Libri e Natale: 9 titoli su moda & costume da mettere sotto l’albero

Amo leggere. E amo i libri. Appassionatamente e da sempre.

Li amo fin da piccina, dai primi anni delle elementari. Leggevo così tanto, letteralmente bevendo ogni libro acquistato, che i miei mi fecero l’abbonamento alla biblioteca di zona. Pochi anni dopo, feci io stessa quello alla Sormani, la bellissima biblioteca centrale sede del sistema bibliotecario comunale milanese.

Ora che si avvicina Natale e tutti noi pensiamo ai regali per coloro che amiamo, io ho pensato ai libri.

Libri e Natale: trovo sia un binomio meraviglioso in quanto credo che regalare conoscenza sia uno dei regali d’amore più belli che si possano fare. Perché conoscere aiuta a essere liberi. E a spiccare il volo.

Nel tempo, la mia passione per la lettura si è estesa a tutti i settori di mio interesse. Non fa eccezione la moda, per due motivi.

Il primo è perché la moda è diventata il mio lavoro e quindi ho bisogno di formazione continua. Il secondo è perché alla base di questo mondo – che a tanti sembra superficiale – c’è in realtà tanta cultura. La moda vive di conoscenza e di approfondimento. Se si desidera conoscerla davvero ed essere in grado di interpretarla correttamente, occorre indagarne codici e significati.

Ho dunque pensato di selezionare nove libri di recentissima pubblicazione da mettere sotto l’albero per nutrire la conoscenza in ambito moda e costume. E per indagare le molteplici e reciproche relazioni che la moda intrattiene con mondi come cinema, spettacolo e musica. Leggi tutto

800 anni dal Natale di Greccio e le iniziative di Ambrosiana (e non solo)

La scorsa settimana, sono stata alla Pinacoteca Ambrosiana per la presentazione di due importanti iniziative dedicate al Natale.

Prima di tutto, occorre dire che quest’anno ricorre un anniversario significativo. Era il 1223, ben 800 anni fa, quando ci fu il primo Natale di Greccio, ovvero quando San Francesco d’Assisi ideò la rappresentazione del presepe vivente, una tradizione oggi diffusa tutto il mondo.

L’evento del Natale di Greccio ha lasciato una traccia indelebile nella devozione popolare e ha segnato la storia dell’arte. E così, nell’ambito di questa ricorrenza, la Veneranda Biblioteca Ambrosiana e la Fondazione Terra Santa presentano il progetto di museo diffuso intitolato 800 anni dal Natale di Greccio.

Si definisce museo diffuso perché si tratta di un progetto che coinvolge ben dieci istituzioni museali della Lombardia. Li menziono: Museo della Basilica di Gandino (Bergamo), Museo d’Arte e Cultura Sacra di Romano di Lombardia (Bergamo), Museo Diocesano di Brescia, Museo Diocesano di Cremona, Museo della Basilica di Sant’Eustorgio di Milano, Museo dei Cappuccini di Milano, Museo Popoli e Culture – P.I.M.E. di Milano, Museo Diocesano di Pavia, Museo della Collegiata di Castiglione Olona (Varese). Il decimo museo è, naturalmente, la Pinacoteca Ambrosiana. Leggi tutto

Galleria Gorza, la casa del bello di Rimini è adesso anche online

In questo 2020 – che definire anno particolare è un eufemismo – sono tante le cose che sono mancate a ognuno di noi, tante e diverse.

A me, per esempio, sono mancati gli abbracci e il contatto fisico con le persone che amo. E poi i viaggi.
Sì, sono queste le cose che mi mancano di più, ovvero conoscenza e bellezza declinate tra esperienza umana ed esperienza del mondo.
Mi mancano la varietà, la ricchezza, le diversità e le sfaccettature delle persone e dei luoghi.

La pandemia ci ha spinto a rivedere i nostri rapporti sociali.
Niente più abbracci, pacche sulla spalla, baci, strette di mano.
Questi sono stati i mesi del distanziamento, delle mascherine, della chiusura dei luoghi di aggregazione.
Per la nostra sicurezza e per quella degli altri, abbiamo dovuto ridurre al minimo il numero delle persone incontrate, azzerando completamente il contatto fisico.
E a me tutto ciò manca – inutile fingere il contrario…

Viaggiare mi manca, follemente, che sia per diletto e piacere oppure per lavoro. O tutto insieme, perché no, come mi è capitato spesso. Leggi tutto

Voce su tela, il libro che racconta la storia magica di Clara Woods

Un paio di mesi fa, in ottobre, ho raccontato la storia di Clara Woods.

Clara nasce il 10 marzo 2006 a Firenze e, un anno dopo, i dottori fanno un annuncio terribile ai genitori: la piccola ha avuto un ictus prenatale e per lei viene prospettata un’esistenza da vegetale.

Mamma Betina e papà Carlo non ci stanno, non si rassegnano davanti a una sentenza tanto dura: Clara inizia un programma di riabilitazione e i suoi progressi stupiscono tutti così come la sua forza di volontà e la sua determinazione.

Nonostante abbia difficoltà a scrivere e leggere, oggi Clara comprende perfettamente tre lingue: la mamma è brasiliana, il papà è olandese-canadese e così lei comprende italiano, inglese e portoghese.
Nonostante non riesca a parlare, Clara si esprime attraverso la (meravigliosa) famiglia che è la sua voce.
Nonostante abbia difficoltà motorie, Clara riesce a correre.

Sebbene usi con difficoltà la mano sinistra, Clara impara a dipingere e ha trovato proprio in questo un nuovo, ulteriore strumento per comunicare perché se è vero che mamma Betina, papà Carlo e il fratello David la capiscono e sono la sua voce, quando Clara dipinge può parlare con tutti da sola.

Clara esplora ed esprime il suo universo emotivo attraverso l’intensità dei colori acrilici, rappresentando una quotidianità adolescenziale a tinte forti, realmente vissuta o immaginata. Leggi tutto

DressYouCan ospita House of Mua Mua: a Milano, moda e charity per YPAC Bali

Quest’anno, per Natale, ho deciso di dare un taglio particolare ai miei consigli / non consigli per regali diversi: così, dopo aver parlato del progetto YOUth (qui) e di Una Culla per la Vita by Buzzi Onlus (qui) nonché de Il Mondo di Allegra (qui – via Instagram), oggi chiudo il cerchio tornando nuovamente a parlare di impegno sociale con l’iniziativa intrapresa da DressYouCan insieme a House of Mua Mua.

Fino al 24 dicembre, l’atelier milanese di DressYouCan, interessante realtà di fashion renting, ospita infatti una speciale vendita natalizia in collaborazione con House of Mua Mua, il brand fondato da Ludovica Virga: niente noleggio, stavolta, ma acquisti per una buona causa, ovvero sostenere l’associazione YPAC di Bali, scuola residenziale per bambini con disabilità fondata nel 1975.

Nel negozio di via Gian Giacomo Mora, a due passi dalle Colonne di San Lorenzo, oltre alle irriverenti creazioni moda del brand di Ludovica, sarà possibile acquistare anche le sue Mua Mua Dolls (che vedete qui sopra), creazioni che nascono dalle mani di donne e anziani balinesi: sono simpatiche (e ironiche) bambole, fatte all’uncinetto e cucite a mano, che rappresentano volti noti e icone della moda come Coco Chanel, Anna Wintour, Franca Sozzani e Karl Lagerfeld.

Da sempre House of Mua Mua ha a cuore Bali ed è proprio lì che, nel 2006, è nato il marchio: Ludovica, designer e mente creativa, decide di produrre bamboline realizzate all’uncinetto dagli abitanti dell’isola rimasti senza lavoro a causa di un turismo sempre più in crisi dopo lo tsunami del 2004.

