Heineken H41, la birra con il lievito che viene dalla Patagonia

Io e la nuova Heineken H41 alla Milano Vintage Week – foto di Valerio Giannetti

Tra le voci che circolano sulla moda, ce n’è una molto insistente: si dice che gli addetti ai lavori mangino poco o nulla.

E non mi riferisco solo alle modelle, circola la stessa voce su editor, stylist e via discorrendo: perfino i film hanno contribuito a questa storiella, penso per esempio a Il diavolo veste Prada.

Delle blogger, poi, si dice che ordinino alcuni piatti esclusivamente per fotografarli, senza poi consumarli.

Volete sapere la mia opinione maturata osservando innumerevoli colleghi e colleghe? Sì, è vero, qualcuna che salta i pasti per entrare nella mitizzata taglia 40 – o anche nella 38 – c’è, ma molte persone hanno un rapporto assolutamente normale col cibo. E poi dai, abbiamo tutti l’amica fissata, quella eternamente a dieta da quando aveva 12 anni. E magari lavora in banca.

Siccome le generalizzazioni non mi piacciono né mi piace parlare per un’intera categoria, vi dirò qual è il rapporto della sottoscritta col cibo: ottimo, posso affermare che ci lega una relazione felice e appagante.

Amo mangiare, sono onnivora, golosa e buongustaia: ho gusti molto vari, spazio da piatti semplici a pietanze raffinate, provo volentieri di tutto e sono sempre stata così, fin da piccola.

Probabilmente parte del merito è di mia mamma: è sempre stata una buona cuoca, ha sempre preparato ottimi piatti variando le proposte e ha educato me e mia sorella al piacere della tavola e del convivio.

Sono ghiotta di legumi e di verdure (impazzisco, per esempio, per i cavolini di Bruxelles che considero una vera e propria leccornia) nonché di pietanze come il fegato (lo adoro alla veneta, con tanta cipolla): mia mamma non ha mai dovuto insistere per farmi mangiare tutte queste cose sebbene, per dire l’assoluta verità, devo confessare che da bambina non amavo i fagioli. Poi, crescendo, ho cambiato idea anche su quelli: pasta e fagioli è un piatto meraviglioso.

Le cure per l’inappetenza a me non sono mai servite: ho sempre goduto di un sano e robusto appetito, perfino quando da adolescente qualche amore infrangeva il mio cuoricino. Ed ero una buona forchetta tanto che un mio fidanzatino dell’epoca mi disse la frase “meglio farti un vestito che invitarti a cena”: trovai la frase molto originale e spiritosa, salvo poi scoprire che era un modo di dire e che non era farina del suo sacco… giusto per restare in tema.

Oggi, continuo a essere una buona forchetta: nonostante abbia avuto momenti in cui sono stata più magra e momenti in cui sono stata più in carne, non ho mai avuto la necessità di fare una dieta vera e propria. Diciamo che costituzione e metabolismo mi aiutano, anche perché ho sempre fatto attività fisica; quando desidero dimagrire, non seguo diete squilibrate o punitive, mi limito a mangiare in maniera più ordinata e regolare evitando i cosiddetti cibi-spazzatura e limitando le quantità.

A volte salto qualche pasto, lo ammetto, ma solo a causa dei ritmi lavorativi: all’occasione successiva, però, divorerei anche le gambe del tavolo!

Finora non ho nemmeno mai sofferto di intolleranze o allergie, cosa della quale sono molto grata: ho toccato da vicino cosa significhi dover eliminare degli alimenti, anche per esperienze in famiglia, e spero che non capiti mai a me in prima persona, sebbene la scienza alimentare abbia fatto passi da gigante e sia in grado di aiutare chi ha problemi di questo tipo. Ecco, la salute è l’unico motivo per il quale potrei rinunciare a degli alimenti: sarebbe una sofferenza, ma la salute è in effetti più importante della gola.

Credo di poter affermare, in definitiva, che il mio approccio gioioso al cibo sia dovuto – come per molti altri ambiti della mia vita – alla caratteristica che più di tutte mi accompagna: la curiosità. Il cibo mi appassiona e mi incuriosisce, esattamente come la moda, ed esattamente come la moda considero che sia espressione della cultura di un popolo: non per nulla, in ogni viaggio o spostamento che faccio, piccolo o grande che sia, in luoghi lontani o vicini, mi piace assaggiare i piatti tipici.

