Francesca Liberatore FW 2024-25, viaggio tra opera d’arte totale e punk

Era il lontano settembre 2011 quando mi venne data la possibilità di assistere per la prima volta a una sfilata di Francesca Liberatore.

All’epoca, ovvero quasi 13 anni fa, Francesca era davvero giovanissima. Eppure, dopo la laurea in una delle università di moda più prestigiose, la Central Saint Martins di Londra, aveva già avuto diverse esperienze negli uffici stile di alcune maison altrettanto prestigiose. Cito Viktor & Rolf ad Amsterdam e Jean Paul Gaultier a Parigi. E aveva anche già vinto il concorso Next Generation (promosso dalla Camera Nazionale della Moda Italiana) grazie alla sua prima collezione individuale.

Quel giorno di settembre 2011, Francesca mi colpì e mi conquistò immediatamente con la sua visione della moda. Lo stesso accadde quando ebbi l’opportunità di vedere nuovamente dal vivo un’altra sua collezione, in febbraio 2014.

Da allora, purtroppo, ammetto di averla persa di vista. Un po’ perché, grazie al concorso mondiale DHL Exported vinto in settembre 2014, Francesca ha sfilato per sette stagioni a New York. E un po’ perché, da quando è tornata sulle passerelle milanesi, altri impegni lavorativi non mi hanno consentito di poter essere presente alle sue sfilate.

Così, quando ho ricevuto l’invito per la sfilata autunno / inverno 2024-25, non ho avuto un attimo di esitazione.

Ho subito pensato che fosse giunto il momento di tornare a vedere, finalmente, una sfilata della stilista che mi aveva conquistata nel 2011. E – lo confesso – ero molto curiosa di vedere come si fosse sviluppato il suo percorso. E il suo linguaggio fatto di abiti, tagli, forme e colori.

Prima di tutto, voglio sottolineare come Francesca Liberatore abbia voluto realizzare un evento che ha unito addetti ai lavori e pubblico.

Se, per esempio, nella stessa edizione della Milano Fashion Week, un marchio come Diesel ha deciso di democratizzare la solennità della settimana sperimentando un nuovo format (ospiti fisici posti davanti a enormi schermi attraverso i quali spettatori digitali apparivano in un mosaico di minuscole finestre), Francesca ha invece preferito unire tutti in un unico posto fisico.

Domenica 26 febbraio, la stilista ha dunque accolto giornalisti, clienti e fan nel tempio milanese della musica classica: il Conservatorio. La Sala Verdi ha ospitato una performance che ha unito gli abiti della stilista e la musica della Alpen Symphonie Orchester.

Il tutto è avvenuto grazie alla Fondazione Società dei Concerti di Milano e con il patrocinio del Comune di Milano.

Francesca Liberatore FW 2024-25
Francesca Liberatore FW 2024-25

Insomma, già dalle premesse, Francesca Liberatore ha voluto lanciare un messaggio: il suo brand crede fortemente nel lavoro costante come anche nell’esperienza collettiva.

Nel connubio tra moda, musica e arte, le modelle si sono mosse tra giornalisti, pubblico, orchestra (anch’essa in total look Francesca Liberatore) in un continuo dialogo di estetiche e simbologie. Scopo ultimo? Suggellare i valori di fruibilità, unione e forza delle arti congiunte.

«Questa è un’iniziativa senza eguali nella quale realmente la musica e la moda si presentano come linguaggi diversi di un’unica arte: i professori d’orchestra diventano anch’essi attori protagonisti della sfilata, diretti dal giovane direttore svizzero Federico Frigo, eseguendo due brani di F. J. Haydn e W. A. Mozart, mentre l’apertura ai timpani è affidata a Sebastiano Cabassi».

È la dichiarazione rilasciata da Enrica Ciccarelli Mormone, Presidente della Società dei Concerti. E io non posso fare altro che sottoscrivere il suo pensiero.

Così come sottoscrivo le parole di Klaus Broz, direttore artistico della Alpen Symphonie Orchester.

