Volevo (e voglio) una 2.55 (Chanel, naturalmente)

C’è chi, durante l’infanzia, ha sognato di poter un giorno diventare ballerina, infermiera, pompiere o astronauta; c’è chi, durante l’adolescenza, ha sognato di sposare Simon Le Bon (ricordate il famoso film?).
E c’è chi, invece, da bambina, da adolescente e da adulta, ha coltivato e continua a coltivare imperterrita un sogno: possedere una 2.55, precisamente una 2.55 Chanel.
È un sogno che sembra materiale e terreno ma, in realtà, è utopico (o almeno lo è per me e le mie finanze) quasi quanto desiderare di fare l’astronauta, viste le quotazioni di questa celeberrima borsa.
Ebbene sì, lo confesso: perfino una come me, innamorata delle nuove leve e del made in Italy, sogna di possedere una borsa non nuova come concetto (è nata nel febbraio 1955, come simboleggiato dal nome stesso) e per giunta made in France.
Il perché è presto detto.
Prima di tutto, tale borsa soddisfa un’altra mia passione che affianca quella per nuove leve e made in Italy: amo il talento qualsiasi forma esso abbia e la 2.55 è uno dei segni tangibili del talento, della capacità e del genio di una donna per la quale nutro immensa stima, ovvero Coco Chanel.
Se poi riuscissi ad accaparrarmi una 2.55 vintage sarebbe il massimo, visto che il vintage è l’altro cardine della mia grande passione per la moda: sarebbe soddisfare due criteri su quattro (in alto in foto, una 2.55 Classic Flap detta anche 2.88, il restyling voluto da Karl Lagerfeld negli anni ’80).
Dunque, il mio non è semplice desiderio di uno status symbol: amo la donna che ha inventato questa borsa, amo Coco e la sua storia che, ancora oggi, è in grado di insegnare molte cose.
Per esempio, quale forza possa avere il talento, appunto; come esso possa riscattare una persona da un destino non proprio favorevole; come una donna possa cambiare la vita di milioni di altre anche attraverso la moda. Coco dimostra che la moda è esattamente quella che amo io, un linguaggio, un codice, un segno dei tempi e di tempi che possono essere cambiati, anzi, rivoluzionati.
Coco è a mio avviso una delle pochissime a meritare il termine icona: dobbiamo ringraziare lei per molte cose, dobbiamo dire grazie a lei per una certa idea di eleganza, per la giacca e il tailleur costruiti in un certo modo, per il little black dress, per le scarpe col cinturino alla caviglia (le slingback passate alla storia col nome Chanel), per profumi eterni come Chanel N°5 e N°19, per i gioielli fantasia andati a rimpiazzare le pietre preziose spesso irraggiungibili. Così, giusto per citare solo alcune delle innovazioni delle quali fu fautrice e portatrice.
Avevo già raccontato il mio amore per la 2.55 in un’altra occasione quasi tre anni fa qui sul blog e, se avete voglia di leggere un mio piccolo omaggio, vi invito a leggere l’articolo che ho scritto recentemente per SoMagazine e che tra l’altro include anche la genesi di questa borsa: anche se conoscete già la storia di Coco, potrete forse trovare qualche curiosità sulla donna che, prima ancora di essere stilista e imprenditrice, era soprattutto questo, una donna. Una donna con debolezze, amori, solitudini, manie: la sua grandezza è stata trasformare tutto ciò in un successo incancellabile.
E se qualcuno volesse rimproverarmi di essere troppo sentimentale, allora metto in tavola la carta dell’economia: investire nell’oro o in Borsa (quella con la B maiuscola) può essere oggi molto rischioso a causa delle oscillazioni dei mercati, mentre acquistare una borsa iconica rappresenterebbe una garanzia per il futuro.
Ad affermarlo è uno studio realizzato dal sito americano BagHunter e riportato dall’autorevole quotidiano britannico The Independent: lo studio dimostra come oggetti rari e preziosi tra i quali le it-bag non siano mai scesi di valore, neanche durante i periodi di recessione e di difficoltà economica. Insomma, perfino le fredde logiche di mercato danno ragione al mio desiderio!
Dimenticavo, piccola nota a proposito del titolo di questo post: so che il verbo volere non andrebbe usato perché “L’erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re”, come diceva mia nonna. Lo so e mi scuso, ma in questo caso non riesco a usare altra voce verbale, non riesco a smorzare il mio desiderio: questa è una vera e propria dichiarazione d’intenti.
Per questa volta, adotto il motto “Volere è potere” e ancor di più il “Vòlli, e vòlli sèmpre, e fortissimaménte vòlli” di Vittorio Alfieri (e non me ne vogliano né mia nonna, pace all’anima sua, né i puristi della letteratura).
Ebbene sì, cara 2.55, un giorno sarai mia. E, per oggi, non metto nemmeno il forse.

Manu

 

Concludo con due video, due regali per tutti gli estimatori di Coco: il primo è un collage di vari filmati d’epoca che mostrano sfilate Chanel dagli anni ’30 fino al 1983, anno di ingresso di Karl Lagerfeld nella maison (e infatti lo si vede, molto più giovane); il secondo è una video biografia con spezzoni di interviste originali che mostrano la stilista come una donna volitiva e a tratti burbera.
Desidero condividerli con voi sperando che vi facciano sognare per qualche minuto così come hanno fatto sognare me.

 

 

Una donna che non è amata è una nullità – Coco Chanel

(Le femministe prendano questa frase per il verso giusto. Coco intendeva, a mio avviso, sottolineare l’importanza del lato umano: lei, donna d’affari che aveva liberato le donne da tanti luoghi comuni, non fu mai felice in amore, non in maniera duratura. Ammettere che l’amore è fondamentale è un grande gesto d’umiltà che mi fa amare ancora di più questa donna e le sue umanissime debolezze.)

