Anna Piaggi, eredità di una straordinaria visionaria della moda

C’era una volta una grande donna il cui nome era Anna Piaggi.
Sebbene io creda che nessuna definizione possa riuscire a rendere giustizia all’intelligenza, alla sensibilità, alla cultura, alla curiosità, ai mille interessi che l’hanno caratterizzata, dirò – per chi non la conoscesse – che era una straordinaria giornalista e scrittrice.
Leggenda della moda, esperta di stile, creativa, provocatrice quanto serviva (e servirebbe), anticipatrice di tendenze, collezionista seriale di vestiti, copricapi e accessori: queste sono altre espressioni che posso aggiungere per raccontare qualcosa di lei.

Oggi c’è invece una piccola donna che aspirerebbe a fare almeno una minima parte di ciò che la grande giornalista seppe realizzare in modo tanto magistrale e unico; uso il verbo aspirare nel senso che Anna Piaggi viene presa a modello, icona, punto di riferimento, ben sapendo quanto sarà impossibile emularla o ripetere il suo percorso.
È possibile, però, condividere la sua stessa visione.

La piccola donna in questione sono io, l’avrete capito, e lo scorso 26 settembre, a conclusione della Milano Fashion Week, ho passato un’incantevole e indimenticabile serata assistendo alla proiezione del docufilm Anna Piaggi – Una visionaria nella moda: l’opera, diretta dalla regista Alina Marazzi e interamente dedicata al mio grande mito, è stata proiettata presso l’Anteo spazioCinema in occasione del Fashion Film Festival Milano.

Anna Piaggi era nata a Milano nel 1931 ed era diventata giornalista di moda nei primi anni Sessanta, quando il mestiere era ancora agli albori.
Insieme al marito Alfa Castaldi, uno dei fotografi italiani più importanti, e con la collega Anna Riva, altra grande giornalista, la Piaggi gettò le basi di un mestiere, quello della redattrice di moda, che tutt’oggi deve molto (se non quasi tutto) a lei.
Fu fashion editor di Arianna, periodico femminile che fece da precursore; fu opinionista per Panorama e per L’Espresso; approdò a Vogue Italia e qui, nel 1988, creò la celeberrima rubrica D.P., ovvero le Doppie Pagine.
In quel suo spazio straordinario, la grande giornalista interpretava la moda e le tendenze facendo incontrare parole e immagini. I suoi editoriali erano sempre ricchi di riferimenti all’arte e alla letteratura tanto da farne una rubrica cult che continua a fare scuola.

La sua grandezza, però, non si limitava al giornalismo: Anna (spero mi verrà perdonato l’uso del nome proprio, cosa che faccio non per mancato rispetto ma al contrario per enorme affetto) collezionava di tutto e inventò il concetto di vintage quando ancora la parola non si applicava all’ambito moda e quando nessuno in Italia immaginava di comprare e indossare abiti usati.
Anche per questo, Anna Piaggi era – ed è – spesso definita come un personaggio colorato ed eccentrico e certamente lo era: tuttavia, è una descrizione limitata e riduttiva.
Se si va oltre, infatti, è possibile cogliere nei suoi outfit e nel modo di presentarsi al mondo l’immensità della sua conoscenza, la profonda preparazione, il gusto estetico: la Piaggi incarnava (anzi, incarna) la vocazione a una somma intelligente di esperienze, influenze e mode, non subendo il tutto bensì elaborandolo in un prodotto ad alto contenuto di creatività e personalità, tanto da essere capace di trascinare e ispirare designer e stilisti di tutto il mondo.
Perché Anna, oltre che di conoscenza e preparazione, era anche dotata di ironia e senso dello humor (caratteristiche che spesso accompagnano l’intelligenza) e lo è stata in un momento in cui il mondo della moda era molto serio se non austero (troverete qui sotto una frase dello stilista Jean-Charles de Castelbajac proprio a tal proposito): anche per questo gli stilisti la volevano come musa, come consulente, come occhio critico. Come amica.

Anna Piaggi cambiava più outfit nel corso della stessa giornata e si faceva scattare delle polaroid prima di uscire: nel caso in cui qualcuno stia pensando che con tali atteggiamenti ha aperto la strada alle varie blogger e influencer di oggi, tengo a fare alcune necessarie e doverose distinzioni.
Prima di tutto, la Piaggi privilegiava un proprio filo ideologico (e non indossava semplicemente cose prese in prestito dagli uffici stampa o dagli sponsor, tant’è che l’archivio che ha lasciato conta oltre 2500 capi di abbigliamento); poi, indossava cose, capi e colori mixandoli in abbinamenti che molti non avrebbero osato e che non oserebbero nemmeno oggi (inclusi copridivani, oggetti di design e tende che lei trasformava); e, infine, faceva uso di quintali di immaginazione e di gusto, entrambi assolutamente personali.