«Fare arte significa in primis aprirsi alla contaminazione di idee, stili e personalità – ha spiegato Broz – e noi siamo davvero emozionati di entrare in contatto con un mondo così affascinante come quello della moda diventando al contempo modelli e interpreti di una rinnovata Gesamtkunstwerk».

Gesamtkunstwerk significa opera d’arte totale in tedesco. In altre parole, è l’ideale di teatro in cui convergono musica, drammaturgia, coreutica (tutto ciò che riguarda la danza), poesia, arti figurative. Il tutto ha il fine di realizzare una perfetta sintesi delle diverse arti, ovvero esattamente ciò che Francesca Liberatore è riuscita a proporre.

Francesca Liberatore FW 2024-25: al centro, in nero, la stilista
Francesca Liberatore FW 2024-25: al centro, in nero, la stilista

E i capi? Cosa ho visto sfilare?

Nella collezione FW 24-25, abiti total black fanno da contraltare ad abiti coloratissimi.

Nelle gonne a pannelli, il nero incornicia le foglie mentre il tartan si mischia a fantasie geometriche (che mi hanno ricordato i mandala) o ancora a stampe patchwork.

Ho visto seta e lavorazioni jacquard. E ho visto il bomber prendere il posto del blazer, assumendo il ruolo di leader del guardaroba immaginato da Francesca. Un guardaroba che, in definitiva, è dinamico, facile, confortevole.

Scommetto che avete voglia di farmi una domanda… sei stata dunque contenta di essere stata presente alla sfilata?

Sì, lo sono stata e lo sono. Francesca ha soddisfatto le mie aspettative confermando di essere una designer contemporanea e poliedrica.

Vorrei aggiungere qualcosa a proposito degli abiti total black.

Alcuni commentatori dicono che, in generale, da molte stagioni a questa parte, non si vedevano sfilare così tanti outfit rigorosamente total black come in questa Milano Fashion Week.

«Quando non sappiamo cosa metterci, quando non vogliamo scegliere, quando non ne abbiamo la forza, quando non vogliamo dare nell’occhio, quando vogliamo sembrare eleganti senza sforzarci troppo, quando vogliamo mettere noi stessi davanti all’abito, quando vogliamo sentirci in una botte di ferro, quando vogliamo azzerare le possibilità di critica, quando preferiamo la strada vecchia rispetto alla nuova, quando cerchiamo una divisa di buon gusto, quando chiediamo sottovoce approvazione: la risposta è un abito nero.»

A scriverlo è Federico Rocca per Vanity Fair, aggiungendo che «la nostra attuale fragilità è direttamente proporzionale al numero di look total black sulle passerelle».

Posso dirlo? Pur con tutto il rispetto e la stima per Rocca… non sono d’accordo con lui. O almeno non completamente.

Perché per me – e non solo per me – il nero non è il colore con cui «chiediamo sottovoce approvazione». È il colore che indossiamo «quando vogliamo mettere noi stessi davanti all’abito» – sì, questo sì.

Al nero non serve affatto né permesso né approvazione. Il nero afferma noi stessi. E lo fa senza fronzoli.

È il colore dell’eleganza senza tempo. È il colore scelto da alcuni dei più grandi stilisti per i propri capi più eleganti o più forti o addirittura per quelli identificativi. Penso, per esempio, alla Rei Kawakubo degli esordi, a Yohji Yamamoto (!) e ad altri stilisti giapponesi. Oppure penso a Rick Owens.

Però… è vero, quello che viviamo è un periodo complesso. E il nero interpreta anche la complessità nonché la difficoltà o l’impossibilità di essere felici se in tanti luoghi del mondo regna l’oscurità delle guerre e delle ingiustizie.

Ed è proprio nella coesistenza di capi total black e capi coloratissimi che risiede, a mio avviso, la rilevanza della collezione di Francesca Liberatore perché tale alternanza rappresenta perfettamente il dualismo dei nostri tempi.

Ovvero rappresenta la relazione che oppone complessità e speranza. Per questo motivo affermo che Francesca è una stilista contemporanea e poliedrica: ha colto la contrapposizione e ha saputo rappresentarla attraverso i suoi abiti.

