Mario Dice e #weworkalltogether, l’unione è forza e fa la differenza

Sembra passato un secolo e invece sono passati solo tre mesi da quando – entusiasta – parlavo (qui) della collezione autunno / inverno 2020-21 presentata da Mario Dice in occasione di una suggestiva cena di gala.

Nessuno, in quei giorni, avrebbe potuto immaginare cosa sarebbe successo e quanto la pandemia COVID-19 avrebbe cambiato le nostre vite…

Abbiamo vissuto momenti complessi e quei momenti non sono ancora terminati: sebbene oggi sembra che ci si avvii verso una fase di rinascita, è necessario non abbassare la guardia e rimanere vigili.

È, allo stesso tempo, altrettanto necessario guardare avanti e coltivare ostinatamente la speranza, seminando i presupposti affinché si possa ripartire: in momenti simili, l’unione è forza e fa la differenza.

Ne è profondamente convinto proprio Mario Dice che lancia #weworkalltogether, un progetto che vede coinvolte le persone con cui ha condiviso momenti belli e che lo seguono dai suoi inizi.

Designer, stylist, giornalisti, attori, cantanti, artisti, personaggi dello spettacolo… tutte persone che conoscono e amano Mario e la sua filosofia; in poche parole, i suoi amici.

«Il medico di famiglia è una persona che fin da piccoli segue passo dopo passo ognuno di noi: ci insegnano a fidarci di lui, lo chiamiamo quando non ci sentiamo bene e abbiamo bisogno delle sue cure. Ora è il nostro turno: siamo noi che dobbiamo stare vicino a medici e infermieri, ma anche ai loro cari, diventando la loro grande famiglia. Aiutiamo chi ci aiuta!»

Sono queste le parole con le quali Mario presenta la sua idea. In cosa consiste?

Gli amici di Mario hanno ricevuto una t-shirt bianca a testa con la richiesta di personalizzarla con una frase, un disegno o semplicemente una firma, dando vita a una capsule collection di pezzi unici nati grazie alla loro creatività e al loro estro: lo stilista stesso partecipa con una maglietta da lui realizzata e che è quella che indossa nella foto qui sopra.

Nel rispetto della tradizione e della sartorialità italiana che da sempre contraddistingue il suo brand, Mario ha affidato la produzione delle t-shirt a un piccolo laboratorio in Lombardia, dimostrando ancora una volta grande coerenza visto che – mai come ora – è importante il reciproco sostegno.

Sono circa un centinaio le personalità che hanno accolto con entusiasmo l’invito dello stilista: le t-shirt (che potete già iniziare a visionare attraverso il profilo Instagram di Dice) saranno battute all’asta grazie alla piattaforma CharityStars; tutto il ricavato verrà devoluto al fondo della Protezione Civile per sostenere le famiglie degli operatori sanitari che hanno perso la vita nella lotta al Coronavirus.

Mi unisco allora anch’io all’invito di Mario: lavoriamo uniti per rinascere ovvero… #weworkalltogether!

Manu

 

AGGIORNAMENTO DEL 13 LUGLIO 2020: L’ASTA SU CHARITYSTARS È INIZIATA! POTETE ANDARE SUL SITO E DIGITARE WEWORKALLTOGETHER NEL CAMPO RICERCA OPPURE PROVATE A CLICCARE QUI 🙂 

 

Bob Krieger, il grande fotografo che io ricorderò anche per la sua simpatia

«Stamattina ho avuto il piacere di conoscere e ascoltare Bob Krieger in occasione dell’anteprima stampa della mostra che Palazzo Morando gli dedica.
Ed è così che ho scoperto qualcosa che non sapevo: oltre a essere un grande fotografo, uno dei fotografi che più hanno influenzato moda e costume a partire dagli Anni Sessanta (e questa parte mi era nota), ho scoperto che Krieger è anche un uomo simpatico, brillante e appassionato, davvero piacevolissimo da ascoltare, generoso quanto ad aneddoti ed esperienze.
Sono felice ogni volta in cui scopro che una persona nota è umile e non arrogante come invece sono molti anche senza essere conosciuti a livello mondiale…
E così, la cartelletta stampa con l’autografo e la dedica di Bob Krieger resterà tra i miei ricordi più cari.»

Sono le parole che ho scritto il 7 marzo 2019 dopo la conferenza stampa grazie alla quale ho avuto l’immenso onore di conoscere Bob Krieger.

Quando giovedì sera ho appreso della sua scomparsa… ero incredula.
L’ennesima scomparsa, l’ennesimo vuoto, l’ennesimo lutto per il mondo e non per quello della cultura, ma per l’intera umanità.

Silenziosa e pensierosa, gli do allora il mio saluto condividendo le foto che avevo realizzato quella mattina in occasione della conferenza stampa e dell’anteprima nonché riportando parte dell’articolo che avevo scritto per ADL Mag per raccontare la bella mostra di Palazzo Morando… Leggi tutto

Valier Venetia, la borsa che sa essere indispensabile

Le borse Valier Venetia

Tra me e il web è amore – l’ho dichiarato più volte.

