Libri e Natale: 9 titoli su moda & costume da mettere sotto l’albero

Amo leggere. E amo i libri. Appassionatamente e da sempre.

Li amo fin da piccina, dai primi anni delle elementari. Leggevo così tanto, letteralmente bevendo ogni libro acquistato, che i miei mi fecero l’abbonamento alla biblioteca di zona. Pochi anni dopo, feci io stessa quello alla Sormani, la bellissima biblioteca centrale sede del sistema bibliotecario comunale milanese.

Ora che si avvicina Natale e tutti noi pensiamo ai regali per coloro che amiamo, io ho pensato ai libri.

Libri e Natale: trovo sia un binomio meraviglioso in quanto credo che regalare conoscenza sia uno dei regali d’amore più belli che si possano fare. Perché conoscere aiuta a essere liberi. E a spiccare il volo.

Nel tempo, la mia passione per la lettura si è estesa a tutti i settori di mio interesse. Non fa eccezione la moda, per due motivi.

Il primo è perché la moda è diventata il mio lavoro e quindi ho bisogno di formazione continua. Il secondo è perché alla base di questo mondo – che a tanti sembra superficiale – c’è in realtà tanta cultura. La moda vive di conoscenza e di approfondimento. Se si desidera conoscerla davvero ed essere in grado di interpretarla correttamente, occorre indagarne codici e significati.

Ho dunque pensato di selezionare nove libri di recentissima pubblicazione da mettere sotto l’albero per nutrire la conoscenza in ambito moda e costume. E per indagare le molteplici e reciproche relazioni che la moda intrattiene con mondi come cinema, spettacolo e musica. Leggi tutto

The Franca Fund, in vendita – per la ricerca – il guardaroba della Sozzani

«Non so mentire: provavo una simpatia alquanto tiepida nei confronti di Franca Sozzani.»

Iniziava così, con queste parole, il pezzo che avevo dedicato a Franca Sozzani in occasione della sua scomparsa avvenuta nel 2016.

«A non farmi sentire a mio agio, io eternamente scomposta e con infinite imperfezioni, era in parte la sua aria eterea, – avevo continuato – il suo aspetto quasi serafico: sembrava sempre essere appena uscita da un quadro, i capelli (lunghissimi e ondulati) e lo sguardo mi ricordavano immancabilmente la perfezione della Venere di Botticelli.»

E avevo aggiunto di sapere di meritare eventuali insulti per essere stata «poco delicata a scrivere tali pensieri a pochi giorni dalla sua dipartita», preferendo però essere sincera.

E in nome di quella sincerità avevo poi elencato tutti i motivi per i quali, ben oltre la tiepida simpatia, rispettavo, stimavo e ringraziavo la signora Sozzani (se volete rileggere il tutto, trovate l’articolo qui).

Rispetto e stima sono invariati e sono dunque onorata di poter – nel mio piccolo – contribuire a dare voce alla Fondazione che porta il suo nome e che prosegue il cammino nell’ambito delle iniziative volte a unire moda circolare, sostenibilità e impegno sociale guardando verso il futuro. Leggi tutto

Alexander McQueen – Il genio della moda: emozione e verità di un docufilm

Sembro (e sono) un’eterna entusiasta verso molte persone, cose, situazioni e questo si riflette nel linguaggio con il quale mi esprimo, ricco di termini positivi; eppure, in realtà, doso bene le parole – in generale e in alcuni casi specifici ancora di più.
Una delle parole che doso e quasi centellino è icona e mi piace dosarla con parsimonia soprattutto quando la accosto alla dimensione che più mi è congeniale tra le varie di cui mi occupo: mi riferisco alla moda.

Considero icone solo i più grandi e rivoluzionari sarti, couturier e stilisti e riservo l’appellativo solo a pochi (pochissimi) di quelli attuali.
Perdonate questa severità, ma icona ha un immenso valore ed è dunque qualcosa che ci si guadagna nel tempo e attraverso il duro lavoro, altrimenti tutto perde di significato, tutto viene svilito.
Tra gli stilisti ai quali accosto senza indugio il prezioso appellativo figura Lee Alexander McQueen.