Oggi House of Mua Mua è diventato un brand di ready-to-wear e accessori donna rivenduto nei più importanti concept store ed e-commerce di tutto il mondo e ha conquistato anche numerose celebrità internazionali per il suo spirito ironico e irriverente e – non ultimo – per il risvolto umanitario.

È dunque un’ottima occasione per fare del bene e anche per scegliere un dono natalizio che farà sicuramente piacere a tutte le appassionate di moda: DressYouCan è l’unica realtà milanese a ospitare House of Mua Mua, proponendo sconti fino all’86% e parte del ricavato sarà devoluto a sostegno di YPAC.

Io ci faccio un salto…

Manu

 

Se volete approfondire…

Come vi ho già raccontato, House of Mua Mua nasce nel 2006: Ludovica Virga, designer e mente creativa, decide di produrre bamboline realizzate all’uncinetto dagli abitanti dell’isola rimasti senza lavoro a causa di un turismo sempre più in crisi dopo lo tsunami del 2004. La prima creazione di Ludovica, per tutti Luvilu, nasce come regalo per un caro amico.
Il successo arriva nel 2009 quando, durante una sfilata Chanel a Venezia, Ludovica incontra Karl Lagerfeld e gli fa dono di una Mua Mua doll con le fattezze del Kaiser della Moda il quale inizia poi una collaborazione con la designer italiana: nel 2012, le commissiona più di 500 bambole da vendere nei negozi Lagerfeld.
Il  successo è immediato e Mua Mua diventa un marchio conosciuto dagli addetti ai lavori: la famiglia di bamboline all’uncinetto si arricchisce di nuovi personaggi tra i quali Anna Wintour, Coco Chanel, Franca Sozzani, Lady Gaga.
Oggi, grazie alla creatività di Luvilu e alla sua visione ironica del mondo della moda, House of Mua Mua è diventato un marchio venduto nei concept store ed e-commerce di tutto il mondo: le creazioni spaziano dalle iconiche bambole a divertenti t-shirt oltre a una linea di accessori che ha conquistato celebrità e it-girl internazionali.
Ma House of Mua Mua continua a essere anche una realtà con uno spiccato aspetto umano: ogni bambola viene infatti realizzata a Bali in zone rurali dove abitano donne e anziani che vivono in condizioni difficili, mentre parte del ricavato della vendita della collezione viene donato a una scuola a Sumbawa per aiutare e sostenere l’istruzione femminile.
Qui trovate il sito e qui trovate l’account Instagram.

Lo showroom DressYouCan ha sede a Milano a due passi dal Duomo, davanti alle Colonne di San Lorenzo e precisamente in Corso di Porta Ticinese angolo Via Mora.
La fondatrice è Cristina che lo gestisce insieme a Priscilla e Gloria: il negozio, con ingresso libero, è aperto 6 giorni su 7 (lunedì 13.30-19.30; martedì-sabato 10.30-13-30; 14.30-19.30).
È come se fosse un armadio infinito poiché è possibile noleggiare abiti, scarpe e borse per comporre outfit per occasioni speciali, da un cocktail party a un matrimonio, inclusa la possibilità di noleggiare un abito da sposa!
Qui trovate il sito, qui trovate l’account Instagram.

YPAC è una scuola residenziale per bambini con disabilità: è stata fondata nel 1975 da Nyonya Sukarmen, moglie dell’allora governatore di Bali.
Nel 1981 la scuola è stata ufficialmente riconosciuta dal governo indonesiano: ospita bambini e ragazzi di entrambi i sessi, di età varia e con vari tipi di disabilità.
Qui trovate il gruppo Facebook che fa capo alla scuola e qui trovate l’account Instagram.

Un motivo speciale per sostenere Buzzi Ospedale dei Bambini Milano…

Dalla pagina Fb dell’Associazione OBM Ospedale dei Bambini Milano – Buzzi Onlus

Ci sono questioni che toccano profondamente le mie corde più intime.
Tra tali questioni figura la malattia e, in particolare, l’approccio alla malattia e al dolore fisico.
Ho conosciuto il dolore in più occasioni e l’ho provato sulla mia pelle, letteralmente, soprattutto a causa di un grave incidente che ho subito da bambina: tutt’oggi porto le cicatrici indelebili, i segni di un’ustione che quasi mi privò della vita.
Credetemi se dico che, nonostante fossi piccolissima, il trauma è stato tanto forte che piccoli frammenti di quella terribile esperienza sono impressi nella mia memoria, sprazzi di dolore e momenti di angoscia (ero stata ricoverata in camera asettica e avevo paura) che sono perfino più profondi delle cicatrici fisiche che, da adulta, non ho infine voluto togliere.
Sostengo (sorridendo) di essere stata ricompensata per quel tragico incidente attraverso la fortuna di un’ottima salute; eppure, ho conosciuto la malattia attraverso tante (troppe…) persone care che fanno parte della mia vita. Alcune non ci sono più, purtroppo, ma sono presenti più che mai nel mio cuore.
L’ustione ha segnato la mia pelle e ha anche forgiato il mio animo: la mia soglia del dolore è abbastanza alta e sopporto piuttosto bene la sofferenza fisica ma, per paradosso, se sono disposta a sopportarla su me stessa, mi è invece difficilissimo accettarla in coloro che amo.
Un conto è soffrire in prima persona, un altro è veder soffrire coloro che amiamo: per quanto mi riguarda, preferisco di gran lunga essere io a provare dolore… non so, forse così ho l’illusione di poterlo controllare e di poterlo vincere ancora, così come è già stato.
Naturalmente, detesto vedere soffrire specialmente i bambini (non solo quelli che conosco e amo) e il loro dolore mi fa stare male quasi fisicamente proprio perché sono stata una bambina che ha conosciuto la sofferenza.
Dovete sapere che il luogo in cui mi salvarono la vita è il Buzzi di Milano, quello che allora come oggi è chiamato l’Ospedale dei Bambini: qualche settimana fa, mentre guardavo un programma in televisione, ho visto una pubblicità che parlava di Una Culla per la Vita, progetto nato in seno all’Associazione OBM Ospedale dei Bambini Milano – Buzzi Onlus.
La pubblicità raccontava come alcuni bambini, quando nascono, hanno bisogno di un aiuto in più per partire per quell’affascinante viaggio che è la vita: si tratta di neonati critici, magari nati prima del termine e sottopeso oppure con malformazioni o patologie. Grazie a interventi tempestivi, alcuni possono riprendere subito il loro viaggio, altri hanno bisogno di continuare a ricevere cure speciali.
Una Culla per la Vita
collabora con i professionisti dell’Ospedale Buzzi accanto ai bambini e alle mamme per accompagnarli verso una cura più serena, in un ambiente a loro misura: quando ho visto quella pubblicità… mi sono commossa fino alla lacrime.
Perché mi sono sentita di nuovo piccina.
Perché so cosa vuol dire avere bisogno di un ambiente a misura dei più piccoli visto che ho sperimentato cosa sia l’angoscia della degenza in ospedale per un bambino.
Perché anch’io ho avuto bisogno di un aiuto per proseguire il mio viaggio che sì, poi è stato meraviglioso.
Perché, come vi ho detto, non sopporto il dolore dei bambini.
Perché, per tutti questi motivi, ogni volta in cui c’è la possibilità di dare un aiuto, mi metto in gioco volentieri e cerco di dare il mio sostegno con tutto il cuore: so che quel che faccio non è altro che aggiungere una piccola goccia, ma sono convinta che il mare – soprattutto se inteso in senso metaforico – sia fatto da tante, tantissime microscopiche gocce.
Dunque, scrivere questo post è stata una decisione semplice quanto spontanea.
E ora chiedo a voi: volete fare un dono, non solo a qualcuno, ma prima di tutto a voi stessi?
Prendetevi un attimo per guardare il sito dell’Associazione OBM Ospedale dei Bambini Milano – Buzzi Onlus (qui) o la loro pagina Facebook (qui): trovate tutti i progetti e le iniziative per migliorare sia la cura dei bambini ricoverati al Buzzi sia il sostegno alle loro famiglie.
Oppure potete andare sul sito del progetto Una Culla per la Vita (qui): troverete i traguardi del progetto e alcune storie…
Se volete saperne di più, potete anche chiamare il numero 02 57995359 oppure andare direttamente in via Castelvetro 28 a Milano.
Non vi chiedo nulla, credo non ve ne sia bisogno: vi chiedo solo di guardare e informarvi e in questo consiste il regalo che propongo di fare a voi o meglio a noi stessi – ben oltre il Natale ormai imminente.
Poi, se volete (e sottolineo se)… si può per esempio anche donare il 5×1000 a OBM Onlus – C.F. 97376440158.
Da anni e ogni anno, scelgo con attenzione e cura un’associazione alla quale devolvere il mio 5×1000: so a chi lo donerò nei prossimi anni…
È ora di restituire (e non solo amandola e onorandola ogni giorno) l’opportunità che mi è stata data tanti anni fa: quella di una seconda vita, una chance che ho anche grazie all’Ospedale Buzzi.