E vi dirò di più.

Mentre ero seduta ad ascoltare la musica e a osservare capi e modelle, Francesca è riuscita a farmi pensare ad alcune altre cose.

Ho pensato a Elsa Schiaparelli, al periodo della Space Age, al punk, a Vivienne Westwood. E anche a quale valore possa avere oggi la mediazione tra stilisti e pubblico che, fino a non molto tempo fa, veniva affidata al lavoro dei giornalisti di moda.

Se mi regalate ancora qualche altro attimo del vostro tempo, vi racconto meglio il tutto.

E parto, in realtà, dall’ultimo punto.

Francesca Liberatore FW 2024-25
Francesca Liberatore FW 2024-25

Quanto vale (se ancora vale) la mediazione giornalistica tra stilisti e pubblico?

Sia ben chiaro da subito: non faccio parte di quegli spocchiosi che non credono nella democratizzazione della moda.

Ma, così come in altri ambiti mi piace affidarmi agli esperti (un critico arte per godere appieno di una mostra, un analista politico per comprendere meglio questioni nazionali e internazionali complesse), credo che si possa fare il medesimo ragionamento con la moda.

Mi spiego meglio.

Nel comunicato destinato ai fashion editor (tra i quali la sottoscritta), Francesca ha dato una splendida spiegazione.

«I miei sono dei test, delle esperienze sconosciute che desidero vivere e far vivere al mio pubblico proprio in funzione di quella creatività che presuppone il nuovo e quindi l’imprevedibilità del risultato finale che spero sempre possa aggiungere qualcosa alla visione ed emozionalità collettiva».

Tant’è che – mi hanno detto – parte del pubblico era stato dotato di tablet che, attraverso le inquadrature di quattro telecamere, hanno permesso di ammirare i dettagli degli abiti di Francesca. E quindi di apprezzarli e comprenderli meglio.

L’operazione sembra essere riuscita e, lunedì, ho letto un post nell’account Instagram di Francesca con il quale lei ringraziava il pubblico per i riscontri ricevuti. Scrivendo tra le altre cose (e giustamente) «questa non è una pagina di giornale a pagamento, questa è la magia della realtà».

Francesca Liberatore FW 2024-25
Francesca Liberatore FW 2024-25

Dopo aver letto quel post, ho pensato di aver avuto la risposta al quesito che mi ero posta domenica pomeriggio assistendo alla sfilata.

La mediazione giornalistica tra stilista e pubblico non serve più a nulla, mi sono detta.

Ma poi, lo stesso giorno, ho avuto lezione con i miei studenti.

Alcuni di loro mi hanno raccontato di essere stati tra gli invitati alla sfilata. E una delle studentesse mi ha detto «tutto bello, prof, ma le confesso che avrei voluto che qualcuno mi spiegasse il significato dietro la sfilata e il senso di alcune scelte».

E, tutto d’un tratto, la mia prospettiva è cambiata nuovamente.

Magari non interessa a tutti, è vero. Forse per tanti conta unicamente (e giustamente) l’abito e molto meno cosa possa esserci dietro. Magari siamo tutti stufi di troppi concetti appiccicati a ogni costo agli abiti. Eppure gli abiti sono anche questo: pensieri trasformati in stoffe, colori, tagli, forme. Sono manifesti di pensieri e parlano di noi molto prima che noi apriamo bocca.

Francesca Liberatore è una stilista che si presta molto a questo tipo di visione. La sua moda è fatta di abiti, certo, ma anche di pensieri. Di storie, di storytelling e (forse) ci sono persone – come la mia studentessa – che sono interessati a conoscere anche queste storie e questi pensieri.

E se tutto ciò è vero… allora forse il lavoro di persone come me serve ancora un pochino.

Se siete stufi di pensieri e parole, non andate oltre (e grazie di cuore per essere arrivati fin qui). Ci sono, fin qui, motivi più che sufficienti per amare i capi di Francesca Liberatore. Non serve altro.