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

Glittering comments

Matteo
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Confesso: non mi aveva mai fatto impazzire. Poi un giorno, andando in centro in giro con mia madre, entrammo da Chanel e una commessa molto gentile ci spiegò la storia della borsa (la tasca per le lettere, l’ispirazione dalle giacche dei fantini, e tante altre cose che probabilmente non ricordo e immagino tu abbia scritto nel post che linki). Uscii da Chanel pensando che, se fossi stato una donna, me la sarei comprata subito, per tentare di far miei un prodotto, una storia e quindi tutto il concetto che c’era dietro alla borsa, più che la borsa in sè.
è molto bella anche la tua interpretazione finale della frase di Chanel.

PS: tra l’altro anch’io-tempo addietro- scrissi un pezzo sui beni di lusso che avevano aumenti di prezzi degni degli andamenti dei migliori titoli!

Manu
Reply

Caro Matteo,
Non sai che gioia sia per me ospitarti qui sul blog: avere un parere maschile – e per giunta esposto in maniera così interessante e acuta – mi fa un gran piacere!
Ammettiamolo: in fondo, potrebbero esistere borse più accattivanti o vistose della 2.55 che è piuttosto austera, se vogliamo, con nessun fronzolo (almeno nella sua versione originale, oggi ne esistono versioni molto eccentriche ma devo dire che a me non interessano particolarmente).
La borsa incarnava e incarna completamente la visione di Mademoiselle: elegante e utile, pratica e che lasciasse libere le mani (secondo la sua moderna visione di emancipazione femminile), con dettagli ispirati alla sua vita, ai suoi ricordi e alle sue esperienze, come giustamente scrivi tu e come racconto in dettaglio nel mio articolo per SoMagazine.
Coco Chanel trovava fuori luogo tutte le esagerazioni e ciò si rifletteva perfino nei nomi scelti per alcune delle sue creazioni più celebri: lo fece coi profumi (per esempio con N°5 perché trovava ridicoli i nomi altisonanti dei profumi dell’epoca e dunque decise di chiamare la sua fragranza con un semplice numero e, visto che corrispondeva alla quinta proposta olfattiva presentatale dal naso Ernest Beaux, il profumo venne chiamato proprio così) e lo fece con questa borsa (chiamata semplicemente col mese e l’anno della sua creazione traslati in cifre).
Per tutti questi motivi e per la sua eleganza non vistosa, la 2.55 è una borsa che si sceglie essenzialmente per due motivi: perché la si considera lo status symbol di una maison leggendaria oppure perché ci si innamora della storia e di tutto quello che sta dietro, esattamente come racconti tu ed esattamente come la vedo io. E sai una cosa? Credo che Mademoiselle avrebbe amato che fosse scelta non come status symbol ma per il secondo motivo in quanto non amava affatto il lusso fine a sé stesso.
Hai capito molto bene il mio desiderio, caro Matteo, e – ripeto – mi fa piacere che a saper comprendere sia stato un uomo: bellissima (e perfetta) la tua motivazione per comprarla subito.
Mi fa anche piacere che ti sia piaciuta la mia interpretazione della frase di Coco Chanel.
Grazie, di tutto.
Buon sabato,
Manu

P.S.: mi farebbe piacere leggere il tuo pezzo sui beni di lusso. Se hai modo o tempo, fammi avere il link magari copiandolo qui sotto: credo possa essere d’interesse anche per altre persone.

Matteo
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Grazie Manu, è proprio così, tant’è che al tempo si pensò -dopo un segone, passami il termine!, intellettual/concettuale, di orientarsi verso la reissue, senza logo.

Il pezzo è lui: http://buonecosedipessimogusto.com/2014/05/23/due-domande/

Grazie per la rispostona, ti auguro una buona domenica!
Matteo

Manu
Reply

Rieccomi, Matteo, e scusa per l’assenza.
Diciamo che ho avuto qualche giornata complicata…
Tornando a noi: ho letto il tuo pezzo e ti ringrazio. Molto, molto interessante.
Posso dirti una cosa? Hai il dono di rendere piacevole uno scritto che, di suo, è piuttosto impegnativo: bravo, è una dote di pochi. Sei riuscito anche a farmi sorridere in un paio di passaggi.
Hai fatto un’analisi davvero ottima e l’ho letta con piacere e interesse. E in realtà sto leggendo anche altri tuoi pezzi perché mi piace il tuo stile.
Buona serata e buona settimana,
Manu

P.S.(1): Capisco che, alla fine, la 2.55 l’avete comprata. E che avete comprato la Reissue. Ottima scelta! Adoro e invidio, dunque non darmi il tuo indirizzo o tento la rapina 😀
P.S.(2): Eccome se ti passo il termine segone. Io sono la regina (purtroppo) dei segoni intelletual/concettuali 😉

Matteo

Ciao Manu, spero si sia risolto tutto 😀
Grazie mille per i complimenti, diciamo mi piacerebbe scrivere di più ma sono abbastanza dispersivo.

(Purtroppo, però, no: non abbiamo comprato la reissue. E neanche la 2.88 -si chiama così, giusto?-, avevo omesso questo piccolo particolare! 😉 )

Buona settimana a te!

Manu

Si va a periodi, anch’io a volte sono dispersiva (tipo oggi).
L’importante è la qualità, comunque: la quantità, in fondo, è secondaria. E tu la qualità ce l’hai.
Buona settimana anche a te,
Manu

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