Del web amo la meravigliosa possibilità di costruire ponti virtuali che diventano anche reali, di instaurare conoscenze, di essere tramite di scoperte, di essere garante della possibilità di continuare a esplorare il mondo anche in un momento in cui siamo stati obbligati a rimanere a casa, per ottime quanto giustificatissime motivazioni. Ma la testa no, lei può viaggiare ed è anche il web, appunto, a consentirglielo.

È in questo scenario che è maturata la conoscenza tra me e Valier Venetia, una conoscenza nutrita da una parte dal desiderio di aprirsi, raccontarsi e donarsi e, dall’altra, dal desiderio di accogliere e ascoltare per poi condividere.

Al centro di questa storia ci sono due donne, due sorelle che si chiamano Antonia e Gunilla e che hanno dedicato la prima parte delle loro vite all’azienda che il nonno aveva fondato negli anni Trenta del Novecento e che i loro genitori hanno poi mandato avanti per tanti anni.

In quegli anni, Antonia ha viaggiato in qualità di export manager e ha comprato decine di borse senza che mai nessuna soddisfacesse completamente le sue esigenze, ritrovandosi costretta a portare con sé una borsa da lavoro più una personale. Nel frattempo si confrontava con tante amiche tutte ugualmente sorprese dalla stessa mancanza, dal fatto che non esistesse una borsa da lavoro funzionale quanto piacevole e pensata per donne multitasking.

Gunilla è un’esteta e una perfezionista, ha studiato Belle Arti e ha una specializzazione come make-up artist: è ossessionata dalla cura per i dettagli, è perennemente alla ricerca di abiti e accessori di manifattura pregiata, ama i cappelli, i turbanti, i ventagli e gli occhiali. Mi ritrovo in queste sue passioni così come mi ritrovo nella sua insofferenza verso «le mode passeggere e le sbornie modaiole di corto respiro». Leggi tutto

01/05/2020, 7 anni di Agw in tempi di COVID-19 tra salute, felicità e libertà

Ieri sera, attraverso uno degli ormai innumerevoli programmi televisivi che parlano di COVID-19, sono stata colpita da alcune affermazioni.

Qualcuno, per esempio, paragonava l’economia di un Paese (l’Italia come qualunque altro) alla circolazione sanguigna in un essere vivente: se non funziona, il corpo non può sopravvivere.
La stessa persona, mi pare, affermava che l’equilibrio economico è soggetto all’effetto domino: se cade la prima tessera, possiamo essere sicuri che pian piano crollerà l’intero sistema, tessera dopo tessera, per quanto lunga possa essere la catena. È solo questione di tempo.
Un’altra persona sosteneva invece che questa situazione potrebbe o dovrebbe forse insegnarci qualcosa, ovvero che a essere importanti per ogni Paese sono la salute e la felicità prima ancora del PIL.

Salute e felicità…

Parliamoci chiaro: sono un’ottimista ma non sono un’illusa.
Viviamo – purtroppo – in quella che è una pandemia e non un incantesimo o un miracolo: l’ho letto da qualche parte e ne sono convinta anch’io.
Non possiamo credere che il mondo ne uscirà miracolosamente trasformato, diventando un luogo perfetto e incantato.
Certo, auspico che questa sia l’occasione per riflettere su tante cose, a livello personale e universale, ma non credo che ne usciremo improvvisamente virtuosi, esattamente come non è successo in seguito a nessuno degli avvenimenti tragici – guerre, carestie, crisi, pandemie, catastrofi – che hanno costellato il percorso dell’umanità. E pertanto non sono così certa che impareremo ad anteporre certi valori al PIL.

Però desidero fare una piccola riflessione proprio su quei due valori che anch’io considero assoluti e prioritari, salute e felicità, aggiungendo, tra l’altro, il terzo valore per me imprescindibile, ovvero la libertà.

Per quanto riguarda la salute, ho già ammesso quanto la sua salvaguardia non sia il mio forte.
Nonostante sia conscia della sua importanza e nonostante sia abbastanza attenta a ciò che faccio in tal senso, la salute non è sempre al centro dei miei pensieri e delle mie preoccupazioni.
Lavoro troppo, mi spendo troppo, riposo troppo poco.
Approfitto, insomma, della mia buona stella e del mio fisico che – finora – si è sempre rivelato forte e resistente.
Qualche anno fa, precisamente nel 2016, avevo ricevuto un piccolo avviso, diciamo un richiamo a correggere almeno un po’ la rotta: sarò sincera come sempre sono e ammetto che, passata la paura, sono più o meno tornata sulla strada di sempre…
Pertanto su questo fronte sento ora di aver ricevuto un ulteriore richiamo anche perché mi rendo conto che, senza salute, vengono minati i presupposti per il secondo valore fondamentale, quello della felicità.

