MFW: empatia (poca), metatarsi malconci e tanta bellezza, per fortuna!

Adoro girare la mia città – Milano – a piedi, anche quando si tratta di fare molti chilometri.
Trovo che, se il clima lo consente, muoversi a piedi sia il miglior modo per conoscere il luogo in cui si vive, senza contare i notevoli benefici per salute e spirito.
Datemi un paio di scarpe comode e per me camminare non solo non è un problema, ma è invece una gioia: in questi giorni, poi, Milano gode di un clima perfetto, né caldo né freddo, quel tempo che vorrei durasse tutto l’anno.

Dovete però sapere che mercoledì scorso, primo giorno di MFW (alias Milano Fashion Week alias Milano Moda Donna alias Settimana della Moda di Milano), ho sbagliato la fondamentale scelta delle scarpe.
Ho indossato un modello che di solito è piuttosto comodo, con una leggera zeppa interna: non avevo però immaginato di percorrere quasi 15 chilometri a piedi. Posso quantificarli con tanta precisione perché ho condiviso la giornata con un caro amico (che si chiama Andrea Tisci) il quale aveva un contapassi.
Ecco, diciamo che 15 chilometri a piedi rendono scomoda qualsiasi zeppa non dotata di plateau anteriore, come è il caso di quelle mie scarpe. E, tra l’altro, la cosa peggiore non è nemmeno il fatto di camminare, bensì quello di fare lunghe soste in piedi, fermi sul posto, esattamente come accade durante la MFW per sfilate, presentazioni, incontri ed eventi, con tutto il peso del corpo che grava pericolosamente su metatarso e tallone.
Risultato: mercoledì sera quasi piangevo per il dolore. E per la rabbia, perché ho una certa esperienza e, in realtà, non avrei dovuto farmi fregare come una principiante alle prime armi.

Di conseguenza, giovedì mattina, ho optato per un paio di comodi anfibi: avevo ancora i piedi doloranti, lo giuro, ma il metatarso, almeno, ha ringraziato.
E, comunque, non ho affatto rinunciato a camminare, anzi.
A un certo punto della giornata, però, ho avuto la malaugurata idea di prendere il filobus per recarmi da una sfilata a una presentazione: ero di corsa e tra i due luoghi c’era una certa distanza.
Direte voi: perché, allora, scrivo di aver avuto un’idea malaugurata?
Perché il filobus procedeva un po’ a fatica per via del traffico nonché di alcuni cantieri dovuti a diversi lavori in corso: le fermate erano piene di gente in attesa, la vettura era colma e molti erano spazientiti.
Tant’è che una donna ha chiesto al conducente il motivo di tanta confusione e lui le ha risposto “C’è la Fashion Week, signora”.
E lei, di rimando: “Ah, ecco! Vede, se avessero invece qualcosa di serio da fare”.

Chi legge il blog abitualmente sa quanto io detesti i cliché di ogni tipo, ordine e grado e questa illuminata sentenza è proprio questo, un ottimo (anzi, pessimo) esempio di cliché.
E mi è davvero insopportabile, forse anche perché mi tocca in prima persona, lo ammetto.
Dunque, vorrei dire alcune cosette. Leggi tutto

Vi faccio una domanda: sapete dirmi chi è perfetto?

Questo blog si occupa principalmente di moda.
O così, almeno, era quando è nato: era stato pensato come un luogo virtuale, un salotto nel quale parlare del mio grande amore per la moda.
Poi, ho capito che non avevo affatto voglia di chiudermi da sola in un recinto e così, oggi, in questo spazio, mi piace parlare di vari argomenti.
Tutto, però, è legato dal principio che mi guida: la ricerca del talento e della bellezza.
Quando parlo di bellezza intendo un qualcosa che per me ha un senso ampio nonché molte possibili declinazioni.
Sicuramente, non considero che la bellezza sia sinonimo di perfezione, soprattutto perché credo che la perfezione sia noiosa e che, comunque, non esista.
Ho l’opportunità di vedere le modelle sulle passerelle, a pochi passi da me, e le trovo divine, quasi delle dee; poi, le vedo nei backstage e credetemi se vi dico che poche – anzi, pochissime – sono (quasi) perfette.
Certo, se non c’è materia prima non si fa la modella, dunque non starò a prendervi in giro dicendovi che chiunque possa farlo: alcune, tra l’altro, possiedono quel certo non so che – che prende il nome di allure – che le rende davvero uniche e inimitabili.
Ma tante sono semplicemente belle ragazze. Alte, certo, con dei bei visi freschi, certo: non dee irraggiungibili, non perfette.
Poi, ripeto, quando le vediamo in passerella o nei servizi di moda sono completamente diverse. Quasi delle dee. Merito di make-up, hair styling, abiti da sogno, stylist e fotografi bravissimi. Merito della professionalità delle modelle stesse che sono camaleontiche e capaci di trasformarsi: anche questo è un talento e sicuramente non è da tutti.
Aggiungo una cosa: coloro che sono dotate di allure, tra l’altro, possiedono anche grande carattere e personalità. Ovvero hanno qualcosa che va oltre un bel volto.
Ecco perché sostengo che la bellezza non è solo giovinezza, freschezza o perfezione; ecco perché sostengo che la bellezza ha un significato molto ampio e che a me affascina quando ha un certo spessore.