Faccio parte di coloro che, alla notizia del suicidio di Lee, come semplicemente lo chiamavano tutti, hanno perso un pezzo di cuore.
E divento tuttora indicibilmente triste ogni volta in cui penso al fatto che, quel maledetto 11 febbraio 2010, poco prima di compiere 41 anni, uno dei più grandi e visionari talenti mai esistiti nella moda si sia tolto la vita, fatalmente provato dall’abnorme carico di tensione, pressione, aspettativa sul fronte lavorativo nonché dai tormenti personali.

Lee era prima di tutto un sarto ed era poi uno stilista, aveva una personalità dirompente e sapeva essere disturbante come pochi, un vero sabotatore soprattutto dell’omologazione: davanti al suo lavoro era ed è impossibile rimanere indifferenti e impassibili e lui voleva esattamente questo.
Che fosse divertimento o disgusto, Lee voleva far provare un’emozione.

E, proprio come avrebbe voluto lui, è stata un’emozione forte e intensa poter assistere mercoledì sera alla proiezione di Alexander McQueen – Il genio della moda, il docufilm girato da Ian Bonhôte e Peter Ettedgui per raccontare la vita e il genio di Lee.
È un appuntamento che avevo messo in agenda da tempo e, nel buio e nel silenzio quasi irreale della sala di uno dei cinema più interessanti di Milano (Anteo Palazzo del Cinema dove avevo già visto il film dedicato ad Anna Piaggi), ho assistito con grande coinvolgimento alla ricostruzione minuziosa e veritiera del percorso e dei tormenti di Lee: posso assicurarvi che, in alcuni momenti, la tensione di tutti noi del pubblico era quasi palpabile.
Difficilmente mi è capitato di essere testimone di un silenzio così intenso come quello che ha segnato la fine di questa proiezione, mentre lasciavamo la sala, a testimonianza di quanto emotivamente impegnativo sia stato ciò che abbiamo visto poiché sì, è doloroso pensare che una persona così speciale sotto diversi punti di vista sia arrivata a sentirsi tanto disperata.

Il docufilm è davvero un pugno allo stomaco e fa capire fin troppo bene come genio e talento si siano pian piano quasi trasformati in una condanna aggravata da un costante senso di solitudine e vuoto affettivo (sentimenti tragicamente legati alla scomparsa della madre e alla scomparsa di Isabella Blow, amica e musa); fa capire come quei doni che privilegiano pochi esseri umani si siano trasformati in un vortice inarrestabile che ha poi inevitabilmente condotto Lee verso l’abisso, verso il baratro.

Per come si è sviluppata la sua vita, per Lee non esisteva epilogo diverso, molto probabilmente, ma questo mi fa sentire ancora più arrabbiata e quasi orfana. Leggi tutto

We Wear Culture, dal little black dress di Coco allo street style di Tokyo

We Wear Culture: la cover della sezione dedicata al virtual tour del Metropolitan Museum of Art

Tra i tanti vantaggi del web, uno dei miei preferiti è senza dubbio quello di aver ridotto i limiti fisici e geografici.

Per esempio, possiamo stare comodamente seduti alla nostra scrivania e contemporaneamente fare ricerche grazie a luoghi virtuali, biblioteche e librerie, archivi e musei. Oppure, possiamo rilassarci sul divano mentre chiacchieriamo in live chat con persone che si trovano dall’altra parte del mondo. O ancora, possiamo fare acquisti in pochi click.

Certo, a volte tutto ciò non basta: io, in questo periodo, mi struggo per il fatto di non poter essere a New York fisicamente, precisamente al Metropolitan Museum of Art dove si sta svolgendo la mostra Rei Kawakubo / Comme des Garçons: Art of the In-Between.

Non so cosa darei per visitare l’esposizione dedicata a una delle più importanti stiliste del Novecento, colei che nel 1969 ha fondato il brand Comme des Garçons e che insieme a Yohji Yamamoto e Issey Miyake forma l’eccezionale triade giapponese che, alla fine degli Anni Settanta, ha portato un grandissimo rinnovamento nella moda.

