In India, grazie a Child in Need Institute, la scuola va dagli studenti

Oggi, a pochi giorni dall’inizio di un nuovo anno scolastico, desidero occuparmi di due argomenti che mi stanno particolarmente a cuore e che sono strettamente connessi tra loro: i giovani e l’educazione.

Non sono madre – per scelta – eppure le sofferenze dei più piccoli mi toccano profondamente e mi scoppia il cuore quando penso a quanti bambini e adolescenti vengano privati di diritti, libertà e sogni, soffrendo la fame, patendo malattie, subendo violenze e soprusi.

La cecità nei confronti del benessere fisico e mentale di giovani e giovanissimi è pura follia dato che essi incarnano il futuro: la loro condizione dovrebbe pertanto essere al centro di ogni nostro sforzo.
E il futuro passa attraverso l’educazione dei più giovani, attraverso il loro accesso a formazione, cultura e conoscenza.

Come ho detto, non sono madre eppure credo esistano tanti modi in cui ci si possa prendere cura di giovani e futuro: ho trovato il mio nell’insegnamento.

I miei studenti sono ragazzi che hanno completato gli studi superiori e si apprestano ad affacciarsi su un mercato del lavoro sempre più complesso e sfaccettato: dunque sono ‘grandi’, diciamo così, ma allo stesso tempo molti di loro hanno ancora bisogno della vicinanza degli adulti, hanno bisogno di rassicurazioni, guida, consigli. Leggi tutto

Come (e perché) mi sono dimenticata degli otto anni di Agw

Otto anni di Agw ovvero questo mio blog A glittering woman.
Otto anni che ricorrevano il 1° maggio 2021 – e io me ne sono dimenticata.
Completamente.

Me ne sono accorta solo il 24 maggio, più di 20 giorni dopo.
D’un tratto mi sono accorta di aver dimenticato il compleanno di quella che ho sempre considerato la mia amatissima creatura, di quella creatura della quale ho sempre pensato «la terrò con me per sempre, è l’ultima cosa alla quale rinuncerò».

Il problema è riassunto e rappresentato dall’avverbio che ho scelto: completamente.
Non è che mi sono distratta per un giorno o due, che ne so, una lieve distrazione o dimenticanza, ma addirittura per più di tre settimane, senza che alcun pensiero in merito mi sfiorasse in nessun modo.
Completamente rimosso.
Come se non fosse più la mia amatissima creatura.
Come se non vi fosse nulla da festeggiare, come invece ho sempre fatto anno dopo anno dal 2013.

A proposito dell’affermazione «come se non vi fosse nulla da festeggiare»: aggiungo un dettaglio, cari amici. Leggi tutto

Rinascere, una mostra per ripartire alla Galleria Rossini di Milano

Era il 10 gennaio quando ho pubblicato il post precedente qui nel blog.
Ebbene sì, è passato un mese e mezzo e, nei miei tanti anni di blogging, è la prima volta che accade.
Mai avrei creduto a un’ipotesi simile se me l’avessero detto tempo fa perché il blog è il mio piccolo spazio sacro, la mia creatura, la finestra sul mondo più cara che ho e l’ultima alla quale rinuncerei.

Ma la (triste) verità è che da mesi faccio sempre più fatica a scrivere perché mi sento sospesa, un po’ svuotata e… inaridita.
Per creare (e scrivere è creazione), per riuscire a dare forma ai pensieri, è necessario che la vita possa scorrere liberamente.

E, in questo momento, non è così, le nostre vite non scorrono liberamente.
Siamo in attesa, siamo un po’ sospesi – appunto.
Per questo, a parte i pensieri che esprimo o provo a esprimere in Instagram, mi viene invece difficile creare nuovo materiale per il blog.

Sono stanca, stanca di questa nostra vita diventata tanto (troppo…) virtuale e digitale.
Io che ho sempre creduto nel digitale, che l’ho sempre amato in quanto convinta che sia un’immensa possibilità aggiuntiva, continuo a credere altrettanto fermamente che non possa però sostituire in toto la nostra vita reale.
Certo, in questo anno segnato dalla pandemia il digitale è stato il modo (l’unico) per continuare a fare cose senza fermarci, ma – francamente – inizio a essere stufa di eventi in Zoom, riunioni in Zoom, incontri in Zoom, didattica in Zoom…
Oggi più che mai ho sete di vita reale e ho desiderio di concretezza e di cose da vivere, toccare, annusare… Leggi tutto

Se Kamala Harris mi convince a festeggiare il mio compleanno…

Detesto novembre anche se è il mese del mio compleanno, anzi, forse proprio per questo.
O forse lo detesto così come non provo simpatia per nessuno dei mesi caratterizzati dal freddo e dalla poca luce.
E a lui, a novembre, non perdono nulla, esattamente come nulla perdono a me stessa: l’ho ammesso tante volte, sono comprensiva con gli altri quanto poco lo sono con me stessa.

Tuttavia, da sette anni, da quando esiste A glittering woman, al mio compleanno dedico addirittura un post qui nel blog (quanto riesco a essere incoerente).
Quest’anno, come magari immaginerete, non avevo affatto voglia di fare il solito post perché c’è poco da festeggiare (vedere COVID-19), ma poi ho deciso di non interrompere quella che ormai è diventata una piccola tradizione, stavolta non tanto per festeggiare quanto per esorcizzare.

Esorcizzare, sì.