Vedete, quando penso a tutte queste cose provo un po’ di rabbia, lo ammetto.
Perché penso alle donne e alle ragazze che si rovinano la vita sperando di assomigliare a qualcosa che non esiste, ovvero a un ideale di bellezza che viene accuratamente costruito a tavolino. Confezionato, esattamente come qualsiasi buon prodotto.
E, visto che questi – bellezza, sfaccettature, possibili declinazioni, illusioni – sono tutti argomenti che mi stanno molto a cuore, oggi desidero condividere con voi un interessante progetto di una realtà che si chiama Pro Infirmis.

Pro Infirmis è un’associazione svizzera che non ha scopo di lucro e che dà sostegno ai disabili: il loro lavoro parte dal principio che ogni persona ha il diritto di condurre una vita auto-derminata e indipendente.
L’associazione si impegna allo scopo di garantire alle persone portatrici di handicap la possibilità di partecipare pienamente alla vita sociale, contrastando qualsiasi deriva discriminatoria ed emarginante; non solo, promuove una cosa molto importante, ovvero la solidarietà tra persone, siano esse portatrici o meno di handicap.
Proprio in quest’ottica di abbattimento delle frontiere, Pro Infirmis ha realizzato un esperimento che è contenuto nel video che vi mostro qui sotto. Il video si intitola “Because who is perfect?”.

Ovvero, perché chi è perfetto?”

Alcuni manichini, simboli di presunta perfezione che riempiono normalmente le vetrine dei negozi in ogni città, sono stati modellati a immagine e somiglianza di persone affette da disabilità fisiche: tra di esse, c’è chi è affetto da osteogenesi imperfetta oppure chi ha un arto menomato.
Sono tante persone diverse, un conduttore radiofonico, un critico cinematografico, un atleta paralimpico, una blogger, un attore: una volta ultimati, i manichini a loro immagine sono stati utilizzati in alcuni negozi di Zurigo, messi in vetrina nella più popolare strada dello shopping, la Bahnhofstrasse.

Il video è diventato virale e ormai conta più di 20 milioni di visualizzazioni su YouTube; al momento, mentre vi scrivo, sono diventate quasi 24 milioni.
Non voglio aggiungere molto di più: vi invito semplicemente a guardarlo.
Vi dico solo che io sono stata molto colpita da come questi uomini e queste donne guardano – e sfiorano – i loro manichini.
Sono stata colpita dalle loro reazioni, dai loro occhi e dal loro sguardo. Sono stata toccata dalla loro emozione nel rivedersi.
E sono stata colpita – nel bene e nel male – dalle reazioni di chi ha osservato quei manichini in vetrina.

Proprio perché la società, oggi più che mai, continua a essere bombardata da tutta una serie di messaggi e di immagini di corpi, femminili e maschili, statuari e apparentemente senza difetti, io credo che questo video – emozionante ma per niente lacrimoso, lo sottolineo, anzi, piuttosto disincantato – costituisca un ottimo spunto di riflessione e discussione.

Finché avrò un grammo di forza o un briciolo di fiato in corpo, continuerò a occuparmi di messaggi come quello diffuso da Pro Infirmis e da Boudoir Disability, progetto di Valentina Tomirotti e Micaela Zuliani che ho raccontato con grande orgoglio attraverso le pagine di SoMagazine.
Continuerò a ribadire che pensare che l’omologazione sia la chiave dell’accettazione personale e sociale è un grossissimo errore: dovremmo imparare a pensare e a guardare con maggior coraggio, con minore superficialità e con una testa libera da cliché, schemi, barriere, pregiudizi. Perché le barriere mentali sono invisibili eppure sono le più insidiose.
Aggiungo anche che la moda è uno dei linguaggi con cui ci esprimiamo e dunque ha precise responsabilità nel tipo di messaggi che diffonde. E io desidero che sia inclusiva, ovvero che includa, e non che invece escluda.
La diversità (e la disabilità fisica è solo uno dei tanti esempi) ci rende unici e fa sì che ognuno di noi non sia solo la copia di un modello di perfezione che, tra l’altro, è utopico e noioso – lo ripeto!
Vogliamo essere copie o vogliamo essere unici? L’omologazione appiattisce ogni cosa e non è certo la risposta giusta se ambiamo all’unicità.