Quando mi chiedono se sono una persona felice, non ho dubbi sulla risposta: sì, lo sono.
Questo non significa che rido, ballo o faccio baldoria ogni singolo giorno della mia vita: per me essere felice non significa questo e vi dico invece qual è la mia definizione.
Essere felice significa che sono soddisfatta delle persone che mi circondano, di ciò che vivo, di ciò che faccio, di ciò che ho costruito, di ciò che mi sono guadagnata.
Essere felice significa che riesco a gioire di ciò che già esiste attorno a me e di ciò che progetto di costruire e realizzare.
Essere felice significa assaporare, sentire, vivere, godere il momento e il presente; significa avere allo stesso tempo una proiezione verso il futuro, con obiettivi piccoli o grandi da raggiungere e da realizzare.

Leggo spesso i pensieri di persone che esprimono la speranza che tutto ciò che stiamo vivendo ci insegni finalmente a dare valore alle piccole cose e ai piccoli momenti.
Nella mia vita ho collezionato così tanti errori, stupidaggini, peccati, follie, abitudini sbagliate, atteggiamenti poco sensati (incluso quello appena confessato verso la tutela della mia salute) da non poter nemmeno tenerne il conto.
È insomma lunga la lista di ciò di cui dovrei pentirmi, ma se c’è una cosa (almeno una!) della quale non devo fare ammenda è proprio il fatto di aver invece sempre attribuito una immensa importanza e un significato forte alle piccole cose: ho costantemente e puntualmente dato valore ai piccoli gesti e piccoli momenti.
Li ho sempre assaporati, respirati, vissuti; mi sono puntualmente soffermata a godermeli con la consapevolezza della loro preziosità.
In questi giorni, nella mia testa, ho milioni di diapositive di istanti speciali vissuti non importa quando o come, a chilometri di distanza o sotto casa, in compagnia di coloro che amo oppure da sola.
E perfino ora, in questo momento così difficile e doloroso, riesco a ritagliare qualche piccolo momento prezioso e qualche piccola gioia.

Ciò che sento mancarmi ora è l’altra componente – secondo me essenziale – della felicità: la proiezione verso il futuro che passa attraverso la libertà, il terzo valore assoluto che – necessariamente – è in questo momento fortemente limitato.

Per carità, sto bene a casa mia, molto bene, semplicemente perché ci sono sempre stata bene.
Eppure stare sempre e solo chiusa in casa è cosa che inizia a mettermi a dura prova.
È inutile fingere che non mi manchino tutte le cose che ho fatto e amato per tutta la vita: sono a mio agio in una vita sfaccettata e ora sento che mi manca qualcosa, che sono orfana di una parte.
Non voglio essere ingrata, ma non mi va neanche di mentire o di nascondermi né voglio sentirmi in colpa per questo sentimento che credo sia estremamente umano e comune a tante persone.
Il futuro non può essere compreso tra le quattro mura di casa.

«Non si può scrivere in mezzo a questo orrore. Ci provo tutti i giorni e non ci riesco, perché per scrivere la vita deve essere intera. Spero che la gente si renda conto che la libertà è parte integrante della salute. Perché un corpo sia sano deve potersi muovere sotto la luce del sole, deve parlare con altri corpi, deve poter baciare e poter dire ‘ti amo’».
Sono le parole che il poeta e narratore Manuel Vilas ha scritto per Vanity Fair.
Sono così belle e perfette per descrivere ciò che provo anch’io che non voglio né posso aggiungere altro.

Anzi, no, scusate, fatemi aggiungere un’ultima cosa.
Il 1° maggio 2013, esattamente sette anni fa, trovavo finalmente il coraggio di pubblicare il primo post in questo spazio.
Parlo di coraggio perché il blog è un progetto che avevo accarezzato molto a lungo e che avevo più volte rimandato, per tanti motivi.
È diventato uno dei miei compagni di viaggio più fedeli, un progetto longevo e mai interrotto, uno specchio della realtà che vivo.

Sette anni fa, non avrei potuto immaginare come avrei trascorso questo anniversario.
Non avrei potuto immaginarlo io né avrebbe potuto immaginarlo nessuno.
E invece eccomi qui a festeggiare un anniversario in quarantena così come molte altre persone hanno dovuto festeggiare compleanni e anniversari in isolamento.
In questi anni ho scritto tantissimo, ho scritto di persone che stimo, di progetti in cui credo, di cose che amo o che mi fanno indignare: in questo spazio web ci sono a oggi 769 pezzi di me, 769 tessere di un puzzle che raffigura il mondo in cui credo e in cui voglio fortemente continuare a credere.

Perché non so cosa accadrà anche solo domani, ma so che continuerò a combattere per la salute, per la libertà e per la felicità. Fino all’ultimo respiro.

Tanti auguri a glittering woman, tanti auguri a noi due e grazie – come sempre – a chi è con noi.

Manu

L’immagine è una mia elaborazione via PhotoFunia

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