Dite che esagero?

E allora vi chiedo… ma voi come vi sentite in questo periodo?

Vi dico ciò che accade a me.

Ci sono giorni in cui mi alzo e mi riesce faticoso anche solo pensare e concentrarmi, figuriamoci agire.
In giornate di questo tipo, faccio fatica a fare le due cose per me di solito più abituali e spontanee, ovvero pensare (e in verità penso troppo) e scrivere (e anche in questo spesso esagero) e mi viene difficile perché mi sento sospesa e incerta, inquieta e svuotata.
In questi casi, nemmeno le mie amatissime camminate in campagna in assoluta solitudine mi riappacificano con il mondo e – soprattutto – con me stessa, nemmeno loro riescono a essere ciò che di solito sono, ovvero un toccasana per il fisico e un rimedio per tenere a bada ansia, inquietudine, pensieri cattivi o tumultuosi.

Altri giorni, invece, mi alzo e mi sento piena di energia, mi dico «basta ansia e inquietudine» e mi sforzo di crederci: riesco a mettere in fila i pensieri, provo a razionalizzare e a creare un po’ di ordine.
È quindi in giornate di questo tipo che cerco di portare avanti cose e azioni concrete che spero possano aiutare me e magari anche altri. Leggi tutto

Spesa a domicilio, come stanno cambiando le nostre abitudini

Spesa a domicilio da qualsiasi dispositivo e fatta comodamente da casa

Sono sicura che molte e molti di voi conoscano bene questo argomento per averlo provato di persona.
È innegabile che oggi la spesa online sia la tendenza del momento, complice la situazione in cui ci troviamo e i suoi molteplici risvolti
Penso che, contingenza a parte, si tratti di un’abitudine davvero molto comoda e semplice, dato che non serve essere particolarmente abili con la tecnologia.

Sempre più persone fanno la spesa online

Fare la spesa via internet è un fenomeno che ha avuto inizio qualche anno fa, ma è indubbio che nell’ultimo periodo ci sia stata un’impennata e un cambiamento di abitudini.
A dirlo sono i dati: stando alle ultime analisi di mercato, infatti, l’acquisto di beni alimentari via web con consegna a domicilio ha fatto il botto.
Sono circa 2 milioni i nuovi consumatori che hanno scelto di utilizzare servizi di spesa a domicilio offerti tra gli altri da e-commerce come EasyCoop. Più della metà, ovvero circa 1,3 milioni di acquirenti online, sono arrivati proprio nel periodo del lockdown.
Si tratta di un evidente cambio di rotta dato che, fino a poco tempo fa, in Italia molte famiglie erano ancora legate alla spesa tradizionale. Leggi tutto

Pensieri sul futuro delle sfilate dopo una stagione di fashion week… anomale

MFW & sfilate nella locandina di CNMI (Fonte pagina Facebook)

Agli studenti dei miei corsi racconto come il concetto di sfilata sia cambiato nel tempo, con particolare attenzione a ciò che è successo alle sfilate in Italia.

Il 12 febbraio 1951 fu una sfilata a sancire ufficialmente la nascita della moda italiana, precisamente la sfilata organizzata dall’imprenditore Giovanni Battista Giorgini per i buyer americani a Firenze.
L’intraprendenza di Giorgini, la qualità dei capi presentati, la reputazione dei compratori invitati, l’appoggio di alcuni giornalisti tra i quali la nostra Irene Brin che lavorava in quegli anni per la prestigiosa rivista americana Harper’s Bazaar: furono questi gli elementi che contribuirono a decretare il grande successo dell’evento soprattutto oltreoceano, negli Stati Uniti.
Giorgini intitolò l’evento First Italian High Fashion Show e lo ospitò presso Villa Torrigiani, la sua residenza privata di Firenze: la seconda sfilata si tenne sempre nel 1951 a luglio, stavolta nei saloni del Grand Hotel di Firenze, mentre dal 1952 fu la Sala Bianca di Palazzo Pitti a ospitare due stagioni di sfilate ogni anno, una a gennaio e l’altra a luglio.

Fu necessario aspettare quasi vent’anni perché le sfilate si spostassero definitivamente a Milano e ciò avvenne precisamente nel 1969, quando nacque Milanovendemoda.
La manifestazione venne varata dagli agenti e dai rappresentanti commerciali del settore abbigliamento consociati in Assomoda: il proposito era quello di aprire un dialogo diretto con i buyer a Milano ovvero la città in cui, in quegli anni, cominciavano a moltiplicarsi le sedi degli stilisti e dove di conseguenza si respirava una grande vitalità in ambito moda.