Perché poi, in fondo, così come chiede il video, chi è perfetto? Chi di noi può dire di esserlo?
E vi faccio lo stesso invito contenuto nel finale del video, get closer. Avvicinatevi, venite più vicino.

Domani inizia la Milano Fashion Week e io, come al solito, sarò combattuta tra ciò che di essa amo (l’opportunità di entrare in contatto con tanto talento e tanta bellezza) e ciò che di essa detesto (molte delle cose che ruotano attorno, soprattutto certi atteggiamenti che io non comprendo, ne ho già parlato tante volte).
Ecco, proprio in questo momento e proprio io che mi occupo di moda, tenevo tanto a offrire a noi tutti quello che, a mio umile avviso, è un importante spunto di riflessione.

Manu

 

Dee di Vita, un progetto importante per tutte le donne

Ci sono questioni che toccano profondamente le mie corde più intime.
Tra tali questioni figura la malattia e, in particolare, l’approccio alla malattia e al dolore fisico.
Ho conosciuto il dolore in più occasioni e l’ho provato sulla mia pelle, letteralmente, soprattutto a causa di un grave incidente subito da bambina: tutt’oggi porto le cicatrici indelebili, i segni di un’ustione che quasi mi privò della vita.
Credetemi se dico che, nonostante fossi piccolissima, il trauma è stato tanto forte che piccoli frammenti di quella terribile esperienza sono impressi nella mia memoria. Sprazzi di dolore e momenti di angoscia (ero stata ricoverata in camera asettica e avevo paura, ero solo una bambina) che sono perfino più profondi delle cicatrici fisiche che, da adulta, non ho infine voluto togliere.
Sostengo (sorridendo) di essere stata ricompensata per quel tragico incidente attraverso la fortuna di un’ottima salute; eppure, ho conosciuto la malattia attraverso tante (troppe…) persone care che fanno parte della mia vita. Alcune non ci sono più, purtroppo, ma sono presenti più che mai nel mio cuore.
L’ustione non ha solo segnato la mia pelle, ha anche forgiato il mio animo: la mia soglia del dolore è abbastanza alta e sopporto piuttosto bene la sofferenza fisica.
Ma, per paradosso, se sono disposta a sopportarla su me stessa, mi è invece difficile accettarla in coloro che amo: un conto è soffrire in prima persona, un altro è veder soffrire coloro che amiamo. Per quanto mi riguarda, preferisco di gran lunga essere io a provare dolore. Non so, forse così ho l’illusione di poterlo controllare e di poterlo vincere ancora, così come è già stato…
Naturalmente, detesto vedere soffrire i bambini, mi fa stare male quasi fisicamente proprio perché sono stata una bambina sofferente; lo stesso mi accade quando a soffrire sono in generale le donne, soprattutto a causa delle malattie tipicamente femminili.

È per tutti questi motivi che, ogni volta in cui c’è la possibilità di dare il mio piccolo aiuto alla lotta contro la malattia, mi metto in gioco volentieri e cerco di dare il mio sostegno con tutto il cuore.
So che quel che faccio non è altro che aggiungere una piccola goccia, ma sono convinta che il mare – soprattutto se inteso in senso metaforico – sia fatto da tante, tantissime microscopiche gocce.

Sono particolarmente orgogliosa di dare un contributo quando è la moda – la dimensione nella quale mi muovo quotidianamente – a scendere in campo.
Perché da sempre credo nella moda come forma di linguaggio.
E sono altrettanto felice di poter affermare che ci sono realtà che, oltre ad amare la moda, amano i messaggi che essa può contribuire a dare, grazie all’enorme cassa di risonanza sulla quale può contare.

È il caso di La Tenda Milano che si è innamorata del progetto Dee di Vita e che ha voluto fortemente partecipare all’iniziativa solidale nata dalla collaborazione tra Mantero e l’Ospedale San Raffaele di Milano.

