Chloë Moretz, le azzurre del tiro con l’arco e gli orrori dei giornali

È giunto il momento che io vada in vacanza concedendomi una pausa dalla consueta routine.

Lo sento, è così, e non lo affermo guardando il calendario in questo mercoledì 10 agosto, ma piuttosto ascoltando me stessa.

Quando non ho più pazienza, quando le mie reazioni diventano (ancora) meno diplomatiche del solito, quanto non riesco più a contenere la mia impulsività, vuol dire che ho fatto il pieno e che è arrivato il momento di staccare, di cambiare orizzonti, di cercare stimoli nuovi e diversi. Di riempire cuore e cervello di aria fresca, perché se ignoro questi bisogni rischio di scoppiare come un palloncino che sia stato gonfiato a dismisura.

Ma prima di regalarmi la (credo meritata) pausa, desidero scrivere un ultimo post scomodo, uno di quelli che pubblico ogni tanto, una sorta di riflessione da portare con me nelle prossime settimane. Chissà, magari ripensando con calma alla questione riuscirò a vederla con maggiore serenità.

L’argomento è ancora una volta il corpo di noi donne. Scrivo ancora una volta perché è un argomento del quale ho disquisito spesso.

Ho scritto parecchie volte a proposito della lotta al cosiddetto body shaming, della lotta contro tutta una serie di atteggiamenti connessi nonché dei condizionamenti ai quali siamo tutti sottoposti. Ne ho scritto qui, nel blog, e ne ho scritto per SoMagazine che mi ha dato più volte l’opportunità di farlo (e ringrazio sentitamente per questo).

L’ultimo post per SoMagazine è recentissimo: è datato 22 luglio e parla della famigerata, temibile e fatidica prova costume. La mia posizione è piuttosto chiara e direi che è tutta contenuta nel titolo: “Prova costume? No, grazie”.

Diciamo che è un invito a volere bene a noi stessi, a perseguire la salute e il reale benessere, a concederci qualche sbavatura, qualche imperfezione e, soprattutto, a non farci schiacciare dalla ricerca della perfezione a tutti i costi.

Quel mio articolo era stato scritto circa una settimana prima rispetto alla data di pubblicazione, ovvero quando non era ancora esplosa la bomba della foto di Chloë Moretz, attrice e modella statunitense, pubblicata da Io Donna. Leggi tutto

Donne e politica: Hillary Clinton & Co… la moda è una cosa seria?

Donne.

Donne, politica.

Donne, politica, potere.

Donne, politica, potere, moda.

È così che, molto spesso, mi metto in testa certe idee. Parto da una parola, ne aggiungo un’altra e poi un’altra ancora. Nasce una fila (quasi) ordinata e, infine, metto a fuoco un pensiero.

In genere, c’è qualcosa che, in principio, cattura la mia attenzione, magari un fatto che sembra piccolo e isolato. Poi ne metto vicino un altro. Un altro ancora. Ed ecco che nasce un post per il blog, uno di quelli che di solito chiamo pensieri in ordine (quasi) sparso.

Credo che la suggestione alla base della sequenza donne, politica, potere, moda sia iniziata quando ho scritto il post sulla Brexit e sul referendum dello scorso 23 giugno, quello che sta conducendo all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

Tra i tanti personaggi presenti in quel post, ho citato Margaret Thatcher e il primo referendum che ci fu nel 1975 nel Regno Unito per decidere se continuare a far parte dell’UE: il 67,2% per cento dei partecipanti votò per restare. Quell’anno, la Lady di Ferro, che divenne poi primo ministro nel 1979, sostenne la campagna per la permanenza della Comunità Europea: per correttezza e completezza d’informazione, occorre precisare che le sue posizioni europeiste cambiarono nel corso dei suoi mandati.

L’episodio che mi ha fatto pensare al suo rapporto con la moda accadde proprio in quel periodo.

A una manifestazione a favore del sì, la Thatcher indossò infatti un maglione diventato famoso come la maglia “9 bandiere”: di lana e a maniche lunghe, nero sulle maniche e sulla schiena, recava sul davanti le bandiere dei Paesi che facevano parte della Comunità Europea nel ’75, ovvero Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Italia, Germania Ovest, Lussemburgo, Paesi Bassi e Regno Unito. Leggi tutto

Tattoo sì o no? Nel dubbio… provate con la poltrona!