Vi racconto una curiosità.
La prima sede della manifestazione fu quella del circo Medini e dunque i marchi si unirono «ai clown e ai giocolieri» in quella che un documento ufficiale di Assomoda stessa definì «un’allegrissima e ironica festa della moda».
Certo, occorre ammettere che – rispetto alla Sala Bianca di Palazzo Pitti voluta negli Anni Cinquanta da G.B. Giorgini – il contrasto risultava alquanto stridente…

Nel giro di qualche anno, Milanovendemoda trovò la propria sede in un nuovo quartiere della città, precisamente a Milano Due presso il Jolly Hotel, un quartiere realizzato da un imprenditore allora emergente (Silvio Berlusconi…): fra circhi e imprenditori rampanti, emergeva all’orizzonte il profilo di quella che un celebre slogan avrebbe poi definito la «Milano da bere». Leggi tutto

Senza Mare di Marina Spironetti: sostegno al talento e… buone vacanze :-)

Dal libro Senza Mare di Marina Spironetti

Quelli da marzo a oggi sono stati – per me e penso per noi tutti – mesi pesanti, impegnativi (per usare un eufemismo…), carichi di pensieri e di ansie.
Certo, a portare il fardello più grande sono coloro che si sono ammalati di COVID-19, coloro che hanno perso una o più persone care, coloro che oggi non hanno più un lavoro: a loro va tutto il mio rispetto e davanti a loro chino la testa.
Eppure, senza voler fare alcun paragone (sarebbe ignobile..), sostengo che tutti abbiamo perso qualcosa perché nessun italiano (o meglio nessun italiano degno di essere considerato tale) dimenticherà mai la sofferenza di un intero Paese e di tanti, troppi nostri connazionali – senza contare ciò che è successo e succede in tutto il mondo.

Personalmente, ammetto di essere molto provata e di aver vissuto, oltre all’ansia per i miei cari, tante altre paure.
Ho sperimentato la paura di vedere la mia Milano vuota, deserta, con tutte le saracinesche abbassate come mai mi era capitato di vederla nemmeno da piccina in agosto, quando allora d’estate la città si svuotava completamente.
Ho sperimentato il terrore per il futuro, l’assenza di progetti e di prospettive.
Ho raccontato in diverse altre occasioni (per esempio qui…) come la proiezione verso il futuro sia per me una condizione di vita fondamentale – nonostante io sia una persona che sa godersi il presente – e dunque il timore che quelle saracinesche potessero non rialzarsi più mi ha dato tanta preoccupazione, mi ha fatto molto soffrire, mi ha procurato quintali di ansia così come la difficoltà di immaginare e progettare un dopo.

Appena finito il lockdown, ho cercato di tenere a bada l’ansia grazie al contatto con la Natura.
Grazie ai miei balconi riempiti di fiori (con colazioni e pasti consumati lì con mio marito) e grazie a lunghe camminate e corse in campagna (io che sono… ero… una fan accanita della palestra preferisco ora l’allenamento open air); grazie a un soggiorno al mare (il mio amatissimo mare) e grazie a qualche giorno in montagna (che non è il mio elemento naturale e che eppure mi accoglie sempre con generosità).
Mentre la mia adorata città e tutto il Paese provano pian piano a uscire dall’emergenza e a rialzare le saracinesche, mentre anch’io come milanese e come italiana faccio la mia parte e provo a mia volta faticosamente a rialzarmi, mentre mi impegno a guardare verso il futuro, a immaginarlo e a riscriverlo per me e non solo per me, mentre accade tutto ciò… devo ringraziare la Natura dalla quale traggo forza, ispirazione e speranza.

Ora sento che resistere a questi mesi e resistere allo sconforto mi ha risucchiato molte energie.
Sento che quest’anno più che mai è giunto il momento di prendermi una pausa e di farmi cullare dalla Natura e dagli affetti che pian piano riusciamo a ritrovare, pur ancora con tante necessarie precauzioni.

Però, prima di prendere una pausa e di farla prendere a questo spazio, ho deciso di scrivere il presente post per chiudere nello stile che dal 2013 appartiene costantemente a A glittering woman: voglio dare il mio piccolo sostegno a una persona di grande talento impegnata nella continua ricerca della bellezza. Leggi tutto

Il mio letto è un giardino – il Mudec di Milano riparte così

Non può esserci sviluppo economico, sociale e conseguentemente democratico senza cultura, senza una solida base di conoscenza, di sapere, di istruzione.

Ne sono profondamente convinta e chi mi conosce sarà forse stanco di sentirmelo ripetere da anni.
Eppure, non riesco a smettere di sottolinearlo, di fare la mia parte (piccola, microscopica) affinché questo concetto fondamentale diventi condiviso, affinché non si creino malintesi in un frangente complesso come questo: non vi è antitesi tra cultura e sviluppo economico, anzi, la prima è presupposto fondamentale affinché il secondo possa verificarsi.
L’ignoranza genera buio e superstizione, genera false credenze e pregiudizi, fa sì che non si cresca né si progredisca; al contrario, conoscenza, sapere e istruzione ci rendono liberi e ci permettono di crescere, di migliorarci, di emanciparci, di aspirare a condizioni di vita migliori.

Per tutti questi motivi sono felice di dare spazio ancora una volta a un’iniziativa del MUDEC, il Museo milanese che tanto fa per promuovere quella conoscenza che crea coesione, che ci permette di essere liberi, che ci permette di guardare agli altri non con paura bensì con curiosità e interesse per diventare più ricchi, spiritualmente e intellettualmente.