Manu

*** Un immenso grazie di cuore a chiunque vorrà condividere questo post ***

YOUth, le felpe belle e virtuose create dagli adolescenti dell’Istituto Tumori

Il dottor Andrea Ferrari insieme ad alcuni dei ragazzi del progetto YOUth

(Photo credit Veronica Garavaglia)

Tutto l’anno, costantemente, attraverso questo spazio web e attraverso i miei vari canali social, non faccio altro che parlare del talento, dando voce, supporto (e spero aiuto) a tutti quei progetti che secondo me profumano di capacità, di positività, di bellezza e di ben fatto.

Penso che, a Natale, questo possa e debba sposarsi perfino con qualcosa di più, qualcosa che profumi di solidarietà e di nuove possibilità.

In fondo, parlare di solidarietà, di nuove possibilità, di impegno sociale (e nello specifico di lotta al tumore) è qualcosa che ho fatto più volte proprio attraverso blog e canali social poiché credo profondamente nel fatto che chi vuole occuparsi di comunicazione debba prestare la propria voce anche per agevolare il progresso della società nei suoi vari aspetti e bisogni.

Ecco perché oggi ho deciso di parlarvi di YOUth, la prima collezione di felpe realizzate dagli adolescenti del Progetto Giovani del reparto di pediatria dell’Istituto Nazionale dei Tumori coordinati da Gentucca Bini con il sostegno dell’associazione Bianca Garavaglia.

Il Progetto Giovani è parte integrante della Struttura Complessa di Pediatria Oncologica dell’INT (Istituto Nazionale dei Tumori) ed è Centro di Eccellenza per la cura dei tumori dell’età pediatrica e degli adolescenti: le felpe e il marchio YOUth sono il frutto di sei mesi di lavoro di 32 giovani tra i 15 e i 24 anni, di cui 20 attualmente ancora in cura, coordinati dalla stilista Gentucca Bini. Il ricavato dell’iniziativa sarà destinato al Progetto Giovani dell’INT sostenuto dall’Associazione Bianca Garavaglia ONLUS.

Vi ho incuriositi?

Volete saperne di più? Leggi tutto

Se una milanese innamorata decide di parlare della Pescheria Spadari…

Martedì sera ho inaugurato il periodo degli aperitivi natalizi con un impegno al quale tenevo molto, ovvero il Christmas Cocktail della Premiata Pescheria Spadari.

Perché ci tenevo così tanto?
Ve lo riassumo in quattro punti.
1 – Da milanese assai orgogliosa, tengo molto ai luoghi storici e la Pescheria Spadari è – che io sappia – la più antica e longeva della città: è stata fondata nel lontano 1933, ben 85 anni fa!
2 – Mi piace chi conta su storia e tradizione ma non vi si adagia, bensì al contrario accetta e sposa nuove sfide.
3 – Mi piace chi accetta le sfide del digitale senza snaturare il proprio DNA e senza dimenticare il rapporto fiduciario con la propria clientela.
4 – Last but not least… adoro il pesce!

Dunque… considerato che il pesce della Pescheria Spadari è sempre meravigliosamente fresco e visto che hanno deciso di introdurre tutta una serie di novità quanto a proposte e servizi, ero curiosissima di andare a verificare il tutto di persona.

Il risultato della spedizione mi ha tanto soddisfatta da decidere di dedicare un post a questa storica istituzione meneghina, anche perché mi piacerebbe poter dare uno spunto per pranzi, aperitivi e cene anche in vista del Natale.

Ho definito storica la Pescheria Spadari e credo di poterlo fare per ben due motivi: per la posizione nell’omonima via a due passi da Piazza del Duomo, nel cuore di Milano, e per la longevità.

Come raccontavo in principio, il locale ha infatti visto gli albori nel 1933 grazie alla grande passione di Giovanni Battista Bolchini che, con la sua attività, ha contribuito anche a creare in quegli anni una nuova e originale immagine del pescivendolo, presentandosi in cravatta e panciotto.
Quando si dice avere stile…

Il successo della Pescheria Spadari è stato immediato e ha spinto ben presto Bolchini a creare una società con altri esperti del mestiere, Franco Campiglio e suo fratello Alfonso; per poter far fronte alla sempre maggior richiesta da parte della clientela, a loro si è poi aggiunto Gaudenzio Maffezzoli.

La passione e il forte senso del dovere dei soci hanno fatto sì che persino durante la Seconda Guerra Mondiale, nonostante gli sfollamenti di massa, la Pescheria Spadari abbia sempre regolarmente aperto i battenti ogni giorno (… altro moto di orgoglio).

Nella città della moda e della finanza, anno dopo anno, la bottega è cresciuta costantemente e ha acquistato prestigio e grande notorietà, tanto da essere stata menzionata perfino in una canzone dei menestrelli meneghini Cochi e Renato.
«Il mare l’abbiamo avuto anche a noi a Milano (…) che c’è ancora il pesce adesso in via Spadari»: così cantava il famoso duo di cabaret pensando proprio alla Premiata Pescheria Spadari.

Ancora oggi l’attività è saldamente in mano agli eredi delle famiglie dei soci originari: anche grazie al loro contributo, la Pescheria Spadari ha ricevuto nel tempo numerosi premi e riconoscimenti, a testimonianza dell’importante ruolo svolto nel creare l’identità storica del commercio alimentare – e della cultura ittica – nel capoluogo lombardo.

Dicevo che, durante gli 85 anni di attività, il prestigio di questa bottega storica è cresciuto costantemente, anche per l’abilità di evolversi in modo coerente con i cambiamenti del mercato e la capacità di adeguare l’offerta dei servizi.

Alla tradizionale offerta di pesce fresco è stato per esempio affiancato un servizio di cucina molto apprezzato: la Pescheria lo propone durante le ore di pausa pranzo – dal martedì al venerdì dalle 12:30 alle 14:30 – con un’ampia scelta di piatti preparati da un eccellente staff.

Non solo: sull’onda della dilagante street food mania, Pescheria Spadari apre (anche fisicamente!) la sua vetrina per offrire un servizio di pesce da passeggio con panini di pesce, insalate di mare, coni di frittura, un pranzo leggero e sfizioso da gustare passeggiando per le vie del centro.

Il servizio si è ulteriormente ampliato con l’inaugurazione del Bistrot che è aperto anche in fascia serale (da mercoledì a sabato dalle 19:30 alle 22:30) nonché di sabato e domenica (dalle 12:30 alle 14:30).

Volontà di Pescheria Spadari è quella di restare ancorata alle tradizioni che la contraddistinguono da sempre, ovvero la qualità assoluta del pesce fresco e la disponibilità nei confronti della propria clientela; nello stesso tempo, c’è il preciso desiderio di adeguarsi a un modo di comunicare e di servire moderno e veloce.