Scopo di Dee di Vita è quello di sostenere le attività di Salute allo Specchio, organizzazione non lucrativa che si occupa di supportare psicologicamente le donne con patologie oncologiche con l’intento di aiutarle a ritrovare bellezza, vitalità, sicurezza e femminilità.
Fulcro dell’iniziativa è Vita, un turbante speciale creato da Mantero, azienda storica fondata a Como nel 1902 e specializzata nella seta: Vita è semplice da indossare e può essere annodato con pochi gesti. È un morbido abbraccio di seta, una vera e propria carezza che non irrita la cute delicata di chi affronta terapie farmacologiche molto impegnative.
Con il desiderio di creare una serie limitata di turbanti, La Tenda, celebre boutique meneghina di prêt-à-porter, ha scelto rose acquerellate che sbocciano con sapienti colpi di pennello: sono declinate in cromie calde che ricordano i colori della terra e scenari esotici, con tocchi di indigo e fucsia. Potete vederlo in anteprima nella foto qui sopra.
Grazie al prezioso contributo di La Tenda Milano e all’impegno profuso da Mantero, una parte del ricavato delle vendite dei turbanti – prezzo al pubblico 80 euro – sarà devoluto alla Onlus Salute allo Specchio.

I turbanti limited edition Mantero per La Tenda verranno presentati a Milano in occasione dell’edizione di Milano Moda Donna che sta per iniziare, con il patrocinio della Camera Nazionale della Moda Italiana.
L’allestimento all’esterno della Boutique di via Solferino 10, nel cuore di Brera, trasformerà la via in una vera e propria galleria d’arte: dal 21 al 23 settembre, sarà infatti aperta al pubblico la mostra Donne ConTurbanti del fotografo Guido Taroni, mostra il cui obiettivo poetico fa emergere, attraverso 16 ritratti di donne, tutta la personalità di ognuna di loro. Donne che, pur non avendo affrontato in prima persona la malattia, si sono dimostrate uniche e speciali nel modo di indossare i turbanti Vita.
La mostra sarà arricchita da un nuovo esclusivo scatto che interpreta il turbante Vita nella fantasia realizzata in esclusiva per La Tenda: lo scatto verrà svelato il 20 settembre, in occasione della serata dedicata alla Vogue Fashion’s Night Out e all’inaugurazione della mostra.
E per raccontare il dietro le quinte della creazione della nuova fantasia svelandone il lato più squisitamente artistico, proprio in occasione della VFNO, La Tenda accoglierà, a partire dalle 18:30, una performance di live painting durante la quale una textile designer di Mantero mostrerà come prendono vita le fantasie che ritroviamo sul pregiato twill di seta di Vita.
L’evento proseguirà poi alle 19:30 con Lisa La Pietra, giovane soprano e ideatrice di Argia, progetto che prevede l’utilizzo della vocalità come tramite di emozioni. Attraverso alcuni brani tratti dalla tradizione operistica, una speciale performance di musica dal vivo accompagnerà tutti i presenti alla scoperta di quella che è la grande forza insita in ogni donna, in linea con il vero significato di Argia.
Sapete qual è il significato di questa parola? Illuminata.

Parola perfetta.
Perché è riuscire a vedere la luce ciò di cui ha bisogno chi affronta le patologie oncologiche.
E la luce passa anche attraverso la nuova estetica oncologica nonché attraverso tutto ciò che può trasmettere i valori della bellezza e della forza delle donne, sostenendo concretamente coloro che sono in cura e facendo ritrovare il desiderio di prendersi cura di sé.

Per questo Vita è un prodotto volutamente allegro e colorato, perché interpreta l’energia di tutte le donne, ne celebra la bellezza e ne valorizza la femminilità.

Bando al dolore e alle lacrime. Siamo Dee di Vita.

Manu

 

Qui trovate il sito di La Tenda Milano; qui il sito di Mantero; qui il sito del fotografo Guido Taroni; qui il sito del soprano Lisa La Pietra; qui il progetto Dee di Vita; qui la Onlus Salute allo Specchio con approfondimenti interessanti e importanti, per esempio a proposito dell’estetica oncologica.

 

 

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NOWGenerations fase 2, AdL porta la moda dalla passerella alla strada