Il MUDEC – Museo delle Culture di Milano presenta il primo approfondimento dopo il lockdown dettato dall’emergenza COVID-19: si tratta della mostra intitolata ‘Il mio letto è un giardino – Mi cama es un jardín. I tessuti delle donne del monte quichua (Santiago del Estero, Argentina)’. Leggi tutto

Tutte a casa, donne, lavoro, relazioni ai tempi del COVID-19

Il collettivo Tutte a casa

Quanto dolore ha portato nelle nostre vite il COVID-19.
Tanti, troppi morti.
Tante, troppe famiglie che si trovano ad affrontare gravissime difficoltà economiche.
Tante, troppe attività di ogni genere che sono state chiuse e che non riapriranno mai più.
E potremmo continuare…

Quando sento qualcuno dire «dobbiamo guardare il lato positivo»… resto stranita, sì, io che della positività e dell’ottimismo ho fatto una filosofia di vita.
Cosa può esserci di vagamente positivo nella scomparsa di un proprio caro?
Cosa può esserci di vagamente positivo nella difficoltà di dare da mangiare ai propri figli oppure nella difficoltà di non avere più un impiego o un’attività nella quale si erano investite fatica e passione?
Cosa può esserci di vagamente positivo per quegli studenti che non hanno potuto avere accesso nemmeno alla didattica a distanza?

A mio avviso, non vi è nulla di positivo in tutto ciò e vorrei che noi esseri umani non fossimo costantemente costretti a imparare dalle peggiori esperienze della nostra vita.
Vorrei che imparassimo ad amare davvero la vita e non per aver sfiorato la morte, ad apprezzare la libertà e non per aver sperimentato le limitazioni, a godere dei piccoli momenti e non per aver rischiato di non averne più.

Eppure, noi esseri umani siamo proprio questo.
Apprendiamo dagli errori, dalle difficoltà, dal dolore.
E bisogna accettare che, costantemente lungo tutto il nostro cammino, è nei momenti peggiori e più bui che abbiamo infine tirato fuori la forza della reazione, del riscatto, della risalita.

E allora, pur non riuscendo a parlare di lato positivo, sono conscia di come – ancora una volta – possiamo (e dobbiamo) guardare avanti chiudendo i conti con ciò che è stato e dimostrando di aver fatto nostra l’ennesima dolorosissima lezione.
Ed è alla luce di questo spirito che ho deciso di parlarvi oggi di un’iniziativa che mi è stata sottoposta e che, a mio avviso, va proprio in questa direzione.

Mi riferisco a Tutte a casa – donne, lavoro, relazioni ai tempi del COVID-19.

Permettetemi di raccontare che cos’è e la storia che c’è dietro. Leggi tutto

Prorogata fino al 25/10 la mostra sui costumi di Pinocchio ospitata a Prato

La mostra Pinocchio nei costumi di Massimo Cantini Parrini (foto Marco Badiani – courtesy of press office)

Alzi la mano chi conosce Pinocchio.
Anche se non posso purtroppo vedervi, cari amici, immagino una moltitudine di mani alzate.

Le avventure di Pinocchio – Storia di un burattino è il romanzo scritto da Carlo Collodi, pseudonimo del giornalista e scrittore fiorentino Carlo Lorenzini.
La prima metà apparve originariamente a puntate tra il 1881 e il 1882, completata poi nel libro uscito nel febbraio 1883.
Come tutti sanno, il romanzo racconta le esperienze di Pinocchio, marionetta animata scolpita da Mastro Geppetto: molto più di un semplice burattino, Pinocchio è diventato una vera e propria icona universale nonché una metafora della condizione umana.
Il libro – che si presta a una pluralità di interpretazioni – è considerato un capolavoro mondiale: ha ispirato centinaia di edizioni e traduzioni in innumerevoli lingue, ha dato vita a trasposizioni teatrali, televisive e perfino in cartoni animati e ha reso universali e proverbiali immagini metaforiche come quella del naso lungo del bugiardo.

È proprio per l’universalità e per il valore della figura di Pinocchio che sono molto felice di ospitare oggi una bella notizia: il Museo del Tessuto di Prato ha deciso di prorogare fino al 25 ottobre 2020 la mostra Pinocchio nei costumi di Massimo Cantini Parrini dal film di Matteo Garrone.

«Ripartiamo adottando tutte le misure di sicurezza per assicurare la salute dei visitatori, come previsto dal Decreto del Governo. In questo periodo abbiamo continuato a essere in contatto con il nostro pubblico attraverso iniziative promosse grazie ai canali social e al web. Il consenso riscontrato da parte di tanti ragazzi ci ha fatto decidere di prolungare la mostra fino al 25 ottobre per permettere di soddisfare le tante richieste pervenute.»

Con queste parole di Francesco Marini, Presidente della Fondazione Museo del Tessuto, riferite naturalmente alle misure di contenimento COVID-19, introduco la mostra che presenta i costumi realizzati per il film Pinocchio del regista Matteo Garrone da Massimo Cantini Parrini, pluripremiato costumista cinematografico. Leggi tutto

Silvia Stein Bocchese è stata insignita del titolo di Cavaliere del Lavoro

Silvia Stein Bocchese (ph. courtesy of press office)

Ci sono valori che considero assoluti, solide pietre miliari.

Tra questi valori metto il lavoro, il talento, il Made in Italy e la mia ferma volontà di sostenerli; altrettanto importante per me è dare valore, luce e voce a persone interpreti e testimoni di questi valori, che siano uomini o donne, perché credo nelle pari opportunità (nonostante sia consapevole di quanta strada ci sia ancora da percorrere per raggiungere davvero la parità).

Per questo, nei giorni scorsi, la mia attenzione è stata attirata da una notizia: il Presidente Sergio Mattarella ha nominato 25 nuovi Cavalieri del Lavoro, onorificenza conferita ogni anno in occasione della Festa della Repubblica a imprenditori italiani che si sono distinti in cinque settori (agricoltura, industria, commercio, artigianato, attività creditizia e assicurativa).