Da qui nasce la necessità di soddisfare i bisogni di un nuovo pubblico (così come sempre fatto con quello cosiddetto storico) creando proposte e servizi volti a soddisfare tutte le esigenze: cito la possibilità di prenotare online pacchi di Natale personalizzabili.

Per i più indecisi, invece, ci sono perfino le gift card in tre diverse fasce di prezzo, acquistabili anch’esse online.

(Messaggio subliminale per chiunque desideri farmi un regalo: io apprezzerei sia i pacchi sia le gift card…)

Uno sguardo al digital senza mai però dimenticare il rapporto diretto con la clientela: Pescheria Spadari ha creato la infoline 353/3691263 alla quale è possibile rivolgersi per un filo diretto con gli esperti del banco ai quali chiedere consigli e ricette per poi ricevere il tutto comodamente a casa.

Pescheria Spadari mette infatti a disposizione anche un fish delivery, il nuovo servizio di consegna a domicilio del pescato e della gastronomia cucinata, semplice, comodo e perfino ecologico grazie all’accordo con UBM – Urban Bike Messengers, servizio di corrieri in bici nato nel 2008, dieci anni fa.

Insomma, è proprio il caso di dirlo: 85 anni e non sentirli!

Manu

La Premiata Pescheria Spadari è in via Spadari 4
Qui trovate il sito, qui la pagina Facebook, qui l’account Instagram e qui il canale YouTube.

E con il panettone di Giacomo Milano vi auguro Buon Natale :-)

Quest’anno, in più occasioni, vi ho parlato di Urban Finder.

Urban Finder è una app che è stata creata per aiutare ogni persona a trovare (in inglese to find) ciò che cerca in una città (come suggerisce l’aggettivo urban), trovando le soluzioni più adatte rispetto ai propri gusti e alle proprie personali esigenze (ho raccontato tutto in dettaglio qui).

Quindi, in definitiva è un Personal Finder.

Mentre la app è attualmente in fase di re-styling, è nato un gruppo che si chiama UF Lovers, ovvero un gruppo di vari professionisti del mondo digital chiamati a condividere esperienze: lo scopo è quello di creare una rete di relazioni che possa arricchire la app stessa e, conseguentemente, costituire un ulteriore valore per chi la userà.

Con mia grande felicità, sono stata invitata anch’io a far parte del gruppo e ho così due interessanti opportunità: da una parte, prendo parte a una serie di incontri tra gli UF Lovers (qui trovate quello del 28 giugno) e dall’altra sono un po’ pioniere e un po’ tester di Urban Finder.

In occasione del Natale, sono stata invitata a prendere parte a un’esperienza molto interessante: partecipare a un Panettone Lab presso il laboratorio di pasticceria di Giacomo, vera istituzione meneghina.

Ora, dovete sapere quattro cose. Leggi tutto

Le mie scelte in pillole, Christmas edition: Il Gioco del Gelato di Alberto Marchetti

Tempo fa, avevo parlato di Alberto Marchetti e della sua passione.
Alberto fa il gelato e – come dice lui stesso – ama farlo: per credergli, è sufficiente assaggiare il suo ottimo prodotto.
Ho avuto il piacere di conoscerlo di persona, in occasione di un press day: veniva presentata la collezione di borse di un brand che ho seguito a lungo e Alberto era lì per coccolare il palato di giornalisti, redattori e blogger, cosa che peraltro gli riusciva benissimo.
Mi ha subito conquistata per due motivi: ho apprezzato il fatto che il proprietario di cinque gelaterie (tre a Torino, una a Milano, una ad Alassio) fosse venuto a presentarci personalmente il suo lavoro, senza intermediari, e ho trovato che il suo gelato fosse davvero gustoso e autentico.

«Scelgo dei buoni ingredienti, uso solo quello che serve, non aggiungo niente di più. Prima di scegliere latte e panna sono andato a conoscere chi alleva le mucche, mi sono fatto spiegare come vengono nutrite. Firmo il mio gelato perché credo nel mio lavoro e voglio metterci la faccia.»
Così racconta Alberto e lo sapete: amo chi mette la faccia e tutta la propria passione in un mestiere.

Quello tra Alberto Marchetti e il gelato è un amore antico: racconta di essere nato lo stesso giorno in cui il padre inaugurava la sua cremeria a Nichelino, vicino Torino. Quasi un destino, insomma.
Da piccolo, aiutava il padre in negozio: imparava e intanto mangiava il gelato di nascosto, soprattutto quello gusto fiordilatte, come confessa lui stesso con un sorriso.
Oggi vuole trasmettere l’amore che pian piano è cresciuto con lui e lo fa lavorando con dedizione, semplicità e rispetto della tradizione.
Ama il gelato fresco e cremoso, come quello della sua infanzia; usa solo materie prime che seleziona personalmente girando l’Italia, rivolgendo in particolar modo la sua attenzione ai Presidi Slow Food.
La sua è una missione decisamente riuscita: prova ne è il fatto che il suo prodotto si è posizionato nella guida Gelaterie d’Italia del prestigioso Gambero Rosso con i Tre Coni, ovvero il massimo riconoscimento.

Perché torno a parlare del nostro amico del gelato proprio ora?

Perché l’intraprendente Alberto ha avuto un’idea geniale: in collaborazione con Lo Scarabeo, ha lanciato Il Gioco del Gelato, gioco da tavolo dedicato a tutti gli amanti del settore enogastronomico.

Niente cuori, coppe, spade e bastoni ma latte, panna fresca, zucchero di barbabietola, prodotti di eccellenza e di stagione: ricettario alla mano, vince chi riesce ad accontentare meglio i clienti preparando i loro gusti preferiti.
Un gioco adatto dai 6 anni in su poiché preparare il gelato non è mai stato così divertente: con Il Gioco del Gelato tutti possono destreggiarsi tra ingredienti, sapori e ricette.
Il box è composto da 110 carte suddivise in Carte Cliente, Carte Ingrediente e Carte Ingrediente Base; non mancano i ricettari, ben sei, e un regolamento.
Il mazzo delle Carte Cliente è da mettere al centro del tavolo e tali carte vengono rivelate in corso d’opera in modo da formare il negozio: a turno, ciascun giocatore decide se preparare un gelato per servire il cliente oppure procurarsi gli ingredienti necessari.
Per preparare il gelato, il giocatore deve scartare gli ingredienti necessari verificando prima la ricetta: più gelati dai gusti preferiti dei clienti prepara il giocatore, più punti-vittoria guadagna.

Il cliente al centro, sempre: è questo lo spirito del lavoro di Alberto nonché lo spirito de Il Gioco del Gelato che consente anche di imparare a conoscere gli ingredienti e la loro stagionalità.

Ecco perché ho scelto questo gioco e perché l’ho inserito nella rubrica Le mie scelte in pillole e in particolare nell’ambito della Christmas Edition, il ciclo speciale con il quale desidero suggerire di mettere talento sotto i nostri alberi di Natale, quel talento che sostengo tutto l’anno.
Penso che Alberto abbia un grande talento e che stia proprio bene in mezzo ai miei tesori: penso da sempre che ci sia tutto un mondo di cose buone e belle da scoprire, ben oltre la moda che è il mio ambito principale, dunque chiudersi in schemi rigidi sarebbe una sciocchezza, un autentico sacrilegio.
È molto più divertente concedersi la possibilità di spaziare e poter dare voce a un’iniziativa divertente e che, allo stesso tempo, è capace di diffondere la cultura del mangiare bene e in maniera consapevole.
E poi penso che non esista occasione migliore del Natale – momento dedicato a famiglia e affetti – per proporre un gioco da tavolo che spero andrà ad affiancare i grandi classici della nostra tradizione.