Naturalmente, un’amante della buona tavola come me non può non amare il buon bere, anzi, lo considero parte integrante.

Specifico subito che l’associazione tra buon e bere è per me indissolubile: privilegio la qualità alla quantità e non sopporto chi abusa dell’alcol. Bere è un piacere solo se è fatto con la testa, con intelligenza, gusto e moderazione: il senso della misura, come sempre, è fondamentale.

Da anni, cerco di stabilire una mia personale classifica tra vino e birra e so che molti intenditori si dividono decisamente a favore dell’uno e dell’altra: io non ce la faccio, apprezzo molto entrambi. La mia scelta dipende dal momento e dai piatti che desidero accompagnare; apprezzo, tra l’altro, scoprire accostamenti imprevisti, inattesi, sorprendenti, abbinamenti ai quali non avevo mai pensato.

Fatta questa lunga premessa, vi lascio immaginare la mia gioia ogni volta in cui riesco a unire moda, stile e palato: è successo recentemente grazie alla Milano Vintage Week, la kermesse meneghina della quale ho parlato più volte e che è ormai un piacevole appuntamento fisso.

Giunta alla quinta edizione, la MVW si è svolta da pochissimo – precisamente da venerdì 15 a domenica 17 aprile – nei bellissimi e ampi spazi dello showroom Riccardo Grassi in via Giovan Battista Piranesi: io ci sono stata sabato 16 aprile e, oltre ad aver fatto un’ottima full immersion nella moda d’antan (una delle forme che preferisco), ho fatto conoscenza con la nuova birra H41 di Heineken – così come testimonia la foto di apertura di questo post, uno scatto di quel bravissimo fotografo che risponde al nome di Valerio Giannetti.

La H41 nasce dall’esperienza dei mastri birrai di Heineken ed è la prima birra lager con lievito selvaggio della Patagonia, un lievito in edizione limitata esattamente come avviene con certe collezioni di abiti o di accessori.

Permettetemi di raccontarvi perché ho amato questa birra e come ha soddisfatto la mia eterna curiosità nonché la mia sete (è proprio il caso di dirlo!) di nuove conoscenze: ho infatti avuto il piacere di berla in compagnia degli esperti Heineken i quali mi hanno raccontato la sua storia.

Lager è il termine usato per indicare le birre a bassa fermentazione, ovvero quelle che nascono da lieviti di un ceppo che predilige temperature di fermentazione intorno ai 10 °C: durante il processo, il lievito si deposita sul fondo del tino e da qui viene la definizione bassa fermentazione.

Nel 2010, il ricercatore universitario argentino Diego Libkind ha scoperto in Patagonia un raro lievito, il Saccharomyces Eubayanus.

Tale lievito è stato individuato nelle galle, ovvero nelle escrescenze dei faggi nelle fredde e antiche foreste vicino a San Carlos De Bariloche, ai piedi delle Ande, a 41° di latitudine sud: si tratta di un luogo in cui la temperatura non supera mai i 15°, presentando le condizioni ideali per lo sviluppo di lieviti come il Saccharomyces Eubayanus.

Quando Heineken è venuta a conoscenza di questo nuovo – o sarebbe meglio dire antico – lievito si è subito appassionata: la scoperta di Libkind ha generato entusiasmo e voglia di sperimentazione.

Quel lievito “selvaggio” non era infatti mai stato utilizzato in un birrificio e corrisponde a una parte fino ad allora sconosciuta: ibridato con il Saccharomyces Cerevisiae (lievito che fermenta ad alte temperature), permette la fermentazione a basse temperature e quindi la produzione di una lager. Ecco perché è possibile affermare che è stata scoperta l’origine di tutti i lieviti a bassa fermentazione, compreso il lievito normalmente usato da Heineken.

Il mastro birraio Willem van Waesberghe, coordinatore del team che ha messo a punto la ricetta di H41, ha voluto giocare proprio con quella che è l’anima della birra: il lievito è l’elemento che converte gli zuccheri in alcol e CO2 e crea i cosiddetti esteri volatili, ovvero i composti che conferiscono corpo e aromi alla bevanda.

Il lievito è dunque responsabile del processo di fermentazione ed è l’artefice delle note olfattive e gustative della birra: variare il lievito vuol dire aprire un mondo nuovo, creare uno spettro di gusti differenti.