Tra questi Cavalieri, rientrano quest’anno alcuni nomi della moda, della gioielleria e del beauty, ovvero Ferruccio Ferragamo (presidente di Salvatore Ferragamo S.p.A., attiva nella creazione, produzione e vendita di calzature, capi di abbigliamento e accessori di lusso), Guido Roberto Grassi Damiani (presidente del Gruppo Damiani, attivo nella creazione, realizzazione e distribuzione di gioielli di alta gamma), Giuseppe Maiello (fondatore e vicepresidente esecutivo di Gargiulo & Maiello S.p.A., attiva nel commercio all’ingrosso di prodotti per l’igiene e la bellezza) e Silvia Stein Bocchese (presidente del Maglificio Miles S.p.A., attiva nella ideazione e produzione di capi di maglieria di alta gamma per conto terzi).

Lo dico apertamente: nutro stima e rispetto per Mattarella e mi emoziona profondamente il fatto che, in un momento storico in cui tutto il mondo si confronta con la crisi profonda causata dalla pandemia COVID-19, il Presidente abbia voluto riconoscere anche la moda tra le attività che contribuiscono a dare lustro al nostro Paese.

E mi emoziona che, attraverso questa onorificenza, il Presidente abbia sottolineato il valore di una donna che, da sola, ha creato un’attività che onora la manifattura italiana nel mondo e che ha dimostrato, con la sua storia, una capacità imprenditoriale e una volontà di riuscita che possono essere di esempio alle nuove generazioni.

E allora vorrei condividere con voi, cari amici, la bella storia di Silvia Stein Bocchese che, anticipando i tempi, ha saputo trasformare una piccola azienda da lei creata nel 1962 a Vicenza in un punto di riferimento internazionale per la produzione di maglieria di alta gamma.

L’avventura professionale di Silvia Stein Bocchese inizia appunto a Vicenza nel 1962.

A fianco del marito Giuseppe Bocchese, imprenditore della seta, fonda l’azienda Miles e, con quattro operaie e poche macchine, la signora Silvia comincia a realizzare capi di maglieria in organzino di seta, la materia prima del setificio di famiglia. Leggi tutto

Qualche chiacchiera attorno alle cosiddette mascherine fashion…

Quella che vedete qui sopra NON è una foto attuale.

Risale al 18 settembre 2019 ed erano i giorni dell’edizione di Milano Moda Donna (ovvero la settimana della moda o fashion week) che rivelava le collezioni per la primavera / estate 2020.
Ero alla presentazione di Yosono, marchio di borse al quale sono affezionata e del quale ho parlato più volte, nel 2018 (qui) e poi più recentemente presentando (qui) la speciale iniziativa Fuckovid-19.
Era stato allestito un photocall speciale con dei foulard con i quali io e molti altri (editor, giornalisti, stylist, blogger) eravamo stati invitati a giocare reinterpretandoli, mentre il bravissimo fotografo Federico Patuzzi ci immortalava.

A me venne in mente di usare il mio foulard come una sorta di bavaglio, a mo’ di bandito stile Far West: non so bene perché ebbi questo istinto, credo per nascondere almeno parzialmente la faccia stanca che avevo in quei giorni e per mitigare l’imbarazzo che sempre provo quando mi trovo davanti all’obiettivo e non dietro – come invece preferisco.
E credo di averlo fatto anche perché mi divertiva l’idea di comunicare solo con gli occhi e con lo sguardo

Allora era solo un gioco e non potevo certo immaginare che quel gesto di nascondere bocca e naso sarebbe risultato quasi come una sorta di premonizione: oggi, con il cosiddetto senno di poi, ho deciso di scrivere proprio di mascherine, quelle che temo dovremo abituarci a indossare – ahimè – per molti mesi…
E se lo faccio, se ne parlo, è perché, da più parti, sono stata sollecitata a esprimere il mio parere in merito all’idea di fare diventare le mascherine quasi un trend, un oggetto di e alla moda; insomma, parleremo di mascherine fashion.

Ma per giungere a dirvi cosa penso delle mascherine fashion, permettetemi di fare prima alcune considerazioni perché qui c’è un concetto che diventa centrale, che è il nocciolo della questione: quello di mascherare e celare il nostro volto.

Questo nocciolo può essere affrontato sotto molteplici punti di vista, con considerazioni storiche, psicologiche, culturali, sociali e perfino economiche.

Prima di partire, però, faccio una doverosa precisazione.
È per me fondamentale sgombrare il campo da qualsiasi equivoco poiché fare confusione o cattiva informazione è pericolosissimo e non fa parte del mio modo di agire. Leggi tutto

Mario Dice e #weworkalltogether, l’unione è forza e fa la differenza

Sembra passato un secolo e invece sono passati solo tre mesi da quando – entusiasta – parlavo (qui) della collezione autunno / inverno 2020-21 presentata da Mario Dice in occasione di una suggestiva cena di gala.

Nessuno, in quei giorni, avrebbe potuto immaginare cosa sarebbe successo e quanto la pandemia COVID-19 avrebbe cambiato le nostre vite…

Abbiamo vissuto momenti complessi e quei momenti non sono ancora terminati: sebbene oggi sembra che ci si avvii verso una fase di rinascita, è necessario non abbassare la guardia e rimanere vigili.