Manu

Il Gioco del Gelato è in vendita al costo di € 12 presso le gelaterie di Alberto Marchetti e online nel sito dedicato.
Qui trovate il  sito di Alberto Marchetti, qui la sua pagina Facebook, qui il suo account Instagram e qui quello Twitter.
Qui trovate il mio precedente post su di lui.

Le mie scelte in pillole, Christmas edition: Bohemian Guitars, strumenti speciali

I rimpianti non mi appartengono: essendo una persona decisa e anche impulsiva, è più facile che io mi penta di qualcosa che ho fatto piuttosto che di qualcosa che non ho fatto, dunque sono più incline a qualche rimorso piuttosto che ai rimpianti.
Eppure, ho anch’io tre grandi rimpianti: non saper suonare uno strumento (e aggiungerei non saper cantare), non aver studiato danza classica e, infine, non aver imparato ad andare a cavallo (ho provato solo da adolescente, quando durante un’estate sono stata a studiare la lingua inglese a Canterbury).

Ecco perché – basandomi sul mio rimpianto numero uno – oggi desidero raccontarvi una storia di talento che parte dalla musica.

Ispirati e colpiti dall’inventiva dei musicisti di Johannesburg capaci di realizzare strumenti con materiali alternativi rispetto a quelli tradizionali, i fratelli Adam e Shaun Lee, originari del Sudafrica e fondatori di Bohemian Guitars, hanno applicato questa filosofia alle loro creazioni.

Sono nati così i loro strumenti che, in breve tempo, sono entrati nel cuore di molti musicisti di tutto il mondo grazie a una serie di chitarre, ukulele e bassi elettrici.
Il design originale e i materiali utilizzati portano a sonorità particolari: il corpo in lega metallica, precisamente in latta, consente infatti un’interazione unica con l’elettronica dello strumento e questa interazione produce una gamma molto ricca e ampia di suoni non ottenibili con strumenti di costruzione classica.
Inoltre, i loro sono strumenti leggeri, con una forma del corpo ridotta: il manico si prolunga fino alla fine del corpo stesso e un telaio interno in legno di tiglio crea bilanciamento e distribuzione del peso, rendendo così ogni strumento confortevole.
Il pannello posteriore rimovibile, particolare assolutamente unico degli strumenti Bohemian Guitars, permette un facile accesso all’interno del corpo delle chitarre.
Infine, tutti gli strumenti del brand sono self-standing grazie ai piedini in gomma che si trovano alla base del corpo.

Non solo: Bohemian Guitars si impegna a costruire strumenti musicali in modo sostenibile per l’ambiente.

I loro strumenti utilizzano meno legno rispetto a una chitarra elettrica tradizionale, con manici ottenuti da legni recuperati o provenienti da foreste sostenibili: i corpi sono realizzati in parte da materiali riciclati.
Inoltre, vengono piantati dieci alberi per ogni ordine ricevuto e ciò avviene grazie al partner Trees for the Future, un’organizzazione dedita a migliorare i mezzi di sussistenza degli agricoltori impoveriti e a rivitalizzare terre degradate.

Perché ho scelto di inserire Bohemian Guitars nella rubrica Le mie scelte in pillole e in particolare nell’ambito della Christmas Edition, il ciclo speciale con il quale desidero suggerire di mettere talento sotto i nostri alberi di Natale?

Primo perché il brand incarna alla perfezione quel talento che sostengo tutto l’anno.

Secondo perché penso che l’ukulele, per esempio, potrebbe essere un regalo di Natale inaspettato, simpatico e – nel nostro caso – anche ecologico.

L’ukulele è nato nel 1879 grazie ad alcuni immigrati portoghesi che si erano trasferiti alle Hawaii dove oggi, ogni anno, si tiene il più importante festival dedicato a questo strumento.
Il suo nome in lingua hawaiana significa pulce saltellante e sembra sia collegato alla velocità con cui abitualmente l’ukulele viene suonato: la sua caratteristica sonora è il forte attacco seguito da uno smorzamento velocissimo che lo rende uno strumento divertente e facile da suonare.

Marilyn Monroe lo strimpellava in A qualcuno piace caldo, il celeberrimo film diretto da Billy Wilder nel 1959.
Un ukulele è stato il primo strumento acquistato da Syd Barret, fondatore dei Pink Floyd, e da Joe Strummer, uno dei fondatori del gruppo punk rock The Clash.
Rino Gaetano portò l’ukulele sul palco del Festival di Sanremo nel 1978 durante l’esecuzione della canzone Gianna e diversi artisti hanno pubblicato album di canzoni interpretate o reinterpretate con questo piccolo quanto magico strumento.

Anche il terzo motivo per cui ho scelto Bohemian Guitars è importante: questi strumenti non sono dedicati solo ai musicisti esperti, ma anche a tutti gli amanti di quel lifestyle che trae ispirazione dal mondo della musica.

Qualcuno proverà a suonarli, altri impareranno veramente, per altri ancora diventeranno un ricordo da esporre in soggiorno: gli strumenti Bohemian Guitar sono infatti anche dei bellissimi oggetti d’arredo perfino per chi, come me, si limita anche solo ad ammirarli.

Manu

Qui trovate il sito e qui la pagina Facebook di Bohemian Guitars.
I loro strumenti sono distribuiti in Italia da Backline e si possono trovare online sul loro sito e presso i rivenditori autorizzati.

Le mie scelte in pillole, Christmas edition: Global Stars Register, dedica una stella

Chissà, forse è capitato anche a voi, in questi giorni, di leggere una notizia: Fedez, il rapper italiano del momento, ha dedicato una stella (vera) alla sua fidanzata e promessa sposa, Chiara Ferragni.
Leggendo tale notizia, qualcuna di noi (o qualcuno di noi, non escludo i signori uomini) avrà sospirato, magari pensando al regalo ricevuto lo scorso Natale e soprattutto pensando qualcosa tipo «a me non capiterà mai nulla di simile».
Errore, miei carissimi amici: in realtà, ognuno di noi può dedicare una stella a colui o a colei che ama.
Come? Ora ve lo racconto.

Non è una novità che la volta celeste ispiri da secoli (anzi, da millenni) gli uomini – siano essi artisti, poeti, scrittori, cantanti, scienziati, astronomi, navigatori, marinai o innamorati; pare anche che la NASA, l’agenzia responsabile del programma spaziale e della ricerca aerospaziale, preveda i primi viaggi interstellari già a partire dal 2018.
La notizia che desidero condividere con voi, però, è che ora è realmente possibile dedicare una stella. E lo è per tutti.
L’idea è di una giovane società che risponde al nome di Zenais la quale, attraverso il servizio Global Stars Register, ha reso possibile il desiderio di dedicare una stella a un parente, a un amico o a una persona cara in vista di un’occasione speciale o semplicemente per consegnare un sentimento all’eternità.
«A noi piace pensare – spiega Giovanna Casale, direttore generale di Zenais – che, come suggerito dal Piccolo Principe, le stelle siano illuminate affinché ognuno, un giorno, possa trovare la sua.»

Come si fa – in maniera pratica e concreta – a dedicare una stella alla persona del cuore?
Innanzitutto occorre collegarsi al sito Global Stars Register (qui), poi scegliere la costellazione e le caratteristiche: a questo punto, si può decidere il nome da assegnare all’astro e scrivere una dedica.
Il destinatario del regalo riceverà il Certificato Ufficiale redatto da Global Stars Register nonché un opuscolo illustrativo: potrà accedere in qualsiasi momento al sito per vedere la stella che gli è stata dedicata con il messaggio personalizzato e avrà tutte le informazioni necessarie, incluse le coordinate per osservarla con il telescopio.

Gli astri disponibili provengono dal catalogo Hipparcos, il database ufficiale delle stelle esistenti creato dalla NASA e utilizzato abitualmente da astronomi e astrofisici delle varie agenzie spaziali mondiali.
Hipparcos comprende i dati astrometrici rilevati dall’omonimo satellite lanciato in orbita nell’agosto del 1989: il registro di Global Stars permette di accedere a tutte le 120.000 stelle del catalogo con precisione assoluta, rendendo l’esperienza realistica e coinvolgente.