Non è un segreto: amo la moda visceralmente e con tutta me stessa.
Amo la sua storia, amo studiare in che modo ha origine nella fervida immaginazione e nella fertile mente di uno stilista, amo osservare le forme che può assumere, amo vedere come interagisce con molti degli aspetti della nostra vita. Anzi, con quasi tutti gli aspetti della nostra vita.
Tuttavia, come ogni grande amore, anche il mio presenta dei lati oscuri.
Uno degli aspetti tipici della moda e che non apprezzo affatto è, per esempio, quella (spiacevole) tendenza a consumare tutto velocemente e, di conseguenza, quasi a fagocitare sé stessa.
Senza mai soffermarsi e, tra l’altro, togliendo anche a noi il tempo di concentrarci o approfondire.
Tutto questo è sempre esistito: per sua stessa natura, la moda parla del tempo in cui è concepita e dunque parla del presente. Magari diventa vintage nel caso di uno sguardo più ampio verso il passato, oppure avanguardia se ci proiettiamo nel futuro.
Ciò che rimprovero alla moda di oggi è la velocità assurda con cui tutto invecchia: una collezione diventa obsoleta nel giro di pochi mesi, in alcuni casi perfino nel giro di alcune settimane (come nel fast fashion, settore nel quale la permanenza dei capi in negozio è brevissima).
Agli stilisti non è concessa tregua: neanche il tempo di godere di un lavoro o di un successo e devono già proiettarsi sulla collezione successiva (magari anche sulle successive due o tre, tra capsule, limited edition, cruise collection e via discorrendo).
Parallelamente, a noi non viene concesso il tempo di goderne, di indossare i capi in maniera cosciente, perché è già ora di nuovi desideri. Questo è ciò che prevede il cosiddetto (e maledetto) consumismo.
Lo ripeto, a me tutto ciò non piace. Mi mette a disagio.
Vorrei avere il tempo di godere e di assaporare.
Il mio progetto A glittering woman è nato anche con tale finalità: questo spazio mi permette di avere il tempo di soffermarmi. Di dettare i miei tempi. Di scegliere. Di decidere. Di essere libera. Libera di seguire chi mi piace. Di continuare a seguire i progetti che mi piacciono e il loro evolversi nel tempo.

Sono dunque molto felice di parlarvi degli sviluppi del fashion show 2016 di Accademia del Lusso, scuola presso la quale ho il piacere e la gioia di insegnare: la sfilata che chiude l’anno, intitolata NOWGenerations, ha premiato i 18 migliori allievi ai quali è stata data la possibilità di presentare una piccola collezione.

Come avevo già raccontato in un precedente post, il titolo NOWGenerations fa riferimento al nucleo del progetto, ovvero al desiderio di narrare una bellezza priva di limiti temporali e generazionali.
La moda è stata vista come il mezzo privilegiato per esprimere un’idea di stile che può risplendere tanto sulle riviste patinate quanto per le strade: NOWGenerations ha voluto incarnare il presente che si mischia al passato e guarda al futuro, ha voluto raccontare le combinazioni e le contaminazioni che si armonizzano in una visione positiva della moda e della vita.
Ha raccontato la bellezza interiore e ha celebrato quella esteriore senza guardare al tempo che passa. Ha valorizzato e reso tutti protagonisti.

Ora, AdL desidera continuare a promuove il talento creativo delle nuove generazioni con un progetto artistico trasversale: a partire dal concept NOWGenerations, nasce l’idea di ispirarsi alle texture degli abiti creati dagli studenti per il fashion show e le superfici tessili diventano così la base di performance artistiche contemporanee in occasione della Vogue Fashion’s Night Out e della Milano Fashion Week.
Non è stata scelta la via dell’illustrazione di moda; si è preferito privilegiare un modo che fa letteralmente vivere le creazioni dei giovani designer.

Altro obiettivo ambizioso della nuova fase del progetto è quello di rendere la moda un’esperienza non elitaria pur ambendo a conservarne i tratti di unicità e originalità propri della sua dimensione migliore, quella artigianale.

Autore delle performance ispirate al concept NOWgenerations è Ascanio, unconventional street artist di origine cubana che crede nell’arte accessibile, visibile ai più e non chiusa in musei o gallerie, in grado di impreziosire le città includendone tutti i quartieri.
Ascanio non vuole solo interpretare in chiave artistica le creazioni dei designer emergenti di AdL, vuole esplorare e rivivere il mondo delle texture, dei decori, dei dettagli.
I suoi close-up sulle lavorazioni artigianali, filtrate attraverso la lente dell’arte di strada, trasformano le superfici tessili in veri e propri manifesti espressivi.

Come funzionerà in dettaglio il progetto?

In occasione della Vogue Fashion’s Night Out di Milano, martedì 20 settembre 2016 dalle 18 alle 23, AdL ha organizzato un evento Open Night nella sede di via Monte Napoleone 5.
Body painting, opere in mostra, incontro con l’artista: l’Open Night diventerà una tappa imperdibile della VFNO 2016 meneghina.

Il progetto continua in strada: le street art performance di Ascanio si svolgono anche live in zone chiave di Milano – come corso Corso, corso Sempione, zona Navigli, corso Buenos Aires e molte altre location – dal 13 al 24 settembre 2016. Le prime performance sono dunque iniziate.
L’artista riprodurrà le sue creazioni accompagnato dagli studenti di AdL e da modelle che indosseranno i capi. Un vero e proprio flashmob, insomma, per chi ama la moda, l’arte e tutto ciò che è espressione di creatività.

