Leggi tutto

Ultra Violet, dice Pantone per il 2018: ecco la mia wishlist in 6 punti

Si chiama Ultra Violet e corrisponde al codice 18-3838: è il colore che il Pantone Color Institute ha scelto per il 2018 e che influenzerà ambiti tra i quali figurano moda e design.

Il mio articolo più recente per ADL Mag inizia con queste parole e così, ancora una volta, torno a parlare di un argomento che mi affascina molto: il colore con il suo ricco potenziale comunicativo e la sua articolata psicologia.

Lo scorso febbraio, direttamente qui nel blog, avevo raccontato come Pantone avesse scelto il Greenery per rappresentare il 2017, una sfumatura di verde a forte componente di giallo: quel colore mi piaceva parecchio ma, se posso esprimere la mia opinione, dichiaro la mia netta e decisa preferenza per il neo eletto Ultra Violet.

Sarà che il viola è sempre stato uno dei miei colori preferiti e che non sono minimamente superstiziosa, così come ho raccontato quando Hillary Clinton scelse un tailleur di tale tinta in un’occasione decisamente importante, episodio che riprendo anche nel pezzo per ADL Mag così come torno a raccontare il motivo per il quale il viola viene considerato un colore di cattivo auspicio.

Oppure sarà che la sfumatura scelta da Pantone è esattamente quella che preferisco io, ovvero un viola particolarmente intenso grazie alla forte predominanza di blu. Leggi tutto

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