Non scriveva solo di moda, bensì faceva vivere la moda: nelle sue stupefacenti sovrapposizioni di materiali e di colori si poteva leggere il suo essere eclettica in modo ragionato nonché profondamente consapevole della moda e dei suoi codici. Le sue non erano accozzaglie, ma discorsi sapientemente articolati, stratificazioni non saccenti ma colte, provenienti da studio e conoscenza non solo della materia moda.
Anna Piaggi mostrava la sua personalità in uno stile tutto suo, ineguagliato e ineguagliabile, non imitabile, di grande spessore e dal forte carattere: per questo era una vera fashion icon e lo è ancora di più oggi in un mondo in cui marketing e vendite stanno opprimendo la natura più sognante e la dimensione più giocosa della moda.

A mostrarle la felice arte della contaminazione fu Vern Lambert, dandy della Swinging London anni Sessanta, l’altro uomo importante della sua vita insieme ad Alfa Castaldi: chi la conosceva bene, racconta che la Piaggi trovò in Vern il suo lato frivolo da coltivare parallelamente a quello colto offerto invece dal marito.
E anche in questo, Anna fu fuori da schemi e convenzioni.

Affascinò lo stilista Karl Lagerfeld che nel 1986 le dedicò il volume Anna chronique, trasformandola in una sorta di fumetto in una serie di avventure dal sapore onirico; nel 2006, il prestigioso Victoria and Albert Museum di Londra le dedicò una mostra intitolata Anna Piaggi: Fashion-ology.

Oggi tocca ad Alina Marazzi raccontare Anna Piaggi e il suo ruolo di testimone di quella contaminazione tra arte, società e cultura che ha cambiato la moda.

Il film – che non poteva che descrivere Anna come una visionaria – ripercorre la storia di questa giornalista d’eccezione, toccando le città capitali della moda, da Parigi a Milano passando per Londra.
Ad accompagnare il racconto ci sono immagini e fotografie – molte inedite – provenienti dall’archivio fotografico di Alfa Castaldi, Ugo Mulas, Bardo Fabiani e altri ancora.

E poi ci sono le testimonianze di alcuni tra gli stilisti più conosciuti e che furono suoi amici.
Come, per esempio, quella del già citato Lagerfeld che afferma «Anna crea qualcosa di nuovo ogni mattina e penso che combattere la banalità quotidiana sia una cosa bellissima».
Gli fa eco Manolo Blahník: «Quando l’ho vista per la prima volta mi sono detto chi è quella creatura divina? Devo conoscerla. Siamo stati amici per 45 anni».
E Jean-Charles de Castelbajac aggiunge che alle sfilate in cui le giornaliste erano tutte vestite di nero «la sua presenza coloratissima era un atto di resistenza coraggiosa». E si chiede quale ruolo avrebbe Anna nella società contemporanea: «Sarei molto curioso di vedere il suo profilo Instagram», dice con un lampo negli occhi.
Oh, piacerebbe tanto anche a me, perché questo vorrebbe dire averla ancora qui, con noi, anziché sentirmi un po’ orfana da quel maledetto 7 agosto 2012, il giorno della sua scomparsa.

Sapete, voglio credere con tutta me stessa alle parole di Bill Cunningham, fotografo e fashion editor, altra grandissima icona e altro mio grandissimo modello tristemente scomparso lo scorso 25 giugno (qui il mio omaggio).
Mr. Cunningham, che aveva ritratto la Piaggi, disse di lei qualcosa di particolarmente significativo.
«Anna lavorava con gli abiti come i pittori con i tubetti di colore. Tra un secolo a nessuno importerà nulla della moda commerciale: vorranno sapere invece chi era quella donna.»
Lo spero con tutta me stessa e spero anche che non debba passare così tanto tempo affinché la moda come arte vinca sulla moda commerciale, secondo la visione di Anna Piaggi e secondo la mia – con le dovute proporzioni e con la dovuta umiltà, naturalmente.

Spero che l’ottimo film della Marazzi (qui in un mio scatto prima della proiezione del film) possa essere un contributo in tal senso e vi invito a guardarlo appena ne avrete l’occasione.
Ne vale la pena, credetemi, e non solo per chi ama la moda: è uno spaccato efficace e affascinante di costume e società.

Io mi sono emozionata e divertita; ho anche notato con piacere che la sala era piena e che c’era una partecipazione attenta e affettuosa.
Quella sera del 26 settembre erano presenti parecchi giornalisti e tanti tra loro hanno avuto il piacere di conoscere Anna Piaggi di persona: è stato bello vedere come lei abbia saputo lasciare un’eredità umana e dunque fatta non solo di abiti e accessori.
Ed è stato bello ascoltare le parole piene di stima e di affetto da parte di tante persone importanti e significative del mondo della moda: credo che ogni fashion editor – e io per prima, lo ripeto – aspiri a fare almeno la centesima parte di tutto ciò che ha realizzato lei.

Spero infine che Milano renda presto il giusto omaggio alla sua illustre cittadina, dando una casa al meraviglioso archivio da lei lasciato, offrendo un luogo dove l’eredità di Anna possa essere visibile e consultabile da tutti coloro che hanno quella certa visione della moda.
Nonché quella sana e intelligente curiosità verso la vita, senza preconcetti.

Manu

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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