Ecco perché ho voluto parlarvi ancora una volta di NOWGenerations: questo sviluppo, questa fase 2 mi piace molto, come immaginerete, perché crea un legame tra la moda, la città e tutti noi.
E lo fa in un frangente – quello di Milano Moda Donna – che è importantissimo non solo per il settore moda ma per l’intera città, per molti aspetti.
Perché non mi stanco mai di sottolineare che, oltre a essere fenomeno di costume e specchio della società, la moda è fondamentale per il nostro Paese anche dal punto di vista economico, in quanto genera occupazione e posti di lavoro.
E perché altrettanto non mi stanco di sottolineare che la moda non riguarda solo gli abiti, ma è ovunque.
Anche e soprattutto nelle strade, così come dimostrano di aver ben compreso AdL e Ascanio attraverso questo progetto condiviso.

Manu

 

Per maggiori informazioni e per approfondire:

Qui trovate il sito di Accademia del Lusso, qui la pagina Facebook, qui Instagram e qui Twitter.

Qui trovate l’evento sul sito di AdL e qui trovate la mappa degli eventi di street art: seguite la pagina Facebook e l’account Instagram che vi ho segnalato e che vengono costantemente aggiornati e troverete tutte le informazioni e i dettagli in tempo reale.

Qui trovate una gallery completa della sfilata NOWGenerations e qui trovate l’album dedicato alle creazioni di street art.

Qui trovate il sito di Ascanio.

Classe 1988, Ascanio si diploma nel 2007 all’Accademia di Belle Arti di Cuba con specializzazione in pittura e disegno. Nel 2008, si sposta all’Avana ed entra in contatto con l’ambiente artistico della capitale: partecipa a numerose mostre e arricchisce la propria produzione con l’utilizzo della tecnica serigrafica. Nel 2012, si trasferisce a Milano, città nella quale oggi vive e lavora. La naturale propensione al nuovo lo porta a interagire con il contesto e a collaborare con artisti internazionali sviluppando attività e progetti interdisciplinari: attraverso l’uso esclusivo del pennello e di tecniche tradizionali di pittura murale, Ascanio porta avanti uno stile particolare e riconoscibile. Nella sua opera non mancano tuttavia elementi innovativi e di sperimentazione: ama, infatti, coinvolgere i passanti e gli interessati alla realizzazione dei suoi lavori in strada, invitandoli a partecipare e a condividere l’esperienza creativa.

Io & AdL: qui trovate il racconto dettagliato della sfilata NOWGenerations; qui trovate il racconto della sfilata dello scorso anno; qui trovate l’incontro organizzato con Agatha Ruiz de la Prada.

 

 

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Giulia Boccafogli, quando dedizione e umiltà accompagnano il talento

Più vado avanti nel mio percorso e più mi convinco circa la necessità di dare spazio a cose belle e virtuose.
A progetti belli e virtuosi.
A persone belle e virtuose. Belle in senso molto ampio, dentro e fuori.

Sento che è necessario e anche giusto in quanto tutto ciò riesce a regalarmi emozioni forti.
E l’emozione è ancora più grande, dilagante, direi, quando a essere bella e virtuosa è una persona che seguo con affetto e stima da anni.

Sì, seguo lei e il suo lavoro da parecchio: mi riferisco a Giulia Boccafogli, designer talentuosa di gioielli contemporanei di ricerca, realizzati artigianalmente utilizzando pellami italiani di recupero.

Giulia progetta, disegna e realizza personalmente le sue collezioni: lavora con passione e dedizione, operando una continua ricerca e portando avanti le principali caratteristiche (originalità, qualità, manualità, conoscenza, competenza) intrinseche nel vero Made In Italy.

Il suo lavoro si concentra sulla pelle, materiale versatile, e lei ne esplora e ne sfrutta l’aspetto materico.
Utilizza pellami di recupero, selezionati accuratamente: rigenera il materiale che, in questo modo, gode di una seconda vita. Leggi tutto

Giulia Salemi contro Giulia Marani: due approcci agli antipodi

Chissà se, leggendo il titolo di questo post, avete pensato al film Kramer contro Kramer: se è così, ne sono felice, era il mio scopo.
Desideravo evocare proprio l’atmosfera di quella pellicola che racconta di una coppia che, a seguito del divorzio, si ritrova a lottare per l’affidamento del figlioletto.
L’intento del regista è quello di sottolineare, fin dal titolo e tramite l’uso dello stesso cognome, l’aspro confronto che oppone i due coniugi.