Avrete forse notato che sto parlando dell’idea di Zenais nell’ambito della rubrica Le mie scelte in pillole e in particolare nell’ambito della Christmas Edition, il ciclo speciale con il quale desidero suggerire di mettere talento sotto i nostri alberi di Natale, quel talento che sostengo tutto l’anno.
Vi chiederete allora come stelle e talento siano collegate: ve lo spiegherò e vi darò anche tre ulteriori ragioni per le quali sto scrivendo questo post e per le quali ho deciso di dare voce all’iniziativa.

1 – Il talento è quello di Zenais stessa, una realtà giovane e innovativa, costituita da un team di professionisti che uniscono un solido background tecnico, creatività, visione strategica ed entusiasmo: tutto ciò, insomma, che mi fa pensare al talento e a un’idea geniale.
2 – Dedicare una stella a qualcuno è un regalo che dura per sempre, ben oltre qualsiasi desiderio passeggero o qualsiasi moda, senza date di validità né di scadenza. In un’epoca in cui abbiano tutto se non troppo, l’idea di regalare un sogno, qualcosa di etereo, mi sembra un pensiero diverso e speciale.
3 – Se aprite Wikipedia, troverete la definizione di stella, «uno sferoide luminoso di plasma che genera energia nel proprio nucleo attraverso processi di fusione nucleare»: definizione tecnicamente e scientificamente perfetta, certo, ma da tempo immemore, per noi uomini, le stelle non sono solo questo, non sono solo scienza. Le stelle sono state guida esatta che ha permesso di solcare i mari, ma anche ispirazione per opere d’arte; sono state testimoni davanti alle quali giurarsi amore eterno o ancora simboli di speranza ben oltre qualsiasi fede o credo. Grazie all’idea di Zenais, accorciare la distanza tra noi e questi simboli e tra noi e lo spazio, oggi, non è più solo una missione per astronauti.
4 – Se state pensando che tutto ciò abbia un prezzo… stellare, vi voglio rassicurare subito: di solito non parlo di soldi, ma in questo caso tengo a dire che l’investimento va dai 30 ai 60 euro. Non stiamo quindi parlando di costi esorbitanti e proibitivi, adatti solo alle tasche di persone particolarmente abbienti.

E a questo punto vi dico l’ultimissima cosa, una mia personale opinione.

In questo momento, il sito Global Stars Register dà la possibilità di usare una delle dediche scritte proprio da Fedez: per carità, il suo mestiere è scrivere e cantare e dunque è una collaborazione che ha senso, ma il mio consiglio è quello di scrivere una dedica tutta vostra.

Magari non sarà tecnicamente perfetta come un cantante o un autore saprebbero fare, ma sarà vostra, unica e intima.
E visto che la dedica accompagnerà un regalo duraturo (vedere punto 2 qui sopra)… beh, penso che usare il proprio cuore, la propria testa e le proprie parole sia importante, no?

Non me ne volere, Fedez, la tua dedica a Chiara è bellissima («L’amore è un’equazione imperfetta in cui 1+0 dà zero e 1+1 dà tutto»), ma visto che sei un ragazzo intelligente credo che, dentro di te, non mi darai torto 😉

Manu

Oltre al sito che vi ho già indicato qui sopra, vi lascio il link di un video che illustra la procedura in dettaglio nonché la pagina Facebook e l’account Instagram di Global Stars Register.

Le mie scelte in pillole, Christmas edition: Mirror Mirror di Cara Delevingne

Un paio di anni fa, come hanno fatto molti magazine e blog, ho dato anch’io una notizia bomba a proposito di Cara Delevingne, celebre top model britannica.
A 23 anni appena compiuti, Cara ha infatti deciso di dire addio a moda e passerelle (soprattutto alle passerelle), dichiarando di non riuscire più a sopportare lo stress di quel mondo in cui stava conducendo una brillante carriera.

In tale occasione, avevo confessato tutto il mio dispiacere per la decisione in quanto ho sempre avuto un debole per lei.
Penso infatti che Cara sia (o sia stata) una delle poche giovani top model in grado di far rivivere i fasti degli Anni Ottanta, quando le modelle erano le protagoniste quasi assolute: non possiede solo fisico e portamento, ma anche carisma e carattere.
E non ha mai avuto paura di giocare con la sua immagine: fa le smorfie, scherza, è autoironica.
Lei – con le sopracciglia marcate e il comportamento da monella – ha portato disinvoltura in un ambiente che, troppo spesso, ha i nervi a fior di pelle; eppure, la frenesia della moda ha infine stancato e allontanato anche lei (e io mi ero in particolare concentrata proprio su questo aspetto e sulle sue implicazioni).

Dovete sapere che ho avuto il piacere di incontrare Cara a Milano in settembre 2012 in occasione della Settimana della Moda, dopo una sfilata.
Difficilmente chiedo alle persone famose di poter essere fotografata con loro, è una cosa che mi infastidisce e mi imbarazza: lei, però, era divertita dal farsi fotografare con tutti e si prestava volentieri, smorfie incluse, così mi sono lanciata anch’io e la foto è nel post che ho citato in principio.

Considerata la mia grande simpatia nei confronti di Cara Delevingne, sono stata felice quando ho ricevuto un comunicato stampa dalla casa editrice De Agostini (DeA) con l’annuncio dell’uscita di Mirror Mirror, il suo romanzo di esordio.

Ebbene sì, l’ex top model ha scritto un libro che, qui in Italia, è uscito lo scorso 10 ottobre.
Mirror Mirror è un romanzo che esplora i temi dell’amore, dell’amicizia e dell’identità, ma soprattutto dell’insolubile conflitto tra quello che si è e quello che si finge di essere.
È una storia, dunque, che vuole essere provocatoria – soprattutto oggigiorno, soprattutto nell’epoca dei social network e di una vita virtuale che sempre più affianca quella reale.

Cara narra la storia di Red, Leo, Naomi e Rose, quattro ragazzi diversi ma uniti da un’unica passione: la musica.
Ed è la musica a renderli non solo una band, i Mirror Mirror, ma anche una famiglia.
I quattro sembrano inseparabili, almeno fino al giorno in cui Naomi scompare nel nulla: la polizia la ritrova in condizioni disperate sulle rive del Tamigi e da quel momento niente è più come prima.

D’un tratto, un pezzo delle vite di Red, Leo e Rose sembra irrimediabilmente perso perché Naomi era la più solare di tutti e l’amica migliore del mondo.
Ma, in verità, la ragazza nascondeva un segreto in fondo al cuore, un segreto tanto inconfessabile che nessuno avrebbe mai potuto immaginarlo; mentre Rose si abbandona agli eccessi e Leo si chiude in sé stesso, Red non accetta invece il destino dell’amica. Ha bisogno di sapere, di capire.
Che cosa ha ridotto Naomi in quello stato? Può davvero trattarsi di un tentato suicidio, così come crede la polizia?

Per scoprire la verità, Red dovrà trovare la forza di guardarsi allo specchio, dovrà conoscersi e imparare ad amarsi per quello che è.
Perché, a volte, bisogna accettare che niente è ciò che sembra e che la realtà può essere capovolta: in fondo, accadeva anche ad Alice di fare una scoperta del tutto simile in Attraverso lo specchio, il romanzo scritto da Lewis Carroll nel 1871 come seguito del suo primo successo Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie.