È, allo stesso tempo, altrettanto necessario guardare avanti e coltivare ostinatamente la speranza, seminando i presupposti affinché si possa ripartire: in momenti simili, l’unione è forza e fa la differenza.

Ne è profondamente convinto proprio Mario Dice che lancia #weworkalltogether, un progetto che vede coinvolte le persone con cui ha condiviso momenti belli e che lo seguono dai suoi inizi.

Designer, stylist, giornalisti, attori, cantanti, artisti, personaggi dello spettacolo… tutte persone che conoscono e amano Mario e la sua filosofia; in poche parole, i suoi amici.

«Il medico di famiglia è una persona che fin da piccoli segue passo dopo passo ognuno di noi: ci insegnano a fidarci di lui, lo chiamiamo quando non ci sentiamo bene e abbiamo bisogno delle sue cure. Ora è il nostro turno: siamo noi che dobbiamo stare vicino a medici e infermieri, ma anche ai loro cari, diventando la loro grande famiglia. Aiutiamo chi ci aiuta!»

Sono queste le parole con le quali Mario presenta la sua idea. In cosa consiste?

Gli amici di Mario hanno ricevuto una t-shirt bianca a testa con la richiesta di personalizzarla con una frase, un disegno o semplicemente una firma, dando vita a una capsule collection di pezzi unici nati grazie alla loro creatività e al loro estro: lo stilista stesso partecipa con una maglietta da lui realizzata e che è quella che indossa nella foto qui sopra.

Nel rispetto della tradizione e della sartorialità italiana che da sempre contraddistingue il suo brand, Mario ha affidato la produzione delle t-shirt a un piccolo laboratorio in Lombardia, dimostrando ancora una volta grande coerenza visto che – mai come ora – è importante il reciproco sostegno.

Sono circa un centinaio le personalità che hanno accolto con entusiasmo l’invito dello stilista: le t-shirt (che potete già iniziare a visionare attraverso il profilo Instagram di Dice) saranno battute all’asta grazie alla piattaforma CharityStars; tutto il ricavato verrà devoluto al fondo della Protezione Civile per sostenere le famiglie degli operatori sanitari che hanno perso la vita nella lotta al Coronavirus.

Mi unisco allora anch’io all’invito di Mario: lavoriamo uniti per rinascere ovvero… #weworkalltogether!

Manu

 

AGGIORNAMENTO DEL 13 LUGLIO 2020: L’ASTA SU CHARITYSTARS È INIZIATA! POTETE ANDARE SUL SITO E DIGITARE WEWORKALLTOGETHER NEL CAMPO RICERCA OPPURE PROVATE A CLICCARE QUI 🙂 

 

Valier Venetia, la borsa che sa essere indispensabile

Le borse Valier Venetia

Tra me e il web è amore – l’ho dichiarato più volte.

Del web amo la meravigliosa possibilità di costruire ponti virtuali che diventano anche reali, di instaurare conoscenze, di essere tramite di scoperte, di essere garante della possibilità di continuare a esplorare il mondo anche in un momento in cui siamo stati obbligati a rimanere a casa, per ottime quanto giustificatissime motivazioni. Ma la testa no, lei può viaggiare ed è anche il web, appunto, a consentirglielo.

È in questo scenario che è maturata la conoscenza tra me e Valier Venetia, una conoscenza nutrita da una parte dal desiderio di aprirsi, raccontarsi e donarsi e, dall’altra, dal desiderio di accogliere e ascoltare per poi condividere.

Al centro di questa storia ci sono due donne, due sorelle che si chiamano Antonia e Gunilla e che hanno dedicato la prima parte delle loro vite all’azienda che il nonno aveva fondato negli anni Trenta del Novecento e che i loro genitori hanno poi mandato avanti per tanti anni.

In quegli anni, Antonia ha viaggiato in qualità di export manager e ha comprato decine di borse senza che mai nessuna soddisfacesse completamente le sue esigenze, ritrovandosi costretta a portare con sé una borsa da lavoro più una personale. Nel frattempo si confrontava con tante amiche tutte ugualmente sorprese dalla stessa mancanza, dal fatto che non esistesse una borsa da lavoro funzionale quanto piacevole e pensata per donne multitasking.

Gunilla è un’esteta e una perfezionista, ha studiato Belle Arti e ha una specializzazione come make-up artist: è ossessionata dalla cura per i dettagli, è perennemente alla ricerca di abiti e accessori di manifattura pregiata, ama i cappelli, i turbanti, i ventagli e gli occhiali. Mi ritrovo in queste sue passioni così come mi ritrovo nella sua insofferenza verso «le mode passeggere e le sbornie modaiole di corto respiro». Leggi tutto

01/05/2020, 7 anni di Agw in tempi di COVID-19 tra salute, felicità e libertà

Ieri sera, attraverso uno degli ormai innumerevoli programmi televisivi che parlano di COVID-19, sono stata colpita da alcune affermazioni.

Qualcuno, per esempio, paragonava l’economia di un Paese (l’Italia come qualunque altro) alla circolazione sanguigna in un essere vivente: se non funziona, il corpo non può sopravvivere.
La stessa persona, mi pare, affermava che l’equilibrio economico è soggetto all’effetto domino: se cade la prima tessera, possiamo essere sicuri che pian piano crollerà l’intero sistema, tessera dopo tessera, per quanto lunga possa essere la catena. È solo questione di tempo.
Un’altra persona sosteneva invece che questa situazione potrebbe o dovrebbe forse insegnarci qualcosa, ovvero che a essere importanti per ogni Paese sono la salute e la felicità prima ancora del PIL.