Il mio intento è lo stesso: non vi parlerò di un matrimonio in crisi, ma di un altro confronto tra nomi.
Le due persone delle quali sto per parlarvi hanno infatti in comune il nome di battesimo, Giulia, e da esso sono unite eppur divise, come vedrete.

Giulia Salemi è una modella, lavora in televisione ed è una ex concorrente del concorso di bellezza Miss Italia; Giulia Marani è una stilista della quale ho parlato spesso.
Entrambe sono state presenti a Venezia, per la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica.

Giulia Salemi ha fatto parlare di sé per aver indossato un abito che non so davvero come definire.
Potrei chiamarlo inguinale, nel senso che lasciava praticamente scoperto l’inguine eccezion fatta per una sottile striscia di stoffa. Per onore di cronaca e per amore di verità, è giusto che io nomini anche Dayane Mello, modella brasiliana che ha condiviso la passerella con la Salemi, vestita dallo stesso stilista e con un abito simile.

Giulia Marani ha invece fatto parlare del suo lavoro, vestendo due modelle con alcuni capi che rappresentano e sintetizzano il percorso che la stilista sta portando avanti da anni.

Parliamo in entrambi i casi di moda e vestiti, dunque; eppure, le due Giulia hanno affrontato la passerella (e la vita, oserei dire) in maniera diametralmente opposta, sia per quanto riguarda l’approccio sia per quanto riguarda il risultato.

E avrete già capito che uno dei due modi mi piace e l’altro no. Leggi tutto

Sonia Rykiel, non solo la regina del tricot

Ammiro le persone che dimostrano di avere carattere e personalità.
Mi piace che una persona si distingua nel mestiere che fa, qualunque esso sia. Resto ancor più affascinata quando si tratta di donne in quanto diventano fulgidi esempi da seguire.
Per questo motivo ammiravo tanto Mariuccia Mandelli, la stilista che aveva scelto Krizia come proprio pseudonimo, nome preso in prestito dall’ultimo Dialogo incompiuto di Platone, quello incentrato sulla vanità femminile.
Nel 2013, dopo una sfilata, avevo avuto l’immenso onore di poterle stringere la mano: lo scorso dicembre, a 90 anni, se n’è andata. Nel mio cuore c’è un posto che sarà suo per sempre e ora, al suo fianco, ne riservo uno per Sonia Rykiel: appena ho saputo della sua morte, ho subito pensato alla signora Mandelli e mi è venuto istintivo unirle indissolubilmente nel fatto di essere donne di grande carattere e personalità, stiliste che hanno saputo diffondere e difendere la loro opinione a proposito della femminilità e dei possibili modi di interpretarla.

Sonia Rykiel, classe 1930, iniziò a disegnare abiti nel 1962 quando, durante la gravidanza, non riusciva a trovare vestiti che le fossero comodi.
Soprannominata regina del tricot, concentrò la propria creatività sulla lana, dandole la stessa importanza che altri stilisti riservavano a tessuti pregiati e riuscendo a portare la maglieria oltre la dimensione artigianale.
Il pezzo che le fece ottenere il titolo di regina del settore fu un piccolo pullover attillato a righe: il capo finì sulla copertina di Elle e diventò un simbolo di liberazione e seduzione nonché di uno stile sofisticato e ribelle. Le donne – e prime fra tutte celebrità quali Audrey Hepburn, Catherine Deneuve, Lauren Bacall, Brigitte Bardot – se ne innamorano.

La sua filosofia? No, ai total look, no ai diktat, no ai limiti imposti dall’età.
Per lei era la moda a doversi mettere al servizio del corpo femminile e non viceversa (e questo è uno dei motivi per cui l’ammiro); ogni donna doveva essere libera di creare il proprio guardaroba, celebrando liberamente le proprie forme.
I capi di Sonia Rykiel conquistarono la ribalta della moda perché parlavano un linguaggio schietto e perché coglievano i desideri delle donne degli anni ’70: lei regalò loro libertà di movimento e di espressione.
«È la donna che anima l’abito. Non può essere il contrario. La provocazione è la donna, mai quello che indossa», così era solita dire.

Nel 1985, ricevette la Légion d’honneur, l’onorificenza più alta attribuita dalla Repubblica Francese. Nel 1987, le celeberrime Galeries Lafayette ospitarono Vingt ans de mode, la prima grande retrospettiva a lei dedicata; nel 2008, fu invece il prestigioso Musée des Arts Décoratifs a dedicarle una mostra, sempre monografica e sempre a Parigi.
La Rykiel non ebbe paura di sperimentare anche per quanto riguarda la possibilità di collaborazioni inedite e nel 2009 firmò una collezione per H&M.
Nel 2012, rivelò di avere la malattia di Parkinson tenuta nascosta per molti anni, fino a quando le era stato possibile, proprio in nome di quel carattere forte che l’animava. La rivelazione avvenne attraverso la pubblicazione di un libro autobiografico intitolato N’oubliez pas que je joue, dove non esitò a descrivere tutti i segni visibili della patologia sul suo fisico, dai tremori alle difficoltà di deambulazione.