Classe 1992, nata a Londra, Cara Delevingne ha raggiunto il successo mondiale nel 2009 ed è stata nominata Modella dell’Anno ai British Fashion Awards nel 2012 e nel 2014.
Da subito, Cara ha dato dimostrazione di essere dotata di una personalità poliedrica, affrontando con disinvoltura la musica (in un ulteriore post qui nel blog ho raccontato di una sua collaborazione con la cantante Rita Ora) fino ad arrivare al cinema (la sua carriera da attrice è iniziata nel 2012 con il ruolo della Contessina Sorokina nell’adattamento cinematografico di Anna Karenina diretto da Joe Wright).
Dopo la prima pellicola, ha preso parte a diversi film tra i quali Città di Carta, Suicide Squad, Valerian e la città dei mille pianeti.

Confermando di essere una persona intelligente e oculata, per il suo primo romanzo Cara ha pensato bene di rivolgersi a chi vive la scrittura come un mestiere a tempo pieno: Mirror Mirror è infatti il risultato di un lavoro a quattro mani con l’autrice di bestseller Rowan Coleman.

Ed ecco perché ho deciso di parlare del libro ora: trovo che Cara e Mirror Mirror siano perfettamente in sintonia con la rubrica Le mie scelte in pillole e con la Christmas Edition, il ciclo speciale con il quale desidero suggerire di mettere talento sotto i nostri alberi di Natale, quel talento che sostengo tutto l’anno.
Primo perché ho sempre affermato che Cara ha talento (l’ho apprezzata, l’apprezzo e la seguo per questo) e perché l’ha dimostrato in ogni avventura che ha intrapreso; secondo perché mi piace chi decide di evolversi e di cambiare pelle (imparo dai miei errori e non rifarò due volte quello che feci anni fa con Giorgio Faletti) ma che lo fa avendo il buon senso di farsi guidare e accompagnare da qualcuno più esperto.
Anche questo è talento, il talento dell’umiltà e dell’intelligenza.

Manu

Se l’idea vi piace e se volete acquistare Mirror Mirror di Cara Delevingne, qui lo trovate sul sito DeA da dove viene anche l’immagine qui in alto (fotografia di Cara Delevingne © Anthony Harvey / Getty Images) e lo trovate sia in versione cartacea sia come ebook. Vi faccio anche un regalo: qui trovate un’anticipazione del libro 🙂
Se volete seguire Cara attraverso i social: qui trovate la sua fanpage in Facebook, qui l’account Twitter e qui quello Instagram.

Mi piace raccontarvi qualcosa anche di Rowan Coleman.
La scrittrice vive con la sua numerosa famiglia e i due cani in una casa (piuttosto affollata!) nella contea di Hertfordshire, nel Regno Unito: divide il suo tempo tra la famiglia e l’attività di autrice di narrativa per adulti e per ragazzi.
Qui trovate il suo sito e qui il suo account Twitter.

Le mie scelte in pillole, Christmas edition: i foulard Adima e il ritmo interiore

Capita spesso che, qui nel blog, io racconti storie di talento al femminile: oggi vi presento Alessandra Benetatos, fondatrice di Adima Made in Presence.

Partendo dal suo amore per l’acqua, Alessandra ha creato una speciale collezione di foulard in seta.
La collezione offre un prezioso contributo all’eccellenza Made in Italy e onora le lavorazioni artigianali che ne costituiscono il cuore: lo fa attraverso quattordici originali creazioni che svelano forme e sfumature dell’acqua.
Ogni foulard è un tributo alla Natura e racconta una storia di unione tra spirito e materia attraverso il legame primordiale con il liquido vitale costantemente presente nella vita artistica, meditativa e professionale della creatrice di questi capolavori: il suo rapporto con l’acqua rivive nella trama del tessuto e viene trasmesso a chi sceglie di indossare i suoi foulard.

I foulard sono avvolgenti e sfiorano anche i due metri: sono in seta purissima, lavorati e realizzati in Italia.
Ogni creazione propone uno stato d’animo fermato nel tempo, un momento unico vissuto da Alessandra in presenza dell’acqua del mare, di un fiume o di un lago.
Tale frammento di vita viene riprodotto su seta: per questo Made in Presence, perché la presenza diventa consapevolezza e consente che bellezza e talento della Natura possano manifestarsi e che Alessandra sia lì, pronta ad accoglierli per poi poterli condividere.
«Ho scelto di rappresentare l’acqua su seta in grandi dimensioni per trasmettere la sensazione di essere avvolti da un abbraccio fluido – spiega lei – e infatti ogni foulard porta con sé una storia, un luogo in cui è simbolicamente nato.»

Un altro elemento fondamentale e irrinunciabile dello stile Adima è il tempo.
«Io mi prendo tutto il tempo necessario – spiega ancora Alessandra – e le mie saranno collezioni che seguiranno ritmi più interiori rispetto a quelli della moda tradizionale. Vado a incontrare l’acqua nel pianeta e quando sono pronta nascono i nuovi pezzi».
È una dichiarazione decisamente coraggiosa in momenti in cui il sistema moda impone agli stilisti autentici e massacranti tour de force, considerata la (assurda) e continua richiesta di nuove collezioni da dare in pasto a un mercato spesso ormai saturo.
L’intento del brand, infatti, è anche la valorizzazione del tempo necessario all’ideazione e alla lavorazione, è anche la centralità delle cosiddette trame umane, perché «ogni persona che ha lavorato al progetto ha lasciato la sua impronta».
E Alessandra precisa con orgoglio un punto importante: «abbiamo un forte intento di sostegno, non solo della maestria italiana dei nostri artigiani, ma anche delle persone che indosseranno questi foulard».

Posso dunque affermare che Adima Made in Presence realizza e offre manufatti di alta qualità che vogliono esprimere valori est-eticamente sostenibili, con un avverbio che piace molto ad Alessandra e anche a me, perché quel trattino – per niente casuale – va a legare apparenza (estetica) e contenuto (etica) in un legame che dovrebbe essere sempre inscindibile.

Ma chi è Alessandra Benetatos?
Di sé racconta di aver mosso i primi passi professionali nell’azienda di famiglia creata dal padre, uomo di grande spessore e capacità imprenditoriale, e di dover invece la sua sensibilità sia a una naturale propensione sia alla madre, donna attenta che l’ha avviata a una raffinata educazione alla bellezza.
Nell’azienda di famiglia, Alessandra si è occupata in particolare dell’area design, approfondendo gli studi in architettura a Milano e curando spesso gli eventi, aiutata dall’attrazione per le lingue straniere e per il contatto umano.
La passione per moda e design, la conoscenza dei tessuti, il desiderio di portare bellezza e ricerca spirituale nella materia (nel 2001, ha anche fondato il centro olistico Opale); tutti questi fattori hanno condotto Alessandra a creare Adima Made in Presence.

«Mi sento un connettore – racconta – amo collaborare e fare rete in ambito culturale, sociale, formativo.»
Ecco, questo è uno dei motivi per i quali ho scelto Alessandra e il suo lavoro – oltre che per qualità ed eccellenza, naturalmente.

Un altro motivo è rappresentato dal nome stesso del progetto: Adima viene dal sanscrito Ma Prem Adima e significa amore fin dalle radici.

In questa ottica, ogni foulard ha un nome evocativo: quello che vedete in alto e che ho scelto per illustrare questo post si chiama Stilla Vitale e, oltre che per i colori, mi ha attratto per il messaggio che porta con sé: «ricordo chi sono in Essenza, ricordo che posso giocare».

Ed ecco perché, in definiva, trovo che Alessandra e Adima siano perfettamente in sintonia con la rubrica Le mie scelte in pillole e con la Christmas Edition, il ciclo speciale con il quale desidero suggerire di mettere talento sotto i nostri alberi di Natale, quel talento che sostengo tutto l’anno e che è capacità, creatività, qualità, forma e contenuto ovvero est-etica.