Ma, per chi vuole andare ancora oltre, vorrei raccontare perché ho pensato a Elsa Schiaparelli. Al periodo della Space Age. E, infine, al punk e a Vivienne Westwood.

Francesca Liberatore FW 2024-25
Francesca Liberatore FW 2024-25

Elsa Schiaparelli e il matrimonio tra moda e arte

La storia della moda è importante. Non solo per conoscere il passato, ma anche per avere basi solide per comprendere il presente.

Quando parlo di storia della moda e arrivo agli Anni Trenta del Novecento, gli studenti restano affascinati da Elsa Schiaparelli (1890-1973).

La giovane Elsa studia filosofia sognando di diventare una poetessa. Poi, durante la Prima Guerra Mondiale, si ritrova a New York dove comincia a frequentare gli artisti delle varie avanguardie. A Parigi ha successivamente il primo contatto con la moda: il suo debutto avviene con delle maglie trompe l’oeil che simulano colletti e fiocchi in realtà inesistenti.

Anticonformista, dotata di fantasia e creatività irrefrenabili, Elsa crede fortemente nel connubio tra arte e moda. Si ispira alle opere di Salvador Dalí e Pablo Picasso e lavora con loro. Realizza capi e accessori come cappelli surreali a forma di scarpa ed esplora l’uso di nuovi tessuti e materiali.

Il 13 agosto 1934 il settimanale Time le dedica la copertina. È la prima donna creatrice di moda ad aver mai ottenuto questo onore.

L’articolo la definisce «uno degli arbitri dell’ultramoderna Haute Couture».

Potrei parlare di lei per ore, dall’abito Scheletro del 1938 (realizzato in collaborazione con Dalì e considerato all’epoca un oltraggio al buon gusto, mentre è stato in seguito fonte di ispirazione per altri stilisti) fino al profumo Shocking de Schiaparelli per il quale Elsa chiede alla scultrice Leonor Fini di creare un flacone basato sulle forme del corpo dell’attrice Mae West.

Potrei continuare, ripeto, ma ora torno invece a parlare di Francesca Liberatore.

Perché il punto è che io credo che la visione in ottica Gesamtkunstwerk di Francesca, ovvero la realizzazione di una perfetta sintesi delle diverse arti, sarebbe piaciuta molto a un’illustre pioniera quale è stata Elsa Schiaparelli.

Credo che, dall’Olimpo degli stilisti nel quale spero si trovi, Elsa abbia sorriso.

E credo che si sia divertita quanto me sentendo le note di Haydn e Mozart accompagnare gli abiti di Francesca.

Francesca Liberatore FW 2024-25
Francesca Liberatore FW 2024-25

Il periodo della Space Age nella moda

Sempre parlando di storia della moda… Il primo viaggio nello spazio (12 aprile 1961 con Yuri Gagarin) e il primo uomo sulla luna (20 luglio 1969 con Neil Armstrong) sono eventi che hanno affascinato alcuni couturier che, proprio negli Anni Sessanta, hanno portato forme futuristiche e materiali inusuali nella moda.

Tra questi couturier ci sono stati Pierre Cardin (1922 – 2020), Paco Rabanne (1934 – 2023) e André Courrèges (1923 – 2016), rappresentanti della cosiddetta Space Age.

Perché ho pensato a questo periodo?

Perché Francesca ha messo in testa ad alcune sue modelle delle strutture che hanno incuriosito i miei studenti: perché quelle strutture?

Vi do la mia risposta: le strutture di Francesca a me hanno fatto tornare in mente le creazioni del trio della Space Age.

Per esempio, ho pensato a una collezione di Pierre Cardin presentata con modelle che indossavano strutture trasparenti come quelle delle modelle di Francesca. E che, secondo la visione di Cardin, ricordavano i caschi spaziali.

Se negli Anni Sessanta ci si chiedeva come ci si sarebbe vestiti una volta “in orbita”… ecco, forse quel futuro non è ancora arrivato o non è ancora così universale, ma sicuramente noi viviamo parte di quel futuro immaginato da Cardin e compagni.