Ed è stato il Parkinson a portarla via il 25 agosto.
Ai suoi funerali, a Parigi, c’era anche Lionel Jospin, ex primo ministro e suo amico; come ultima dimora della stilista, la famiglia ha scelto il cimitero di Montparnasse.
Lì riposano, tra gli altri, grandi personalità della cultura e dello spettacolo tra i quali Charles Baudelaire, Guy de Maupassant, Samuel Beckett, Marguerite Duras, Simone de Beauvoir, Jean-Paul Sartre, Serge Gainsbourg, Susan Sontag, Philippe Noiret. Un luogo affine alla personalità e allo spirito di una donna che ha amato la moda, l’arte, la musica, i libri, la letteratura (fu autrice di nove romanzi), la buona cucina e il cioccolato e che era molto di più della regina del tricot.
Folgorò anche Andy Warhol che la ritrasse e le dedicò un’intervista.

Sonia Rykiel è stata dunque un emblema di unicità, anticonformismo e ribellione.

Non solo dal punto di vista professionale, ma anche sotto il profilo personale e perfino nella malattia che – purtroppo – avvicina il suo destino a quello di André Courrèges, altro stilista che amavo molto e che è mancato all’inizio di quest’anno.

In un’intervista a Elle, Madame Rykiel non nascose di amare il potere e aggiunse di aver «lavorato per ottenerlo».
«Penso che le donne e gli uomini di potere siano uguali. Ce ne sono di incapaci e di formidabili», affermò nella stessa occasione. «Ma se mi chiedete di citarne una esemplare, non so chi dire. Soprattutto tra le politiche. Non sanno conservare quel potere di seduzione e quella dolcezza, tipicamente femminili. Si comportano troppo da uomini».
Esattamente ciò che ho sostenuto a mia volta in un post recente: come pensava la stilista, anch’io sostengo che le donne, per essere accettate e per ricoprire certi ruoli, non debbano affatto comportarsi come gli uomini, ma trovare il proprio modo.

E a mio avviso, una delle sue dichiarazioni più belle fu qualcosa che disse a Elle sempre in quella stessa intervista, una frase che mi pare possa ben riassumere l’essenza del suo lavoro e della sua vita.
«Non mi considero una femminista. Amo così tanto gli uomini. Non amo il femminismo di bandiera, anche se ho sempre difeso la mia libertà. Non penso che tra donna e uomo vada cercata la parità. Ma l’uguaglianza.»

Non credo ci sia nient’altro da aggiungere se non un affettuoso augurio: bon voyage, Madame Rykiel.

Manu

Il ritratto di Sonia Rykiel viene dalla pagina Facebook del brand.
Si tratta dell’invito alla sfilata della collezione autunno/inverno 1978-1979
e mostra Sonia Rykiel ritratta da Sarah Moon

Montagna 1 – Manu 0, ovvero mi toccherà imparare a pattinare

Credo di poterlo affermare senza tema di smentita: carichiamo le vacanze di grandi aspettative.
Forse troppe aspettative. Talvolta sproporzionate.
Ci aspettiamo che esse sortiscano chissà quale miracolo, che ci rigenerino completamente e che ci divertano alla follia. Ci aspettiamo di ritornare nuovi nuovi, come bimbi appena nati.
Chissà, forse è così perché le aspettiamo tutto l’anno oppure perché abbiamo un costante bisogno di sperare in qualcosa che cambi radicalmente la nostra routine.

Naturalmente, io non rappresento un’eccezione e, come tutti, ripongo grandi speranze nel periodo di pausa.
Non mi aspettavo, dunque, di ritrovarmi dopo le vacanze così.
Ovvero disorientata.
Un po’ svuotata.
Ammaccata.

Non mi vergogno ad ammetterlo.
Non mi vergogno ad ammettere che le vacanze, le mie, non sono forse andate come mi aspettavo.
Non mi vergogno ad ammettere che non immaginavo un rientro così: un po’ sottotono. Me lo aspettavo più positivo, più energico.

In fondo, le vacanze non erano andate male e, durante gli ultimi giorni, avevo addirittura maturato un paio di idee su altrettanti post con i quali avevo intenzione di far ripartire il blog. Leggi tutto

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