Chi frequenta questo spazio con una certa costanza lo sa: qui si trovano spesso proposte inconsuete, definiamole così.
Possono partire dalla moda (abiti, accessori, mostre, concorsi) per passare dal cibo (per esempio, un gelato artigianale di gran qualità oppure una birra a base di lievito della Patagonia) fino ad arrivare a una poltrona, proprio come quella che vedete qui sopra.
Talvolta, ciò che propongo fa sì che mondi solo apparentemente lontani possano incrociarsi.
Cosa lega il tutto?
La mia curiosità.
L’eterno desiderio di condividere bellezza, capacità, talento, passioni, emozioni nelle mille forme che possono assumere.
Un pizzico di provocazione, ovvero la spinta che stimola ad abbracciare il cambiamento, l’evoluzione e le trasformazioni.
Mi piace l’idea di condividere scelte libere dai diktat, inclusi i miei: le mie non sono infatti imposizioni, mai e in nessun caso, bensì suggerimenti. Sussurrati.
Perché sta solo a chi legge la decisione finale. Mi piace? Non mi piace? Adotto? Non adotto? L’importante – secondo me – è essere curiosi.

Ho parlato in diverse occasione dei tatuaggi e di ciò che penso a tal riguardo.
Credo che essi non siano solo ornamenti, ma che costituiscano anche e soprattutto un linguaggio.
Il tatuaggio è stato adottato da molti popoli e, a seconda degli ambiti e dei periodi storici, ha rappresentato una sorta di carta d’identità del singolo individuo oppure ha incarnato una pratica volta ad accomunare le persone. Poteva essere un segno di appartenenza, ma anche un rito di passaggio, per esempio quello all’età adulta: poteva simboleggiare un legame relativo a convinzioni religiose, spirituali e magiche.
Ammetto che le motivazioni per le quali oggi ci si fa un tatuaggio sono spesso molto differenti da quelle del passato, eppure persiste il desiderio di comunicare qualcosa di sé agli altri. Anticamente, l’individuo non era in genere libero né di decidere di essere o meno marchiato né di scegliere il disegno da portare sulla pelle: oggi, si sceglie un tatuaggio come celebrazione dei propri gusti e del proprio modo di essere, come manifesto degli eventi personali della propria vita oppure come segno di legami affettivi.
Io ne ho tre: rappresentano tutti momenti o passaggi cruciali della mia vita nonché, appunto, legami affettivi importanti. Quello che porto sul braccio destro è dedicato a mia sorella e a mia nipote. E mia sorella ne ha uno identico.

E così, dopo aver parlato di tattoo su pelle umana e perfino di scarpe tatuate, oggi vi parlo della poltrona Opus Tattoo.
Garantire un pezzo unico, disegnato e realizzato per noi: è ciò che desidera fare la Sergio Villa Mobilitaly proponendo una poltrona in pelle a effetto tatuato.
L’azienda nasce dall’incontro tra l’architetto Carlo Rampazzi e la bottega artigiana di Sergio Villa situata in Brianza, uno dei centri d’eccellenza per la produzione del mobile. La loro idea è quella di creare una sorta di sartorialità dell’arredamento: sostengono infatti che, come accade nella moda, anche i mobili possiedono una valenza che va oltre le fugaci tendenze.
Carlo e Sergio vogliono fare del mobile il centro dell’attenzione, vogliono suscitare emozioni attraverso i loro progetti, attraverso oggetti senza tempo, slegati da trend effimeri e incastonati nel mondo.
Con Opus Tattoo, Sergio, artista decoratore, crea un legame tra la personalità del proprietario e l’ambiente in cui vive: la poltrona parla di chi la possiede, come un’opera d’arte che non si produce in serie e che si gode anno dopo anno.
Il materiale di rivestimento è una pelle patinata che viene decorata a mano: il tattoo e il colore della pelle sono personalizzabili.

L’arte di fare mobili è una delle capacità per le quali noi italiani siamo conosciuti in tutto il mondo: è un onore, dunque, ospitare un’idea tanto estrosa.
Una creazione che parla di personalità libera da vincoli nonché dell’ironia della provocazione, proprio come piace a me.

Manu

 

Se volete approfondire a proposito del lavoro della Sergio Villa Mobilitaly, qui trovate il sito.

Se vi ho incuriositi parlando di scarpe tatuate, qui e qui trovate i miei post.

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