Il processo è stato lungo e non semplice: per arrivare alla ricetta di H41 e per produrla è stato necessario un team di ben 50 persone.

La scommessa consisteva nel comprendere se, andando alle origini di una componente chiave, il risultato potesse essere quello di far emergere un gusto nuovo e originale: così è stato e lo è stato in modo tanto positivo che Heineken ha deciso di produrre questa birra diventata un’esplorazione inedita.

Il nome usa la latitudine del luogo in cui è stato scoperto il caratteristico lievito (coordinate 41° Sud e 71° Ovest) e la H di Heineken.

Il mastro birraio Willem van Waesberghe
Il mastro birraio Willem van Waesberghe

Lavorare con il lievito “selvaggio” ha richiesto abilità ed esperienza, caratteristiche che certo non mancano a Willem van Waesberghe, Global Craft and Brew Master del Gruppo Heineken.

Il suo curriculum è impressionante: ha conseguito una Laurea Magistrale in Geochimica alla State University di Utrecht e successivamente un MBA alla School of Management di Rotterdam. Nel 1992, ha ottenuto il Diploma in Brewing Technology e lavora in Heineken dal 1995: è appassionato di viaggi, di pittura impressionista ed è un amante della buona tavola (toh!) e, naturalmente, di… birra Heineken!

La sua brillante creatura H41 è color oro chiaro; la schiuma si presenta candida, compatta e mediamente persistente. Come mi è stato fatto notare durante l’assaggio, è possibile cogliere note speziate con sentori fruttati: non manca un aroma iniziale ai cereali.

La gradazione alcolica di 5,3% vol. la rende una birra adatta a diversi momenti della giornata: ideale per l’aperitivo, offre anche ottime possibilità in materia di abbinamenti. È un’ottima compagna per piatti salati a base di verdure e si sposa bene con alcuni primi piatti, dalla carbonara a un risotto gorgonzola e salsiccia, nonché con le carni bianche e con i formaggi (ve lo dico, mi è venuta fame).

E infine vi faccio un’ultima rivelazione: H41 è la prima Limited Edition delle Heineken Lager Explorations, un viaggio alla scoperta delle potenzialità dello stile lager attraverso cui i mastri birrai condurranno gli amanti della birra verso uno spettro di nuovi profili di gusto e ricette inedite.

Mi piace questa strada innovativa intrapresa da Heineken, un marchio che porta il nome della famiglia del fondatore e che è nata più di 140 anni fa.

Mi piace la H41 e mi piace il lavoro di ricerca che ha comportato.

Mi piace che dietro ci siano le passioni di tanti uomini, da Diego Libkind a Willem van Waesberghe; mi piace che tutto ciò entri in un bicchiere, unendo la mia passione per le belle storie e il buon bere.

E a proposito di bicchieri: qualcuno, tempo fa, mi disse che sarebbe buona cosa (credo in base a qualche regola dettata dal galateo) non farsi mai immortalare con un bicchiere o una sigaretta in mano.

E io cosa faccio? Mi faccio beccare direttamente con la bottiglia! Cosa che, tra l’altro, comporta il fatto che io abbia bevuto a canna…

Sapete cosa vi dico? Non mi pento, anzi, ne sono proprio felice, perché mi piace assaporare la vita in ogni sua sfumatura e la storia del lievito individuato nelle escrescenze dei faggi nelle remote foreste della Patagonia mi stava intrigando troppo perché mi preoccupassi del galateo (mamma perdonami).

Ve l’ho detto, il fatto che tutti coloro che si occupano di moda disdegnino i piaceri del palato è solo una diceria.

E brindo alla vostra salute, miei cari amici.

Manu

 

 

 

 

Per maggiori informazioni e per approfondire:

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A proposito della Milano Vintage Week – qui trovate il sito, qui la pagina Facebook, qui Instagram e qui Twitter.

I miei precedenti articoli sulla Milano Vintage Week: qui l’edizione di aprile 2014 (col mio piccolo seminario Vintage con personalità) e qui l’edizione di aprile 2015 (con la mia Elizabeth Arden experience e tante altre foto del bravissimo Valerio Giannetti).

 

 

 

 

 

Personal look: nella foto indosso una parure collana + orecchini firmata Sodini

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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