Salute e felicità…

Parliamoci chiaro: sono un’ottimista ma non sono un’illusa.
Viviamo – purtroppo – in quella che è una pandemia e non un incantesimo o un miracolo: l’ho letto da qualche parte e ne sono convinta anch’io.
Non possiamo credere che il mondo ne uscirà miracolosamente trasformato, diventando un luogo perfetto e incantato.
Certo, auspico che questa sia l’occasione per riflettere su tante cose, a livello personale e universale, ma non credo che ne usciremo improvvisamente virtuosi, esattamente come non è successo in seguito a nessuno degli avvenimenti tragici – guerre, carestie, crisi, pandemie, catastrofi – che hanno costellato il percorso dell’umanità. E pertanto non sono così certa che impareremo ad anteporre certi valori al PIL.

Però desidero fare una piccola riflessione proprio su quei due valori che anch’io considero assoluti e prioritari, salute e felicità, aggiungendo, tra l’altro, il terzo valore per me imprescindibile, ovvero la libertà.

Per quanto riguarda la salute, ho già ammesso quanto la sua salvaguardia non sia il mio forte.
Nonostante sia conscia della sua importanza e nonostante sia abbastanza attenta a ciò che faccio in tal senso, la salute non è sempre al centro dei miei pensieri e delle mie preoccupazioni.
Lavoro troppo, mi spendo troppo, riposo troppo poco.
Approfitto, insomma, della mia buona stella e del mio fisico che – finora – si è sempre rivelato forte e resistente.
Qualche anno fa, precisamente nel 2016, avevo ricevuto un piccolo avviso, diciamo un richiamo a correggere almeno un po’ la rotta: sarò sincera come sempre sono e ammetto che, passata la paura, sono più o meno tornata sulla strada di sempre…
Pertanto su questo fronte sento ora di aver ricevuto un ulteriore richiamo anche perché mi rendo conto che, senza salute, vengono minati i presupposti per il secondo valore fondamentale, quello della felicità.

Quando mi chiedono se sono una persona felice, non ho dubbi sulla risposta: sì, lo sono.
Questo non significa che rido, ballo o faccio baldoria ogni singolo giorno della mia vita: per me essere felice non significa questo e vi dico invece qual è la mia definizione.
Essere felice significa che sono soddisfatta delle persone che mi circondano, di ciò che vivo, di ciò che faccio, di ciò che ho costruito, di ciò che mi sono guadagnata.
Essere felice significa che riesco a gioire di ciò che già esiste attorno a me e di ciò che progetto di costruire e realizzare.
Essere felice significa assaporare, sentire, vivere, godere il momento e il presente; significa avere allo stesso tempo una proiezione verso il futuro, con obiettivi piccoli o grandi da raggiungere e da realizzare.

Leggo spesso i pensieri di persone che esprimono la speranza che tutto ciò che stiamo vivendo ci insegni finalmente a dare valore alle piccole cose e ai piccoli momenti.
Nella mia vita ho collezionato così tanti errori, stupidaggini, peccati, follie, abitudini sbagliate, atteggiamenti poco sensati (incluso quello appena confessato verso la tutela della mia salute) da non poter nemmeno tenerne il conto.
È insomma lunga la lista di ciò di cui dovrei pentirmi, ma se c’è una cosa (almeno una!) della quale non devo fare ammenda è proprio il fatto di aver invece sempre attribuito una immensa importanza e un significato forte alle piccole cose: ho costantemente e puntualmente dato valore ai piccoli gesti e piccoli momenti.
Li ho sempre assaporati, respirati, vissuti; mi sono puntualmente soffermata a godermeli con la consapevolezza della loro preziosità.
In questi giorni, nella mia testa, ho milioni di diapositive di istanti speciali vissuti non importa quando o come, a chilometri di distanza o sotto casa, in compagnia di coloro che amo oppure da sola.
E perfino ora, in questo momento così difficile e doloroso, riesco a ritagliare qualche piccolo momento prezioso e qualche piccola gioia.

Ciò che sento mancarmi ora è l’altra componente – secondo me essenziale – della felicità: la proiezione verso il futuro che passa attraverso la libertà, il terzo valore assoluto che – necessariamente – è in questo momento fortemente limitato.

Per carità, sto bene a casa mia, molto bene, semplicemente perché ci sono sempre stata bene.
Eppure stare sempre e solo chiusa in casa è cosa che inizia a mettermi a dura prova.
È inutile fingere che non mi manchino tutte le cose che ho fatto e amato per tutta la vita: sono a mio agio in una vita sfaccettata e ora sento che mi manca qualcosa, che sono orfana di una parte.
Non voglio essere ingrata, ma non mi va neanche di mentire o di nascondermi né voglio sentirmi in colpa per questo sentimento che credo sia estremamente umano e comune a tante persone.
Il futuro non può essere compreso tra le quattro mura di casa.

«Non si può scrivere in mezzo a questo orrore. Ci provo tutti i giorni e non ci riesco, perché per scrivere la vita deve essere intera. Spero che la gente si renda conto che la libertà è parte integrante della salute. Perché un corpo sia sano deve potersi muovere sotto la luce del sole, deve parlare con altri corpi, deve poter baciare e poter dire ‘ti amo’».
Sono le parole che il poeta e narratore Manuel Vilas ha scritto per Vanity Fair.
Sono così belle e perfette per descrivere ciò che provo anch’io che non voglio né posso aggiungere altro.

