Gender gap vs women empowerment: la moda non è un lavoro per donne?

È da un bel po’ (precisamente da qualche mese) che medito sul contenuto di un articolo di Pambianco.

Dovete sapere che detta rivista è una delle mie preferite e che non manca mai tra le letture quotidiane: dunque, se intitola un articolo ‘Allarme gender gap, la moda non è un lavoro per donne’, ecco che Pambianco attira immediatamente la mia attenzione anche perché si tratta di un argomento che mi sta particolarmente a cuore.

Cosa sostiene l’autorevole magazine nell’articolo datato 22 maggio?

Viene citato uno studio intitolato ‘The glass runway’, redatto dal Council of Fashion Designers of America (CFDA), Glamour e McKinsey & Company: in questo studio si afferma che, sebbene le donne rappresentino l’85% delle laureate presso i principali istituti di moda americani, i ruoli chiave ricoperti da nomi femminili sono ben pochi.

Il mondo della moda – rincara la dose Pambianco – ha recentemente mostrato interesse per le diversità di orientamento sessuale e di taglia, ma non abbastanza per il gender gap.

Con gender gap si intende l’insieme di tutte quelle differenze che si riscontrano a livello di condizioni economiche e sociali (dall’istruzione fino all’accesso al lavoro) e che influenzano la vita degli esseri umani in base al loro genere di appartenenza: in parole povere, parliamo di disparità di condizione tra uomini e donne.
E generalmente, quando si parla di gender gap, si tende (purtroppo) a osservare l’esistenza di maggiori penalizzazioni a sfavore delle donne rispetto agli uomini.

«Non ne parliamo molto perché c’è la sensazione che tutti ne siano già a conoscenza, ma a volte è necessario dire qualcosa affinché le persone non facciano finta sia un problema inesistente», ha dichiarato Diane von Fürstenberg, presidente dello stesso CFDA.

I dati contenuti nello studio ‘The glass runway’ sono alquanto desolanti. Leggi tutto

La Moda aiuta il Duomo e instaura un dialogo tra apparenza ed essenza

Ho espresso più volte, qui e in altre sedi, il mio entusiasmo per il fermento che sta animando Milano.

Sono felice di cogliere e sottolineare tutta una serie di elementi concreti che mi fanno ben sperare che la mia città torni a essere una delle protagoniste della vita culturale e sociale italiana: talvolta, mi sono spinta fino a esprimere il sogno di un nuovo Rinascimento.

Non mi pento di queste parole e di queste speranze, anzi, le riconfermo proprio ora: in questi giorni, la città è piacevolmente invasa dal movimento generato dal Salone del Mobile e dalla Design Week e devo dire che si respira un’atmosfera bellissima, allegra, vivace e vitale. Come se ciò non bastasse, giovedì mattina ho partecipato all’inaugurazione di un evento che ha dato ancor più senso al mio entusiasmo in quanto unisce due dei miei grandi amori, quello per Milano – appunto – e quello per la Moda (questa è una delle occasioni in cui il termine va scritto con la M maiuscola).

Da buona milanese, quando parlo di amore per la mia città non posso non pensare al Duomo, una delle più grandi cattedrali gotiche in Italia e in Europa.

Il Duomo è il simbolo che rappresenta il capoluogo lombardo nel mondo grazie a una straordinaria architettura frutto di una storia secolare: generazione dopo generazione, epoca dopo epoca, lo scorrere del tempo ha scolpito e plasmato il marmo della Cattedrale, unendo tecniche e soluzioni ideate e realizzate da sapienti artisti e artigiani. Leggi tutto

Cruelty free, made in Italy, reshoring: siamo tutti oche?

Sembrerebbe che cruelty free sia diventata un’espressione molto in voga. Non solo: oggi, tantissimi parlano di made in Italy e di rientro in patria dei siti produttivi (ovvero il processo di reshoring o back reshoring), siti che in molti casi erano stati delocalizzati all’estero.

Desidero esprimere la mia opinione su tutto ciò, sebbene mi renda conto che sia pericoloso quanto avventurarsi su un campo minato o su una sottile lastra di ghiaccio: scontenterò molti, temo, in un senso e nell’altro, eppure – come sempre – non voglio rinunciare a essere sincera e trasparente.

Vi preannuncio che in questo post troverete molte domande, poche risposte e un certo numero di provocazioni. Tengo anche a precisare che non è una predica: non è questo ciò mi interessa e non potrei nemmeno farne.

È solo una riflessione a voce alta che mi va di condividere, perché, partendo dal cruelty free, vorrei mettere sul tavolo un po’ di spunti sia dal punto di vista degli animalisti sia dal punto di vista di chi sostiene l’uso dei prodotti di origine animale, fino ad arrivare a made in Italy, filiere, delocalizzazione e successivo reshoring. Leggi tutto

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