E Francesca ci ha fatto riassaporare tutto ciò, riconfermando l’importanza dei riferimenti e dei richiami tra storia della moda e contemporaneità.

Francesca Liberatore FW 2024-25 / sotto: i <em>“caschi spaziali”</em> di Francesca in un mio scatto
Francesca Liberatore FW 2024-25 / sotto: i “caschi spaziali” di Francesca in un mio scatto

Last but not least… dal punk a Vivienne Westwood

Oltre a Schiaparelli e alla Space Age, Francesca è riuscita a farmi pensare anche al punk e a Vivienne Westwood (1941 – 2022), donna che non ha bisogno di particolari presentazioni.

La sua scomparsa è ancora molto recente insieme al dolore che ha accompagnato la sua dipartita avvenuta il 29 dicembre 2022. Ha influenzato la moda dagli Anni Settanta fino all’ultimo giorno della sua vita (e oltre). Ed è stata un’attivista in vari ambiti incluso quello della moda etica.

«Buy less, choose well, make it last» è stato il suo motto.

I suoi modelli hanno tratto ispirazione dalla moda di strada e dal mondo giovanile, ma anche da tradizione e tecnica.

Prendendo vari spunti dalla storia del costume, la sua costante ricerca ha esplorato e riproposto capi quali il corsetto, il faux-cul, la crinolina, ovvero elementi che sembravano sepolti in un tempo lontano e che lei ha modernizzato. Anzi, che ha dissacrato e completamente trasformato.

Ha fatto la stessa cosa con vari simboli della società britannica, usandoli in modo sarcastico. E ha anche reinterpretato tessuti classici come il tweed e tradizionali come il tartan scozzese.

Non solo: Westwood è riconosciuta come madrina del movimento punk del quale ha contribuito a creare l’estetica.

Francesca Liberatore mi ha fatto pensare a Vivienne Westwood proprio attraverso accenni punk e tocchi di tartan reinterpretato.

A parte i caschi alla Pierre Cardin, le altre modelle di Francesca avevano un hair style in puro stile punk, con creste ed elementi metallici inseriti tra i capelli, piercing e orecchini usati per adornare la testa in modo originale.

E, come ho già detto, Francesca ha usato anche tessuti tartan mischiandoli con fantasie geometriche.

Altro fattore da considerare: Francesca non sembra curarsi troppo degli attuali trend moda. Un difetto? Al contrario. Denota coraggio e personalità. E anche questo è in stile punk, movimento da sempre definito di controcultura (o cultura alternativa).

Francesca Liberatore FW 2024-25
Francesca Liberatore FW 2024-25
Francesca Liberatore FW 2024-25, pettinature in stile punk e tartan rivisitato in due miei scatti alla sfilata
Francesca Liberatore FW 2024-25, pettinature in stile punk e tartan rivisitato in due miei scatti alla sfilata

Torno dunque a ripeterlo: credo che, in un Olimpo immaginario abitato dagli stilisti del passato, diversi di loro abbiano sorriso vedendo che, quaggiù, c’è qualcuno che continua a rendere omaggio alle loro intuizioni.

Qualcuno che porta avanti le loro idee in un mondo in cui gli abiti possono essere (ancora) manifesti di pensiero. Per fortuna, penso io.

Per il resto, per quella storia della mediazione tra stilisti e pubblico… la decisione spetta solo a voi, miei cari amici.

Tocca a voi decidere se avete voglia di ascoltare le storie che gli abiti raccontano e se avete voglia di ascoltare qualcuno che provi a narrarle con tutta la passione che prova (anzi, che provo) davanti alle creazioni di una stilista come Francesca Liberatore.

Forse, se siete arrivati fin qui (complimenti!), la pensate come me.

A proposito… permettetemi di dire grazie a Francesca per il viaggio che mi ha fatto fare, dal concetto di opera d’arte totale fino al punk.

Emanuela Pirré

 

 

 

Photo credits:
tutte le foto sono cortesia
dell’ufficio stampa Francesca Liberatore
a eccezione dei miei tre scatti segnalati

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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