Manu

Lo showroom Adima (qui e qui due immagini) si trova in via San Maurilio 19 a Milano, tel. 02 97801193, aperto dal martedì al sabato dalle 11 alle 19.
La cornice è quella di Palazzo Greppi, nel cuore storico meneghino, nelle vie delle arti e dei mestieri: un ulteriore tributo alle eccellenze artigianali italiane.
Qui trovate il sito completo di e-commerce, qui la pagina Facebook e qui l’account Instagram.

Le mie scelte in pillole, Christmas edition: Adoro Te, Elena, e anche tanto

Siete seduti? Comodamente seduti?

Se state pensando «ma guarda questa che gran ficcanaso»… aspettate, vi spiego subito il motivo della mia domanda: mettetevi comodi (avete magari del popcorn a portata di mano?) perché sto per farvi una rivelazione che rovinerà definitivamente la mia carriera da fashion blogger, sempre ammesso che io ne abbia mai avuta una.

A ogni modo: come dovrebbe essere una che crede di fare la fashion blogger? Risposta: sempre impeccabile.
Ecco, la rivelazione è che io, in casa, sono invece inguardabile.

Sono una persona perennemente in movimento e essere in ordine è un atteggiamento che fa parte di me da sempre: eppure, a casa, mi prende invece un’indicibile pigrizia da outfit e sono capace di passare intere domeniche in pigiama, soprattutto nella stagione fredda.
Non parlo di pigiami accattivanti e anche un po’ ammiccanti: in inverno, indosso pigiami pesantissimi in felpa con sopra maglie oversize in pile e copro i miei piedini numero 35-36 con calzettoni in lana.
In effetti, mancherebbe solo il berretto in testa per fare di me una perfetta caricatura da vignetta.

Il problema è che alla sera e nei giorni di relax, appena rallento un po’ i miei ritmi da persona fin troppo attiva, soffro tremendamente il freddo (anche se di giorno vado in giro senza collant fino a novembre, come ho raccontato ultimamente).
In casa, dunque, non riesco a pensare di rinunciare a outfit comodi e pigiamoni: ammiro moltissimo le donne che riescono a stare in casa indossando leggerissime ed elegantissime sottovesti in seta riscaldate solo da piccoli e stilosi cache-cœur. Il tutto a piedi nudi, naturalmente.
Beh, io non potrei mai vestirmi come loro, purtroppo: morirei all’istante!
E, tra l’altro, d’estate la situazione non è molto più rosea…

Bene, ora che ho distrutto anche quella (minima) dignità da fashion blogger che potevo avere (e dopo aver fatto guadagnare l’aureola da santo a mio marito per il fatto di avere la moglie meno attraente di tutto il pianeta), posso spiegarvi il perché di questa rivelazione un po’ masochista.

Desidero infatti ringraziare pubblicamente una giovane designer che si chiama Elena Del Carratore: per merito suo, almeno i miei piedi si salvano dalla scarsissima attitudine della sottoscritta a essere charmante.

Elena è colei che disegna Adoro Te, una collezione che reinterpreta le slipper, un classico dell’eleganza da casa.

La casa è il nostro luogo più sacro, quello in cui viviamo momenti legati alla sfera affettiva, al relax e al tempo che dedichiamo a noi stessi: il progetto Adoro Te esprime al meglio questo concetto facendolo diventare quanto mai contemporaneo e creando un mondo avvolgente e raffinato.

Le slipper create dal brand sono raffinate pantofole che, nella forma, ricordano un mocassino: per questo inverno, vengono proposte in seta e in velluto stampati, floccati o ricamati, in nuance chic come per esempio porpora, ruggine, petrolio, testa di moro e l’attualissimo giallo senape. Leggi tutto

I wish you a Real Glittering Christmas ♥

«Ci tengo a farle sapere che lei è di grande ispirazione per tutte noi, come donna, come insegnante e come guida. E mi ritengo personalmente molto fortunata, per cui le auguro un felicissimo inizio anno… Se lo merita davvero.»
«Non perdiamoci dopo il corso! Felice di averla incontrata, mi arricchisce sempre più! Le voglio bene.»

Sono gli emozionanti messaggi di auguri di due delle mie studentesse.
Direi che, per quest’anno, ho dei preziosissimi regali di Natale: sono tanto speciali che, forse, potrebbero bastare anche per l’anno successivo e per quello dopo ancora 🙂

Così, il mio tradizionale post di Natale parte proprio da qui, stavolta.

Sapete, ascolto queste giovani donne, le mie studentesse, con grande attenzione e con sincero interesse: hanno tante idee, spesso già chiare e ben delineate.
Emerge con forza tutta la loro voglia di vita nonché una sana curiosità verso il mondo: accolgo e conservo le loro parole e mi rendo conto che arricchiscono anche me.
Guardo i loro bei sorrisi, osservo i volti aperti e fiduciosi, gli occhi luminosi e puliti, pieni di speranze e di sogni per il futuro e mi chiedo se faccio abbastanza per loro.
Io che condivido con queste ragazze tutta la mia sincera passione e il mio sconfinato entusiasmo, che cerco di trasmettere loro quello che so del mestiere che amo, che cerco di raccontare loro la bellezza di raggiungere i propri obiettivi e i propri sogni in modo pulito e onesto.

Ma è sufficiente tutto ciò?
È abbastanza oppure potrei fare di più?
In realtà, ciò che vorrei è poterle proteggerle dalle brutture del mondo, vorrei poter conservare e moltiplicare all’infinito quei loro sorrisi, vorrei poter dire loro che andrà tutto bene.
Vorrei poterle rassicurare prospettando un futuro sereno e luminoso.

Vorrei poter dire loro che le giraffe non si estingueranno, che i ghiacci non continueranno a sciogliersi, che non moriranno più bambini ad Aleppo, che non ci saranno più stragi di persone innocenti a Nizza, a Berlino e in troppi altri luoghi in tutto il mondo.
Vorrei poter fare tutto ciò, ma so che non è possibile perché mai nessuna generazione è stata in grado di mettere davvero al sicuro la successiva. È la storia degli esseri umani, da sempre.
E questo non mi piace, non mi rassegno.

Eppure, ho ancora fiducia.
Eppure, penso ancora che se sapessimo credere nella bellezza autentica essa potrebbe salvarci.
Eppure, continuo a credere fermamente che cultura, civiltà, umanità, tolleranza, libertà possano illuminare il buio dell’ignoranza, dell’odio, del sonno della ragione, della bieca disumanità.
Eppure, penso ancora che far vivere questi valori sia la risposta migliore nei confronti di chi vorrebbe invece portare oscurità e disperazione.

Sono grata alle mie ragazze perché attraverso i loro occhi puliti posso sperare che le mie non siano solo illusioni.
E sono loro grata per avermi fatto capire quale sia il senso più vero dell’insegnamento, uno dei mestieri più emozionanti che esistano, una delle responsabilità più grandi ma allo stesso tempo più belle perché comporta dare e avere, in un ciclo continuo e reciproco.

Mi hanno sempre detto che ogni donna nasce per essere madre e per portare avanti la vita: per quanto mi riguarda, pensavo in un certo senso di essere sbagliata, in quanto credevo di non aver alcun istinto materno, di esserne completamente sprovvista.
Mi sbagliavo e, oggi, so che possono esistere tanti modi di tenere a battesimo la vita, di proteggerla, di far sì che prosegua. Credo di aver trovato il mio.

E questo, dunque, è il mio Natale Felice.
E desidero augurarne uno altrettanto felice a tutti, A Real Glittering Christmas.

Il mio augurio per ciascuno di voi è quello di riuscire a trovare una personale strada verso la felicità.
Con coraggio e senza demordere davanti alle sconfitte e alle brutture.

Manu

La foto in alto è stata scattata il 10 novembre 2016 in occasione del press day
dell’ufficio stampa AnnaBi – Laura Magni al quale ho portato la mia classe.
Con noi nella foto ci sono anche Roberta e Antonio Murr, amici
e grandi professionisti (qui li ho intervistati per SoMagazine)

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