Anzi, no, scusate, fatemi aggiungere un’ultima cosa.
Il 1° maggio 2013, esattamente sette anni fa, trovavo finalmente il coraggio di pubblicare il primo post in questo spazio.
Parlo di coraggio perché il blog è un progetto che avevo accarezzato molto a lungo e che avevo più volte rimandato, per tanti motivi.
È diventato uno dei miei compagni di viaggio più fedeli, un progetto longevo e mai interrotto, uno specchio della realtà che vivo.

Sette anni fa, non avrei potuto immaginare come avrei trascorso questo anniversario.
Non avrei potuto immaginarlo io né avrebbe potuto immaginarlo nessuno.
E invece eccomi qui a festeggiare un anniversario in quarantena così come molte altre persone hanno dovuto festeggiare compleanni e anniversari in isolamento.
In questi anni ho scritto tantissimo, ho scritto di persone che stimo, di progetti in cui credo, di cose che amo o che mi fanno indignare: in questo spazio web ci sono a oggi 769 pezzi di me, 769 tessere di un puzzle che raffigura il mondo in cui credo e in cui voglio fortemente continuare a credere.

Perché non so cosa accadrà anche solo domani, ma so che continuerò a combattere per la salute, per la libertà e per la felicità. Fino all’ultimo respiro.

Tanti auguri a glittering woman, tanti auguri a noi due e grazie – come sempre – a chi è con noi.

Manu

L’immagine è una mia elaborazione via PhotoFunia

Creativi e innovatori a rapporto: sono aperte le iscrizioni al contest Road to Green

Imperterrita, determinata e quanto mai convinta, proseguo oggi il mio cammino verso la positività dando spazio a un’iniziativa che sposo per due motivi.

Il primo motivo è che si tratta di un’iniziativa di scouting, ovvero che mira a scoprire e a sostenere persone di talento: dare sostegno al talento è un’attività per me importante e alla quale mi dedico con passione ed entusiasmo.

Il secondo motivo è che a fare scouting è Accademia del Lusso, ovvero la scuola di formazione moda con la quale collaboro stabilmente, in qualità di docente (come racconto qui e attualmente in modalità di didattica a distanza) e in qualità di redattrice di ADL Mag, la nostra rivista online (qui i miei articoli).

Ciò che desidero raccontare è che sono ufficialmente aperte le iscrizioni per #roadtogreen, il contest annuale promosso da Road to Green 2020 in collaborazione con Accademia del Lusso.

Road to Green 2020 è un’associazione no-profit fondata nel 2016 da Dionisio Graziosi e Barbara Molinario con lo scopo preciso di promuovere l’educazione ambientale: ogni anno, con questa iniziativa, l’associazione si pone l’obiettivo di stimolare la creatività e il confronto di idee, alimentando il dibattito sulle tematiche green tra istituzioni, imprese, associazioni e privati cittadini, per arrivare a produrre innovazione e progresso.

«Quest’anno lanciamo il nostro contest in un momento molto particolare, in piena emergenza sanitaria da coronavirus. Abbiamo deciso di non lasciarci fermare da questi eventi, continuando a portare avanti i nostri progetti, con l’augurio che tutto questo possa finire il prima possibile. La chiamata è rivolta a tutti coloro che abbiano un’idea che possa rendere le nostre vite più sostenibili e il nostro futuro più green in qualsiasi settore, compreso quello della salute. Dunque, creativi, innovatori e tutti voi che avete un’idea che vi sembra geniale, mettete i vostri pensieri nero su bianco e diteci come possano migliorare le nostre vite.»

Così dichiara Barbara Molinario, presidente di Road to Green 2020, e io sono assolutamente d’accordo con lei e con lo spirito che la anima.

Per partecipare a #roadtogreen bisogna presentare ‘opere green’ inedite, ispirate ai valori della salvaguardia ambientale.

Le categorie previste sono cinque: food; culture & nature; health; fashion & beauty; city, mobility & technology.

Ognuno può partecipare con la propria arte, senza alcun vincolo, mediante pittura, scultura, installazioni, video, abiti (bozzetti o realizzati), plastici ecosostenibili, disegni, fotografie, progetti di eventi e altro.

Il contest è aperto a tutti, senza vincoli di età, nazionalità, titolo o professione (… potrebbe non piacermi questa libertà?) e il termine ultimo di presentazione delle opere è il 15 luglio 2020.

Il vincitore sarà proclamato durante ‘La città del futuro’, forum internazionale che si terrà il 24 settembre a Roma: in tale occasione, i finalisti presenteranno al pubblico in sala i propri lavori e il vincitore si aggiudicherà un voucher formativo (valore 3.450 euro) da utilizzare presso la sede di Roma di Accademia del Lusso.

Se volete saperne di più, vi invito a visitare il sito di Road to Green 2020 e in particolare la pagina dedicata al regolamento. dove troverete anche il modulo di partecipazione da scaricare. C’è anche una pagina Facebook che trovate qui.

Cosa posso aggiungere?

Aggiungo l’invito che, ormai, è diventato un’altra costante: non facciamoci trovare impreparati.

Partecipate numerosi e provate a aggiudicarvi una chance interessante per il futuro.

Manu

 

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