Qui, però, torna in ballo Internet e la sua capacità di essere un mezzo che ci dà infinite possibilità che sta a noi saper sfruttare al meglio: non posso teletrasportarmi a New York, è vero, ma grazie al web posso consultare il sito del Metropolitan, godere di filmati e gallery, leggere articoli, consultare reportage.

Ed è proprio in nome di tutto ciò che, oggi, sono molto felice di parlarvi di un progetto che si chiama We Wear Culture.

We Wear Culture ovvero Indossiamo la Cultura, in quanto ben tremila anni di storia del costume e della moda confluiscono in una sorta di sfilata (o vetrina, chiamatela come preferite) che debutta online in questi giorni.

Disponibile attraverso la piattaforma Google Arts & Culture, il progetto consente di esplorare stili e look di epoche diverse nonché le storie che sono alla base degli abiti che indossiamo oggigiorno: inoltre, pezzi iconici che hanno cambiato il modo di vestire di intere generazioni vengono letteralmente fatti vivere grazie alla realtà virtuale.

L’iniziativa è frutto di una collaborazione con oltre 180 istituzioni culturali di fama mondiale: tra i nomi italiani, figura il Museo del Tessuto di Prato e una selezione di tessuti proveniente proprio dalle collezioni antiche di tale Museo è ora disponibile online. Leggi tutto

Brexit, i miei pensieri tra sogni europeisti e british icon

Brexit… Leave or Remain? That is the question! (credit NextQuotidiano)

Non sono un’esperta né di politica né di economia: cerco di seguire entrambe perché mi interessano, ma la verità è che le notizie connesse spesso mi lasciano perplessa o disorientata.
Sulle questioni sociali sono molto decisa: se si tratta di condannare tragedie come gli omicidi di genere o di schierarmi per garantire uguaglianza di diritti a tutti, sono determinata e inflessibile, mentre su tante questioni politiche ed economiche sono dubbiosa e mi è più difficile farmi un’opinione definitiva e prendere una posizione assoluta.

Tutti sanno che il 23 giugno il Regno Unito ha votato sulla Brexit, ovvero l’uscita dall’Unione Europea.
Tutti sanno anche quale sia stato l’esito del referendum: il Leave ha prevalso con il 51,9% dei voti. I britannici che hanno votato Leave sono stati 17.410.742; il fronte Remain ha ottenuto 16.141.241 voti.
La Scozia, l’Irlanda del Nord e Londra hanno votato largamente per il Remain; il Leave ha prevalso nel resto d’Inghilterra e in Galles. Insomma, altro che… regno unito!

In parole povere, sarà Brexit, ovvero il Regno Unito lascerà l’UE.
E, intanto, gli effetti – tutti negativi, al momento – si fanno sentire.
La sterlina è andata a picco, Borse e mercati finanziari sono andati in rosso in tutto il mondo. Da giovedì scorso, regna una sensazione di incertezza per il futuro, soprattutto in campo economico.
David Cameron, il primo ministro britannico, si è dimesso.
L’Europa sta rispondendo a muso duro: Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione Europea, seguita a ribadire la volontà di iniziare immediatamente i negoziati con Londra (che temporeggia) in vista della Brexit.
Pare che Scozia e Irlanda del Nord siano decise a non seguire la maggioranza inglese nel divorzio da Bruxelles e si parla di referendum (in Scozia) per sancire il divorzio.
Intanto, i pentiti del Leave aumentano e qualcuno chiede che il referendum venga ripetuto.
È un bel disastro, insomma, un autentico terremoto che scuote non solo il Regno Unito e non solo l’Europa.

Ecco, questa è una di quelle questioni politiche ed economiche molto ingarbugliate e nella quale ci sono infinite variabili: lascio le analisi profonde a chi se ne intende, tuttavia vorrei esprimere tre pensieri abbastanza precisi, soprattutto dal punto di vista sociale e culturale. Leggi tutto

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